I centri di raccolta sono normativamente individuati e soggetti alla relativa disciplina, purché in possesso dei requisiti richiesti non si può invocare l’applicazione della stessa nei casi in cui non vi sia corrispondenza con le indicazioni del legislatore.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 1690/13, depositata il 14 gennaio. Il caso. Un dirigente comunale viene condannato per aver adibito a deposito di rifiuti anche pericolosi un’area di 6.000 metri quadrati di proprietà comunale, in assenza di titolo abilitativo. L’imputato ricorre allora per cassazione, sostenendo che l’area in questione era adibita ad ecopiazzola e pertanto bisognerebbe tener conto della definizione di tali strutture ex articolo 181, comma 1, D. Lgs. 152/06, nonché della disciplina dei centri di raccolta introdotta dal D.M. 8 aprile 2008, che prevede un termine di 60 giorni dalla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della delibera del Comitato nazionale dell’Albo gestori ambientali per adeguare i centri di raccolta già operanti al momento della commissione del reato detto termine non era ancora scaduto. Infine, il dirigente afferma che, in ragione della sua qualifica, egli si sarebbe limitato a eseguire le direttive dell’organo politico dell’ente di appartenenza. Centri di raccolta una normativa complessa. Nel ricostruire la normativa in materia, gli Ermellini ricordano che il citato D.M. è stato successivamente dichiarato improduttivo di effetti, in quanto al momento della pubblicazione era privo dei necessari riscontri da parte degli organi di controllo l’inefficacia si era poi riverberata sulla richiamata delibera del Comitato nazionale. Successivamente il D.M. 20 luglio 2009 ha apportato modifiche al provvedimento dell’anno precedente, sostanzialmente ampliando le categorie di rifiuti conferibili. Dall’esame della normativa aggiornata, emerge che la qualificazione di una struttura come centro di raccolta presuppone la sussistenza di determinati requisiti in particolare l’area va allestita e presidiata nonché organizzata per garantire un corretto e controllato svolgimento delle attività. Sono dettagliatamente specificate, inoltre, le attività che possono espletarsi nel centro e l’elencazione tassativa delle tipologie di rifiuti conferibili al centro di raccolta. Quanto al regime autorizzatorio, si specifica che la realizzazione o l’adeguamento dei centri di raccolta deve essere eseguito in conformità con la normativa vigente in materia urbanistica ed edilizia, prevedendo che il Comune territorialmente competente ne dia comunicazione alla Regione ed alla Provincia. Il soggetto che gestisce il centro, infine, deve essere iscritto all’Albo nazionale gestori ambientali nella categoria «Raccolta e trasporto dei rifiuti urbani». Come qualificare le piazzole comunali? Dopo aver ricostruito il quadro normativo dei centri di raccolta, la Cassazione richiama le precedenti statuizioni in materia di ecopiazzole o isole ecologiche. Prima dell’introduzione della definizione di centro di raccolta, infatti, si riteneva che le piazzole comunali destinate alla raccolta differenziata dei rifiuti avessero natura di centri di stoccaggio, in quanto vi si svolgevano attività di smaltimento. La qualifica delle isole ecologiche come aree dove venivano svolte operazioni di stoccaggio, soggette quindi al corrispondente regime autorizzatorio, era stata anche avallata dal Ministero dell’Ambiente con due note. Non sussiste più il regime autorizzatorio. A seguito delle citate modifiche normative introdotte a partire dal D. Lgs. numero 152/2006, però, la S.C. aveva osservato che le piazzole comunali in questione non necessitavano più di alcuna autorizzazione, dal momento che non vi veniva svolta attività di stoccaggio. Tali aree, infatti, sono ora normativamente individuate e soggette alla relativa disciplina, purché in possesso dei requisiti richiesti nei casi in cui, al contrario, non vi sia corrispondenza con le indicazioni del legislatore bisognerà procedere ad una valutazione dell’attività svolta secondo i principi generali in materia di rifiuti. L’area in questione non aveva le caratteristiche richieste. Nel caso in esame, secondo i giudici di legittimità, il Tribunale è giunto a conclusioni corrette l’area in questione non risultava presentare alcuna delle caratteristiche richieste per i centri di raccolta come attualmente definiti, configurandosi piuttosto come un deposito incontrollato di rifiuti di vario tipo. L’attività era stata disposta dal dirigente. L’assenza delle condizioni di legge e l’accertato svolgimento di attività illecite di gestione escludono anche la possibilità di applicare la richiamata disciplina transitoria del D.M. 8 aprile 2008, come modificato dal successivo decreto del 2009. Infine, risulta accertato in fatto che le attività di gestione presso il sito contestato erano state direttamente disposte dal dirigente, che le aveva autorizzate quale responsabile del servizio la sua condotta, dunque, configura il reato contestato. Per questi motivi la Cassazione rigetta il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 11 dicembre 2012 – 14 gennaio 2013, numero 1690 Presidente Mannino – Relatore Ramacci Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Lecce - Sezione Distaccata di Galatina, ha affermato la penale responsabilità di G P. , dirigente dell'Ufficio tecnico comunale del Comune di Sternatia, che ha condannato alla pena dell'ammenda, per la violazione dell'articolo 256, comma 1 lett. a e b d.lgs. 152/06 perché aveva adibito a deposito di rifiuti, anche pericolosi, carcasse di frigoriferi, onduline in amianto, pneumatici, plastica, batterie esauste, sanitari, stoffa, vetro e RSU un'area di circa 6.000 metri quadrati di proprietà comunale in assenza di titolo abilitativo. Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione. 2. Con un unico motivo di ricorso deduce la violazione di legge, rilevando che essendo l'area adibita ad “ecopiazzola avrebbe dovuto tenersi conto della definizione di tali strutture fornita dall'articolo 183, comma 1, lett. mm d.lgs. 152/06 e della disciplina dei centri di raccolta introdotta, come disposto dal citato articolo, con D.M. 8.4.2008 il quale prevede, in via transitoria, nell'articolo 2, comma 7 la possibilità per i centri di raccolta già operanti di conformarsi alle disposizioni del decreto medesimo nel termine di 60 giorni dalla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della delibera del Comitato nazionale dell'Albo gestori ambientali di cui al precedente comma 5, termine non ancora scaduto alla data di commissione del reato 24.7.2008 . Aggiunge che, in ragione della sua qualifica, egli si sarebbe limitato alla gestione del servizio di raccolta dei rifiuti urbani secondo le direttive impartitegli dall'organo politico dell'ente di appartenenza, che con delibera di Giunta aveva disposto la creazione dell'ecopiazzola, con decisione che non avrebbe potuto in alcun modo sindacare, dovendovisi inevitabilmente adeguare, cosicché non avrebbe potuto essergli addebitata alcuna responsabilità per i fatti oggetto di contestazione. Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso. Considerato in diritto 3. Il ricorso è infondato. Occorre preliminarmente individuare il regime giuridico delle cosiddette ecopiazzole o “isole ecologiche”. La definizione di tali aree è stata introdotta nel d.lgs. 152/06 ad opera del d.lgs. 4/2008 in vigore dal 13.2.2008 , il quale ha disposto, con l'articolo 2, comma 20, la modifica dell'articolo 183 del “codice ambientale”, il quale alla lettera cc contemplava i “centri di raccolta”. Ciò è verosimilmente avvenuto, come osservato da accorti commentatori, in ragione dei principi fissati dalla giurisprudenza di questa Corte e di cui meglio si dirà successivamente. A seguito delle modifiche poi apportate alla richiamata disposizione, la definizione di “centro di raccolta” è ora contenuta nella lettera mm del citato articolo, nella quale si legge che si intende come tale un'”area presidiata ed allestita, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, per l'attività di raccolta mediante raggruppamento differenziato dei rifiuti urbani per frazioni omogenee conferiti dai detentori per il trasporto agli impianti di recupero e trattamento”. L'articolo 183 d.lgs. 152/06 stabiliva, fin dall'origine, che alla disciplina dei centri di raccolta doveva provvedersi con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza unificata Stato - Regioni, città e autonomie locali, di cui al decreto legislativo 28.8.1997, numero 281. Ciò avveniva con il D.M. 8.4.2008, recante “Disciplina dei centri di raccolta dei rifiuti urbani raccolti in modo differenziato, come previsto dall'articolo 183, comma 1, lettera cc del decreto legislativo 3 aprile 2006, numero 152, e successive modifiche” in G.U. numero 99 del 28.4.2008 nel quale i “centri di raccolta” venivano individuati nell'articolo 1. I titoli abilitativi richiesti venivano indicati nel successivo articolo 2, che individuava anche la disciplina transitoria per i centri già in attività, mentre gli allegati fornivano l'indicazione dei requisiti tecnico - gestionali dei centri medesimi ed i modelli di “scheda rifiuti”. Con Deliberazione del 29.7.2008 in G.U. numero 206 del 3.9.2008 il Comitato nazionale dell'Albo nazionale gestori ambientali ha indicato criteri e requisiti per l'iscrizione all'Albo nella categoria 1 per lo svolgimento dell'attività di gestione dei centri di raccolta di cui al D.M. 8.4.2008. È questo il provvedimento al quale si riferisce il ricorrente nel ricordare la disciplina transitoria di cui all'articolo 2, comma 7 del D.M., osservando che, alla data di commissione del reato indicata nell'imputazione, il termine per l'adeguamento non era ancora scaduto. Il D.M. 8 aprile 2008, tuttavia, è stato successivamente dichiarato improduttivo di effetti con nota dell'Ufficio Legislativo del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare del 4 novembre 2008, con la quale veniva reso noto che esso, al momento della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, non poteva produrre effetti in quanto era privo dei necessari riscontri da parte degli organi di controllo. Con la medesima nota il predetto Ufficio legislativo precisava anche che l'inefficacia del d.m., perdurando al momento dell'adozione della citata deliberazione 29.7,2008, si era riverberata sulla delibera stessa ed invitava il Comitato nazionale a voler formalizzare il ritiro in autotutela della deliberazione stessa, cosa che avveniva con deliberazione del 25.11.2008 in G.U. numero 295 del 18.12.2008 . Con successivo D.M. 13.5.2009 sono state apportate modifiche al decreto 8.4.2008, sostanzialmente ampliando le categorie di rifiuti conferibili rispetto all'originaria elencazione, nonché dilatando i termini della disciplina transitoria di cui all'articolo 2, comma 7, termini ulteriormente prorogati al 30 giugno 2010 dall'articolo 8, comma 4-ter, d.l. 30.12.2009, numero 194, convertito nella legge 26.2.2010 numero 25. In seguito, con Deliberazione del 20 luglio 2009, il Comitato nazionale dell'Albo nazionale gestori ambientali in G.U. numero 180 del 5.8.2009 ha nuovamente fissato criteri e requisiti per l'iscrizione all'Albo nella categoria 1 per lo svolgimento dell'attività di gestione dei centri di raccolta. L'articolo 1 del D.M. 8 aprile 2008, come modificato dal successivo D.M. 20.7.2009, individua i “centri di raccolta” comunali o intercomunali come “costituiti da aree presidiate ed allestite ove si svolge unicamente attività di raccolta, mediante raggruppamento per frazioni omogenee per il trasporto agli impianti di recupero, trattamento e, per le frazioni non recuperabili, di smaltimento, dei rifiuti urbani e assimilati elencati in allegato I, paragrafo 4.2, conferiti in maniera differenziata rispettivamente dalle utenze domestiche e non domestiche anche attraverso il gestore del servizio pubblico, nonché dagli altri soggetti tenuti in base alle vigenti normative settoriali al ritiro di specifiche tipologie di rifiuti dalle utenze domestiche”. 4. Dall'esame di tale disposizione e della definizione di cui all'articolo 183 lett. mm del d.lgs. 152/06, emerge chiaramente che la qualificazione di una determinata struttura come “centro di raccolta” presuppone la rispondenza a determinati requisiti riguardanti, in primo luogo, le caratteristiche dell'area destinata allo scopo, che si richiede essere opportunamente “allestita” e “presidiata”, quindi organizzata per garantire un corretto e controllato svolgimento delle attività, come si ricava anche dalla indicazione dei requisiti tecnico gestionali contenuta nell'allegato 1 al D.M., ove si specificano le modalità di localizzazione del centro di raccolta, le sue caratteristiche costruttive e strutturali e le modalità di conferimento che prevedono l'esame visivo effettuato da un addetto e di deposito, rispetto al quale sono fissati limiti temporali e gestione. Risultano dettagliatamente specificate, inoltre, le attività che possono espletarsi nel centro, con esclusione, quindi, di ogni altra attività, indicando modalità e natura dei rifiuti, nonché la loro provenienza, riferendosi la disposizione al conferimento, in maniera differenziata, dalle utenze domestiche e non domestiche e dagli altri soggetti tenuti al ritiro di specifiche tipologie di rifiuti dalle utenze domestiche. Di non minor rilievo è poi la elencazione punto 4 allegato 1 al D.M. delle tipologie di rifiuti conferibili al centro di raccolta ed indicate in modo tassativo. I rifiuti conferiti devono inoltre essere collocati in aree distinte del centro per flussi omogenei, attraverso l'individuazione delle loro caratteristiche e delle diverse tipologie e frazioni merceologiche, separando i rifiuti potenzialmente pericolosi da quelli non pericolosi e quelli da avviare a recupero da quelli destinati allo smaltimento. 5. Il regime autorizzatolo è stabilito dall'articolo 2 del D.M., ove si specifica che la realizzazione o l'adeguamento dei centri di raccolta deve essere eseguito in conformità con la normativa vigente in materia urbanistica ed edilizia, prevedendo che il Comune territorialmente competente ne dia comunicazione alla Regione e alla Provincia. Viene inoltre precisato che l'allestimento e la gestione dei centri devono avvenire in conformità alle disposizioni di cui all'allegato I, che costituisce parte integrante del decreto, ad eccezione dei centri costituiti unicamente da cassoni scarrabili destinati a ricevere rifiuti non pericolosi di provenienza domestica ai quali è richiesto il rispetto solo di alcuni requisiti dell'allegato I, specificamente indicati. Il soggetto che gestisce il centro deve essere inoltre iscritto all'Albo nazionale gestori ambientali nella Categoria 1 “Raccolta e trasporto dei rifiuti urbani” di cui all'articolo 8 del decreto del Ministro dell'ambiente 28 aprile 1998, numero 406, in base ai criteri, modalità e termini per la dimostrazione della idoneità tecnica e della capacità finanziaria stabiliti con deliberazione del Comitato nazionale dell'Albo gestori ambientali. Infine, si è già detto, in precedenza, della disciplina transitoria di cui all'articolo 2, comma 7 del d.m. in esame. 6. Così inquadrato il regime dei centri di raccolta, occorre ricordare brevemente quanto osservato, nel tempo dalla giurisprudenza di questa Corte sul tema delle “ecopiazzole o “isole ecologiche”. Antecedentemente alla introduzione della definizione di “centro di raccolta” nel d.lgs. 152/06, con atteggiamento di estremo rigore, si era sempre ritenuto, anche sotto la vigenza del d.lgs. 22/97, che le piazzole comunali destinate alla raccolta differenziata dei rifiuti urbani avessero natura di centri di stoccaggio, in quanto vi si effettuano attività di smaltimento, consistente nel deposito preliminare in vista di altre operazioni di smaltimento definitive o attività di recupero, consistente nella messa in riserva, ritenendo, di conseguenza, che neppure la possibilità per i comuni di esercitare in regime di privativa la gestione dei rifiuti urbani ed assimilati avviati allo smaltimento, allora prevista dall'articolo 21 del d.lgs. 5.2.1997 numero 22, potesse escludere che le attività di smaltimento o di recupero esercitate fossero soggette alle autorizzazioni regionali previste dall'articolo 28 del citato d.lgs. numero 22/97, o alle procedure semplificate provinciali ex articolo 31, 32, 33 dello stesso decreto Sez. III numero 26379, 18 luglio 2005 Sez. III numero 34665, 28 settembre 2005 . Veniva anche esclusa l'applicabilità del regime di favore riferito al deposito temporaneo, rilevando che nel concetto di luogo di produzione dei rifiuti non rientra l'intero territorio comunale rispetto ai rifiuti prodotti dai suoi cittadini, ma lo stesso si estende al massimo sino a ricomprendere siti infrastrutturali collegati tra loro all'interno di un'area delimitata, individuando l'attività svolta come stoccaggio soggetto, quindi, ad autorizzazione Sez. III numero 45084, 12 dicembre 2005. V. anche Sez. III numero 7285, 22 febbraio 2007 . La qualifica delle isole ecologiche come aree ove vengono svolte operazioni di stoccaggio, soggette quindi la corrispondente regime autorizzatorio, veniva avallata in due note del Ministero dell'ambiente 3 novembre 1998 avente ad oggetto “Gestione delle ecopiazzole comunali per la raccolta differenziata dei rifiuti urbani - Dlgs 22/1997 e successive modifiche ed integrazioni” 5 agosto 1999 avente ad oggetto “Gestione delle ecopiazzole comunali” mentre la giurisprudenza amministrativa qualificava l'attività come raccolta, con pesatura e raggruppamento o separazione dei vari tipi di rifiuto conferiti dai cittadini diversa, quindi, dalle fasi di smaltimento o di recupero Cons. Stato Sez. V numero 609, 17 febbraio 2004 e la dottrina assumeva posizioni contrastanti, in alcuni casi condividendo ed in altri avversando tali posizioni. Successivamente all'entrata in vigore del d.lgs. 152/06, richiamando l'orientamento precedentemente espresso, si è nuovamente affermato che le “ecopiazzole necessitano della prevista autorizzazione, in quanto centri di stoccaggio in cui si svolge una fase preliminare alle attività di smaltimento o di recupero dei rifiuti Sez. III numero 12417, 20 marzo 2008 Sez. III numero 9103, 28 febbraio 2008 Sez. III numero 10259, 9 marzo 2007 . 7. A seguito dell'introduzione nel d.lgs. 152/06 della già ricordata definizione di “centro di raccolta”, questa Corte ha preso atto della modifica normativa, osservando, in una prima occasione Sez. III numero 7950, 1 marzo 2011 , che dopo l'entrata in vigore del d.lgs. numero 4/2008 e del d.m. 8.4.2008, come modificato dal successivo del 13 maggio 2009, le piazzole comunali destinate alla raccolta differenziata dei rifiuti urbani non necessitano più della autorizzazione regionale o provinciale, non venendo ivi svolta alcuna attività di stoccaggio. Tale assunto, espresso peraltro in modo estremamente sintetico in ragione delle specifiche esigenze del caso esaminato, è stato successivamente ribadito in maniera più articolata Sez. III numero 17864, 9 maggio 2011, non massimata dando anche atto delle critiche mosse dalla dottrina all'indirizzo interpretativo in precedenza consolidatosi ed affermando che, al fine di verificare la necessità o meno dell'autorizzazione regionale per le c.d. ecopiazzole, occorre in concreto anzitutto verificare se si sia in presenza di un centro di raccolta dei rifiuti e se il centro sia rispondente ai requisiti indicati dai decreti ministeriali di riferimento, dovendosi escludere, in caso affermativo, la necessità di autorizzazione regionale e, dunque, la configurabilità del reato per il mancato rilascio. Solo nel caso in cui si verifichi la non rispondenza alle previsioni indicate o si accerti l'effettuazione presso il centro di raccolta di attività che esulano dalla funzione propria di essi si potrà valutare la necessità dell'autorizzazione regionale traendo le necessarie conseguenze sul piano penale dalla sua mancanza. 8. Tale principio è pienamente condivisibile e deve essere nuovamente ribadito con ulteriori precisazioni. È evidente che, a seguito dell'introduzione nel d.lgs. 152/06 della definizione di “centro di raccolta”, non può più essere seguito l'orientamento che attribuiva in passato alle “ecopiazzole la qualifica di centri di stoccaggio di rifiuti soggetti al corrispondente regime autorizzatorio, poiché tali aree sono ora normativamente individuate, ma è altrettanto evidente che, una volta determinata la nozione di “centro di raccolta”, la soggezione alla relativa disciplina introdotta con i decreti ministeriali di cui si è detto in precedenza deve ritenersi riservata esclusivamente a quelle aree che presentino caratteristiche corrispondenti a quelle indicate nell'articolo 183, lettera mm del d.lgs. 152/06. 9. Deve conseguentemente escludersi che, al di fuori dell'ipotesi contemplata dal legislatore, la predisposizione di aree attrezzate per il conferimento di rifiuti astrattamente riconducibili ad un generico concetto di “eco piazzola o “isola ecologica” possa ritenersi sottratta alla disciplina generale sui rifiuti, poiché l'intervento del legislatore ha ormai definitivamente delimitato tale nozione prevedendo, peraltro, una regime autorizzatorio e gestionale che, come si è visto, consente il conferimento ai centri di raccolta di un'ampia gamma di rifiuti in maniera controllata. In tutti i casi in cui non vi sia corrispondenza con quanto indicato dal legislatore dovrà procedersi ad una valutazione dell'attività posta in essere secondo i principi generali in materia di rifiuti. 10. Nel caso in esame, il Tribunale, pur richiamando la sola giurisprudenza di questa Corte antecedente all'introduzione della definizione di cui all'articolo 183, lett. mm d.lgs. 152/06 è comunque giunto a conclusioni corrette circa la qualificazione dell'attività svolta in assenza di valido titolo abilitativo, legittimamente ritenendo configurabile l'ipotesi contravvenzionale di cui all'articolo 256, comma 1 lett. b d.lgs. 152/06 per l'illecita gestione di rifiuti effettuata nell'area definita “ecopiazzola”. Invero, come emerge dal tenore del provvedimento impugnato, l'area in questione non presentava alcuna delle caratteristiche richieste per i centri di raccolta come attualmente definiti, configurandosi, invece, quello che il giudice del merito definisce dapprima un “deposito incontrollato di rifiuti di vario tipo” pag.1 della sentenza precisando successivamente pag.3 che all'atto del sopralluogo il sito “risultava essere profondamente degradato, con rifiuti sparsi su tutta l'area in maniera indiscriminata” nonostante la difesa avesse documentato il periodico prelievo di rifiuti da parte di ditte autorizzate. Va peraltro evidenziato che, dalla descrizione dei rifiuti, pericolosi e non, gestiti nell'area, emerge la presenza di tipologie non contemplate dall'allegato 1 al d.m. del 2008, come, ad esempio, le onduline in amianto di cui al capo di imputazione. 11. L'assenza delle condizioni di legge per la collocazione dell'area nell'ambito dei centri di raccolta e l'accertata effettuazione di illecite attività di gestione esclude anche la possibilità di ritenere applicabile, nella fattispecie, la disciplina transitoria di cui all'articolo 2, comma 7 D.M. 8 aprile 2008, come modificato dal successivo D.M. 20.7.2009, poiché detto articolo si riferisce espressamente ai “centri di raccolta di cui all'articolo I” del medesimo decreto, descritti, come si è già detto, quali “aree presidiate ed allestite ove si svolge unicamente attività di raccolta, mediante raggruppamento per frazioni omogenee per il trasporto agli impianti di recupero, trattamento e, per le frazioni non recuperabili, di smaltimento, dei rifiuti urbani e assimilati elencati in allegato I, paragrafo 4.2, conferiti in maniera differenziata rispettivamente dalle utenze domestiche e non domestiche anche attraverso il gestore del servizio pubblico, nonché dagli altri soggetti tenuti in base alle vigenti normative settoriali al ritiro di specifiche tipologie di rifiuti dalle utenze domestiche”, caratteristiche che il sito per cui è processo certamente non possedeva. Ne consegue l'infondatezza della deduzione formulata in ricorso circa l'applicabilità al caso in esame della richiamata disciplina transitoria. 12. A conclusioni analoghe deve pervenirsi per quanto attiene all'ulteriore questione concernente la responsabilità del ricorrente prospettata in ricorso richiamando una decisione di questa Corte Sez. III numero 19882, 11 maggio 2009 . La menzionata decisione riguarda l'individuazione del soggetto sul quale incombe l'onere di richiedere l'autorizzazione alla gestione dei rifiuti, individuato in quell'occasione nel sindaco in relazione al fatto che, anche a seguito dell'entrata in vigore dell'ordinamento degli enti locali, il quale ha conferito ai dirigenti amministrativi autonomi poteri di organizzazione delle risorse, permane comunque in capo al sindaco sia il compito di programmazione dell'attività di smaltimento dei rifiuti solidi urbani, sia il potere di intervento nelle situazioni contingibili e urgenti, sia il dovere di controllo sul corretto esercizio delle attività autorizzate dalla motivazione emerge, inoltre, che risultava provato il personale compimento di atti di gestione da parte del sindaco . Si tratta di un principio certamente condivisibile ma non pertinente al caso in esame, poiché risulta accertato in fatto dal giudice di merito, con richiami agli esiti dell'istruzione dibattimentale e, segnatamente, alla deposizione di un teste ed alla documentazione acquisita al fascicolo, che, quantomeno nell'ultimo periodo, le attività di gestione presso il sito erano state direttamente disposte dal ricorrente, “autorizzandole” quale responsabile del servizio pag.1 della provvedimento impugnato . La condotta posta in essere era dunque del tutto idonea a configurare il reato contestato. 13. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.