L’assunzione di una carica, che comporta l’assolvimento di obblighi pubblicistici, non comporta un esonero da responsabilità, se si rinuncia, senza un buon motivo, all’esercizio dei poteri di controllo, previsti dalla carica stessa.
Lo stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza numero 10806, depositata il 6 marzo. Il caso. La Corte d’appello di Genova confermava la sentenza di condanna mei confronti dell’imputato, legale rappresentante di una società, per violazione dell’articolo 4 d.lgs. numero 74/2000, che disciplina le dichiarazioni infedeli in materia di accertamento dei redditi. L’accusa era di aver indicato, per evadere l’IVA, operazioni non imponibili a fini IVA per un importo superiore a quello delle fatture non imponibili. Manca il dolo specifico. L’imputato ricorreva in Cassazione, contestando alla Corte territoriale di non aver considerato che questo reato è caratterizzato da un dolo specifico, che, nel suo caso, non era stato dimostrato, limitandosi i giudici di merito a sostenere che il ricorrente non poteva non sapere. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione approvava il percorso logico seguito dalla Poteri di controllo. Corte d’appello, secondo cui una persona, che assume per libera scelta una carica comportante l’assolvimento di determinati obblighi di rilevanza pubblicistica, qualora rinunci, in assenza di un giustificato motivo, all’esercizio dei poteri di controllo che la carica gli attribuisce, non può ritenersi esonerata dalle responsabilità inerenti alla carica. Omissione sospetta. I giudici di merito, in più, si convincevano della responsabilità dell’imputato, basandosi, inoltre, sul suo comportamento. Il soggetto, infatti, non aveva indicato la persona che gli aveva fatto sottoscrivere la dichiarazione infedele e che, quindi, lo avrebbe, a suo giudizio, indotto in errore in buona fede. Compiti insiti nella carica. In caso contrario, si svuoterebbe di contenuto l’assunzione di una carica come quella di presidente del consiglio di amministrazione, come nel caso di specie, che ha, tra gli altri, anche il compito di presentare la dichiarazione annuale ai fini IVA. Tale documento è destinato a rappresentare il complesso delle operazioni, imponibili e non imponibili, compiute dalla società nel periodo interessato ed a determinare l’ammontare dell’imposta dovuta. Per questi motivi, la Corte di Cassazione dichiarava inammissibile il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 7 gennaio – 6 marzo 2014, numero 10806 Presidente Gentile – Relatore Mulliri Ritenuto in fatto 1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato - Con la sentenza impugnata, la Corte d'appello ha respinto l'impugnazione che l'odierno ricorrente aveva proposto dinanzi ad essa contro la condanna, riportata in primo grado, per violazione dell'articolo 4 d.lgs. 74/00. Al T. , infatti, è contestato di avere, quale legale rappresentante della Genber S.r.l., al fine di evadere l'IVA, indicato operazioni non imponibili ai fini IVA per importo superiore a quello delle fatture non imponibili. 2. Motivi del ricorso - Avverso tale decisione, il condannato ha proposto ricorso, personalmente, deducendo erronea applicazione della legge penale perché i giudici non hanno tenuto conto che il reato contestato è caratterizzato da un dolo specifico mentre, nella specie, esso non è stato dimostrato ma ci si è limitati a sostenere che l'imputato non poteva non sapere. Il ricorrente conclude invocando l'annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 3. Motivi della decisione - Il ricorso è manifestamente infondato e, come tale, inammissibile. Oltretutto, l'argomento difensivo qui svolto è il medesimo già portato all'attenzione della Corte d'appello che vi ha replicato in modo più che congruo. Ed infatti, la sentenza è accurata ed analizza lo stesso motivo osservando che “la persona che assume per libera scelta una carica in questo caso societaria che comporta, tra l'altro, l'assolvimento di determinati obblighi di rilevanza pubblicistica, qualora rinunci, in assenza di un giustificato motivo all'esercizio dei poteri di controllo che la carica gli attribuisce” non può ritenersi esonerata dalle responsabilità inerenti alla carica. I giudici evincono la propria convinzione di responsabilità anche dal comportamento dell'imputato di non aver indicato la persona che gli aveva fatto sottoscrivere la dichiarazioni infedele e che lo avrebbe - asseritamente - indotto in errore in buona fede. D'altro canto, giustamente si fa notare che - diversamente opinando - si svuoterebbe di contenuto l'assunzione di una carica come quella di presidente del consiglio di amministrazione tra le quali rientrava, appunto, il compito di presentare la dichiarazioni annuale ai fini IVA vaie a dire, il documento destinato a rappresentare il complesso delle operazioni imponibili e non imponibili compiute dalla società nel periodo interessato ed a determinare l'ammontare dell'imposta dovuta . Non solo, quindi, la motivazione posta alla base delle decisione è adeguata e logica ma non si ravvisa, neppure, alcuna violazione di legge genericamente denunciata con il richiamo alla presunta assenza di prova dell'elemento soggettivo al contrario, esso è stato argomentato con il risultato che, nella sostanza, la censura del ricorrente costituisce solo uno strisciante tentativo di ottenere da questa corte di legittimità una rivisitazione dei fatti onde trame conclusioni diverse ed a lui più favorevoli. Alla presente declaratoria segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di 1.000,00 Euro. P.Q.M. Visti gli articolo 615 e ss. c.p.p. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di 1.000,00 Euro.