Assolutamente risibile, secondo i giudici, la tesi dell’uomo, che aveva parlato di regali connessi alla propria attività professionale. E neanche il richiamo al fatto che i farmaci, portati via da una ‘casa di cura’, fossero scaduti può rendere meno grave l’addebito.
Piccoli, semplici cadeaux dell’azienda? Giustificazione ritenuta assolutamente puerile. Molto più logico pensare che il dipendente – un infermiere – abbia portato via volontariamente dei ‘ricordini’ dall’ambiente di lavoro. Ecco perché è logica la condanna per peculato Cassazione, sentenza numero 11940/2013, Sesta Sezione Penale, depositata oggi . Farmaci fatali A finire sul banco degli imputati è, come detto, un infermiere professionale, ‘beccato’ a portarsi a casa, impunemente, «farmaci di proprietà dell’azienda» – una ‘casa di riposo’ – di cui è dipendente. Scontata l’accusa peculato. E scontata, secondo i giudici, è anche la condanna per peculato, definita in primo grado e confermata in secondo grado, con una pena fissata in otto mesi di reclusione. Nessun dubbio, quindi, sui blitz compiuti dall’infermiere, capace di creare a casa una sorta di ‘scorta’ farmaceutica, potenzialmente sempre utile e, comunque, sicuramente economica Solo scuse Secondo l’uomo, però, la netta valutazione negativa espressa dai giudici è non fondata. Per diverse ragioni. Su tutto, il fatto che quei farmaci erano stati da lui «ricevuti in regalo nell’ambito della sua attività infermieristica». Senza dimenticare, poi, che, in talune occasioni, i farmaci erano stati «dimenticati nel camice e poi, con tale abito, portati a casa per consentire il lavaggio dell’indumento». Eppoi, aggiunge ancora l’uomo, si è trattato di «farmaci scaduti da anni» Per i giudici della Cassazione, però, le giustificazioni accampate dall’uomo sono semplici scuse, assolutamente «puerili» e non forniti di una «prova di ragionevole riscontro». Pienamente logica, e quindi condivisa, è la ricostruzione della vicenda così come delineata dai giudici di secondo grado, e consequenziale la valutazione di «assoluta irrilevanza» della «tesi difensiva», che, come detto, aveva parlato di «farmaci regalati, ovvero dimenticati nelle tasche dei camici di lavoro». Ecco perché è da confermare la contestazione del reato di peculato nei confronti dell’uomo, e, ovviamente, la condanna a otto mesi di reclusione.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 25 febbraio – 14 marzo 2013, numero 11940 Presidente Virginio – Relatore Serpico Ritenuto in fatto E considerato in diritto Sull’appello proposto nell’interesse di Z.P. avverso la sentenza del GUP presso il Tribunale di Udine in data 22-9-2008 che, all’esito di giudizio abbreviato, lo aveva dichiarato colpevole dei reati di maltrattamenti continuati in concorso verso pazienti dell’Azienda per i servizi alla persona Umberto I di Latisana e peculato ad oggetto farmaci di proprietà dell’Azienda presso cui esercitava la funzione di infermiere professionale e, unificati detti reati in continuazione, concessegli le attenuanti generiche e con la diminuente per il rito, lo aveva condannato alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione, con le conseguenti pene accessorie, la Corte di Appello di Trieste, con sentenza in data 5-5-2011, in parziale riforma della decisione di I^ grado, dichiarava numero d.p. in ordine ai fatti di peculato ad oggetto i farmaci fino al marzo 1999 perchè estinti per prescrizione e, concesse le attenuanti ex articolo 62 numero 4 e 323 bis cp., rideterminava la pena per i residui fatti in mesi otto di recl. con doppi befici di legge e condanna alle spese alle parti civili, e dichiarava la nullità dell’impugnata sentenza con riferimento al reato di maltrattamenti, disponendo la trasmissione degli atti al GUP competente con revoca del capo civile concernente il risarcimento danni alla parti civili per tale reato e confermava nel resto il giudizio di I^ grado. Avverso tale sentenza lo Z. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo, a motivi del gravame, a mezzo del proprio difensore, la violazione di legge ed il difetto di motivazione in punto di comprovata sussistenza del contestato delitto di peculato di taluni farmaci, peraltro, scaduti da anni e, in ogni caso, ricevuti in regalo nell’ambito della sua attività infermieristica e, talora, dimenticati nelle tasche del proprio camice e poi con tale abito portati a casa per consentire il lavaggio dell’indumento. Il ricorso va dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza dei motivi addotti, peraltro ripetutamente invadenti la sfera del mero fatto. Consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma equitativamente determinata in euro MILLE/00= alla cassa delle ammende. Ed invero, alle controdeduzioni difensive, segnatamente caratterizzate da ripetuti riferimenti in punto di mero fatto, l’impugnata sentenza ha offerto una risposta corretta, puntuale e motivata in ordine alla sussistenza del reato di cui al capo J , per il tempo oltre che coperto dalla già dichiarata causa estintiva della prescrizione fino al marzo 1999 anche per gli accertati fatti successivi fino al 29-6-2006. Al riguardo, nel sottolineare i caratteri oggettivi e soggettivi tipicizzanti la condotta contestata, la Corte territoriale triestina non ha mancato di segnalare l’assoluta irrilevanza della tesi difensiva in punto di farmaci “regalati” ovvero “dimenticati” nelle tasche dei camici di lavoro, apparendo tali assunti dei meri, quanto puerili espedienti a discarico, peraltro sprovvisti della benchè minima prova di ragionevole riscontro cfr. foll. 12-13-14 sentenza ricorsa , come, del resto, esattamente dedotto nella decisione impugnata, in uno ai caratteri di sistematica volontarietà della condotta contestata. Nè sfugge che la sentenza si è fatta puntuale e motivato carico di riconoscere all’imputato le attenuanti di cui all’articolo 62 numero 4 e 323 bis cp., proprio a supportare un attento quanto corretto esame delle risultanze oggettive emergenti in atti, con segnalata precisazione delle varie condotte contestate e dei relativi effetti di queste in punto di particolare tenuità dei fatti oltre che di speciale tenuità del danno . P.Q.M. DICHIARA inammissibile il ricorso e CONDANNA il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro MILLE/O0= in favore della cassa delle ammende.