Ai fini della concessione o del diniego delle attenuanti generiche, il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’articolo 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento, attinente alla capacità a delinquere del colpevole, quale l’esistenza di un precedente penale rilevante ai fini del riconoscimento della recidiva, può essere sufficiente in tal senso.
È quanto emerge dalla sentenza numero 8093/14 della Corte di Cassazione, depositata il 20 febbraio scorso. Il caso. La Corte d’Appello di Reggio Calabria, confermando la precedente statuizione del G.U.P. presso il Tribunale, riteneva un uomo colpevole del reato di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti marijuana , riconoscendo, altresì, la recidiva specifica infraquinquennale e negando, contemporaneamente, la concessione del beneficio delle attenuanti generiche. Avverso tale sentenza l’imputato proponeva ricorso in Cassazione fondato su tre motivi. Con il primo si deduceva violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta destinazione allo spaccio della sostanza stupefacente rinvenuta in possesso del reo, rilevando che né il dato quantitativo gr. 1043,00 con principio attivo del 12,99% e 5166 dosi medie singole ricavabili né l’occultamento della sostanza al momento dell’arresto potevano considerarsi circostanze indicative della predetta destinazione, essendo, al contrario, compatibili con la giustificazione, dallo stesso addotta ed evidenziata anche in sede d’appello, della costituzione di scorte connesse allo stato di tossicodipendenza. La seconda doglianza si basava sulla ritenuta erronea applicazione della recidiva specifica infraquinquennale, rinveniente da una precedente condanna. Secondo la difesa dell’imputato tale circostanza non avrebbe dovuto comportare obbligatoriamente l’applicazione dell’aggravante, attesa la presenza di altri elementi, quali la giovane età dello stesso, il comportamento processuale e la lieve entità del precedente, che avrebbero dovuto, invece, condurre la Corte territoriale a pronunciarsi in senso contrario a quanto effettivamente fatto. Il terzo motivo di ricorso poggiava le proprie basi sul mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, fondate sui medesimi elementi indicati nella precedente censura in aggiunta a quelli di cui all’articolo 133 c.p. , la sussistenza delle quali avrebbe dovuto comportare la loro prevalenza sulla recidiva con conseguente diminuzione della pena. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso. La quantità non basta, ma conta. La Quarta Sezione Penale della Suprema Corte ritiene il primo motivo di ricorso manifestamente infondato. I giudici di legittimità, infatti, ricordano il consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui la valutazione rispetto alla destinazione della sostanza stupefacente detenuta costituisce apprezzamento di fatto riservato al giudice di merito e, pertanto, insindacabile nell’ultimo grado di giudizio, salvo che per mancanza o manifesta illogicità della motivazione sul punto. Nel caso in questione la Corte d’Appello ha correttamente tenuto presente tutti gli elementi che hanno connotato il fatto, deducendo la finalizzazione illecita della detenzione contestata. In particolare, il giudice di secondo grado ha fatto riferimento al quantitativo di sostanza rinvenuto in possesso dell’imputato, considerato non congruo rispetto alla spiegazione da questi addotta, cioè la necessità di “fare scorta”, soprattutto in riferimento alla quantità di principio attivo e al numero delle dosi ricavabili rispettivamente 12,99% e 5.166,8 . In aggiunta a tale dato, già di per sé significativo, la Corte territoriale ha esaminato le giustificazioni addotte dal reo in merito alla detenzione dello stupefacente, considerandole alquanto generiche in ragione del fatto che lo stesso non ha saputo fornire alcuna prova della disponibilità di denaro per procedere ad un simile acquisto e non è stato in grado di indicare luogo e modalità di quest’ultimo , con motivazione, secondo la Quarta Sezione, coerente sul piano logico e immune dalle censure, definite anch’esse generiche, presentate dalla difesa dell’imputato. Il precedente “lieve” è pur sempre un precedente Infondato viene ritenuto il secondo motivo di ricorso. La Corte di Cassazione considera pienamente legittimo il riconoscimento della recidiva specifica infraquinquennale in capo all’imputato. Infatti, la Corte d’Appello ha ampiamente argomentato la propria decisione in merito, avendo tenuto conto del fatto che il reo fosse stato già condannato per lo stesso tipo di reato commesso meno di 5 anni prima . Tale dato ha evidenziato la sua mancata resipiscenza e, anzi, ha dimostrato la sua insensibilità etica e pericolosità. Ne deriva, secondo il Supremo Collegio, la piena congruità della motivazione sul punto della sentenza impugnata. A nulla, al contrario, valgono le doglianze espresse dall’imputato. Gli elementi a cui il ricorso fa riferimento su tutti la «lieve entità del precedente penale», ma anche la giovane età o il comportamento processuale non possono, a giudizio della Corte di legittimità, godere di forza paralizzante dell’aggravante contestata, essendo, rispetto al dato oggettivo della reiterazione di una condotta criminale, non solo poco significativi, ma anche processualmente non dimostrati. e impedisce di beneficiare delle attenuanti generiche. Medesima sorte tocca al terzo motivo di ricorso. Dopo aver ricordato che in materia di concessione o meno delle attenuanti generiche e di giudizio di comparazione tra circostanze attenuanti e aggravanti è consentita la c.d. motivazione implicita o la motivazione con formule sintetiche “si ritiene congrua”, etc. , la IV sezione penale ribadisce il consolidato orientamento giurisprudenziale ex pluribus, Cass. Penumero , sez. II, numero 3609/2011 per il quale, ai fini della concessione o del diniego delle suddette circostanze attenuanti, il giudice che in materia gode di ampia discrezionalità, sindacabile solo in caso di arbitrarietà della scelta può far riferimento ad uno solo degli elementi su cui l’articolo 133 c.p. calibra la quantificazione della pena. Tale elemento può essere ritenuto prevalente sugli altri e fondare da solo la decisione positiva o negativa del giudice in merito alla sussistenza delle circostanze di cui all’articolo 62 bis c.p Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha legittimamente preso in considerazione il precedente penale dell’imputato, precedente il quale, oltre alla sua importanza ai fini del riconoscimento della recidiva, ha persuaso i giudici di secondo grado della necessità di negare la concessione del beneficio in questione. Essi, anche per questa decisione, si sono serviti della precedente valutazione riguardante la personalità del reo. Il fatto che la reiterazione del reato sia stata considerata indice di insensibilità etica e pericolosità ha, quindi, svolto un ruolo fondamentale non solo per il riconoscimento della recidiva, ma anche per il diniego della concessione delle attenuanti de quibus. Tale percorso argomentativo è considerato coerente e logico dalla Corte di Cassazione. Inevitabile, pertanto, il rigetto del ricorso con la conseguente condanna dell’imputato al pagamento delle spese processuali.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 29 gennaio – 20 febbraio 2014, numero 8093 Presidente Zecca – Relatore Iannello Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 3/11/2011 il G.u.p. del Tribunale di Reggio Calabria all'esito di giudizio abbreviato dichiarava P.G. colpevole del reato - commesso il 18/07/2011 - di detenzione a fine di spaccio di sostanza stupefacente del tipo marijuana peso complessivo g. 1043,00, principio attivo del 12,99%, numero 5166 dosi medie singole ricavabili e, riconosciuta la recidiva specifica infraquinquennale, lo condannava alla pena di anni cinque di reclusione ed € 20.000,00 di multa. Interposto gravame, la Corte d'Appello di Reggio Calabria, con la sentenza in epigrafe, disattese le censure proposte in punto di affermazione della responsabilità penale, recidiva e diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche, riduceva tuttavia la pena inflitta, «in relazione all'entità della condotta», rideterminandola in anni 4, mesi 2 e giorni 20 di reclusione e € 18.000 di multa. 2. Avverso tale decisione propone ricorso l'imputato, per mezzo del proprio difensore, sulla base di tre motivi. 2.1. Con il primo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta destinazione allo spaccio della sostanza stupefacente rinvenuta in suo possesso. Rileva che, diversamente da quanto ritenuto nella sentenza impugnata, né il dato quantitativo, né l'occultamento da parte dell'imputato della sostanza stupefacente al momento dell'arresto, potevano considerarsi circostanze indicative della detenzione anche a fini di spaccio, potendo invece essere compatibili con la giustificazione, dedotta anche nei motivi d'appello, della costituzione di scorte connesse allo stato di tossicodipendenza. 2.2. Con il secondo motivo si duole dell'aumento di pena applicato per la recidiva reiterata specifica infraquinquennale, riconosciuta in ragione di precedente condanna penale, rilevando che tale circostanza, di per sé, non obbligava il giudice del merito a ritenere sussistente l'aggravante, attesa la presenza di altri elementi valorizzabili in senso contrario, quali la giovane età, l'anteatta vita lavorativa, il comportamento processuale e la lieve entità del precedente penale. 2.3. Con il terzo motivo si duole infine del mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche assumendo che al riguardo la corte territoriale non ha tenuto conto degli elementi suindicati e di tutti gli altri previsti dall'articolo 133 cod. penumero che, secondo il ricorrente, avrebbero dovuto condurre all'applicazione delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante. Considerato in diritto 3. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Secondo consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità la valutazione prognostica della destinazione della sostanza stupefacente, ogni qual volta la condotta non appaia correlabile al consumo in termini di immediatezza, deve essere effettuata dal giudice tenendo conto di tutte le circostanze soggettive ed oggettive del fatto e quindi, in particolare, della quantità, qualità e composizione della sostanza, anche in relazione alle condizioni di reddito del suo titolare , con apprezzamento di merito sindacabile in sede di legittimità solo in rapporto ai vizi di cui all'articolo 606, lett. e , cod. proc. penumero e, dunque, sotto il profilo della mancanza o della manifesta illogicità della motivazione cfr. e pluribus, Sez U., numero 4 del 28/05/1997, P.M. c. Iacolare, Rv. 208217 Sez. IV, numero 2298 del 03/02/1998, Calamanti, Rv. 210397 Sez. 4, numero 36755 dei 04/06/2004, Vidonis, Rv. 229686 . Nel caso di specie i giudici dell'impugnazione hanno compiutamente esaminato gli elementi probatori acquisiti ed hanno, in piena sintonia con tali acquisizioni, ritenuto di affermare la responsabilità dell'imputato con motivazione del tutto congrua e coerente sul piano logico. In particolare, quei giudici - hanno richiamato il consistente quantitativo di sostanza stupefacente rinvenuto nella disponibilità dell'imputato, coerentemente ritenuto eccessivo ed ingiustificato se riferito ad un uso personale trattavasi, infatti, come evidenziato in sentenza, di circa g. 1043,00 di stupefacente avente un principio attivo del 12,99% pari a mg. 129.169,1 per ca. 5.166,8, dosi medie giornaliere ricavabili - a fronte di un siffatto dato quantitativo, già di per sé significativo, la corte territoriale ha altresì rilevato che l'imputato non ha provato la disponibilità del denaro necessario all'acquisto, limitandosi genericamente e solo con i motivi d'appello a giustificare la detenzione con l'esigenza di una scorta, né del resto ha saputo fornire alcuna specifica indicazione in ordine al luogo dell'acquisto e alle modalità dello stesso. Trattasi di un percorso argomentativo esauriente e intrinsecamente coerente sul piano logico, pienamente rispondente ai canoni valutativi pacificamente accolti dalla giurisprudenza di legittimità e tale da sfuggire dunque alle generiche censure del ricorrente che, a ben vedere, lungi dal segnalare inesistenti lacune o contraddizioni nella valutazione delle emergenze processuali, si risolvono nell'enunciazione di un mero dissenso rispetto alla stessa ovvero nella richiesta di una sua rivisitazione, non consentita in questa sede. 4. È infondato anche il secondo motivo di ricorso. La Corte d'appello motiva ampiamente il riconoscimento della recidiva evidenziando che «risulta dagli atti l'intervenuta condanna del P. alla pena di anni due e mesi 10 di reclusione ed € 14.000 di multa per il reato di cui all'articolo 73 DPR 309/90 commesso il 21.4.2008 sentenza del 16.10.2008 irrevocabile l'8.2.2011 » ed affermando quindi la piena idoneità dello stesso a giustificare il riconoscimento dell'aggravante «atteso che, con tali condotte reiterate nel tempo, il P. ha mostrato una scarsa se non inesistente resipiscenza, risultando espressione di effettiva insensibilità etica e pericolosità » . Tale motivazione si rivela pienamente congrua ed esente da censure sul piano logico, quale del resto non può considerarsi quella sul punto svolta dal ricorrente che, anche in tal caso, si limita ad una generica manifestazione di dissenso ovvero alla prospettazione di una mera alternativa valutazione peraltro formulata in termini del tutto generici sulla base di elementi - quali «giovane età, precedente vita lavorativa, comportamento processuale e lieve entità del precedente penale» - in realtà di per sé poco significativi ovvero privi di alcun riscontro processuale e apoditticamente affermati. L'errore in cui incorre la corte territoriale nel qualificare tale recidiva, oltre che - correttamente - come specifica e infraquinquennale, anche come reiterata trattandosi in realtà di un solo precedente e non essendo stata peraltro in tali termini nemmeno contestata in imputazione, né ritenuta dal primo giudice si rivela ininfluente e presumibilmente imputabile a mero lapsus calami. 5. È infine infondata anche la terza censura dedotta in punto di diniego delle attenuanti generiche. Giova al riguardo anzitutto rammentare che, in tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la giurisprudenza di questa Corte non solo ammette la c.d. motivazione implicita Sez. 6, numero 36382 del 04/07/2003, Dell'Anna, Rv. 227142 o con formule sintetiche tipo «si ritiene congrua» v. Sez. 6 , numero 9120 del 02/07/1998, Urrata, Rv. 211583 , ma afferma anche che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all'articolo 133 cod. penumero , sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico Sez. 3, numero 26908 del 22/04/2004, Ronzoni, Rv. 229298 . Inoltre, la concessione o meno delle attenuanti generiche è un giudizio di fatto lasciato alla discrezionalità del giudice, sottratto al controllo di legittimità, tanto che «ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall'articolo 133 c.p., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del colpevole o all'entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può essere sufficiente in tal senso» Sez. 2, numero 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163 . In relazione alle esposte coordinate di riferimento è da escludersi che, nel caso in esame, il diniego delle attenuanti generiche sia frutto di arbitrio o di illogico ragionamento o che comunque si esponga a censura di vizio di motivazione, avendo il giudice a quo sia pure sinteticamente ma specificamente motivato sul punto facendo in particolare riferimento al precedente penale specifico già peraltro poco prima, come detto, ragionevolmente valutato come indice, unitamente alla reiterazione del reato, di insensibilità etica e pericolosità . Anche sul punto del resto il ricorso si limita ad una ancora più lapidaria e generica affermazione contraria. 6. Il ricorso va pertanto rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.