Radicamento dello straniero in Italia: indagine concreta e sostanziale

La mera mancanza di residenza anagrafica in un Comune italiano non è di per sé elemento sufficiente per affermare che manchi il radicamento dello straniero in Italia, e cioè che lo stesso si trovi nel territorio in modo estemporaneo. Devono essere valorizzati altri indici sintomatici dell’elezione in Italia del centro dei propri interessi.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 46494/13, depositata il 21 novembre scorso. Il caso. Quello del mandato di arresto europeo è argomento di nicchia, ma estremamente attuale giacché è molto frequente che Paesi stranieri – appartenenti all’Unione Europea – facciano domanda allo Stato italiano di procedere alla consegna di un cittadino straniero, che si trovi in Italia, e che sia stato condannato dallo Stato estero. Questa collaborazione può legittimamente venir meno quando lo Stato richiesto opponga un rifiuto motivato dal fatto che il soggetto da consegnare sia radicato nel territorio, con la conseguenza di legittimare il condannato a scontare la pena in quel territorio dove è stato rintracciato. Il cittadino rumeno – condannato dal proprio Paese con sentenza passata in giudicato a due anni di reclusione per il reato di rapina – riteneva dovesse essere questa la soluzione da adottare da parte dello Stato italiano richiesto della propria consegna alla Romania. Valorizzati solo i dati formali Il ricorrente assumeva che il provvedimento con cui la Corte d’appello deputata a dichiarare la sussistenza delle condizioni che legittimano la richiesta di consegna – collegio giudicante da individuarsi sulla base del luogo dove il ‘ricercato’ viene trovato – violava la legge, perché aveva escluso l’operatività della causa di rifiuto – vale a dire il radicamento nel territorio italiano – sulla base del dato formale della mancata residenza anagrafica dello straniero nel Comune di Catanzaro. lo stabile radicamento deve essere sostanziale. Vi erano, tuttavia, altri elementi idonei a comprovare il radicamento dello straniero nel territorio italiano. Anzi, il provvedimento appariva anche contraddittorio perché aveva riconosciuto che lo straniero permaneva da tempo nel Comune di Catanzaro e che in Italia svolgeva un lavoro lecito. Vi erano inoltre dichiarazioni e documenti che confermavano la fondatezza della tesi secondo cui il prevenuto era in una situazione ‘sostanzialmente’ assimilabile a quella di un cittadino italiano ivi residente. Radicamento reale e non estemporaneo. La ratio sottostante il rifiuto che uno Stato può opporre alla consegna risiede nell’equiparazione tra un cittadino italiano e un cittadino straniero, quando quest’ultimo, di fatto, si trovi in un Paese dell’Unione con un’apprezzabile stabilità e continuità temporale. La verifica del radicamento reale e non estemporaneo deve avvenire sulla base di indici concorrenti la legalità della presenza in Italia, la stabilità, la continuità temporale, la distanza temporale con la commissione del reato e la condanna conseguita all’estero, la fissazione in Italia del centro principale, anche se non esclusivo, e consolidato degli interessi lavorativi, familiari e affettivi, il pagamento di oneri contributivi e fiscali. Residenza elemento non dirimente. Nello stesso solco la Cassazione si era già espressa in un caso ove addirittura il cittadino straniero era ufficialmente residente all’estero, cioè nel proprio Paese d’origine, la Romania, ma era presente stabilmente in Italia, insieme alla moglie e alla figlia, e ivi svolgeva attività lavorativa subordinata. Questi elementi erano stati giudicati prevalenti sulla residenza formale per affermare le stabili radici nel nostro Paese, tali da assimilare il diritto dello straniero a quello dell’italiano a scontare in Italia la pena comminata all’estero Cass. pen., sent. n. 41910/2013 . Viceversa, la Cassazione non riteneva valido a provare il radicamento lo svolgimento di un’attività in tirocinio e in prova, in quanto riteneva che tale periodo non potesse essere considerato ‘lavoro’ visto il breve periodo e la circostanza che non ne era conseguita un’assunzione , con la conseguenza che vacillava la prova concreta della reale ‘residenza’ in Italia e dell’inserimento concreto nel tessuto sociale Cass. pen., sent. 37089/2013 .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 20 – 21 novembre 2013, n. 46494 Presidente Di Virginio – Relatore Aprile Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Catanzaro dichiarava sussistenti le condizioni per l'accoglimento della richiesta di consegna di cui al mandato di arresto Europeo emesso dal Tribunale di Iasi Romania nei confronti di C.A.C. , tratto in arresto in con provvedimento poi convalidato nei termini di legge e con successiva applicazione della misura degli arresti domiciliari. Rilevava la Corte di appello come il mandato di arresto Europeo fosse stato adottato per dare esecuzione ad una sentenza definitiva di condanna del C. alla pena di anni due di reclusione in relazione al reato di rapina commesso a omissis . Aggiungeva la Corte territoriale come il predetto reato rientri nel novero degli illeciti ritenuti penalmente rilevanti in entrambi i paesi e come non esistessero le condizioni per rifiutare la consegna ai sensi dell'art. 18, comma 1, lett. r della legge 22 aprile 2005, n. 69 contenente le Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto Europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri in quanto, pur avendo lo C. da tempo dimorante in omissis , lo stesso non aveva in quel comune la residenza anagrafica. 2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso lo C. , con atto sottoscritto dal suo difensore e procuratore speciale avv. Stefania Rania, il quale ha dedotto, formalmente con quattro distinti punti, i seguenti tre motivi. 2.1. Violazione di legge, in relazione all'art. 18, comma 1, lett. r , legge n. 69 del 2005, e vizio di motivazione, per avere la Corte di appello ingiustificatamente escluso la operatività della causa di rifiuto prevista da quella disposizione valorizzando il solo dato della mancata residenza anagrafica dello C. nel comune di Catanzaro e trascurando tutti gli altri elementi idonei a comprovare uno stabile radicamento del prevenuto nel territorio dello Stato e, dunque, il suo diritto a scontare in Italia la pena comminata all'estero. 2.2. Violazione di legge, in relazione all'art. 18, comma 1, lett. g , legge cit., per avere la Corte territoriale riconosciuto sussistenti le condizioni per accogliere la richiesta di consegna proveniente dall'autorità giudiziaria rumena, benché la stessa attenga alla esecuzione di una pena la cui esecuzione era stata condizionalmente sospesa, beneficio poi revocato per il mancato rispetto, da parte del condannato, delle specifiche prescrizioni imposte. 2.3. Violazione di legge, in relazione all'art. 17, comma 2, legge cit., per avere la Corte di appello deciso sulla richiesta di consegna ben oltre il termine di sessanta giorni decorrente dalla data del 13/08/2013 di esecuzione della misura cautelare nei riguardi dello C. . 3. Ritiene la Corte che il ricorso sia fondato, sia pure nei limiti di seguito indicati. 4. Il secondo motivo del ricorso è generico. Il ricorrente si è doluto del fatto che la pena comminata dall'autorità giudiziaria rumena, con riferimento alla quale è stato poi emesso il mandato di arresto Europeo, fosse stata inflitta con il beneficio della sospensione della pena condizionata dal rispetto di un obbligo di presentazione, condizione che non sarebbe stata osservata. Il prevenuto, tuttavia, ha, per un verso, posto in maniera indeterminata il dubbio sulla mancata conoscenza, da parte sua, della esistenza di quella prescrizione per altro verso, ha evidenziato che la decisione di revocare il beneficio sarebbe stata adottata senza il rispetto del principio del doppio grado di giurisdizione, regola questa, però, che è prevista dal richiamato art. 18, comma 1, lett. g , della legge n. 69 del 2005, esclusivamente per il procedimento definito con la sentenza irrevocabile di condanna da eseguire e non anche per il procedimento di esecuzione relativa alla eventuale revoca di benefici concessi come peraltro confermato dalla previsione della sola ricorribilità per cassazione dei provvedimenti del giudice dell'esecuzione italiano . 5. Il terzo motivo del ricorso è manifestamente infondato. Per il costante orientamento della giurisprudenza di questa Corte, il termine di sessanta giorni entro il quale, a norma dell'art. 17, comma 2, legge n. 69 del 2005, deve essere emessa la decisione sulla consegna ha natura perentoria solo ai fini della durata delle misure restrittive della libertà personale, non determinando la sua inosservanza alcuna conseguenza sulla validità della decisione in merito alla consegna medesima così, da ultimo, Sez. F, n. 32964 del 21/08/2012, Manea, Rv. 253424 di talché è irrilevante che, scaduto quel termine, sia stata adottata la decisione sulla richiesta di consegna, e ciò senza neppure trascurare che tra le cause forza maggiore che possono giustificare la proroga del termine rientra anche l'ipotesi - analoga a quella verificatasi nella fattispecie - in cui sia necessario attendere la trasmissione, da parte dell'autorità giudiziaria straniera, di atti integrativi della richiesta tradotti nella lingua italiana. 6. Il primo motivo del ricorso appare, invece, fondato. Al riguardo va osservato come i Giudici di merito non abbiano fatto corretta applicazione della norma dettata dall'art. 18, comma 1, lett. r , legge cit., secondo la quale la richiesta di consegna, contenuta in un mandato di arresto esecutivo, va rifiutata laddove la stessa riguardi un cittadino italiano o un cittadino di altro Paese membro dell'UE, residente ovvero anche solo dimorante in Italia così per effetto della sentenza additiva Corte cost. n. 227 del 2010 , nel quale caso la pena va eseguita in Italia conformemente al diritto interno del nostro paese disposizione questa - che trova il suo pendant, con riferimento al mandato di arresto Europeo processuale, nell'art. 19, comma 1, lett. c , legge cit. - che, per il cittadino di altro Stato dell'UE, impone di verificare, in maniera sostanziale e non formale, l'esistenza dei requisiti di radicamento con il territorio del nostro paese, nel senso di rilevare l'esistenza di uno più indici concretamente sintomatici di reale e non estemporaneo radicamento dell'interessato con lo Stato italiano, nel quale ha stabilito la sede principale dei propri interessi affettivi ed economici, in maniera tale da assimilarne la posizione a quella del cittadino italiano in questi termini, tra le tante, Sez. 6, n. 20553 del 27/05/2010, Cocu, Rv. 247101 Sez. 6, n. 14710 del 09/04/2010, S., Rv. 246747 Sez. 6, n. 2951 del 19/01/2010, Gheorghita, Rv. 245792 Sez. 6, n. 2950 del 19/01/2010, Lazurca, Rv. 245791 Sez. F, n. 36322 del 15/09/2009, Grosu, Rv. 245117 Sez. 6, n. 7108 del 12/02/2009, Bejan, Rv. 243077 . In tale ottica si è, più di recente, puntualizzato che la nozione di residenza che viene in considerazione per l'applicazione dei diversi regimi di consegna previsti dalla legge in argomento, presuppone l'esistenza di un radicamento reale e non estemporaneo dello straniero nello Stato, da verificare sulla base di indici concorrenti, quali la legalità della sua presenza in Italia, l'apprezzabile continuità temporale e stabilità della stessa, la distanza temporale tra quest'ultima e la commissione del reato e la condanna conseguita all'estero, la fissazione in Italia della sede principale, anche se non esclusiva, e consolidata degli interessi lavorativi, familiari ed affettivi, il pagamento eventuale di oneri contributivi e fiscali in questo senso Sez. 6, n. 43011 del 06/11/2012, Vaduva, Rv. 253794 . Di tale regula iuris la Corte di appello di Catanzaro non ha fatto buon governo in quanto, in maniera pure logicamente incongrua, ha sostenuto come il ricorrente non potesse considerarsi stabilmente legato al territorio dello Stato italiano dato che non aveva acquisito la residenza anagrafica nel comune di omissis dove è stato trovato, pur dopo aver riconosciuto l'esistenza di una duratura permanenza del C. in quella città, lo svolgimento in Italia di un lavoro lecito e la presenza di altri elementi di prova dichiarativa e documentali atti a confermare la fondatezza della tesi difensiva secondo la quale il prevenuto si trovava in una situazione sostanzialmente assimilabile a quella di un cittadino italiano residente nel Paese. La sentenza impugnata va, dunque, annullata limitatamente alla applicabilità della causa di rifiuto di cui all'art. 18, comma 1, lett. r , legge n. 69 del 2005, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro che, nel nuovo giudizio, si uniformerà al principio di diritto innanzi enunciato. Alla cancelleria vanno demandati gli adempimenti comunicativi previsti dalla legge. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente all'applicabilità dell'art. 18, comma 1, lett. r , legge n. 69 del 2005 e rinvia, per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro. Rigetta nel resto il ricorso. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22, comma 5, legge n. 69 del 2005.