L'originario difetto della procura alle liti non implica automaticamente la nullità del processo e può essere regolarizzato ex articolo 182 c.p.c
Le limitazioni statutarie - anche pubblicate - dei poteri degli amministratori di una società, sono opponibili ai terzi soltanto nel caso in cui si provi che essi abbiano agito intenzionalmente per danneggiare la società. Il difetto dello ius postulandi ex articolo 75 c.p.c. capacità processuale o articolo 77 c.p.c. rappresentanza del procuratore o dell'institore , può essere sanato ex articolo 182 c.p.c., in qualsiasi grado e fase del giudizio mediante fissazione di un termine utile a consentire la regolarizzazione. Questo il principio enucleabile dalla sentenza numero 11743/12, con deposito dell’11 luglio. Il caso . Lo statuto di una cooperativa prevedeva che, in caso di contesa giudiziale, il mandato alle liti doveva essere rilasciato - in favore dell'avvocato - con firma congiunta del presidente e del segretario. La compagine societaria, per due giudizi, conferiva mandato alle liti per il tramite del solo presidente. Il professionista incaricato, al termine dell'attività processuale, non otteneva il versamento del compenso per l'attività svolta, quindi, chiedeva ed otteneva decreto ingiuntivo. Detto titolo veniva impugnato dalla cooperativa che, eccependo i vizi connessi al conferimento del mandato per violazione dello statuto societario, chiedeva il rigetto della pretesa professionale nonché la condanna del legale al risarcimento dei danni per colpa grave ex articolo 2236 c.c. I giudici di primo e secondo grado accoglievano la difesa articolata dal sodalizio cooperativo, ponevano nel nulla il decreto ingiuntivo e condannavano il professionista al risarcimento dei danni. L'avvocato ha proposto ricorso per cassazione. La responsabilità per colpa grave è imputata dalla corte d'appello al professionista per non aver accertato e individuato tutti i soggetti legittimati a conferire in suo favore mandato professionale. La corte riconosce la responsabilità del legale pur individuando la sua responsabilità in un errore definito microscopico . Rappresentanza processuale e comportamento acquiescente. Nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, parte opposta ha sostenuto la legittimità della propria condotta osservando che, ripetute volte, anche in giudizi già definiti con sentenza passata in giudicato, il mandato professionale era stato conferito in suo favore dal solo presidente della cooperativa senza che alcuno avesse formulato opposizioni di alcun tipo. I giudici di primo e secondo grado hanno respinto detta difesa chiarendo che l'aver ripetuto l'errore non vale a superare e/o ritenere fattivamente abrogata la norma statutaria che attribuisce esclusivamente alla volontà congiunta del segretario e del presidente il conferimento di mandato alle liti. Opponibilità ai terzi delle eventuali limitazioni degli amministratori. La norma statuaria che prescrive, per il conferimento di mandato alle liti, la volontà congiunta del presidente e del segretario, certamente, rappresenta per il primo amministratore una limitazione del potere. Sotto questo profilo, osserva la corte di cassazione, è applicabile l'articolo 2384 c.c. dettato per le società per azioni ed, ex comma 1 articolo 2519 c.c., esteso alle società cooperative per l'effetto, le limitazioni ai poteri degli amministratori che risultino dallo statuto, anche se pubblicate, non sono opponibili ai terzi con eccezione del caso in cui essi abbiano intenzionalmente agito a danno della società. Nei fatti di causa non v'è traccia di condotte professionali ed intenzionali tese a danneggiare la società. Si può sanare il difetto di rappresentanza processuale. Il difetto dello ius postulandi , osserva la Suprema Corte, è stato contestato dalla cooperativa ab initio , tuttavia, non è mai stato oggetto di espressa attenzione da parte del giudicante. Osserva la Corte che, ex articolo 182 c.p.c., in caso di difetto di rappresentanza ex articolo 75 c.p.c. capacità processuale o articolo 77 c.p.c. rappresentanza del procuratore o dell'institore , il giudice ha l'obbligo di rilevare il difetto e fissare un termine per consentire la regolarizzazione. Detta disposizione risulta addirittura rafforzata dalla riforma numero 69/2009. Sul punto, Cass. numero 13688/2001 «A norma dell'articolo 182 comma 2 c.p.c. il giudice può assegnare alle parti un termine per la costituzione della persona alla quale spetta la rappresentanza in giudizio o per il rilascio della necessaria procura o autorizzazione, salvo che si sia avverata una decadenza. Tutto ciò, come rilevato dalla giurisprudenza di questa Corte regolatrice, evidenziata da parte ricorrente, nella previsione del possibile recupero anche di atti processuali affetti da difetto di rappresentanza cfr. anche sent. numero 4652-1996 ». Ancora, il difetto di legittimazione della persona fisica che agisca in giudizio in rappresentanza di un ente, può essere sanato in qualsiasi stato e grado del giudizio – Cass. numero 23670/2008 - «Il difetto di legittimazione processuale della persona fisica che agisce in giudizio in rappresentanza di un ente può essere sanato in qualunque stato e grado del giudizio con efficacia retroattiva, con riferimento a tutti gli atti processuali già compiuti per effetto della costituzione in giudizio del soggetto dotato dell'effettiva rappresentanza dell'ente stesso, il quale manifesti la volontà, anche tacita, di ratificare la precedente condotta difensiva del falsus procurator ». Per l'effetto, i giudici hanno rilevato la mancata assegnazione del termine utile a sanare il difetto della procura, escluso la responsabilità per colpa grave del professionista e, in fine, rinviato ad altra sezione di corte d'appello che, attenendosi ai principi di diritto enunciati, decida la questione nel merito della contesa.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 5 giugno – 11 luglio 2012, numero 11743 Presidente Schettino – Relatore Carrato Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 26 giugno 2001 la Cooperativa Aurora III proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo numero 175 del 2001 emesso dal Presidente del Tribunale di Chiavari con il quale le si intimava il pagamento, in favore dell'Avv. Q.E. , della somma capitale di L. 7.649.320 oltre interessi e spese del procedimento monitorio , liquidata a titolo di compenso per prestazioni professionali svolte in relazione agli appelli proposti avverso le due sentenze nnumero 41 e 42 pronunciate dal vice-pretore di Chiavari il 14 febbraio 1998 con le quali erano state dichiarate inammissibili le domande proposte da essa Cooperativa contro i soci Russo Cataldo e Stabile Michele, per essere il predetto difensore munito di procura conferitagli dal solo presidente della Cooperativa, e ciò in difformità della previsione al riguardo contenuta nello statuto sociale che imponeva il conferimento congiunto del mandato in capo al presidente ed al segretario . In via riconvenzionale la Cooperativa opponente chiedeva, altresì, la condanna dell'Avv. Q. al risarcimento dei danni per colpa grave ai sensi dell'articolo 2236 c.c., con domanda limitata all' an debeatur . Nella costituzione del professionista opposto, l'adito Tribunale di Chiavari, con sentenza numero 902 del 2002 depositata il 20 novembre 2002 , accoglieva l'opposizione e, per l'effetto, revocava il decreto ingiuntivo e condannava l'opposto al risarcimento dei danni per il titolo dedotto in giudizio, da liquidarsi in separata sede, oltre che alle spese giudiziali. Interposto appello avverso la suddetta sentenza da parte dell'Avv. Q. , nella costituzione dell'appellata, la Corte di appello di Genova, con sentenza numero 815 del 2005 depositata il 1 settembre 2005 , rigettava il gravame, ritenendo destituite di fondamento tutte le censure formulate dall'appellante. In particolare, la Corte territoriale rilevava l'infondatezza della doglianza di accreditare la ritualità della costituzione in giudizio della Cooperativa in persona del solo presidente, e con essa la legittimazione dello stesso presidente al conferimento, in via esclusiva, dello ius postulandi al difensore, poiché l'articolo 32 dello statuto sociale stabiliva che la rappresentanza e la firma sociale spettavano congiuntamente al presidente e al segretario, i quali, perciò, erano abilitati a nominare difensori nelle liti attive e passive riguardanti la società, senza che l'Avv. Q. potesse esercitare tale ius postulandi” conferitogli in precedenza per altre controversie sociali e senza che l'errore precedentemente commesso potesse convertirsi in causa di giustificazione della reiterazione dello stesso essendo, oltretutto, inconfigurabili gli estremi di un giudicato esterno . La Corte distrettuale ravvisava, altresì, che la responsabilità del suddetto professionista era, per l'appunto, riconducibile alla circostanza di aver impostato e condotto l'iniziativa giudiziale in modo microscopicamente errato sotto il profilo del presupposto fondamentale per l'accoglibilità della domanda della Cooperativa, quale quello della capacità processuale e del valido conferimento dello ius postulandi , senza trascurare che, poiché nella situazione processuale venutasi a configurare non era ragionevolmente prevedibile un esito favorevole di un ricorso per cassazione, rimaneva irrilevante accertare se l'aver consentito il passaggio in giudicato della decisione sfavorevole fondata sulla menzionata questione processuale fosse attribuibile ad autonoma determinazione della Cooperativa. Avverso la citata sentenza di secondo grado non notificata ha proposto ricorso per cassazione l'Avv. E Q. , articolato in quattro motivi, in ordine al quale l'intimata Cooperativa non ha svolto attività difensiva in questa sede. Motivi della decisione 1. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto - ai sensi dell'articolo 360, comma 1, numero 3, c.p.c. - la violazione e falsa applicazione degli articolo 1362, 1363 e 1367 c.c. per aver l'impugnata sentenza ritenuto la responsabilità di esso ricorrente sulla base di una non corretta interpretazione dello statuto della Cooperativa, con riferimento all'individuazione dei poteri di rappresentanza della stessa, e per aver, quindi, rilevato che lo stesso ricorrente aveva agito in difetto di una valida procura ovvero di una procura giudiziale a firma del solo amministratore presidente, e non anche con firma dell'amministratore segretario . 2. Con il secondo motivo il ricorrente ha denunciato, ancora ai sensi dell'articolo 360, comma 1, numero 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli articolo 77 e 182 cpc. per aver la sentenza impugnata ritenuto responsabile esso ricorrente per la procura rilasciata in modo asseritamente invalido dal solo presidente della Cooperativa, senza che, nella fattispecie, fosse stato esercitato il potere giudiziale di regolarizzazione del supposto difetto di rappresentanza ai sensi dell'articolo 182 c.p.c. e dovendosi, in ogni caso, addebitare le conseguenze negative di tale difetto di rappresentanza, riflettentesi sulla validità della procura ad litem , alla stessa società cooperativa costituita in giudizio. 3. Con il terzo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata, ai sensi dell'articolo 360, comma 1, numero 5, c.p.c., per aver deciso senza alcuna considerazione motivazionale in merito al ritenuto danno sia nell'an che nel quantum patito dalla Cooperativa quale asserita conseguenza del comportamento di esso ricorrente quale difensore, nonché - in virtù dell'articolo 360, comma 1, numero 3, c.p.c. - per violazione e falsa applicazione dell'articolo 1460 c.c., avendo ritenuto l'inadempimento del mandato da parte sua. 4. Con il quarto motivo il ricorrente ha inteso far valere il vizio di motivazione articolo 360, comma 1, numero 5, cpc per aver l'impugnata sentenza omesso di pronunciarsi sulla richiesta di prova orale di esso appellante, riguardante il punto decisivo alla stregua del quale il Presidente ed il segretario della Cooperativa avevano manifestato la volontà di voler proseguire il giudizio in appello in cui erano rappresentati dallo stesso ricorrente ritenendo la validità della procura conferita dal solo Presidente. 5. Rileva il collegio che, sul piano logico, assume valore preliminare e pregnante l'esame del secondo articolato motivo. Esso è fondato e deve, pertanto, essere accolto nei termini che seguono. La Corte di appello di Genova, nella sentenza impugnata, ha essenzialmente ritenuto che l'avv. Q. era incorso nella dichiarata responsabilità professionale in relazione al disposto dell'articolo 2236 c.c. per aver patrocinato la difesa della intimata società Cooperativa, in due cause celebratesi e definite con sentenza di inammissibilità delle domande dal vice-pretore di Chiavari nel 1998, sulla base di una procura invalidamente conferita perché attribuita al predetto difensore dal solo presidente della società e non anche dal segretario in conformità di apposita previsione contenuta nell'ari 32 dello statuto sociale , perseverando nel patrocinare gli interessi della società, nelle predette due cause e malgrado la declaratoria di inammissibilità delle domande in prima istanza per la specificata ragione, anche nei due giudizi di appello sulla scorta della procura come originariamente conferita, conclusisi con sentenze di improcedibilità dei gravami. In sostanza, la Corte territoriale ha rilevato che la responsabilità del professionista non poteva ravvisarsi nel solo fatto di aver perorato una tesi diversa da quella accolta in sentenza , ma nel fatto - come già evidenziato - di aver impostato e condotto l'iniziativa giudiziale in modo radicalmente e macroscopicamente errato sotto il profilo di un elementare e fondamentale presupposto dell'accoglibilità della domanda della società Cooperativa, quale quello della capacità processuale e del valido conferimento dello ius postulandi . Osserva il collegio che la ricostruzione operata con riferimento alla rilevata responsabilità professionale dell'avvocato Q. in relazione alla ritenuta applicabilità dell'articolo 2236 c.c. non si prospetta logicamente rispondente ai principi giuridici sviluppati in materia dalla giurisprudenza di questa Corte, con particolare riferimento alla disciplina della rappresentanza processuale, del conferimento della procura ad litem ed ai limiti dei poteri di controllo e di ingerenza che il difensore deve al riguardo esercitare nei confronti della parte rappresentata in giudizio, con conseguente inconfigurabilità, nella fattispecie, dei presupposti per ravvisare la suddetta responsabilità. Nel caso in esame, al di là della possibile discutibilità della portata delle norme statutarie in ordine all'individuazione dei soggetti effettivamente legittimati al conferimento della procura che costituisce oggetto del primo motivo e della pacifica circostanza che la Cooperativa si era costituita - in precedenti plurimi giudizi - in virtù della procura ad litem conferita dal solo presidente senza alcuna negativa conseguenza processuale , è emerso che, nei giudizi conclusisi con la sentenza di inammissibilità della domanda per difetto di ius postulandi” dell'avv. Q. , questa eccezione era stata formulata ab initio dalle controparti che di identificavano, peraltro, con due soci della medesima società senza che il giudice investito delle cause avesse adottato appositi provvedimenti anche interlocutori al riguardo, disponendo per il loro prosieguo. Con riferimento a tale eventualità questa Corte v. Cass. numero 5709 del 1997 e, per riferimenti più generali, Cass. numero 12574 del 2000 e Cass. numero 13688 del 2001 ha già avuto modo di puntualizzare che, nel caso ad esempio in cui il soggetto costituito in giudizio sia diverso dall'effettivo titolare del diritto e non risulti a lui espressamente conferita la rappresentanza processuale in virtù dell'articolo 75 c.p.c. od ai sensi dell'articolo 77 cpc. ipotesi che ricomprende, sul piano logico, il caso riconducibile alta questione dedotta nella presente controversia - di portata minore -in cui la rappresentanza processuale di una persona giuridica sia per statuto necessariamente attribuita, in via congiunta, a più soggetti e solo uno di essi abbia, invece, rilasciato la procura , il giudice ha l'obbligo, in base al successivo articolo 182 c.p.c. il quale, peraltro, a seguito della legge novellatrice numero 69 del 2009, è stato esplicitamente riferito anche al vizio che determina la nullità della procura al difensore di rilevarne il difetto, restando attribuita al suo prudente apprezzamento la possibilità della eventuale sanatoria dello stesso da ciò consegue che, qualora emerga tale difetto di rappresentanza, né la mancata produzione in giudizio del negozio rappresentativo, né l'eventuale accertata inidoneità di tale atto a conferire una valida rappresentanza processuale possono dar luogo a responsabilità del difensore, spettando all'organo giudiziario sia la verifica della regolare costituzione delle parti, sia la decisione sulla possibilità ed opportunità di sanare le eventuali irregolarità così che, in ogni caso, l'esito della lite sarà determinato dal difetto di rappresentanza processuale del soggetto costituito in giudizio e non dall'eventuale negligenza del difensore . Oltretutto, non può mancarsi di ricordare che - secondo la giurisprudenza di questa Corte assolutamente prevalente cfr., ad es., Cass. numero 272 del 1998 Cass. numero 15031 del 2000 Cass. numero 2270 del 2006 Cass. numero 21811 del 2006 e, da ultimo, Cass. numero 23670 del 2008 - il difetto di legittimazione processuale della persona fisica che agisca in giudizio in rappresentanza di un ente può essere sanato, in qualunque stato e grado del giudizio e, dunque, anche in appello , con efficacia retroattiva e con riferimento a tutti gli atti processuali già compiuti, per effetto della costituzione in giudizio del soggetto dotato della effettiva rappresentanza dell'ente stesso, il quale manifesti la volontà, anche tacita, di ratificare la precedente condotta difensiva del falsus procurator , specificandosi che tanto la ratifica, quanto la conseguente sanatoria,devono ritenersi ammissibili anche in relazione ad eventuali vizi inficianti la procura originariamente conferita al difensore da soggetto non abilitato a rappresentare la società in giudizio, trattandosi di atto soltanto inefficace e non anche invalido per vizi formali o sostanziali, attinenti a violazioni degli articolo 83 e 125 c.p.c. Peraltro, sotto un profilo sostanziale, si evidenzia che, ai sensi dell'articolo 2384 c.c. dettato in tema di società per azioni ed applicabile anche alle società cooperative in forza del rinvio contenuto nell'articolo 2519 c.c. cfr. Cass. numero 8956 del 2000 le eventuali limitazioni ai poteri degli amministratori che risultano dallo statuto il quale ha, peraltro, rilevanza meramente interna e da una decisione degli organi competenti non sono opponibili ai terzi, anche se pubblicate, salvo che si provi che questi abbiano intenzionalmente agito a danno della società. Nella fattispecie, non essendo rimasta riscontrata quest'ultima circostanza, appare chiaro che se, in base allo statuto, il presidente avesse ritenuto che la procura ad litem doveva essere necessariamente conferita al difensore congiuntamente al segretario, egli avrebbe dovuto renderne edotto il mandatario, in modo tale da consentire il rilascio in suo favore di una procura valida e pienamente efficace ai fini di una rituale costituzione in giudizio del resto si ricorda che la procura è, pur sempre, un atto unilaterale, con l'accollo dei relativi rischi, conseguenti all'esercizio del potere di disposizione, in capo allo stesso autorizzante cfr., in generale, S.U. numero 22234 del 2009 . Pertanto, qualora il presidente della società cooperativa avesse ritenuto la procura, così come rilasciata originariamente, non validamente conferita sulla scorta delle previsioni statutarie per come ritenuto con le sentenze di primo grado nei due giudizi definiti dal vice pretore di Chiavari con le sentenze nnumero 41 e 42 dei 1998, nonostante tale difetto non fosse stato mai rilevato in altri pregressi giudizi , non avrebbe dovuto autorizzare la proposizione degli appelli, poi dichiarati improcedibili, non potendosi far ricadere - diversamente da quanto ritenuto dalla Corte territoriale - la responsabilità di tale scelta relativa ad una questione giuridica presumibilmente non univocamente risolvibile e, perciò, anche obiettivamente controvertibile sia avendo riguardo ai precedenti giudizi instaurati sulla base di una procura conferita secondo la stessa modalità che al mancato esercizio dei poteri giudiziali previsti dall'articolo 182 c.p.c. sul difensore, nei cui confronti, ove fosse venuto meno il rapporto di fiducia sotteso al contratto di mandato, avrebbe potuto esercitare il potere di revoca della procura formalizzandola secondo le disposizioni statutarie ritenute effettivamente applicabili . Oltretutto, bisogna sottolineare che, in generale, il potere certificativo, attribuito al difensore dall'articolo 83, comma 3, c.p.c., dell'autografia della sottoscrizione della parte, non si estende alla legittimazione, ai poteri e alla capacità della persona fisica che conferisce la procura in qualità di legale rappresentante di un persona giuridica cfr. Cass. numero 6815 del 2001 e Cass. numero 5054 del 2003 , evidenziandosi, altresì, che il mandato ex articolo 83 c.p.c. concerne la legittimazione c.d. esterna del difensore e non il rapporto interno fra costui e il cliente cfr. Cass. numero 187 dei 1973 . 6. In definitiva, alla stregua delle esposte ragioni, deve essere accolto il secondo motivo del ricorso con il correlato assorbimento degli altri , a cui consegue la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa che dovrà proseguire ai fini della cognizione delle complessive domande riconducibili alla proposta opposizione a decreto ingiuntivo ad altra Sezione della Corte di appello di Genova che si uniformerà ai principi di diritto precedentemente enunciati e, in particolare, a quello secondo cui non è configurabile la responsabilità professionale dell'avvocato - in relazione alla previsione di cui all'articolo 2236 c.c. - nel caso in cui egli abbia rappresentato in giudizio una società cooperativa sulla base di una procura ad litem conferita, ai sensi dell'articolo 83, comma 3, c.p.c., dal solo presidente di detta società qualificatosi come legale rappresentante in presenza di una clausola statutaria limitativa di tale attività mediante la previsione del potere di rilascio di procure in capo allo stesso presidente ma congiuntamente al segretario, senza averne reso edotto il professionista nei cui confronti non poteva considerarsi opponibile ed aver autorizzato la prosecuzione del giudizio di appello dopo la dichiarazione di inammissibilità della domanda in primo grado all'esito di un giudizio in cui il giudice, pur a fronte della formulazione della relativa eccezione, non si era avvalso dei poteri contemplati dall'articolo 182 c.p.c Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese della presente fase. P.Q.M. La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso e dichiara assorbiti gli altri. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra Sezione della Corte di appello di Genova.