Nella decisione in oggetto la Corte di cassazione ha affrontato, ancora una volta, uno temi dei più complessi della disciplina cautelare e precisamente se e quando possa lamentarsi, in caso di contestazioni “a catena”, la retrodatazione del termine di custodia cautelare al fine di far dichiarare l’estinzione della misura carceraria.
Il principio espresso dalla sentenza numero 42547/2012 merita ampia condivisione, poiché ammette, seppur a determinate e ragionevoli condizioni, la possibilità di dedurre avanti al Tribunale del riesame la lagnanza in questione. Si è, infatti, affermato che «la questione della retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare può essere dedotta anche in sede di riesame solo se ricorrono le seguenti condizioni a se per effetto della retrodatazione il termine sia interamente scaduto al momento della emissione del secondo provvedimento cautelare b se tutti gli elementi per la retrodatazione risultino dall’ordinanza cautelare» impugnata. La conclusione, a cui sono pervenute le Sezioni Unite, era tutt’altro che scontata, visti i precedenti in materia e la natura di gravame, seppur particolare, del riesame. Ma perché il tutto risulti chiaro, è opportuno ricostruire sinteticamente lo stato dell’arte prima della pronuncia de qua . Lo stato dell’arte prima della pronuncia delle Sezioni Unite. La giurisprudenza maggioritaria anteriore era nel senso che l’imputato o l’indagato in stato di custodia cautelare, nei cui confronti fossero stati adottati vari provvedimenti restrittivi della libertà personale, che avesse prospettato la sussistenza di un’ipotesi di cosiddetta contestazione a catena e, conseguentemente, del diritto alla scarcerazione, avrebbe dovuto presentare apposita istanza di scarcerazione ex articolo 299 c.p.p. al giudice che aveva la disponibilità del procedimento e, in caso di rifiuto, avrebbe potuto impugnare con appello al Tribunale indicato nell’articolo 309, comma 7, c.p.p. il provvedimento, ma non avrebbe potuto impugnare direttamente davanti al Tribunale l’ulteriore ordinanza impositiva della misura cautelare ai sensi dell’articolo 309 c.p.p., poiché la cosiddetta contestazione a catena non avrebbe inciso sul provvedimento in sé ma soltanto sulla decorrenza e sul compito dei termini di custodia cautelare tra le tante Cass. Penumero Sez. VI sentenza numero 10325/2008 . Tale ragionamento, condivisibile nelle sue linee essenziali, non teneva però conto del caso in cui la scadenza del termine massimo custodiale si fosse già consumato al tempo della celebrazione del riesame della seconda ordinanza, sicché si era avvertita dalla pratica la necessità di aprire spazi deliberativi al Tribunale del riesame sul punto e ciò non fosse altro che per ragioni di economia e di equità. Ma tale osservazione, all’apparenza pregnante, non poteva e non può essere considerata astrattamente, dovendo essere inserita nel complesso sistema processuale vigente. Se, infatti, la scadenza del termine in questione sopravviene alla decisione del giudice del riesame, è sostanzialmente pacifico che la Corte di legittimità non potrebbe rilevare l’effetto caducatorio sia perché non vi sarebbe una lagnanza in senso tecnico sull’ordinanza del riesame, sia perché la retrodatazione ex articolo 293, comma 3, c.p.p. implica una risoluzione di una quaestio facti e, come tale, non potrebbe essere rilevata per la prima volta in sede di legittimità e soprattutto d’ufficio vedi punto 7 delle motivazioni in diritto . Analogamente, qualora i termini in questione scadano nelle more del procedimento del riesame della seconda ordinanza, non si pone né una questione di celerità, dovendo il giudice procedere teoricamente entro cinque giorni dalla richiesta articolo 299, comma 3, c.p.p. in luogo di quelli più lunghi di cui all’articolo 309 c.p.p., né di predisporre un’accurata indagine, essendo peraltro garantito un doppio grado di merito sul punto grazie all’appello ex articolo 310 c.p.p. da svolgersi nel contraddittorio delle parti e con le più ampie deduzioni. Da tutto ciò consegue che uno spazio effettivo per discutere della lagnanza in questione avanti al Tribunale del riesame era ed è prospettabile solo «nel caso in cui, in applicazione dei principi della cd contestazione a catena, il termine di custodia cautelare sia interamente scaduto già al momento della emissione del secondo provvedimento cautelare» punto 8 delle motivazioni in diritto . Da tutelare la libertà personale. La ratio della decisione delle Sezioni Unite, di cui si tratta, muove con riferimento a quest’ultima ipotesi e fa leva, da un lato, sulla ragioni connesse all’istituto della retrodatazione per le ipotesi di contestazioni a catena e, dall’altro, sul dovere di ogni giudice investito del problema cautelare di tutelare nella sua massima estensione la libertà personale «protetta come bene primario dalla Costituzione articolo 13 cost. e dalle norme delle convenzioni internazionali che sanciscono il diritto di ogni persona sottoposta ad arresto o detenzione a ricorrere al giudice per ottenere “entro brevi termini” o “senza indugio” una decisione sulla legalità della misura e sulla liberazione» punto 13 della motivazione . Sotto il primo profilo è evidente che la disciplina de qua mira ad impedire che, mediante artifici formali, si sposti in avanti il termine di durata massima della custodia cautelare, così da scongiurare una espansione incontrollata della restrizione della libertà personale prima del giudicato. Relativamente al secondo aspetto, è chiaro che ove si constati una limitazione ingiusta della libertà, questa deve immediatamente cessare. Tuttavia, è oltremodo innegabile che, visti anche i diversi interventi della Corte di Cassazione e della Consulta sul punto, i casi di contestazione a catena non sono tutti semplici e di facile risoluzione. Come ben ha riassunto la Corte, la contestazione a catena può verificarsi, in particolare, nei seguenti casi - nel caso di più ordinanze per lo stesso fatto o per fatti diversi ma legati dal vincolo di continuazione, dal concorso formale o da connessione compiuti prima della prima ordinanza cautelare - nel caso di più fatti diversi e senza vincoli tra loro, se questi erano desumibili dagli atti di cui alla prima ordinanza e all’epoca vi erano elementi idonei a giustificare l’applicazione delle misure - nel caso di più ordinanze emesse in procedimenti diversi, che riguardino fatti tra i quali esiste una connessione qualificata, sempre che i fatti fossero desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza cautelare - nel caso di ordinanze emesse in procedimenti diversi, che riguardino fatti non connessi, sempre che i fatti della seconda ordinanza fossero già desumibili da quelli della prima e i diversi procedimenti siano pendenti avanti la medesima autorità giudiziaria e la loro separazione sia dovuta a mere scelte del pubblico ministero - se per i fatti contestati con la prima ordinanza, l’imputato sia stato condannato con sentenza passata in giudicato anteriormente all’adozione della seconda misura. Risulta da tale sintetico elenco che spesse volte è necessario procedere a delicati accertamenti di fatto per statuire se in effetti sia applicabile la disciplina della retrodatazione ma se così è, deve pure verificarsi se i poteri del giudice investito della questione possa in effetti svolgere simili accertamenti. E’ su tale ultimo rilievo che la Corte ha potuto concludere che il Tribunale del riesame solo eccezionalmente è capace, non avendo per sua natura un potere istruttorio adeguato, di poter decidere sulla questione di cui si tratta e precisamente solo quando il punto in discussione sia incontrovertibile. D’altra parte, se così non fosse, il giudizio in materia apparirebbe sempre come lacunoso o comunque superficiale, poiché una pronuncia, se favorevole all’indagato, potrebbe basarsi su prospettazioni non verificabili, e, se sfavorevole all’indagato, potrebbe essere suggerita da una non completa e sbrigativa disamina degli atti, non rimediabile in sede di legittimità, con ulteriori gravi conseguenze in ragione del giudicato cautelare. Da qui l’enunciazione della massima sopra indicata. Concludendo. La custodia cautelare è un istituto, per sua natura, ambiguo e la sua disciplina conduce inevitabilmente a compromessi e a complicazioni sistematiche difficilmente superabili se non con puntuale analisi. Che vi debba essere un termine massimo e non oltrepassabile della misura de qua è principio ormai pacifico, ma le regole protese a rendere effettiva tale garanzia sono tutt’altro che semplici e di semplice indagine. Qualora tale questione venga rimessa alla decisione di un giudice, che deve pronunciarsi necessariamente in termini ristretti, essa non può – come la Corte ha riconosciuto – essere compiuta adeguatamente, sia per il contesto di riferimento sia per i poteri propri del giudice. Ogni volta che si deve decidere sul punto, quindi, è in effetti bene che il tutto avvenga con serenità e secondo le opportune indagini e nel contraddittorio della parti. Su tale aspetto non si possono muovere critiche significative alla decisione in commento. Qui si può solo dire che piacerebbe molto – ma si tratta di desideri irrealistici – che un giorno anche l’originaria decisione sul se applicare la custodia cautelare venga emessa in un contesto certamente di serenità e pacatezza ma soprattutto di vero contraddittorio.
Corte di Cassazione, sez. Unite Penali, sentenza 19 luglio - 20 novembre 2012, numero 45247 Presidente Lupo – Relatore Fiandanese Ritenuto in fatto 1. Il 24 ottobre 2011 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Verona emetteva nei confronti di A.F. ordinanza di custodia cautelare in carcere per il reato di cui all'articolo 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, numero 309. Il difensore dell'indagato presentava richiesta di riesame riservandosi l'enunciazione dei motivi e successivamente, con memoria depositata in udienza, deduceva motivi relativi alla decorrenza dei termini di custodia cautelare ex articolo 297 cod. proc. penumero , nonché motivi concernenti i gravi indizi di colpevolezza e le esigenze cautelari. Il Tribunale di Venezia, con ordinanza del 29 novembre 2011, dato atto che la difesa, “in via principale, chiedeva la scarcerazione dell'indagato per decorrenza del termine massimo di fase, avendo il predetto già trascorso un anno in custodia cautelare a seguito dell'arresto avvenuto il 5.1.2010 per fatti analoghi a quelli oggetto del presente provvedimento”, dichiarava la perdita di efficacia della ordinanza di custodia cautelare impugnata, per l'effetto disponendo l'immediata scarcerazione dell'indagato. Il Tribunale rilevava che l'A. era stato tratto in arresto per detenzione a fini di spaccio di sostanza stupefacente del tipo eroina e cocaina il 5 ottobre 2010 e che per quell'episodio era stato giudicato in stato di detenzione con applicazione della pena richiesta e concordata ex articolo 444 cod. proc. penumero con sentenza del 4 ottobre 2011, così che l'A. aveva trascorso un anno in stato di custodia cautelare durante la fase delle indagini preliminari che “l'imputazione elevata nei suoi confronti, nell'ambito del presente procedimento, riguarda episodi di detenzione e spaccio di droga [ ] avvenuti nel periodo immediatamente precedente a quello del suo primo arresto” che “si tratta di episodi tutti legati tra loro da una connessione qualificata, per cui la retrodatazione dei termini di fase opera in questo caso automaticamente” che, “poiché il reato oggi contestato al ricorrente prevede [ ] il termine massimo di un anno di custodia cautelare, lo stesso, al momento della emissione della seconda ordinanza di custodia, quella del 24.11.2011 oggi impugnata, era completamente decorso”. 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Verona, denunziando il vizio di violazione ed erronea applicazione della norma di cui all'articolo 297 cod. proc. penumero . Deduce il ricorrente che in relazione al primo procedimento afferente alla prima misura custodiale era stato emesso decreto di giudizio immediato il 16 marzo 2011 che era da “escludere che al momento dell'esercizio dell'azione penale nel primo procedimento i fatti oggi contestati potessero dirsi desumibili dagli atti”, giacché “nel procedimento nel quale è stata emessa la seconda ordinanza di custodia cautelare è astrattamente ipotizzabile la desumibilità dagli atti dei fatti oggi contestati [ ] solo al momento del deposito della informativa del 20.4.2011 contenente tutti i dati poi utilizzati per la richiesta di misura cautelare, informativa che è stata depositata con tutti gli allegati in data 27.4.2011”. Il ricorrente lamenta che sul requisito della desumibilità dagli atti per l'applicazione del disposto dell'articolo 297 cod. proc penumero l'ordinanza impugnata non aveva effettuato alcuna valutazione, avendo erroneamente ritenuto che tale requisito non fosse previsto nei casi quali quello in esame. 3. La Quarta Sezione penale, con ordinanza del 4 maggio 2012 depositata il 18 maggio 2012 , ha rimesso la trattazione del ricorso alle Sezioni Unite, rilevando, d'ufficio, in quanto afferisce alla competenza funzionale del giudice, l'esistenza di un contrasto giurisprudenziale sulla preliminare questione relativa alla deducibilità della regola della retrodatazione dei termini di custodia cautelare nei casi disciplinati dall'articolo 297, comma 3, cod. proc. penumero innanzi al tribunale del riesame. L'ordinanza di rimessione osserva che un indirizzo giurisprudenziale ha affermato il principio che “l'applicazione della regola della retrodatazione dei termini della misura cautelare in caso di cosiddette contestazioni a catena può essere validamente dedotta davanti al tribunale in sede di riesame ove si prospetti che, già al momento dell'emissione dell'ordinanza cautelare, erano scaduti interamente, per effetto della retrodatazione, i termini di custodia”. Secondo un altro orientamento, invece, la retrodatazione dei termini, in caso di contestazioni a catena, in nessun caso può essere dedotta nel giudizio di riesame, dovendo essere proposta dapprima al giudice che ha emesso il provvedimento custodiate e, solo successivamente, con l'appello articolo 310 cod. proc. penumero innanzi al tribunale del riesame. Al riguardo l'ordinanza rileva che anche le Sezioni Unite sentenze numero 26/1995 e numero 7/1996 hanno affermato che “le cause che determinano la perdita di efficacia dell'ordinanza impositiva della misura cautelare si risolvono in vizi processuali che non intaccano l'intrinseca legittimità dell'ordinanza, ma agiscono sul diverso piano dell'efficacia della misura, per cui vanno fatte valere nell'ambito di un procedimento appositamente promosso con l'istanza di revoca ex articolo 306 cod. proc. penumero ” e non direttamente con la richiesta di riesame o addirittura con il ricorso per cassazione. La stessa ordinanza, peraltro, osserva che le Sezioni Unite, nelle fattispecie esaminate, avevano espressamente affrontato la tematica della non deducibilità nel procedimento di riesame della cause sopravvenute di inefficacia della misura privativa della libertà personale, ma non avevano esaminato la specifica questione della estensibilità del medesimo principio anche alle cause preesistenti in grado di incidere sulla perdita di efficacia della misura come la retrodatazione dei termini per le contestazioni a catena . Di conseguenza, le Sezioni Unite sono state chiamate a pronunciarsi sulla questione generale dei poteri di cognizione del tribunale del riesame, stabilendo se la non deducibilità della perdita di efficacia della misura valga in senso omnicomprensivo sia per le cause sopravvenute che per quelle preesistenti. 4. Il Primo Presidente, con decreto in data 7 giugno 2011, ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissandone per la trattazione l'odierna udienza. Considerato in diritto 1. La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni unite è la seguente “Se, nel caso di contestazione a catena, la questione della retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare possa essere dedotta nel procedimento di riesame oppure soltanto con l'istanza di revoca ex articolo 299 cod. proc. penumero ”. 2. Secondo l'orientamento della prevalente giurisprudenza, l'imputato o l'indagato in stato di custodia cautelare, nei cui confronti siano stati adottati vari provvedimenti restrittivi della libertà personale, che assuma la sussistenza di un'ipotesi di cosiddetta contestazione a catena e, conseguentemente, del diritto alla scarcerazione per decorrenza dei termini, deve presentare apposita istanza di scarcerazione al giudice che ha la disponibilità del procedimento e, in caso di rifiuto, può impugnare con appello al Tribunale indicato nell'articolo 309, comma 7, cod. proc. penumero il provvedimento, ma non può impugnare direttamente davanti al Tribunale l'ulteriore ordinanza impositiva della misura cautelare ai sensi dell'articolo 309 cod. proc. penumero , poiché la cosiddetta contestazione a catena non incide sul provvedimento in sé ma soltanto sulla decorrenza e sul computo dei termini di custodia cautelare Sez. 1, numero 1785 del 15/04/1991, Falanga, Rv. 187387 Sez. 1, numero 1184 del 10/03/1994, Annis, Rv. 197209 Sez 1, numero 4776 del 09/07/1997, Surino, Rv. 208503 Sez. 6, numero 833 del 05/03/1999, Gozzi, Rv. 213682 Sez. 6, numero 31497 del 22/05/2003, Dzmaili, Rv. 226286 Sez. 1, numero 19905 del 04/03/2004, Russo, Rv. 228053 Sez. 2, numero 41044 del 13/10/2005, Guttadauro, Rv. 232697 Sez. 1, numero 35113 del 13/07/2007, Chiodo, Rv. 237632 Sez. 2, numero 35605 del 27/06/2007, Crisafulli, Rv. 237991 Sez. 6, numero 10325 del 23/01/2008, Zecchetti, Rv. 239016 . Secondo tale orientamento giurisprudenziale, le cause che determinano la perdita di efficacia dell'ordinanza impositiva della misura cautelare, tra le quali rientra quella prevista dal comma 3 dell'articolo 297 cod. proc. penumero , si risolvono in vizi processuali che non intaccano l'intrinseca legittimità dell'ordinanza, ma agiscono sul diverso piano dell'efficacia della misura, per cui devono essere dichiarati nell'ambito di un procedimento appositamente promosso con l'istanza di revoca ex articolo 306 cod. proc. penumero Sez. 6, numero 3680 del 17/11/1998, Di Matteo, Rv. 212686 si aggiunge che la devoluzione al giudice del procedimento incidentale della questione relativa alla perdita di efficacia del provvedimento impugnato integrerebbe una violazione dell'articolo 306 cod. proc. penumero che riserva unicamente al giudice del procedimento principale tale competenza e finirebbe con il privare la persona sottoposta alla misura cautelare della possibilità di promuovere, in ordine alla estinzione della stessa, tre gradi di giudizio istanza di revoca, appello e ricorso per cassazione Sez. 6, numero 2033 del 02/06/1999, Lombardo, Rv. 214319 . 3. La giurisprudenza ha espresso, però, anche un diverso orientamento, che trae origine da una sentenza della Sez. 3, numero 9946 del 09/02/2010, Chiaravalloti, Rv. 246237, in un caso in cui non risultava che l'indagato avesse dedotto davanti al Tribunale del riesame la questione della retrodatazione dei termini di custodia cautelare ex articolo 297 cod. proc. penumero , questione che era stata proposta con il ricorso per cassazione ciò nonostante, la Corte ha ritenuto che il Tribunale fosse tenuto a rilevare d'ufficio la retrodatazione ove ne ricorressero i presupposti, poiché l'indagato aveva prospettato l'insussistenza delle esigenze cautelari e ciò determinava l'obbligo di pronunciarsi al riguardo “atteso che - comunque era stata chiesta la revoca della misura, e se essa fosse estinta per decorrenza dei termini di durata massima ex articolo 303, comma 1, lett. a , numero 3, cod. proc. penumero , ciò prevarrebbe sulla sussistenza o meno delle esigenze cautelari - ritenendo il contrario e non applicando tale principio sussisterebbe in caso di decorrenza di detti termini l'ingiusta carcerazione dell'inquisito - tale argomento assorbe quello relativo all'avvenuta o meno deduzione sull'applicazione della retrodatazione”. Tale sentenza è stata richiamata dalla Sez. 1, numero 24784 del 29/03/2011, Bonito, Rv. 249683, la quale, convalida il ragionamento che la retrodatazione incide sulla configurabilità delle esigenze cautelari, ma, da un lato, non parla più di rilevabilità d'ufficio della questione della retrodatazione, dall'altro lato, afferma che occorre distinguere l'ipotesi in cui sia stato dedotto che già al momento della misura i termini erano scaduti per l'ipotizzata retrodatazione - ipotesi nella quale la questione della retrodatazione può essere posta in sede di riesame, poiché la misura non poteva essere emessa - dall'ipotesi in cui, invece, la dedotta retrodatazione si riferisce all'eventualità di una inefficacia sopravvenuta del titolo, nella quale la questione andava posta in sede di istanza di revoca, non incidendo sul titolo. Nel caso preso in esame dalla citata sentenza il ricorso viene rigettato, in quanto “le argomentazioni difensive appaiono generiche ed anche in contraddizione tra loro e con i documenti prodotti” in tal modo, non solo si distingue tra scadenza dei termini sopravvenuta o preesistente, ma si richiede anche una puntuale deduzione in tal senso in sede di riesame. Nello stesso senso si esprimono Sez. 1, numero 30480 del 29/03/2011, La Posta, Rv. 251090, peraltro, in un caso in cui la questione della retrodatazione aveva formato oggetto di valutazione da parte del G.i.p., e Sez. 1, numero 1006 del 20/12/2011, dep. 2012, Stijepovic, Rv. 251687. 4. Al fine di risolvere la questione controversa è necessario ripercorrere la sviluppo della giurisprudenza sul tema dei rapporti tra procedimento di riesame e procedimento di revoca dell'ordinanza cautelare, che è stato oggetto di plurimi e complessi interventi delle Sezioni Unite. 5. La questione della diversità di natura e funzione del riesame rispetto alla revoca dell'ordinanza cautelare è stata affrontata per la prima volta dalle Sezioni Unite con la sentenza Buffa numero 11 del 08/07/1994 , la quale, proprio sulla base di tale diversità, affermò il principio secondo il quale la richiesta di riesame non è preclusa da quella di revoca della misura, e pertanto non può essere ritenuta inammissibile solo perché proposta successivamente ad essa. La sentenza Buffa chiarisce che mentre il riesame delle ordinanze che dispongono misure cautelari costituisce mezzo di impugnazione, ancorché fornito di caratteristiche peculiari rispetto agli altri mezzi di impugnazione, tale natura giuridica non può essere riconosciuta alla richiesta di revoca di misura cautelare, che, tra l'altro, può essere disposta anche d'ufficio nelle ipotesi previste dal comma 3 dell'articolo 299 cod. proc. penumero . Per quanto concerne le funzioni, la stessa sentenza precisa che al Tribunale di riesame è attribuito in via esclusiva il controllo sulla validità dell'ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti formali enumerati nell'articolo 292 cod. proc. penumero , la cui carenza può essere dedotta soltanto con la richiesta di riesame. Inoltre, lo stesso Tribunale deve verificare, alla stregua degli articolo 273, 274, 275 e 280 cod. proc. penumero , la legittimità dell'adozione della misura cautelare. A sua volta, l'ordinanza in tema di revoca della misura - che può essere adottata, senza l'osservanza di termini, in qualsiasi fase del procedimento, in cui se ne ravvisi la necessità e, come si è detto, non ha natura impugnatoria - mira a verificare la sussistenza attuale delle condizioni di applicabilità della misura prescritte dagli articolo 273 e 274 cod. proc. penumero o di quelle relative alle singole misure, avendo riguardo sia ai fatti sopravvenuti, sia a quelli originari e coevi all'ordinanza impositiva, facendoli oggetto di una valutazione eventualmente diversa da quella prescelta dal giudice che ha applicato la misura. Tale conclusione poggia sia sul testo dell'articolo 299, comma 1, cod. proc. penumero , il quale, imponendo espressamente la valutazione “anche dei fatti sopravvenuti” la estende, di perciò stesso, anche ai fatti originari , sia sulla Relazione al progetto preliminare del codice. Quest'ultima, invero, qualifica la revoca come “quel fenomeno estintivo che presuppone una valutazione sulla sussistenza ex ante e sulla persistenza expost delle condizioni di applicabilità delle misure cautelari”. Successivamente la sentenza Galletto Sez. U, numero 26 del 05/07/1995 , decidendo in merito al contrasto di giurisprudenza concernente la possibilità di condannare l'indagato soccombente al pagamento delle spese del procedimento incidentale di riesame, respinse preliminarmente, perché inammissibile, la doglianza relativa alla sopravvenuta estinzione della misura cautelare conseguente alla nullità dell'interrogatorio di cui all'articolo 294 cod. proc. penumero , non potendo la relativa questione essere sollevata nel corso del procedimento di riesame, il quale è preordinato a verificare soltanto i presupposti legittimanti l'avvenuta adozione della misura cautelare e non anche quelli incidenti sulla sua persistenza, con la conseguenza che non è consentito dedurre, nel corso di detto procedimento, la successiva perdita di efficacia di tale misura, derivata dalla mancanza o dalla invalidità di successivi provvedimenti. Pertanto, la mancanza, la tardività e comunque l'invalidità dell'interrogatorio previsto dall'articolo 294 cod. proc. penumero integrano vicende del tutto avulse dall'ordinanza cautelare, oggetto del riesame. Esse, infatti, si risolvono in vizi processuali, che non ne intaccano l'intrinseca legittimità, ma, agendo sul diverso piano della persistenza della misura, ne importano l'estinzione automatica, che deve essere disposta, nell'ambito di un distinto procedimento, con l'ordinanza specificamente prevista dall'articolo 306 cod. proc. penumero e suscettibile di appello, a mente dell'articolo 310 stesso codice. La sentenza Moni, numero 7 del 17/04/1996, nel decidere la questione controversa se per il rispetto del termine fissato dall'articolo 309 per la decisione dovesse essere depositata l'ordinanza comprensiva della motivazione, ebbe occasione di ribadire il principio della sentenza Galletto, nel punto in cui aveva affermato che la perdita di efficacia della misura cautelare deve essere fatta valere avanti al giudice di merito attraverso la richiesta di revoca prevista dall'articolo 306 cod. proc. penumero , con la puntualizzazione della vis attractiva del ricorso per cassazione, quando, come nel caso in esame, oltre che l'inefficacia, vengano prospettate questioni relative alla legittimità del provvedimento. La sentenza osserva, che, specialmente se l'assunto della perdita di efficacia del provvedimento è fondato, in tal modo non si ritarda ulteriormente una decisione che sì sarebbe dovuto richiedere in altra sede subito dopo l'intervento della ordinanza del Tribunale. A seguito della legge 8 agosto 1995, numero 332, che, modificando l'articolo 309 cod. proc. penumero , aveva introdotto la previsione della perdita di efficacia della misura coercitiva anche in caso di inosservanza del termine di trasmissione degli atti al Tribunale del riesame, la sentenza Alagni, Sez. U, numero 25 del 16/12/1998, dep. 1999, nel decidere in merito alla questione controversa circa la decorrenza del termine di cinque giorni per la trasmissione degli atti al Tribunale del riesame, ribadì il principio della sentenza Moni, affermando che se è vero che le cause che determinano la inefficacia della custodia cautelare, non agendo sul piano della legittimità della ordinanza applicativa della misura cautelare, debbono essere fatte valere attraverso la istanza di revoca di cui all'articolo 306 cod. proc. penumero ed i rimedi dell'appello e del ricorso per cassazione, peraltro, qualora con il ricorso avverso la decisione sulla richiesta di riesame sia censurata, con la perdita di efficacia del provvedimento coercitivo, anche la legittimità originaria dello stesso, opera la vis attrattiva del proposto gravame e si radica la competenza del giudice di legittimità. Le successive sentenze delle Sezioni Unite operano una ricostruzione sistematica della materia in esame, elaborando più precise regole sull'ordine delle competenze nei rapporti tra giudice del procedimento principale e giudice dell'impugnazione. La sentenza Caridi, numero 1 del 15/01/1999, nello stabilire il principio di diritto secondo il quale la perdita d'efficacia dell'ordinanza coercitiva a norma dell'articolo 309, commi 5 e 10, cod. proc. penumero è deducibile dall'interessato e rilevabile d'ufficio nel giudizio di cassazione avverso la decisione del Tribunale del riesame, affronta in via pregiudiziale il problema della legittimazione del giudice del procedimento incidentale di impugnazione a dichiarare, nell'ipotesi considerata, la perdita automatica di efficacia dell'ordinanza coercitiva, e osserva che l'assenza di un obbligo di devoluzione della questione al giudice del procedimento principale risponde alla logica complessiva del sistema, secondo cui il giudice della procedura incidentale di impugnazione è giudice della propria competenza, della regolare instaurazione del contraddittorio e della validità di ogni suo atto, nonché, a maggior ragione, del rispetto dei termini della procedura, dalla cui inosservanza discenda la perdita di efficacia dell'ordinanza coercitiva, logicamente pregiudiziale rispetto a ogni altra questione di legittimità o di merito. La successiva sentenza Liddi, Sez U, numero 2 del 15/01/1999, ad integrazione della sentenza Caridi, afferma il principio che nei casi in cui la custodia cautelare perde efficacia per inosservanza dei termini richiamati dall'articolo 309, comma 10, cod. proc. penumero , l'immediata liberazione della persona sottoposta alla misura, quale effetto automatico di detta inosservanza, può essere chiesta anche al giudice del procedimento principale a norma dell'articolo 306 stesso codice, salvo che la relativa richiesta sia già stata respinta nel procedimento incidentale di impugnazione riesame o ricorso per cassazione , dal momento che in quest'ultima eventualità si determina la preclusione endoprocessuale derivante dalla formazione del cosiddetto giudicato cautelare . Tali conclusioni sono rivisitate dalla sentenza Piscopo, Sez. U, numero 14 del 31/05/2000, la quale afferma che “l'omessa pronuncia della caducazione ex articolo 309, comma 10, cod. proc. penumero , configurata come un vizio della decisione di riesame, rimanga sanata ove non dedotta nel giudizio di cassazione e non possa essere perciò rilevata dal giudice del procedimento principale. Sarebbe infatti una palese contraddizione ammettere la rilevabilità nel procedimento principale di una questione che nel procedimento incidentale rimane preclusa se non dedotta con uno specifico motivo d'impugnazione. Sicché si realizza in proposito una preclusione analoga a quella che impedisce al giudice del procedimento principale di rilevare le invalidità del provvedimento applicativo della misura, previste dall'articolo 292 cod. proc. penumero , non dedotte tempestivamente con una delle impugnazioni proponibili ex articolo 309 e 311 cod. proc. penumero [ ]. Sicché l'articolo 306 cod. proc. penumero deve essere interpretato nel senso che competente a dichiarare la caducazione di una misura cautelare sia esclusivamente il giudice del procedimento principale o incidentale nell'ambito del quale si è verificato l'evento che l'ha determinata. E nel caso della caducazione prevista dall'articolo 309, comma 10, cod. proc. penumero deve perciò attribuirsi al solo giudice del riesame il dovere di rilevarla anche d'ufficio, potendo la Corte di cassazione rilevare una tale caducazione solo in conseguenza dell'accertamento dell'omessa sua dichiarazione da parte del giudice del riesame, ove una tale omissione sia stata denunciata con uno specifico motivo d'impugnazione”. 6. Sulla base della ricostruzione sistematica operata soprattutto dalle sentenze Piscopo e Caridi possono individuarsi le seguenti diverse cause di estinzione delle misure cautelari 1 una misura cautelare si estingue innanzitutto se il provvedimento applicativo viene annullato per mancanza dei requisiti di validità prescritti dall'articolo 292 cod. proc. penumero . È evidente però che la maggior parte delle violazioni dell'articolo 292 cod. proc. penumero può essere dichiarata solo dal giudice del riesame o dalla Corte di cassazione, perché la scadenza dei termini previsti per le impugnazioni de libertate sana le nullità del provvedimento applicativo derivanti dalla mancanza di questi requisiti di validità ad esempio la mancanza della motivazione , quando non si tratti di vizi che rendono il provvedimento inesistente e ineseguibile a norma dell'articolo 292 terzo comma, cod. proc. penumero . 2 Una misura cautelare si estingue in secondo luogo se la mancanza dei suoi presupposti edittali articolo 280 e 287 cod. proc. penumero probatori articolo 273 cod. proc. penumero o cautelari articolo 274 cod. proc. penumero ne determini la revoca articolo 299, comma 1, cod. proc. penumero ovvero giustifichi l'annullamento del provvedimento applicativo in sede di riesame articolo 309, comma 9, cod. proc. penumero o, limitatamente alla mancanza dei presupposti edittali, in seguito a ricorso per cassazione articolo 311 cod. proc. penumero . 3 L'estinzione di una misura cautelare può infine verificarsi ope legis, per caducazione automatica conseguente al verificarsi di determinati eventi che non incidono di regola né sulla validità del provvedimento applicativo né sui presupposti di applicazione della misura si tratta quindi di eventi sopravvenuti che determinano la perdita di efficacia della misura ma non ne precludono la rinnovazione, salve le limitazioni previste dall'articolo 307 cod. proc. penumero per la sostituzione della custodia cautelare caducata per decorso dei termini massimi di durata. E per questa ragione la giurisprudenza ha sempre escluso che le cause di caducazione ope legis delle misure cautelari personali possano essere dedotte con le impugnazioni proponibili contro le ordinanze applicative. In particolare deve escludersi che con la richiesta di riesame possa essere dedotta la caducazione della custodia cautelare per omissione o invalidità dell'interrogatorio ex articolo 294 cod. proc. penumero , che va dedotta con richiesta al giudice per le indagini preliminari, in quanto non attiene alle condizioni di legittimità e di merito per l'adozione della misura. E analogamente al Tribunale del riesame non possono proporsi questioni sulla scadenza dei termini di custodia, neppure quando venga dedotta una reiterata contestazione a catena di fatti sostanzialmente identici così sentenza Piscopo . 4 Quanto all'ipotesi di caducazione prevista dall'articolo 309, comma 10, cod. proc. penumero , essa non incide né sulla validità del provvedimento applicativo né sull'esistenza dei presupposti della misura, ma si configura come oggetto aggiuntivo così sentenza Piscopo del giudizio di riesame, rispetto alla verifica della validità del provvedimento applicativo impugnato e dei presupposti della misura cautelare applicata, trattandosi di conseguenza di un evento verificatosi nello stesso giudizio. 7. La esposta ricostruzione sistematica dello stato della giurisprudenza, che traccia la linea di confine tra le questione devolute alla cognizione del giudice dell'impugnazione e quelle affidate alle decisioni del giudice del procedimento principale, deve mantenersi ferma, non essendovi ragioni per modificarne l'assetto anche con riferimento all'ipotesi di inefficacia della misura cautelare per retrodatazione dei termini ex articolo 297, comma 3, cod. proc. pen, allorquando tale inefficacia sia sopravvenuta all'adozione della misura stessa. D'altro canto, dalla lettura delle citate sentenze delle Sezioni Unite risulta evidente che i casi presi in considerazione per affermare la competenza del giudice del procedimento principale sono sempre quelli di eventi caducatori sopravvenuti, ad eccezione di quelli che si verificano nell'ambito della stessa procedura incidentale di impugnazione. Del resto, ove si tratti di eventi sopravvenuti alla decisione del giudice del riesame, la Corte di cassazione non potrebbe rilevare l'evento caducatorio per due ordini di motivi un motivo di ordine generale, posto in evidenza della citata sentenza Piscopo, secondo il quale la Corte stessa è il giudice cui è demandato il controllo di legittimità sulla correttezza della decisione di riesame e in quest'ambito esaurisce il suo giudizio un motivo specifico, attinente alla circostanza che la questione della retrodatazione ex articolo 293, comma 3, cod. proc. penumero , ha la caratteristica di una quaestio facti Sez. 6, numero 12676 del 20/12/2006, dep. 2007, Barresi, Rv. 236829 Sez. 5, numero 39931 del 18/09/2009, Froncillo, Rv. 245380 e, come tale, non può essere proposta per la prima volta in sede di legittimità, e tanto meno può essere rilevata d'ufficio. Ove, invece, si tratti di evento intervenuto nel tempo intercorrente tra l'emissione dell'ordinanza cautelare e la decisione del Tribunale del riesame, l'ordine delle competenze come sopra delineato non potrebbe essere messo in discussione neppure sotto il profilo dell'esigenza di rapidità in materia di decisioni de libertate, posto che, da un lato, sulla presentazione di una richiesta di revoca il giudice del procedimento principale deve provvedere con ordinanza entro cinque giorni dal deposito della richiesta stessa ex articolo 299, comma 3, cod. proc. penumero , quindi, secondo le scansioni temporali previste dal codice di procedura, anche in tempi più rapidi della decisione del Tribunale del riesame dall'altro lato, è una garanzia anche per il soggetto raggiunto dalla misura cautelare che vi sia la possibilità di una doppia valutazione di merito g.i.p. - o giudice che procede - e appello cautelare su una questione, che, in considerazione della complessità della materia e dei margini di apprezzamento del giudice di merito, si deve svolgere nel massimo contraddittorio tra le parti e con le più ampie deduzioni. 8. A conclusioni parzialmente diverse deve pervenirsi nel caso in cui, in applicazione dei principi della c.d. contestazione a catena, il termine di custodia cautelare sia interamente scaduto già al momento della emissione del secondo provvedimento cautelare. 9. L'orientamento giurisprudenziale indicato come minoritario collega l'ammissibilità della deduzione davanti al giudice del riesame della retrodatazione, nel caso da ultimo indicato, alla configurabilità delle esigenze cautelari. Con ciò sembra volersi dire che l'avvenuto decorso dei termini escluderebbe che vi siano esigenze cautelari da soddisfare, come se l'ingiustificato ritardo nella richiesta e nella conseguente emissione della seconda ordinanza possa significare la mancanza di pressanti esigenze cautelari. Ma tale affermazione non sembra sfuggire a possibili critiche. In primo luogo, le sentenze che svolgono tale argomentazione fanno riferimento a fattispecie in cui, oltre alla questione della c.d. contestazione a catena, era stata prospettata l'insussistenza delle esigenze cautelari e proprio tale prospettazione era stata posta a fondamento dell'obbligo di pronunciarsi sul punto della retrodatazione in applicazione dei principi della c.d. contestazione a catena. In tal modo, sembra volersi dire che, per radicare la competenza del giudice del riesame, una questione di retrodatazione incide su una questione di validità del titolo, ma non si chiarisce come possa giungersi ad analoga conclusione nel caso in cui la retrodatazione fosse stata dedotta unitamente alla denuncia di mancanza di gravità indiziaria senza nulla dire in merito alle esigenze cautelari. Che la regola della retrodatazione non possa essere messa in relazione con il tema delle esigenze cautelari sembra del resto evidenziato nella sentenza Rahulia Sez. U, numero 21957 del 22/03/2005 , più avanti citata, la quale, commentando il caso della retrodatazione automatica per ragioni di connessione, rileva che “in alcuni casi la regola può risultare di dubbia opportunità, perché può accadere che per i reati emersi in tempi successivi la durata ulteriore della custodia cautelare non sia sufficiente per il completamento delle indagini, ma in questi casi il pubblico ministero può esercitare l'azione penale per i soli reati oggetto della prima, o delle prime ordinanze cautelari articolo 130 e 130-bis disp. att. cod. proc. penumero e impedire così la perdita di efficacia della misura per la scadenza dei termini”. Ciò non può che significare che le esigenze cautelari, pur sussistendo, vengono sacrificate da uno strumento di contenimento dei tempi di restrizione della libertà personale. 10. Occorre, a questo punto chiarire quali siano la ratio e le modalità applicative dell'istituto della retrodatazione in presenza di contestazioni a catena. 11. Per quanto concerne la ratio dell'istituto, ancora da ultimo la Corte costituzionale sentenza numero 204 del 2012 ha chiarito che esso “tende ad evitare che, rispetto a una custodia cautelare in corso, intervenga un nuovo titolo che, senza adeguata giustificazione, determini di fatto uno spostamento in avanti del termine iniziale della misura [ ]. L'introduzione di parametri certi e predeterminati nella disciplina delle contestazioni a catena risponde all'esigenza di configurare limiti obiettivi e ineludibili alla durata dei provvedimenti che incidono sulla libertà personale sentenza numero 89 del 1996 , in assenza dei quali si potrebbe espandere la restrizione complessiva della libertà personale dell'imputato, tramite il cumulo materiale - totale o parziale - dei periodi custodiali afferenti a ciascun reato sentenza numero 233 del 2011 . La disciplina delle contestazioni a catena , dunque, si caratterizza per una rigidità indispensabile a scongiurare il rischio di un'espansione, potenzialmente indefinita, della restrizione complessiva della libertà personale, ed è in nome di questa rigidità che la disciplina delle contestazioni a catena non tollera alcuna imponderabile valutazione soggettiva degli organi titolari del potere cautelare “. 12. I principi applicativi della norma di cui all'articolo 297, comma 3, cod. proc. penumero , sono stati definiti dagli interventi della Corte costituzionale sentenza numero 408 del 2005 e numero 233 del 2011 e della Corte di cassazione Sez. U, numero 21957 del 22/03/2005, Rahulia Sez. U, numero 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, Librato e possono così sintetizzarsi - nel caso di emissione nello stesso procedimento di più ordinanze che dispongono nei confronti di un imputato una misura custodiale per lo stesso fatto, diversamente circostanziato o qualificato, o per fatti diversi, legati da concorso formale, da continuazione o da connessione teleologia, commessi anteriormente all'emissione della prima ordinanza, la retrodatazione della decorrenza dei termini delle misure disposte con le ordinanze successive opera automaticamente, ovvero senza dipendere dalla possibilità di desumere dagli atti, al momento dell'emissione della prima ordinanza, l'esistenza degli elementi idonei a giustificare le successive misure articolo 297, comma 3, prima parte, cod. proc. penumero - nel caso in cui le ordinanze cautelari adottate nello stesso procedimento riguardino invece fatti diversi tra i quali non sussiste la connessione qualificata prevista dall'articolo 297, comma 3, cod. proc. penumero , la retrodatazione opera solo se al momento dell'emissione della prima erano desumibili dagli atti elementi idonei a giustificare le misure applicate con le ordinanze successive - il presupposto dell'anteriorità dei fatti oggetto della seconda ordinanza coercitiva, rispetto all'emissione della prima, non ricorre allorché il provvedimento successivo riguardi un reato di associazione nella specie di tipo mafioso e la condotta di partecipazione alla stessa si sia protratta dopo l'emissione della prima ordinanza - quando nei confronti di un imputato sono emesse in procedimenti diversi più ordinanze custodiali per fatti diversi in relazione ai quali esiste una connessione qualificata, la retrodatazione prevista dall'articolo 297, comma 3, cod. proc. penumero , opera per i fatti desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza - nel caso in cui le ordinanze cautelari adottate in procedimenti diversi riguardino invece fatti tra i quali non sussiste la suddetta connessione e gli elementi giustificativi della seconda erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della prima, i termini della seconda ordinanza decorrono dal giorno in cui è stata eseguita o notificata la prima solo se i due procedimenti sono in corso davanti alla stessa autorità giudiziaria e la loro separazione può essere frutto di una scelta del pubblico ministero - la disciplina stabilita dall'articolo 297, comma 3, cod. proc. penumero , per la decorrenza dei termini di durata della custodia cautelare, si applica anche nell'ipotesi in cui, per i fatti contestati con la prima ordinanza, l'imputato sia stato condannato con sentenza passata in giudicato anteriormente all'adozione della seconda misura Corte cost, sent. numero 233 del 2011 . 13. Ciò posto, deve in linea di principio osservarsi che è dovere di ogni giudice investito del problema cautelare quello di tutelare nella sua massima estensione la libertà personale, protetta come bene primario dalla Costituzione articolo 13 e dalle norme delle convenzioni internazionali che sanciscono il diritto di ogni persona sottoposta ad arresto o detenzione a ricorrere al giudice per ottenere, entro brevi termini articolo 5, comma 4, Convenzione Europea dei diritti dell'uomo o senza indugio articolo 9, comma 4, Patto internazionale sui diritti civili e politici , una decisione sulla legalità della misura e sulla liberazione. L'intervento dell'organo del riesame deve peraltro essere coordinato con le particolari caratteristiche della relativa procedura incidentale, che non prevede l'esercizio di poteri istruttori, incompatibili con la speditezza del procedimento incidentale de libertate e che si basa esclusivamente sugli elementi emergenti dagli atti trasmessi dal pubblico ministero e su quelli eventualmente addotti dalle parti nel corso dell'udienza Sez. 3, numero 43695 del 10/11/2011, Bacio Terracina Coscia, Rv. 251329 Sez. 3, numero 21633 del 27/04/2011, Valentini, Rv. 250016 Sez. 2, numero 6816 del 14/11/2007, dep. 2008, Caratozzolo, Rv. 239432 Sez. 4, numero 41151 del 23/03/2004, Gogoli, Rv. 231000 pertanto, qualsiasi richiesta che comporti l'esercizio di poteri istruttori può soltanto costituire l'oggetto di questioni da proporre al giudice competente su eventuali istanze di revoca della misura cautelare. Si consideri, inoltre, che la deduzione della questione della sussistenza della c.d. contestazione a catena può introdurre argomenti di notevole complessità ai fini del relativo accertamento e del conseguente giudizio. Anche nel caso di emissione nello stesso procedimento di più ordinanze che dispongono nei confronti di un imputato la medesima misura custodiale per lo stesso fatto, diversamente circostanziato o qualificato, pur apparentemente semplice, possono sorgere notevoli questioni, come quando la contestazione concerna un'associazione a delinquere di stampo mafioso cfr. Sez. 6, numero 12263 del 11/02/2004, Lanzino, Rv. 228470 . Ancor più complesso può rivelarsi il tema della sussistenza di una connessione qualificata, ad esempio con riferimento ai rapporti tra associazione per delinquere e reati-fine Sez. 5, numero 44606 del 18/10/2005, Traina Rv. 232797 Sez. 1, numero 8451 del 21/01/2009, Vitale, Rv. 243199 Sez. 1, numero 18340 del 11/02/2011, Scarda, Rv. 250305 . La complessità aumenta in progressione allorquando debba valutarsi la sussistenza del requisito della desumibilità dagli atti . Infatti, la giurisprudenza ha chiarito che il concetto di desumibilità, presupposto che legittima il ricorso all'istituto della retrodatazione, non va confuso con la mera conoscenza o conoscibilità di determinati fatti Sez. 2, numero 4669 del 02/12/2005, dep. 2006, Virga, Rv. 232991 Sez. 6, numero 12676 del 20/12/2006, dep. 2007, Barresi, Rv. 236829 Sez. 4, numero 44316 del 03/07/2007, Dalipay, Rv. 238348 Sez. 4, numero 2649 del 25/11/2008, dep. 2009, Endrizzi, Rv. 242498 . Se la ratio dell'istituto consiste nell'evitare un prolungamento artificioso dei termini di custodia cautelare, è evidente che la retrodatazione può teoricamente ipotizzarsi, e l'istituto concretamente operare, come istituto di garanzia, solo se il secondo provvedimento custodiale già poteva concretamente essere adottato al momento dell'emissione della prima ordinanza e ciò può affermarsi solo nei casi in cui già vi era un quadro indiziario di tale gravità e completezza, conoscibile dall'autorità giudiziaria procedente e apprezzabile in tutta la sua valenza probatoria, da integrare tutti i presupposti legittimanti l'adozione della misura. Interpretazione, quest'ultima, peraltro avallata dalla Corte costituzionale che, nel dichiarare “l'illegittimità costituzionale dell'articolo 297, comma 3, cod. proc penumero , nella parte in cui non si applica anche a fatti diversi non connessi, quando risulti che gli elementi per emettere la nuova ordinanza erano già desumibili dagli atti al momento della emissione della precedente ordinanza”, ha affermato che la durata della custodia cautelare deve dipendere da un fatto obiettivo rispettoso, dunque, del canone dell'uguaglianza e della ragionevolezza quale quello “dell'acquisizione di elementi idonei e sufficienti per adottare i diversi provvedimenti cautelari” sent. numero 408 del 2005 . Si aggiunga che tutti i suddetti presupposti di applicazione della retrodatazione ex articolo 297, comma 3, cod. proc. penumero costituiscono una quaestio facti la cui soluzione é rimessa di volta in volta all'apprezzamento del giudice di merito Sez. 5, numero 44606 del 18/10/2005, Traina, Rv. 232797 Sez. 6, numero 12676 del 20/12/2006, dep. 2007, Barresi, Rv. 236829 Sez. 4, numero 9990 del 18/01/2010, Napolitano, Rv. 246798 , e in quanto tale richiede l'esame e la valutazione degli atti ed una ricostruzione dei fatti, attività precluse al giudice di legittimità, il quale deve solo verificare che il convincimento espresso in sede di merito sia correttamente e logicamente motivato. 14. Sulla base delle esposte caratteristiche del procedimento incidentale cautelare e delle modalità di verifica di sussistenza dei presupposti della retrodatazione dei termini di custodia cautelare ex articolo 297, comma 3, cod. proc. penumero , deve ritenersi che il Tribunale del riesame possa pronunciarsi in materia solo quando elementi incontrovertibili emergenti dall'ordinanza impugnata consentano di ritenere sussistenti i suddetti presupposti. In qualsiasi altro caso, la mancanza di poteri istruttori del giudice del riesame e le esigenze di speditezza del procedimento incidentale de libertate devono condurre ad escludere una pronuncia dello stesso giudice, la quale, se favorevole all'indagato, potrebbe basarsi sulla sola prospettazione difensiva non sufficientemente verificata nel più ampio contraddittorio e con la completezza degli elementi di fatto e documentali utili per la decisione se sfavorevole all'indagato, potrebbe essere suggerita da una superficiale e non completa disamina di tutti i dati rilevanti, non rimediabile in sede di legittimità, in considerazione dei limiti del relativo sindacato, con le negative conseguenze correlate al prodursi del c.d. giudicato cautelare. Pertanto deve ribadirsi che soltanto nel caso in cui dalla stessa ordinanza impugnata emergano in modo incontrovertibile e completo gli elementi utili e necessari per la decisione è possibile dare spazio ai principi di economia processuale e di rapida definizione dei giudizio in vista della più ampia tutela del bene primario della libertà personale. 15. Deve, dunque, affermarsi il seguente principio di diritto “ Nel caso di contestazione a catena, la questione della retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare può essere dedotta anche in sede di riesame solo se ricorrono congiuntamente le seguenti condizioni a se per effetto della retrodatazione il termine sia interamente scaduto al momento della emissione del secondo provvedimento cautelare b se tutti gli elementi per la retrodatazione risultino dall'ordinanza cautelare ”. 16. Nel caso di specie, non solo manca la verifica della sussistenza delle suddette condizioni che consentono al giudice del riesame di affrontare il tema della c.d. contestazione a catena, ma deve anche osservarsi che erroneamente il Tribunale ha ritenuto sufficiente il requisito della connessione qualificata, mentre, trattandosi di procedimenti diversi, avrebbe dovuto accertare anche quello della desumibilità dagli atti prima del rinvio a giudizio nel procedimento in cui è stata emessa la prima ordinanza. Pertanto, l'ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Venezia, per nuovo esame che faccia applicazione dei principi di diritto come sopra formulati. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia, per nuovo esame, al Tribunale di Venezia.