La criminosità dell’ordine nota all’esecutore, ancorché non manifesta, non esclude la punibilità di quest’ultimo.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 38130, depositata il 17 settembre 2013. Poliziotto ignaro ordina ad automobilista di liberare la corsia d’emergenza Un imputato era stato condannato per il reato di guida in stato di ebbrezza alcolica. Il responsabile, avvistato da un agente in una piazzola di sosta, era stato invitato a liberare la corsia d’emergenza e, una volta riparto, l’auto della polizia aveva notato una condotta di guida scorretta, quindi questi era stato fermato e sottoposto a verificare la presenza di alcol etilico nell’organismo. Contro la sentenza di condanna, il responsabile ha presentato ricorso, sostenendo che la Corte d’Appello avrebbe errato nell’applicazione dell’art. 51 c.p. adempimento di un dovere , non avendo ritenuto che l’imputato era incorso in errore di fatto scusabile avente a oggetto la legittimità dell’ordine di mettersi in marcia impartitogli dagli agenti di polizia. Inoltre, a suo dire, i giudici distrettuali avrebbero errato nel ritenere che l’imputato fosse perfettamente a conoscenza delle proprie condizioni di ebbrezza e che queste non gli consentivano di mettersi alla guida, di modo che obbedire all’ordine avrebbe significato commettere un reato. Per la Suprema Corte il ricorso è infondato. ma egli era perfettamente consapevole della propria condizione psico-fisica. Gli Ermellini, stabilito il quadro fattuale in base a quanto ricostruito in sede di merito, hanno rilevato che non risulta di agevole risposta la questione circa la legittimità sostanziale dell’ordine dell’agente. A riguardo, la dottrina maggioritaria pare orientata ad assumere un concetto che non tiene conto della consapevolezza del vizio nell’autore dell’atto e la àncora alla oggettiva insussistenza dei presupposti fattuali dell’ordine. Il S.C. ha ritenuto di dover condividere la posizione maggioritaria, in quanto adottando una nozione restrittiva di illegittimità si finirebbe per affermare la non punibilità di colui che ha eseguito l’ordine nella consapevolezza della sua arbitrarietà. Quindi, secondo Piazza Cavour, stante l’illegittimità dell’ordine impartitogli, l’imputato non può invocare la previsione dell’art. 51, comma 3, c.p. in quanto va escluso che egli abbia potuto ritenere per errore di fatto di obbedire a un ordine legittimo, dal momento che la condizione fattuale che rendeva sostanzialmente illegittimo l’ordine impartitogli gli era nota. Alla luce di ciò, il ricorso è stato rigettato.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 13 giugno - 17 settembre 2013, n. 38130 Presidente Brusco Relatore Dovere Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Ancona ha confermato la condanna pronunciata dal Tribunale di Pesaro, sezione distaccata di Fano, nei confronti di S.A. , ritenuto responsabile del reato di guida in stato di ebbrezza alcolica [art. 186, co. 2 lett. c C.d.s. commesso il omissis ], ed al quale è stata inflitta la pena di mesi due di arresto ed Euro 1.000 di ammenda. 2. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione l'imputato a mezzo del difensore. Si rileva che mentre per il primo giudice l'assistente capo M.N. , dopo aver fermato un autocarro in una piazzola di sosta per un controllo, si avvide del S. mentre si dirigeva presso un'autovettura Fiat con una tanica di carburante in mano e lo invitava a seguire l'auto della polizia sino al casello autostradale di , dove venne accertato lo stato di ebbrezza alcolica del medesimo, la Corte di Appello ha ritenuto che l'assistente capo richiese i documenti all'imputato mentre questi era in macchina e quindi invitò quest'ultimo a liberare la corsia d'emergenza. Sicché, solo dopo che il S. era ripartito, a sua volta il M. riprese il cammino, seguendolo per circa 4 km. Durante questo percorso venne notata una condotta di guida scorretta da parte del S. , sicché questi venne fatto fermare e sottoposto al controllo diretto a verificare la presenza di alcol etilico nell'organismo. Su tali premesse fattuali, l'esponente articola un primo motivo con il quale deduce violazione e/o errata applicazione dell'art. 51 cod. pen La Corte di Appello avrebbe errato nell'applicazione dell'art. 51 cod. pen. non avendo ritenuto che l'imputato era incorso in errore di fatto scusabile avente ad oggetto la legittimità dell'ordine di mettersi in marcia impartitogli dagli agenti di polizia. Il S. aveva agito nella verosimile e ragionevole convinzione di adempiere ad un ordine dell'autorità legittimo sia sul piano formale che su quello sostanziale. Inoltre la Corte di Appello avrebbe errato anche in relazione alla sindacabilità dell'ordine impartito all'imputato. Tale sindacabilità, si afferma, deve essere intesa come riferita al profilo formale e non a quello sostanziale dell'ordine. Ciò significa, aggiunge il ricorrente, che l'illegittimità sostanziale è sindacabile se palese e manifesta l'ordine formalmente illegittimo invece è sempre sindacabile. Nel caso di specie si è in presenza di un ordine formalmente legittimo e sostanzialmente illegittimo ma la cui illegittimità non era manifesta al S. . La Corte di Appello di Ancona avrebbe errato nel ritenere che l'imputato fosse perfettamente a conoscenza delle proprie condizioni di ebbrezza e che queste non gli consentivano di mettersi alla guida, di modo che obbedire all'ordine avrebbe significato commettere un reato. Con un secondo motivo di ricorso si deduce vizio di motivazione laddove, avendo adottato la Corte di Appello una ricostruzione dei fatti difforme da quella fatta propria dal giudice di primo grado, non si esplicano le ragioni di tale diversa ricostruzione. Altrettale vizio motivazionale viene ravvisato in ordine al giudizio di inverosimiglianza ed inattendibilità della ricostruzione dei fatti operata dall'imputato, nonché in relazione alla omessa motivazione sul punto della contraddittorietà ravvisabile tra la testimonianza del M. e quella del teste Se. . Considerato in diritto 3. Il ricorso è infondato. 3.1. Il primo motivo di ricorso non considera che la Corte di Appello ha ritenuto accertato che il M. non ebbe alcun modo di accorgersi dello stato di ebbrezza alcolica del S. . Per il Collegio distrettuale l'operante non chiese i documenti al S. e lo invitò a liberare la corsia di emergenza per assicurare il regolare deflusso della circolazione. Solo successivamente, stando al seguito dell'autovettura condotta dall'imputato, il M. si accorse della anomala andatura di marcia del prevenuto. Siffatta ricostruzione non può essere riveduta da questa Corte, alla quale è precluso formulare un giudizio di merito in sovrapposizione a quello formatosi nelle appropriate sedi giudiziarie, ove questo sia stato esplicato con adeguata motivazione e senza che si sia incorsi in violazione di legge. Sotto tale profilo è opportuno esplicitare sin d'ora che il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato, poiché la Corte di Appello, lungi dall'omettere di motivare in ordine alle ragioni per le quali ha operato una ricostruzione dell'accaduto parzialmente diversa da quella fatta propria dal primo giudice, ha chiaramente indicato i contenuti della deposizione del M. sulla scorta dei quali ha operato quella ricostruzione, dando altresì conto dei motivi che l'hanno indotto a ritenere irrilevante la testimonianza del Se. e non riscontrata la versione dell'imputato. 3.2. Orbene, stabilito il quadro fattuale di riferimento, va rilevato che - pacifica la legittimità formale dell'ordine impartito dal M. - non risulta di agevole risposta il quesito in ordine alla legittimità anche sostanziale dell'atto in parola. La dottrina maggioritaria pare orientata ad assumere un concetto di il legittimità dell'ordine di marca obbiettiva, che non tiene conto della consapevolezza del vizio nell'autore dell'atto e la ancora alla oggettiva insussistenza dei presupposti fattuali dell'ordine. Aderendo a tale tesi l'ordine impartito dal M. risulta sostanzialmente illegittimo, poiché il S. non era nelle condizioni di idoneità psico-fisica per mantenersi alla guida di un veicolo circolante. La Corte di Appello sembra per contro aderire, pur senza esplicitarlo, al minoritario indirizzo secondo il quale non può ritenersi sostanzialmente illegittimo l'ordine impartito dal pubblico ufficiale che ritenga erroneamente esistenti le condizioni di fatto necessarie all'emanazione dell'ordine. Afferma, il Collegio distrettuale, che il problema dell'applicazione dell'art. 51 cod. pen. si sarebbe posto forse solo ove il S. avesse fatto presente al M. il proprio stato e in risposta avesse nuovamente ricevuto l'ordine di mettersi in marcia. Ritiene questa Corte di dover condividere la posizione maggioritaria, perché persuasivo il rilievo mosso da autorevole dottrina per la quale, adottando una nozione restrittiva di illegittimità, mutuata dal diritto amministrativo, si finirebbe per addivenire all'assurda conclusione di affermare la non punibilità di colui che ha eseguito l'ordine nella consapevolezza della sua arbitrarietà. È per l'appunto l'ipotesi che qui occupa, nella quale il S. era perfettamente consapevole della propria condizione psico-fisica. Stante l'illegittimità dell'ordine impartitogli, l'imputato non può invocare la previsione dell'art. 51, comma 3 cod. pen. in quanto va escluso che egli abbia potuto ritenere per errore di fatto di obbedire ad un ordine legittimo, dal momento che la condizione fattuale che rendeva sostanzialmente illegittimo l'ordine impartitogli gli era nota, e peraltro in via esclusiva. Né può affermarsi, come fa l'esponente, che l'errore sul fatto avrebbe avuto ad oggetto la valutazione operata dal M. dello stato psico-fisico del S. , sia perché ciò è stato escluso in fatto dalla Corte di Appello, sia perché anche a tal riguardo non può riconoscersi alcun errore nel S. , che aveva diretta ed autonoma conoscenza del proprio stato. Peraltro, anche in dottrina si rinvengono opinioni per le quali la criminosità dell'ordine nota all'esecutore, ancorché non manifesta, non esclude la punibilità di quest'ultimo. Del tutto infondata è infine l'evocazione del tema della insindacabilità dell'atto art. 51, comma 4 cod. pen. , posto che non si è in presenza di un atto insindacabile. Il ricorso va pertanto rigettato. 4. Segue al rigetto, ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.