La mera ritrattazione della persona offesa non è sufficiente, se…

In tema di revisione del processo penale, non integra prova nuova la sola ritrattazione del testimone d’accusa, essendo necessari specifici elementi che avvalorino la falsità della deposizione.

Invero, l’ordinamento non può consentire, per evidenti ragioni di coerenza, che l’efficacia del giudicato venga rimessa in gioco da dichiarazioni sospette, con la conseguenza che occorrono specifici elementi di prova, dovendo la ritrattazione superare un rigoroso vaglio di attendibilità. Lo ha stabilito la Terza sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 5122, depositata il 3 febbraio 2014. La fattispecie. La pronuncia in esame prende le mosse dalla statuizione con la quale la terza sezione della Suprema Corte di Cassazione ha rigettato l’istanza di revisione del processo che aveva visto condannati, rispettivamente, zio e padre di due fratelli da loro sessualmente abusati durante l’infanzia. Secondo la tesi difensiva, l’istanza trovava fondamento nelle nuove dichiarazioni di una delle persone offese, la quale aveva sostanzialmente ritrattato le accuse a suo tempo rivolte nei confronti dei propri congiunti, incolpando invece il convivente della propria madre. La disciplina della revisione processuale La revisione costituisce un mezzo straordinario di impugnazione, esperibile contro le sentenze irrevocabili di condanna. In particolare, si parla di revisione pro reo , quando la stessa è tesa al proscioglimento da condanna irrevocabile. I relativi presupposti consistono in nuove prove che, da sole o insieme a quelle già agli atti, fanno ritenere l’innocenza del condannato. Soggetti legittimati alla proposizione della relativa istanza sono il Procuratore Generale presso la Corte di Appello nel cui distretto fu pronunciata sentenza di condanna, il condannato o i prossimi congiunti, o i suoi eredi. Sul piano procedimentale, l’istanza è oggetto di una delibazione preliminare, con eventuale rimessione in libertà dell’istante. Segue quindi l’istruzione probatoria in pubblica udienza. Una volta istruito, il procedimento può concludersi o con una sentenza di rigetto, o con una sentenza di proscioglimento, con revoca della condanna. Il provvedimento che statuisce sull’istanza di revisione è comunque ricorribile per Cassazione, sia esso di inammissibilità, di accoglimento o di rigetto. La vigente disciplina dell’istituto della revisione è stata di recente oggetto di critiche, con particolare riferimento alla questione di legittimità costituzionale dell'art. 630, comma 1, lett. a, c.p.p., nella parte in cui esclude dai casi di revisione l'impossibilità di conciliare i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna con la decisione della Corte europea dei diritti dell'uomo, che abbia accertato l'assenza di equità del processo, ai sensi dell'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, sollevata in riferimento agli artt. 3, 10 e 27 Cost Nel caso di specie, il Giudice rimettente era partito dall'assunto secondo cui alcune fra le garanzie fondamentali enunciate dalla CEDU - fra le quali il principio di presunzione di innocenza - coincidono con altrettante norme di diritto internazionale generalmente riconosciute, che trovano adattamento automatico nell'ordinamento interno. La relativa questione, ritenuta infondata dalla Consulta Corte Cost. n. 129/2008 , nasce dall'assenza, nell'ordinamento italiano, di un apposito rimedio destinato ad attuare l'obbligo dello Stato di conformarsi alle sentenze definitive della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, nei casi in cui sia stata accertata la violazione della Convenzione o dei suoi Protocolli. Al riguardo, sia il Comitato dei Ministri che l'Assemblea del Consiglio d'Europa hanno reiteratamente stigmatizzato l'inerzia dello Stato italiano. La stessa Corte Costituzionale si è peraltro rivolta al legislatore, formulando in sentenza un pressante invito ad adottare i provvedimenti ritenuti più idonei, per consentire all'ordinamento di adeguarsi alle sentenze della Corte Europea che abbiano riscontrato, nei processi penali, violazioni dei principi sanciti dall'art. 6 della CEDU. ed il rapporto con il delitto di calunnia. La sentenza in commento appare interessante anche con riguardo al delitto di calunnia sotteso alla dichiarazione oggetto di ritrattazione. Secondo la terza sezione della Cassazione, quando la relativa istanza è fondata su una ritrattazione che comporterebbe il carattere calunnioso della precedente dichiarazione poi ritrattata, nel caso in cui l’ipotizzabile reato di calunnia sia già estinto e non può pertanto essere valutato nel merito dal giudice competente, resta superata la necessità del preventivo giudicato ed è il giudice della revisione che deve procedere incidentalmente all’accertamento della calunnia al fine di valutare l’attendibilità della ritrattazione. Quando invece la ipotizzata calunnia può essere eventualmente accertata in esito ad autonomo processo, potendo l’accertamento penale estrinsecarsi pieno iure, al giudice della revisione non può essere incidentalmente devoluto il tema della calunniosità o meno delle dichiarazioni rese nel processo definito con la sentenza irrevocabile di condanna.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 5 dicembre 2013 - 3 febbraio 2014, n. 5122 Presidente Fiale – Relatore Di Nicola Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Brescia, con ordinanza emessa in data 14 dicembre 2012, ha dichiarato inammissibile l'istanza di revisione ex art. 630, comma 1, lett. c , cod. proc. pen. della sentenza di condanna irrevocabile emessa in data 15 gennaio 2009 dal Tribunale di Corno e confermata dalla Corte di appello di Milano con pronuncia del 16 dicembre 2010, sentenza che condannava F.E. alla pena di anni sedici di reclusione per il delitto di abuso sessuale continuato in danno dei nipoti F.A. e F.S. e che condannava altresì F.D. alla pena di anni dieci di reclusione per il delitto di sfruttamento della prostituzione minorile continuato dei figli F.A. e F.S. . La Corte territoriale - dopo aver premesso che, nell'istanza di revisione, i richiedenti avevano allegato quale prova sopravvenuta della propria innocenza le dichiarazioni rese da F.A. in data 9 ottobre 2012 la quale si era presentata presso la Stazione dei Carabinieri di Corno affermando che autore delle violenze sessuali oggetto del procedimento non fu lo zio F.E. ma T.A. , convivente della madre, e dichiarando che mai il padre F.D. ebbe a riscuotere denaro da E. per le prestazioni sessuali sue e del fratello - è pervenuta alla declaratoria di inammissibilità dell'istanza di revisione sul rilievo che la nuova prova dedotta fosse, da un lato, del tutto inidonea a dimostrare l'innocenza degli istanti e, dall'altro, fosse manifestamente inidonea per il conseguimento di un esito liberatorio in ragione della dubbia genuinità di essa. 2. Per l'annullamento dell'impugnata ordinanza propongono ricorso per cassazione, per mezzo dei loro difensori, F.E. e F.D. , sollevando un unico complesso motivo col quale, censurando entrambi i profili motivazionali contenuti nel provvedimento gravato, denunciano inosservanza e violazione dell'art. 630, comma 1, lett. c , e 634, comma 1, cod. proc. pen. in relazione all'art. 606, comma 1, lettere b ed e , cod. proc. pen. per manifesta illogicità nonché mancanza della motivazione. Si osserva che, con riferimento alla ritenuta inidoneità della nuova prova dedotta con l'istanza di revisione, la dichiarante, F.A. , non appena compiuta la maggiore età, è fuggita dalla casa familiare in cui viveva con il suo violentatore, recandosi dai carabinieri a denunciare il vero autore delle violenze sessuali subite, per tanti anni, ed a ritrattare la testimonianza che condusse in carcere il padre e lo zio, con la conseguenza che, a differenza di quanto illogicamente ritenuto la Corte di appello, è proprio l'allontanamento dalla casa familiare che ha consentito, con il coevo e recente raggiungimento della maggiore età, di fare in modo che la dichiarante potesse denunciare il suo aguzzino. Ne consegue come non risulti, secondo i ricorrenti, conforme a logica che la Corte di appello si sia limitata a formulare dei sospetti sulla genuinità delle dichiarazioni giungendo persino ad ipotizzare dei condizionamenti dei nonni senza spiegare in cosa essi siano consistiti ed in ciò incorrendo nel vizio di carenza della motivazione ignorando, macroscopicamente, la clamorosa circostanza secondo la quale la decisione assunta da F.A. , di tornare dai nonni appena fuggita dall'abitazione del T. per poterlo denunciare, fu presa in piena libertà. Con riferimento poi al giudizio di manifesta inidoneità della nuova prova dedotta, poiché non intacca minimamente il giudizio di condanna definitivamente pronunciato”, osservano i ricorrenti come sia del tutto sconcertante che la Corte di appello affermi che la nuova prova non vada ad intaccare minimamente” il giudizio di condanna, quando detto giudizio si è basato, in maniera assolutamente rilevante, sulla testimonianza di F.A. , con la conseguenza che deve ritenersi assolutamente e manifestamente illogica la motivazione dell'ordinanza bresciana nella parte in cui ritiene la nuova testimonianza come insuscettibile di scalfire il giudizio di condanna. Quanto specificamente alla posizione di F.D. , in particolare, si rileva come il ricorrente sia stato condannato solo ed esclusivamente sulla base della testimonianza di F.A. sicché, a differenza di quanto ritenuto nell'ordinanza impugnata, risulta assolutamente e manifestamente idonea l'avvenuta ritrattazione di A. , che sicuramente costituisce nuova prova sopravvenuta, che da sola dimostra che il padre deve essere prosciolto. 3. Il Procuratore generale ha depositato memoria, corredata da ampi riferimenti giurisprudenziali, con la quale chiede dichiararsi l'inammissibilità del ricorso sul rilievo che con esso si pretende di ricavare una decisiva novità dal tenore di una testimonianza che, già ampiamente delibata nei gradi di merito quanto ad attendibilità intrinseca ed estrinseca, non integra il requisito della novità” probatoria utile ai fini della revisione, conseguendo da ciò la correttezza della decisione impugnata. 4. Alle deduzioni della Procura generale, i ricorrenti hanno replicato con memoria prodotta ai sensi dell'art. 611 cod. proc. pen., ribadendo a l'illogicità della motivazione addotta dalla Corte territoriale in relazione all'analisi compiuta sul grado di affidabilità della prova ai fini dell'esito del giudizio di revisione nella fase rescindente, che avrebbe richiesto una delibazione in astratto dell'affidabilità della prova nuova, essendo riservata alla fase rescissoria la delibazione approfondita di essa b la assoluta carenza di motivazione sulla natura calunniosa delle dichiarazioni rese da F.A. , delibazione invece del tutto omessa e che avrebbe dovuto compiere la stessa Corte di merito in considerazione della prescrizione dell'eventuale reato di calunnia nei confronti della dichiarante. Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato. 2. La Corte distrettuale ha prestato adesione all'orientamento consolidato di questa Corte per il quale non integra prova nuova, richiesta per la revisione, la sola ritrattazione del testimone d'accusa, essendo necessari specifici elementi di prova che avvalorino la falsità della deposizione Sez. 3, n. 5026 del 13/01/2010, C, Rv. 245913 Sez. 3, n. 4960 del 28/ll/2007,dep. 31/01/2008, Galli, Rv. 239089 Sez. 1, n. 968 del 17/02/1998, Sgambelluri, Rv. 210018 Sez. 2, n. 15013 del 21/03/2006, Allegro, Rv. 234306 ed ha ampiamente motivato circa l'assenza di elementi di conforto alla ritrattazione, correttamente ritenendo che l'istanza di revisione fosse fondata, in conformità alla stessa richiesta dei ricorrenti, sull'ipotesi di cui all'art. 630, comma 1, lett. c , cod. proc. pen La Corte territoriale ha infatti rilevato come dovessero ritenersi assai sospette le dichiarazioni rese da F.A. , avuto riguardo sia al contesto di tempo e di luogo nel quale furono esplicitate, sia al loro intrinseco contenuto. Ed infatti, la ritrattazione delle accuse mosse allo zio ed al padre e l'indicazione del convivente della madre quale vero responsabile delle violenze sessuali subite sin dall'età di 12 anni è avvenuta dopo pochi giorni dall'allontanamento dalla casa familiare ove la giovane F. aveva sempre vissuto con la madre, e lo stesso T. , ed in concomitanza con il trasferimento di costei presso l'abitazione della nonna paterna nei confronti della quale era stato instaurato procedimento penale quale concorrente, ai sensi dell'art. 40 cpv. cod. pen., insieme al figlio D. , nei reati di abuso sessuale già definitivamente giudicati a carico di F.E. , con la conseguenza che la ritrattazione doveva ritenersi avvenuta in un contesto indiscutibilmente suscettibile di condizionamenti. La Corte di merito ha poi evidenziato come la ritrattazione di F.A. si connotasse per i suoi incomprensibili contenuti, in quanto la ragazza, dopo avere affermato di aver subito le violenze già denunciate non dallo zio E. bensì dal T. , forniva una spiegazione del tutto oscura ed a tratti farneticante circa le ragioni per le quali ella in passato avrebbe accusato ingiustamente il padre e lo zio, con la conseguenza che, per i suoi contenuti, l'apporto orale non intaccava minimamente il giudizio di condanna definitivamente pronunciato in capo agli istanti sulla scorta di convergenti elementi probatori e cioè valutando congiuntamente le dichiarazioni rese da F.A. in sede di incidente probatorio esaurienti e chiarissime sia in relazione alla natura degli abusi sessuali subiti da lei e dal fratello e ai tempi e luoghi di consumazione, sia con riferimento all'autore degli stessi - lo zio E. - e alla piena conoscenza di ciò da parte del padre D. - che incassava denaro per le prestazioni dei figli - e della nonna paterna , le dichiarazioni del fratello F.S. , pure versate in incidente probatorio, le confidenze fatte da A. dapprima al T. e poi alla madre e quelle di S. alla madre, avendo i giudici della cognizione stimato come pienamente attendibili le dichiarazioni della coppia circa i racconti ricevuti. 3. In altri termini, deve escludersi che integri nuova prova”, ai sensi dell'art. 630, comma 1, lett. c , cod. proc. pen. la semplice ritrattazione o la modifica delle dichiarazioni originariamente rese da un testimone Sez. 1, n. 968 del 17/02/1998, cit. in quanto, anche a prescindere dalla soluzione del problema se a dar luogo alla necessaria novità sia sufficiente la novità contenutistica di una dichiarazione proveniente da fonte già nota e già esaminata nel contesto processuale che portò alla pronuncia della sentenza di condanna, od occorra, invece, la sopravvenienza o la scoperta di fonti o mezzi di prova del tutto autonomi e diversi rispetto a quelli precedentemente conosciuti ed acquisiti quesito prevalentemente risolto dalla giurisprudenza nel primo dei sensi indicati , l'ordinamento non può consentire, per evidenti ragioni di coerenza, che l'efficacia del giudicato venga, come si chiede nella specie, rimessa in gioco da sospette dichiarazioni, con la conseguenza che non basta la sola ritrattazione del teste d'accusa, ma occorrono specifici elementi di prova, nella specie non sussistenti, dovendo la ritrattazione superare un rigoroso vaglio di attendibilità. 4. Né la richiesta peraltro geneticamente qualificata dagli stessi ricorrenti sub art. 630, comma 1, lett. c , cod. proc. pen. poteva ritenersi riconducibile sotto la previsione di cui all'art. 630, comma 1, lett. d , cod. proc. pen., mancando, allo stato, qualsiasi dimostrazione della asserita falsità delle originarie dichiarazioni di F.A. e non essendo venuta meno la possibilità di accertarne la calunniosità, né per prescrizione e né per altre cause estintive, configurandosi nella specie l'ipotesi di cui all'art. 368, comma 3, prima parte, cod. pen., per la quale è previsto il termine prescrizionale ordinario di dodici anni. Quest'ultima considerazione depotenzia in radice anche il tentativo di mutatio libelli contenuto nella memoria di replica. Infatti l'ipotesi di revisione fondata su una ritrattazione che comporterebbe il carattere calunnioso della precedente dichiarazione testimoniale sarebbe sussumibile, a condizioni esatte, sotto la fattispecie di cui all'art. 630, comma 1, lett. d , cod. proc. pen. che ammette la revisione se è dimostrato che la condanna venne pronunciata in conseguenza di falsità in atti o in giudizio o di altro fatto previsto dalla legge come reato” ed alla Corte distrettuale non spettava, come erroneamente assumono i ricorrenti, di procedere incidentalmente, quale giudice della revisione, all'accertamento della calunnia al fine di valutare l'attendibilità della ritrattazione in conseguenza della eventuale natura calunniosa delle precedenti dichiarazioni. Sul punto, la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere Sez. 3, n. 4960 del 28/11/2007, cit. che quando l'istanza di revisione è fondata su una ritrattazione che comporterebbe il carattere calunnioso della precedente dichiarazione poi ritrattata, nel caso in cui l'ipotizzabile reato di calunnia sia già estinto e non può pertanto essere valutato nel merito dal giudice competente, resta superata la necessità del preventivo giudicato ed è il giudice della revisione che deve procedere incidentalmente all'accertamento della calunnia al fine di valutare l'attendibilità della ritrattazione. Quando invece, come nel caso in esame, la ipotizzata calunnia può essere eventualmente accertata in esito ad autonomo processo, potendo l'accertamento penale estrinsecarsi pieno iure, al giudice della revisione non può essere incidentalmente devoluto il tema della calunniosità o meno delle dichiarazioni rese nel processo definito con la sentenza irrevocabile di condanna. Insufficiente perciò la mera ritrattazione a fondare l'istanza di revisione, ne consegue l'inammissibilità del ricorso. 5. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 136 della Corte costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, alla relativa declaratoria, segue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma, ritenuta congrua, di Euro mille alla cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52 in quanto imposto dalla legge.