Omicidio in pieno giorno, in zona trafficata e nell’astratta possibilità di difesa ad opera della vittima: non c’è l’aggravante

Affinché vi sia la c.d. minorata difesa per approfittamento delle condizioni personali, occorre che si approfitti di condizioni di minorazione che ineriscano alla persona della vittima con un certo grado di stabilità e che non siano quindi legate, ad esempio, a momentanee ed occasionali posture.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza numero 40289, depositata il 27 settembre 2013. Il caso. La Corte di assise di appello aveva condannato un imputato per aver cagionato la morte di un uomo, colpendolo più volte, di sorpresa, alle spalle e al capo in rapida successione, prima con una mazza da baseball e poi con un altro strumento. L’imputato, dopo un primo tentativo di allontanare da sé ogni sospetto, aveva confessato la commissione del delitto e i dati oggettivi risultanti dall’accertamento dei luoghi e dalla perizia medico-legale avevano dato sicura conferma alle sue dichiarazioni confessorie. L’imputato era legato alla vittima da ragioni di lavoro, e i loro rapporti erano caratterizzati da continue tensioni, perché la vittima lo accusava falsamente di irregolarità nella stipula di contratti di assicurazione, e lo minacciava di denunciarlo se non gli avesse trasferito il suo pacchetto clienti”. Il giorno dell’omicidio, i due stavano rientrando a bordo della stessa autovettura, l’imputato, con un pretesto aveva fermato la marcia lungo il percorso, la vittima - che lungo il tragitto aveva insultato l’imputato -, scesa dall’auto, si era chinata vicino alle ruote per controllare se ci fosse un inconveniente, e il quel momento, mentre era china e di spalle, era stata ripetutamente colpita a morte. La Corte di assise di appello aveva ribadito la sussistenza dell’aggravante della minorata difesa e aveva escluso l’attenuante della provocazione, rilevando che l’aggressione era stata connotata da macroscopica inadeguatezza della risposta al comportamento offensivo tenuto dalla vittima. Avverso questa decisione, l’imputato ha proposto ricorso, deducendo violazione di legge in punto di affermazione della sussistenza della circostanza aggravante della minorata difesa. Inoltre, secondo il ricorrente, la Corte territoriale avrebbe errato nel non riconoscere la c.d provocazione per accumulo e nel porre attenzione, ai fini del giudizio di adeguatezza, soltanto alle minacce proferite dalla vittima durante il viaggio causate da un banale motivo. Per la Suprema Corte, il ricorso è fondato in parte, e specificamente relativamente alla prima censura. Condizioni di tempo e luogo tali da consegnare all’autore del fatto il vantaggio della minorata difesa? Secondo gli Ermellini, la Corte di merito ha ritenuto la sussistenza della circostanza aggravante della c.d. minorata difesa, in ragione del fatto che la vittima era stata colpita con una mazza mentre era chinata verso la ruota anteriore sinistra, escludendo, a tal fine, altri aspetti della vicenda, ossia che l’aggressione era avvenuta in pieno giorno e in prossimità del ciglio di una strada trafficata, in una zona ad elevata frequentazione turistica. I giudici di legittimità hanno rilevato l’errata interpretazione dell’art. 61 numero 5 c.p. fatta propria dalla Corte distrettuale, che ha trascurato di valorizzare adeguatamente il dato testuale della disposizione avente ad oggetto la circostanza aggravante in esame . Il maggior disvalore che comporta l’aggravamento della pena è infatti costituito dall’approfittamento di circostanze di tempo, di luogo o di persona, che siano tali da ostacolare la pubblica o privata difesa. Per quel che attiene al primo, la Corte di secondo grado aveva evidenziato che l’aggressione era avvenuta in pieno giorno per quel che concerne il secondo, aveva precisato che era stata consumata sul ciglio di una strada particolarmente trafficata. Cogliere di sorpresa la vittima è soluzione operativa tipica dell’avvedutezza criminale e non può dare, da sola, contenuto di fatto all’aggravante. Per quel che attiene, poi, al profilo soggettivo della situazione, la Corte territoriale aveva valorizzato la repentinità dell’aggressione, ma, per Piazza Cavour, tali rilievi non integrano l’aggravante che, nel riferirsi a circostanze personali, evoca situazioni oggettive che qualificano la condotta criminosa di un disvalore maggiore di quello espresso dal compimento della stessa con modalità ordinariamente mirate a superare o inibire la possibile reazione difensiva. Invece, per il Collegio, la sentenza impugnata ha correttamente escluso la ricorrenza dell’attenuante della provocazione per accumulo, in quanto ha evidenziato l’assenza del necessario carattere di adeguatezza della reazione aggressiva al comportamento denigratorio e offensivo tenuto dalla vittima durante il viaggio, senza che sia emersa la reiterazione delle minacce e delle vessazioni che la vittima aveva rivolto in passato, pur recente, al ricorrente. Alla luce di ciò, il S.C. ha annullato la sentenza impugnata limitatamente all’aggravante di cui all’art. 61 numero 5 c.p., rinviando ad altra sezione per la rideterminazione della pena.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 18 giugno - 27 settembre 2013, n. 40289 Presidente Bardovagni – Relatore Santalucia Ritenuto in fatto La Corte di assise di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Rieti del 9 giugno 2011, dopo aver riqualificato l'imputazione di soppressione di cadavere in quella di occultamento di cadavere, ha irrogato a F P. la pena di anni diciassette di reclusione, per aver cagionato la morte di C.M. , colpendolo più volte, di sorpresa e alle spalle, al capo in rapida successione, prima con una mazza da baseball e poi con altro strumento non meglio descrivibile, reato aggravato dall'approfittamento della minorata difesa e per avere immediatamente dopo occultato il cadavere del C. , trascinandolo in una vicina scarpata e coprendolo con terriccio e sassi, reati commessi in omissis . Il P. , dopo un primo tentativo di allontanare da sé ogni sospetto, ha confessato la commissione dei due delitti e i dati oggettivi risultanti dall'accertamento dei luoghi e dalla perizia medico-legale hanno dato sicura conferma alle sue dichiarazioni confessorie. Il P. era legato alla vittima da ragioni di lavoro, in quanto subagente assicurativo in rapporti con l'agenzia assicurativa in titolarità del C. , e questi rapporti erano caratterizzati da continue tensioni, per come riferito dal P. medesimo, perché il C. lo maltrattava, lo umiliava e lo ricattava, accusandolo falsamente di irregolarità nella stipula di contratti di assicurazione, e lo minacciava di denunciarlo e di farlo estromettere dall'Isvap se non gli avesse trasferito il suo pacchetto clienti . Il giorno in cui, recatisi entrambi a ., stavano facendo rientro, a bordo della stessa autovettura, a ., il P. , con un pretesto, fermò la marcia lungo la via, il C. , sceso dall'autovettura, si chinò vicino alle ruote per controllare se ci fosse un inconveniente, e in quel frangente, mentre era chino e di spalle, fu ripetutamente colpito a morte. Come riferito dal P. , lungo il viaggio di ritorno a . il C. lo aveva insultato. La Corte di assise di appello, in risposta ai motivi di impugnazione, ha ribadito la sussistenza dell'aggravante della minorata difesa, ha escluso l'attenuante della provocazione, rilevando che l'aggressione fu connotata da macroscopica inadeguatezza della risposta al comportamento offensivo tenuto dalla vittima. La Corte territoriale ha poi escluso lo stato di seminfermità di mente, evidenziando la genericità ed opinabilità delle conclusioni dei consulenti di parte ha quindi confermato il giudizio di equivalenza delle attenuanti generiche con l'aggravante della minorata difesa, per l'estrema gravità del fatto e l'intensità del dolo e ha ritenuto la congruità della pena sì come determinata dal giudice di prime cure. Avverso la sentenza ha proposto ricorso, per mezzo del difensore avv.to Angeletti, F P. , deducendo - violazione di legge e difetto di motivazione in punto di affermazione della sussistenza della circostanza aggravante della minorata difesa. La motivazione è palesemente illogica nella misura in cui l'aggressione da tergo, l'approfittamento della distrazione e la disattenzione della vittima non costituiscono paradigma della minorata difesa, quando il fatto si abbia a verificare in pieno giorno, in zona trafficata e nell'astratta possibilità di una difesa ad opera della vittima. Nel caso di specie, poi, l'uso di una mazza da baseball non fu elemento idoneo a garantire la certezza del risultato, tant'è che il primo colpo non fu sufficiente, e l'impiego di un ragionevole lasso di tempo non poteva non comportare in astratto l'intervento di passanti o la possibilità che la vittima si rendesse conto di quel che stava accadendo. - Violazione di legge e difetto di motivazione in punto di esclusione della circostanza attenuante dello stato d'ira. La Corte territoriale ha errato nel non riconoscere la c.d. provocazione per accumulo e nel porre attenzione, ai fini del giudizio di adeguatezza, soltanto alla minacce profferite dalla vittima durante il viaggio di ritorno da XXXXXXXX a XXXX causate da un banale motivo. Agli atti v'è la prova dell'accumulo per progressione delle violenze morali e delle costrizioni che da tempo il ricorrente subiva ad opera della vittima, in particolare dello stato di pervicace sopraffazione e sudditanza in cui viveva il ricorrente, dimostrato altresì dal fatto che fu costretto ad assumere presso la propria agenzia una donna straniera, amante della vittima. La Corte territoriale avrebbe dunque dovuto spiegare perché l'essere sottoposti al ricatto di essere da un momento all'altro denunciato per il delitto di appropriazione indebita e truffa aggravata con conseguente immediato licenziamento e di essere costantemente obbligato a fare ciò che la vittima gli imponeva, assunzione della propria amante e cessione del portafogli clienti ai propri familiari, non abbiano i caratteri della provocazione per accumulo. - Violazione di legge e in punto di mancata assunzione della prova decisiva ai fini della diminuente del vizio parziale di mente e carenza e assoluta illogicità della motivazione nella parte in cui detta diminuente è stata esclusa. La Corte territoriale ha disatteso la consulenza tecnica in atti, che ha concluso per la sussistenza del vizio parziale di mente, con argomentazioni non tecniche, personali, prive di scientificità proprio per la mancanza di un corollario tecnico contrapponibile. La Corte territoriale, ancora, ha errato nel non comprendere che la difesa aveva chiesto l'ammissione di una perizia che mirava, quale prova decisiva, ad ottenere un accertamento capace di replicare all'eventuale dissenso rispetto alle conclusioni della consulenza tecnica in atti. - Violazione di legge e difetto di motivazione in punto di esclusione della prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla circostanza aggravante della minorata difesa. La Corte territoriale ha errato omettendo di valutare, nella comparazione tra circostanze, l'elemento della soggezione ad una vessazione criminogena che si è protratta nel tempo senza soluzione di continuità ai danni del ricorrente e quello della confessione. La Corte territoriale ha affermato che non appaiono sufficienti a giustificare la prevalenza l'ampia confessione, lo stato di incensuratezza e il successivo comportamento collaborativo, ma non ha detto se l'insieme di tali condizioni e lo stato psichico del ricorrente costituissero un complesso sufficiente per posporre l'efferatezza del crimine al giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche. - Violazione di legge e difetto di motivazione perché nell'irrogare la pena in misura pari al massimo edittale la Corte territoriale ha fatto riferimento esclusivamente alla gravità del fatto e non ha preso in esame altri elementi, favorevoli al ricorrente, e cioè lo stato di vessazione e i ricatti che pativa ad opera della vittima. - Violazione di legge e divieto di motivazione in punto di determinazione dell'aumento per continuazione in relazione al reato di occultamento di cadavere. È stato applicato un aumento nella misura della metà del massimo edittale di pena senza una razionale e logica giustificazione, omettendo di valutare tutti gli elementi favorevoli al ricorrente richiamati nei precedenti motivi. Considerato in diritto Il ricorso è fondato in parte, e specificamente in punto di affermazione della circostanza aggravante della c.d. minorata difesa e del correlato giudizio di non prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla detta circostanza aggravante, per le ragioni di seguito esposte. È appena il caso di osservare che l'accoglimento del motivo relativo al vizio inerente all'affermazione della sussistenza della circostanza aggravante della c.d. minorata difesa preclude, per assorbimento, l'esame del motivo relativo al mancato riconoscimento della prevalenza su detta aggravante delle circostanze attenuanti generiche. La Corte territoriale ha ritenuto la sussistenza della circostanza aggravante della c.d. minorata difesa, in ragione del fatto che la vittima fu colpita con una mazza mentre era chinata verso la ruota anteriore sinistra dell'autovettura, escludendo a tal fine rilievo ad altri aspetti della vicenda, ossia che l'aggressione avvenne in pieno giorno e in prossimità del ciglio di una strada trafficata, in una zona ad elevata frequentazione turistica. Ha infatti osservato che l'azione fu talmente repentina ed improvvisa da rendere impensabile che qualcuno potesse intervenire in aiuto della vittima, anche perché l'abitacolo dell'autovettura, parcheggiata sul lato sinistro della carreggiata rispetto alla sua direzione di marcia, impediva la visuale dello spazio in cui avvenne l'aggressione a quanti in quel momento transitavano lungo quella strada, fl. 4 della sentenza impugnata . Le appena riassunte argomentazioni rivelano l'errata interpretazione della legge fatta propria dalla Corte territoriale, che ha trascurato di valorizzare adeguatamente il dato testuale della disposizione avente ad oggetto la circostanza aggravante ora in esame. Il maggior disvalore che comporta l'aggravamento della pena è infatti costituito dall'approfittamento di circostanze di tempo, di luogo o di persona, che siano tali da ostacolare la pubblica o privata difesa, e quindi di dati di fatto che ineriscano ad uno, o più, dei tre aspetti della vicenda, in particolare del dato temporale, di quello spaziale o di quello soggettivo. Per quel che attiene al primo, la Corte territoriale ha evidenziato che l'aggressione avvenne in pieno giorno e, per quel che concerne il secondo, ha precisato che fu consumata sul ciglio di una strada particolarmente trafficata. Non può dunque dirsi, in riferimento almeno a questi due parametri, che l'autore del fatto potette profittare di condizioni di difesa minorata, e ciò anche a voler considerare quanto evidenziato in sentenza, e cioè che al momento in cui furono inferti i colpi mortali la vittima si trovava china tra l'autovettura e il ciglio della strada sì da non poter essere vista da quanti transitavano lungo la strada. Deve infatti rilevarsi che, come precisato dalla stessa sentenza, la vittima stava ispezionando l'autovettura nelle parti prossime alla ruota anteriore sinistra dell'autovettura che era parcheggiata sul lato sinistro della carreggiata rispetto alla direzione di marcia, sicché è da ritenersi che i soggetti a bordo delle autovetture in transito nell'opposta direzione di marcia avevano modo di notare la persona accovacciata nei pressi del ciglio stradale e necessariamente, ispezionando la ruota anteriore, posta fuori della zona interclusa alla vista dall'abitacolo dell'autovettura in questione. Deve, dunque, escludersi che le condizioni di tempo e di luogo fossero oggettivamente tali da consegnare all'autore del fatto il vantaggio della minorata difesa, pubblica e privata. Per quel che attiene, poi, al profilo soggettivo della situazione, la Corte territoriale ha valorizzato la repentinità dell'azione aggressiva e il fatto che la vittima si trovasse chinata e con le spalle rivolte all'aggressore. Si ritiene, sul punto, che tali rilievi non valgano a integrare la fattispecie aggravatrice che, nel riferirsi a circostanze personali, evoca situazioni oggettive che qualificano la condotta criminosa di un disvalore maggiore di quello espresso dal compimento della stessa con modalità ordinariamente mirate a superare o inibire la possibile reazione difensiva. La repentinità dell'aggressione e la scelta del momento più propizio per cogliere di sorpresa la vittima, quando essa non può vedere perché da la spalle all'aggressore, sono soluzioni operative tipiche dell'avvedutezza criminale e quindi non possono, da sole, dare contenuto di fatto alla circostanza aggravante. Deve poi essere ricordato che, quanto alle circostanze relative alla persona, questa Corte ha anche di recente ribadito che la c.d. minorata difesa per approfittamento delle condizioni personali ha riferimento alla debolezza fisica o psichica del soggetto passivo .”, escludendo che possa rilevare anche la maggiore prestanza fisica dell'autore del fatto Sez. 2, n. 29499 del 10/06/2009 - dep. 16/07/2009, Nechchafa, Rv. 244969, ed ha quindi già chiarito che occorre che si approfitti di condizioni di minorazione che ineriscano alla persona della vittima con un certo grado di stabilità e che non siano quindi legate, ad esempio, a momentanee ed occasionali posture. Altro è da dirsi se il momentaneo atteggiamento del corpo, tale da diminuire la difesa rispetto ad un'aggressione, sia legato anche a circostanze inerente al luogo in cui la potenziale vittima venga a trovarsi, come nel caso in cui .la vittima venga colta di sorpresa mentre siede sola nello stretto abitacolo di una automobile ferma sulla strada e perciò facile e sicuro bersaglio di colpi di arma da fuoco esplosi dall'esterno del veicolo da soggetto avvicinatosi cautamente senza che la vittima designata si accorgesse della sua presenza se non al momento dell'esplosione dei colpi” - Sez. 1, n. 7249 del 18/3/1993 dep. 24/7/1993 , Radisi, Rv. 197541 -. Ma si è già osservato che nel caso ora in esame il luogo in cui avvenne l'aggressione non si connotò per la presenza di fattori di impedimento, o anche solo di ostacolo, per una difesa da parte della vittima o di terzi in suo soccorso. La Corte territoriale ha invece correttamente operato, escludendo la ricorrenza della circostanza attenuante della provocazione, in specie nella forma della provocazione c.d. per accumulo. Questa Corte ha avuto modo di chiarire che anche ai fini della ricorrenza dell'attenuante della provocazione cosiddetta per accumulo si richiede la prova dell'esistenza di un fattore scatenante che giustifichi l'esplosione, in relazione e in occasione di un ultimo episodio pur apparentemente minore, della carica di dolore o sofferenza che si affermi sedimentata nel tempo, non potendosi mai riconoscere la circostanza, pur in presenza di fatti apparentemente ingiusti della vittima, allorché la reazione appaia sotto ogni profilo eccessiva e talmente inadeguata rispetto all'ultimo episodio dal quale trae origine, da fare escludere la sussistenza di un nesso causale tra offesa, sia pure potenziata dall'accumulo, e reazione” - Sez. 1, n. 13921 del 2/3/2010 dep. 13/4/2010 , Goti ed altri, Rv. 246658 -. Ha poi ribadito che l'applicazione della circostanza attenuante della provocazione, pur nella forma cosiddetta per accumulo , richiede pur sempre la prova dell'esistenza del permanere di uno stato di ira in ragione di un fatto che giustifichi l'esplosione, in occasione di un ultimo episodio pur apparentemente minore, della carica di dolore o sofferenza che si assume sedimentata nel tempo - Sez. 1, n. 4695 del 13/1/2011 dep. 9/2/2011 , Galati, Rv. 249558 -. Alla luce di questi principi di diritto non può che valutarsi la correttezza delle valutazioni, e delle correlate argomentazioni, della sentenza impugnata, la quale ha evidenziato l'assenza del necessario carattere di adeguatezza della spropositata reazione aggressiva al comportamento denigratorio ed offensivo tenuto dalla vittima durante il viaggio di rientro a Roma, senza che sia emersa la reiterazione delle minacce e delle vessazioni che la vittima aveva rivolto in passato, pur recente, al ricorrente. La Corte territoriale ha quindi ben motivato affermando che lo stato d'animo del ricorrente, al momento del fatto, fosse quello dell'odio, del rancore e del risentimento, ma non certo quello dell'ira, che deve necessariamente ricollegarsi, anche nella c.d. provocazione per accumulo, ad un fatto ingiusto che la scateni. La Corte territoriale ha ancora adeguatamente motivato circa l'insussistenza del vizio parziale di mente, ponendo in evidenza sia l'assenza di riscontri circa il paventato pregresso stato patologico personalità patologica del ricorrente, invece evocato dai consulenti tecnici della difesa, sia il dato da costoro valorizzato, ossia che l'atteggiamento prevaricatorio della vittima in danno del ricorrente fosse stato così intenso da potersi qualificare in termini di vero e proprio mobbing e che fosse stato tenuto anche dinanzi a terze persone, profili ambedue smentiti dalle stesse dichiarazioni del ricorrente fl. 6 della sentenza impugnata . Circa poi la deduzione di ricorso, secondo cui la difesa aveva invero avanzato richiesta di accertamento peritale - prova da ritenersi decisiva -, si osserva che le argomentazioni appena richiamate dalla sentenza impugnata danno implicitamente conto adeguato del diniego di rinnovazione istruttoria, nella misura in cui i giudizi tecnici della difesa non hanno sortito l'effetto di prospettare, in termini di indispensabilità, l'acquisizione della prova tecnica, che certo non si qualificava come prova nuova nel senso di prova sopravvenuta. La Corte territoriale ha poi dato adeguata motivazione in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio. Non ha trascurato altri aspetti della vicenda rispetto alla gravità del fatto commesso, perché ha preso in esame lo stato di incensuratezza, il fatto che questi rese ampia confessione e che tenne un comportamento collaborativo, ma ha ritenuto, con valutazione non sindacabile in questa sede, che essi non possano valere a compensare il giudizio di grave disvalore connesso alle modalità di commissione del delitto. La Corte territoriale, ancora, ha quantificato l'aumento di pena per continuazione in relazione al reato di occultamento di cadavere in misura certo non modesta, pari alla metà del massimo edittale, ma ha dato anche sul punto congrua ed adeguata motivazione, facendo riferimento all'intensità del dolo e alle modalità di esecuzione del reato. Nonostante l'adeguatezza della motivazione in punto di trattamento sanzionatorio, si impone il rinvio al giudice del merito perché provveda ad una nuova determinazione di pena, in conseguenza dell'accoglimento del ricorso sul punto della circostanza aggravante della c.d. minorata difesa, e quindi dell'annullamento, per questa parte, della sentenza impugnata, con contestuale eliminazione della menzionata aggravante. Il rigetto del ricorso, fatta eccezione per la parte in cui la sentenza impugnata ha affermato la ricorrenza di una circostanza aggravante invero insussistente, comporta la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili, che sono quantificate come da dispositivo. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente all'aggravante di cui all'art. 61 n. 5 cod. pen., che elimina. Rinvia ad altra sezione della Corte di assise di appello di Roma per la rideterminazione della pena. Rigetta nel resto il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili difese dall'avvocato Luigi Vincenzo che liquida il Euro 4000,00, oltre accessori di legge e dall'avvocato Giuseppe Marazzita che liquida in Euro 5000,00, oltre accessori di legge.