Custodia in carcere per gli accusati di associazione per delinquere e falso per induzione

La falsità ideologica per induzione è configurabile anche rispetto ad una sentenza che, pur manifestando un giudizio a contenuto discrezionale, presuppone premesse necessarie per la sua adozione quali la legittimazione processuale del difensore , quando tali presupposti, in realtà inesistenti, siano stati manifestati falsamente traendo in inganno l’autore della sentenza.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 5861 del 6 febbraio 2014. Il caso. Singolare si spera il caso di tre avvocati che collaboravano tra loro al fine di commettere una serie di reati, in realtà diretti ad ottenere – attraverso un meccanismo fraudolento – il pagamento delle spese di giudizio. Nello specifico, secondo l’impostazione accusatoria, i tre soggetti – ognuno per lo specifico compito – acquisivano documentazione necessaria a predisporre un ricorso intestato ad una persona fisica che si assumeva fosse cliente di una nota compagnia telefonica. Dopo il reperimento dei nominativi da parte di un primo avvocato, un altro legale si costituiva in giudizio, sulla base di un mandato sottoscritto falsamente da un altro. Associazione a delinquere. Secondo la prospettiva dell’accusa, ognuno dei tre colleghi aveva un compito preciso nel meccanismo truffaldino orchestrato e destinato ad essere riproposto in un numero indeterminato di ricorsi. Preliminarmente, la Corte di Cassazione premette come non le non competa ingerirsi sulla ricostruzione dei fatti svolta dal giudice cautelare, bensì solo controllare che alla base del provvedimento vi sia un concreto apprezzamento delle risultanze processuali e che la motivazione non sia meramente assertiva o palesemente affetta da errori logico-giuridici. In altre parole, la Cassazione controlla la legittimità della motivazione delle ordinanze custodiali sotto il profilo della congruenza e coordinazione logica dell’apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza nonché la valenza degli indizi ciò premesso la Corte afferma che la motivazione del giudice cautelare non può essere intaccata dalle censure proposte. Con specifico riferimento al reato associativo non può sorvolarsi sul punto – evidenziato nella motivazione del giudice cautelare – riguardante la consapevolezza di ciascuno dei compartecipi circa il ruolo e l’attività svolta dagli altri. Privo di valenza probatoria veniva confermato essere l’accordo professionale esistente tra due dei tre legali che il Tribunale del Riesame definiva un paravento ufficiale apparentemente legale che valeva a copertura di un accordo assolutamente illecito, perché espressione di un programma illegale. Falso per induzione. Gli indagati erano accusati di associazione a delinquere, falsità in scrittura privata e falsità ideologica in certificati, in relazione alle firme false apposte in calce ai mandati e alla falsità delle autentiche, nonché di truffa aggravata a carico del gestore telefonico. Inoltre, erano indagati di falso ideologico per induzione, dove l’atto pubblico era rappresentato dai provvedimento dei giudici di pace che accoglievano le domande dei ricorrenti, senza avvedersi che, in realtà, le domande erano inammissibili perché derivanti da un ricorso soggettivamente inammissibile. Gli atti introduttivi erano, infatti, proposti da soggetti privi di legittimazione ad agire, deceduti, ignari o addirittura non titolari di contratto con il gestore telefonico. Il giudice cautelare aveva in proposito affermato che il difensore che autentica una sottoscrizione apocrifa pone in essere una condotta di induzione in errore del giudice, errore che attiene all’esistenza nel caso concreto dei presupposti logico-giuridici indispensabili per provvedere, vale a dire la legitimatio in ius e la legitimatio ad causam . Lo schema del c.d. autore mediato. L’accusa sosteneva l’applicabilità dello schema del c.d. autore mediato, dove l’autore del provvedimento giurisdizionale pubblico ufficiale era indotto in errore. In proposito, le Sezioni Unite hanno affermato che l’autore mediato è colui il quale determinata in altri l’errore sul fatto costituente reato, fatto che l’autore immediato commette in buona fede proprio perché tratto in inganno. Affinché l’autore mediato risponda del reato è necessario che abbia posto in essere una condotta causalmente e consapevolmente predeterminata ad indurre in errore chi dovrà commettere il fatto costituente reato. In altre parole, se i fatti giuridicamente rilevanti il mandato alle liti, ad esempio sono connessi indiscutibilmente con la parte dispositiva di un provvedimento a contenuto dispositivo quale è la sentenza del giudice di pace , perché ne costruiscono i presupposti, si può configurare il falso ideologico per induzione. Il falso presupposto deve riguardare un fatto di cui il pubblico ufficiale è destinato a provare la verità. Sotto il profilo naturalistico, si configurano due condotte entrambe riconducibili a chi induce in errore dal rapporto di causa-effetto tra il fatto attestato dal privato e il contenuto dispositivo del provvedimento del pubblico ufficiale logicamente connessi, deriva che la falsità del primo si ripercuote sul secondo e che, pertanto, la falsità dell’attestazione diventa falsa attestazione del pubblico ufficiale su fatti falsamente dichiarati. Corretta la competenza territoriale. Il giudice per le indagini preliminari aveva determinato correttamente la competenza per territorio poiché era ignoto il luogo di perfezionamento del reato più grave l’associazione a delinquere , occorreva fare riferimento al reato più grave o più risalente nel tempo tra quelli residui. Nel caso di specie, l’ambito territoriale del residuo reato più grave la falsità per induzione era quello di Santa Maria Capua a Vetere, dove erano state esercitate le azioni legali davanti al Giudice di Pace tratto in inganno.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 20 dicembre 2013 – 6 febbraio 2014, n. 5861 Presidente Lombardi – Relatore Lignola Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 20 febbraio 2013 il Gip del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere disponeva la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di V.B. , C.D.C. e A.B. , per i delitti di associazione per delinquere e di falsità ideologica per induzione in atto pubblico, realizzati attraverso la materiale apposizione di firme false - perché riferite a clienti ignari o deceduti - sui mandati di conciliazione depositati presso la Camera di Commercio di Napoli e quindi sui mandati ad litem per la proposizione di ricorsi relativi al rimborso delle spese di spedizione della fattura e/o ai canoni di abbonamento nei confronti della Telecom S.p.A., presentati dinanzi al giudice di pace di Santa Maria Capua Vetere. 1.1 Secondo la prospettazione accusatoria, recepita dal giudice per le indagini preliminari, i tre indagati avevano messo in atto un meccanismo fraudolento per effetto del quale si otteneva dal giudice di pace di Santa Maria Capua Vetere la condanna di Telecom Italia S.p.A., anche al pagamento delle spese di giudizio, nonostante l'assoluta inammissibilità del ricorso, proposto in nome di persone defunte o del tutto inconsapevoli. Il reato associativo era dedotto dall'indeterminatezza dei reati scopo e dalla specifica divisione dei compiti, in forza di un accordo iniziale destinato a durare nel tempo ed a riproporsi ogni volta che si acquisiva la documentazione necessaria per predisporre un ricorso intestato a persona fisica che si assumeva fosse cliente Telecom V.B. curava la fase di conciliazione, sulla base di mandati contraffatti dallo stesso legale A.B. si costituiva in giudizio, sulla base di un mandato mai rilasciatogli C.D. si occupava dell'individuazione dei nominativi per i quali doveva essere presentato ricorso e curava la fase esecutiva, per il recupero delle spese legali liquidate dal giudice della cognizione. 1.2 I reati per i quali era emesso il titolo custodiale sono quelli dell'associazione a delinquere e del falso ideologico per induzione, nel quale l'atto pubblico è rappresentato dalle sentenze dei giudici di pace di accoglimento delle domande dei ricorrenti, rispetto a domande in realtà inammissibili, in quanto proposte per conto di soggetti privi di legittimazione ad agire, deceduti, ignari o addirittura non titolari di contratto con il gestore telefonico. Agli indagati sono altresì contestati i delitti di falsità in scrittura privata e falsità ideologica in certificati, in relazione alle firme false apposte in calce ai mandati ad litem ed alle falsità delle autentiche, nonché di truffa aggravata in danno della società Telecom S.p.A 1.3 In esito all'interrogatorio di garanzia, il giudice per le indagini preliminari sostituiva la misura custodiale con quella meno gravosa dell'obbligo di dimora nei confronti del solo A.B. , tenuto conto dell'atteggiamento collaborativo assunto dal prevenuto, attraverso l'immediata segnalazione di ulteriori fascicoli processuali, frutto della medesima modalità di condotta, e la successiva rinuncia ai mandati in corso. 2. Con ordinanza del 18 marzo 2013, il Tribunale di Napoli ha rigettato le richieste di riesame proposte dagli indagati, confermando le misure cautelari in atto. 2.1 Il Tribunale ha condiviso e confermato l'inquadramento giuridico della condotta contestata, con particolare riferimento al falso per induzione in relazione alle sentenze del giudice di pace, osservando che attraverso l'autentica di una sottoscrizione apocrifa, relativa a persona che mai ebbe a conferire alcun incarico professionale, il difensore non si limita ad una mera certificazione di autografia di una firma non apposta in sua presenza, riconducibile all'articolo 485 cod. pen., con la conseguenza di una sentenza errata in ordine alla fondatezza della pretesa, ma pone in essere una condotta di induzione in errore del giudice in ordine alla sussistenza dei presupposti logico giuridici necessari per l'adozione del provvedimento, ossia la legitimatio in ius e quella ad causam . 3. Contro l'ordinanza del Tribunale di Napoli propongono ricorso per cassazione tutti e tre gli indagati. 4. A.B. ha proposto due ricorsi, il primo dei quali sottoscritto dal difensore, avv. Alfonso Quarto, affidato ad unico motivo, con il quale si deduce violazione dell'articolo 606 lettera C, D ed E, cod. proc. pen., con riferimento agli artt. 273, 292, comma 2, lettera C e C bis cod. proc. pen. e 48, 479 e 416 cod. pen 4.1 In primo luogo si lamenta mancanza e/o apparenza di motivazione e manifesta illogicità in relazione alle difese prospettate con memoria depositata in udienza e riguardanti l'esistenza di un contratto tra l'indagato e l'avv. C. , in base al quale era il secondo a reperire tutta la documentazione necessaria per i ricorsi ed a raccogliere le firme poi autenticate dal primo, sicché l'A. svolgeva la propria attività in completa buona fede, potendo fare completo affidamento sul rispetto del contratto da parte del C. e dunque anche sull'autenticità delle sottoscrizioni. Inoltre si richiama l'orientamento giurisprudenziale e del Consiglio Nazionale Forense in base al quale l'avvocato può delegare un collega a raccogliere la firma del cliente e successivamente autenticarla, senza commettere illecito deontologico. 4.2 Sotto altro profilo si contesta la motivazione in ordine al delitto associativo, ritenuta carente e manifestamente illogica, laddove indica un meccanismo in sé perfettamente lecito, ovvero la presentazione di ricorsi per centesimi di Euro idonea a fruttare spese processuali per centinaia di Euro, come sintomatico di un'associazione a delinquere e trasforma un accordo lecito tra avvocati in un elemento di organizzazione del sodalizio. 4.3 Infine si censura la qualificazione giuridica del falso per induzione, sia perché a giudizio del ricorrente è necessario che a monte vi sia un falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico, sia perché la decisione del giudice, che si assume essere falsa , è in realtà frutto di attività discrezionale e non può rientrare nello schema del rapporto causa-effetto descritto dall'articolo 48 cod. pen 4.4 Con riferimento alle esigenze cautelari, il ricorrente deduce carenza di motivazione, sia con riferimento agli elementi prospettati dalla difesa l'indagato ha reso spontanee dichiarazioni ha consegnato il contratto e una serie di fascicoli sfuggiti alla perquisizione ha rinunciato a tutti i mandati e alle azioni intraprese contro Telecom e non ha più patrocinato in alcuna procedura contro detta società , sia con riferimento all'attualità del pericolo di reiterazione dei reati. 5. A.B. ha proposto un secondo ricorso, sottoscritto dal difensore, avv. S.G. , affidato a due motivi. 5.1 Con il primo motivo si deduce violazione di legge e difetto di motivazione in relazione agli artt. 110, 48, 479, 416 e 640 cod. pen., poiché l'oggettiva falsità delle firme, ove ritenuta dimostrata attraverso una perizia a campione, nulla dice in relazione alla consapevolezza in capo all'indagato di tale falsità, tenuto conto delle particolari modalità di conferimento dei mandati, raccolti dai colleghi e successivamente autenticati dall'indagato, nella piena convinzione che le firme provenissero dai titolari, data la qualità dei rapporti intercorsi con gli altri colleghi e la tipologia seriale dei ricorsi da proporre. L'assenza di motivazione, che per il ricorrente è anche grafica , perché assoluta, si desume dalla mancata considerazione proprio delle modalità di conferimento dei mandati, poiché il Tribunale desume il dolo dell'A. dalla oggettività dei fatti, ossia dalla circostanza che questi non abbia acquisito in prima persona le firme autenticate. 5.2 Quanto poi alla falsità per induzione, si sottolinea l'incompatibilità con lo schema di cui all'articolo 48 cod. pen. della decisione di un giudice, caratterizzata da piena discrezionalità la norma penale sostanziale richiede, ai fini dell'induzione, che esista un rapporto immediato di causa-effetto tra la condotta inducente e quella indotta, cosa che non sarebbe possibile ipotizzare rispetto ad una sentenza. 5.3 In ordine al reato associativo si contesta la motivazione del Tribunale, fondata sulla prova logica, poiché si rileva che il procedimento di inferenza logica è possibile solamente laddove la premessa del ragionamento sia assolutamente certa ed inequivoca e la sua conseguenza sia certamente ed inequivocamente dimostrativa della responsabilità penale. Venuto meno il presupposto di partenza, ossia il concorso nella falsità delle autenticazioni, per le ragioni già indicate, la serialità dei ricorsi e la divisione dei compiti sulla base della scrittura privata di collaborazione professionale - e dunque il mero svolgimento della propria attività professionale - diventano elementi neutri, che si prestano a lettura alternativa e non consentono dunque la deduzione di una gravità indiziaria. 5.4 Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e difetto di motivazione in relazione all'art. 274 cod. proc. pen., poiché il Tribunale del riesame non ha preso in considerazione gli elementi specifici favorevoli all'indagato e risultanti dagli atti processuali già prima dell'emissione dell'ordinanza cautelare, quali la perquisizione operata nel marzo 2010, la successiva attività del ricorrente di collaborazione con l'autorità giudiziaria e di dismissione dei mandati, nonché il contratto di collaborazione con l'avv. C. . 6. V.B. ha proposto due ricorsi, il primo dei quali sottoscritto dal difensore, avv. M.G. , affidato a quattro motivi. 6.1 Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione dell'articolo 606 lettera C, in relazione all'art. 8 cod. proc. pen., poiché a suo giudizio l'ordinanza applicativa della misura cautelare è stata emessa da un giudice territorialmente incompetente, per essere competente il G.I.P. presso il Tribunale di Napoli, individuato in relazione al reato associativo, certamente più grave, la cui consumazione ha avuto inizio a Napoli, secondo la stessa ipotesi accusatoria. Il ricorrente sottolinea che nel circondario di Napoli sono ubicate le sedi delle associazioni e dei patronati in cui è stata raccolta la documentazione degli utenti Telecom, utilizzata per predisporre i ricorsi a Napoli ha sede lo studio legale presso il quale sono state predisposte le domande di conciliazione e sono state apposte le firme false. 6.2 Con il secondo motivo si deduce violazione dell'articolo 606 lettera B, in relazione all'art. 479 cod. pen., poiché la condotta dell'indagato si sostanza in una falsa certificazione, sanzionabile ai sensi dell'articolo 485 cod. pen., che non può rappresentare un antecedente logico dell'atto del pubblico ufficiale. 6.3 Con il terzo motivo si deduce violazione dell'articolo 606, lettera B, C ed E, in relazione agli artt. 274, 292, comma 2 lettera C bis e 309, comma 9, cod. proc. pen., poiché l'ordinanza impugnata non ha valutato gli apporti probatori delle difese ed ha travisato i fatti rispetto alle risultanze di specifiche fonti di prova. Quanto al primo aspetto si ribadisce che il ricorso preventivo alla procedura conciliativa rispetto all'instaurazione del giudizio dinanzi al giudice di pace non è obbligatorio, per cui del tutto errata è la motivazione che fa leva proprio su tale procedura per dedurre un ruolo essenziale dell'indagato nell'associazione. In ordine al secondo aspetto si sottolinea l'errore del Tribunale, laddove ha ritenuto necessaria l'autentica del difensore anche nella fase conciliativa, nella quale invece è sufficiente la mera sottoscrizione del privato. A giudizio del ricorrente il Tribunale ha erroneamente applicato la regola metodologica fissata dall'articolo 192, comma 2, cod. proc. pen. nell'apprezzamento degli indizi, pervenendo ad una motivazione illogica e contraddittoria, viziata dall'erronea valutazione del materiale probatorio acquisito in particolare dal travisamento dei dati oggettivi e dalle dichiarazioni rese dagli indagati il Tribunale ha disatteso, senza neppure esprimersi sulla fondatezza dei rilievi metodologici, la consulenza grafologica redatta per la difesa dall'avv. prof. M.G. , la quale confutava l'unico indizio di colpevolezza a carico del V. , rappresentato dalla falsificazione delle sottoscrizioni alle istanze di conciliazione non ha considerato i rilievi difensivi sulle dichiarazioni della dottoressa M.A. , praticante avvocato presso lo studio V. , allontanata dallo studio per una serie di errori ed inadempienze. Secondo la tesi difensiva l'indagato si limitò a rendersi disponibile ad essere indicato quale domiciliatario nelle istanze di conciliazione in favore del C. , che egli conosceva come consulente di associazioni di consumatori, per cui l'attività conciliativa ben poteva giustificarsi quale tutela esclusiva dei consumatori stessi e non certo in vista di una successiva azione giudiziale la diversa ricostruzione dei fatti condivisa dal Tribunale di Napoli non ha tenuto conto di una serie di elementi quale la mancata partecipazione agli accordi economici tra gli avvocati C. e A. la presenza negli atti sequestrati dell'autorizzazione al trattamento dei dati personali con la firma del cliente falso, da conservare nel fascicolo di studio l'assenza di qualsiasi procedura in cui l'avv. V. abbia patrocinato cause relative a filoni contro la Telecom che avrebbero dovuto condurre ad escludere i gravi indizi di colpevolezza a suo carico. Con riferimento al reato associativo, si deduce carenza del requisito del vincolo associativo permanente, destinato a durare oltre la realizzazione degli specifici delitti di falso, nonché carenza dello scopo comune, poiché dal contratto che regola la divisione dei proventi viene escluso l'indagato. 6.3 Con il quarto motivo si deduce mancanza delle esigenze cautelari, poiché il Tribunale ha valorizzato la mancanza di provvedimenti interdittivi di competenza degli ordini professionali, così confermando che le esigenze potevano essere adeguatamente tutelate mediante misura interdittiva. 7. V.B. ha proposto un secondo ricorso, sottoscritto dal difensore, avv. R.A. , affidato a due motivi. 7.1 Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione dell'articolo 606 lettera B, in relazione agli artt. 8 e 9 cod. proc. pen., poiché a suo giudizio l'ordinanza applicativa della misura cautelare è stata emessa da un giudice territorialmente incompetente, per essere competente il G.I.P. presso il Tribunale di Napoli, individuato in relazione al reato associativo, certamente più grave, la cui consumazione ha avuto inizio a Napoli secondo la stessa ipotesi accusatoria, poiché il vincolo associativo si è costituito a Napoli e comunque la prima fase del programma associativo si è realizzato a Napoli, con la predisposizione e presentazione delle domande di conciliazione alla Camera di commercio. 7.2 Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell'articolo 606 lettera B ed E, in relazione agli artt. 192, commi 1 e 2 e 273 cod. proc. pen., per mancanza, apparenza, contraddittorietà ed omessa valutazione degli elementi favorevoli all'imputato in ordine gravi indizi di colpevolezza. Il ricorrente richiama l'insegnamento della giurisprudenza di legittimità che identifica i gravi indizi di colpevolezza previsti dall'articolo 273 del codice di rito, con gli indizi gravi, precisi e concordanti richiesti dall'articolo 192, comma 2, ai fini dell'accertamento della responsabilità. Secondo il ricorrente, trascurando gli elementi probatori di natura favorevole e le doglianze di parte, il Tribunale ha per un verso erroneamente applicato le regole di apprezzamento della prova indiziaria e dall'altra tradito il proprio obbligo di motivare sulle deduzioni difensive. In particolare si censura la valutazione di inattendibilità della consulenza grafologica di parte in ordine alle firme apocrife apposte sui mandati di conciliazione ed il travisamento delle dichiarazioni del coindagato C. , riguardante solamente i mandati riferibili all'A. , poiché invece le sottoscrizioni apposte alle richieste di conciliazione non recano alcuna autenticazione. 8. C.D.C. ha proposto ricorso, sottoscritto dal difensore, avv. D.B.D.C.U. , affidato a due motivi. 8.1 Con il primo motivo si deduce violazione dell'articolo 606 lettera B ed E, in relazione alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto associativo. Il ricorrente contesta, sotto il profilo della illogicità, che la presentazione di ricorsi seriali possa rappresentare un indizio di un'organizzazione sofisticata e dunque di una compagine associativa. Il ricorrente ricorda che l'organizzazione dell'attività professionale è una conseguenza necessitata proprio dal carattere seriale dei ricorsi ed è di per sé espressione di un'attività lavorativa lecita, soprattutto alla luce del contratto tra l'indagato e l'A. , evocativo di un accordo legittimo tra professionisti. Inoltre si sottolinea la mancanza di un elemento tipico della fattispecie associativa, rappresentato dalla indeterminatezza del programma criminoso, essendo l'accordo finalizzato alla presentazione di determinati ricorsi, aventi un preciso oggetto. 8.2 Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge penale relazione agli artt. 48 e 479 cod. pen., poiché il fatto andava sussunto nella previsione dell'art. 481 o al più dell'art. 485 cod. pen. essendo l'avvocato qualificabile come esercente di un servizio di pubblica necessità, l'autentica di firma rientra nella previsione della falsità ideologica commessa da persona esercente un servizio di pubblica necessità, come affermato proprio dalla Quinta Sezione di questa Corte sent. 22496 del 2005 , o del falso in scrittura privata sent. 3135 del 2003 e non integra illecito disciplinare laddove non attesti che la sottoscrizione sia avvenuta in presenza del professionista decisione del Consiglio Nazionale Forense del 28 dicembre 2005, n. 157 . Si esclude invece l'applicabilità dello schema del delitto di falso per induzione, che può verificarsi solamente laddove la falsa attestazione del dichiarante abbia rilievo nella parte a contenuto narrativo dell'atto falso, come documentazione di fatti o di situazioni influenti sulla decisione. Considerato in diritto 1. I ricorsi vanno rigettati. 1.1.1.1 Prima di esaminare i singoli motivi, è necessario ricordare che a questa Corte non possono essere sottoposti giudizi di merito, non consentiti neppure alla luce del nuovo testo dell'art. 606 cod. proc. pen., lettera E. Va infatti premesso che la modifica normativa di cui alla L. 20 febbraio 2006, n. 46 lascia inalterata la natura del controllo demandato alla Corte di cassazione, che può essere solo di legittimità e non può estendersi ad una valutazione di merito. Il nuovo vizio introdotto è quello che attiene alla motivazione, il cui vizio di mancanza, illogicità o contraddittorietà può ora essere desunto non solo dal testo del provvedimento impugnato, ma anche da altri atti del processo specificamente indicati è perciò possibile ora valutare il cosiddetto travisamento della prova, che si realizza allorché si introduce nella motivazione un'informazione rilevante che non esiste nel processo oppure quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronunzia. 1.2 Con specifico riferimento all'impugnazione dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame dei provvedimenti sulla libertà personale, l'ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell'indagato, ivi compreso l'apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l'applicazione della misura cautelare, nonché del Tribunale del riesame. Il controllo di legittimità sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all'esclusivo esame dell'atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di carattere positivo e l'altro negativo, la cui presenza rende l'atto incensurabile in sede di legittimità 1 l'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato 2 l'assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento Sez. 2, n. 56 del 07/12/2011 - dep. 04/01/2012, Siciliano, Rv. 251760 . 1.3 Inoltre il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze di riesame dei provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell'apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell'indagato e, dall'altro, la valenza sintomatica degli indizi. Tale controllo, stabilito a garanzia del provvedimento, non involge il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l'attendibilità delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. In particolare, il vizio di mancanza della motivazione dell'ordinanza del riesame in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non può essere sindacato dalla Corte di legittimità, quando non risulti prima facie dal testo del provvedimento impugnato, restando ad essa estranea la verifica della sufficienza e della razionalità della motivazione sulle questioni di fatto Sez. 2, n. 56 del 07/12/2011 - dep. 04/01/2012, Siciliano, Rv. 251761 . 2. Fatte queste premesse di ordine generale, appare evidente che alcune delle censure proposte dai ricorrenti attengono proprio al giudizio ricostruttivo del fatto. 2.1 In questa prospettiva vanno valutate le doglianze riguardanti l'elemento soggettivo del delitto di falso, proposte con il primo motivo di entrambi i ricorsi proposti da A. , poiché si tenta di accreditare una diversa lettura degli elementi investigativi e non si tiene conto di un elemento fondamentale che sorregge anche la motivazione in ordine alla sussistenza del reato associativo, ossia la consapevolezza in ciascuno degli indagati che peraltro non hanno negato di collaborare tra di loro del ruolo e dell'attività svolta dagli altri. 2.2 Per la stessa ragione deve ritenersi inammissibile anche la censura riguardante la sussistenza del delitto di associazione a delinquere che va comunque esaminata, perché il dispositivo di proscioglimento prodotto in udienza dal difensore privo di procura speciale non fa venir meno l'interesse alla decisione, in difetto di una valida rinuncia al motivo , rispetto al quale la motivazione dell'ordinanza è logica, coerente, priva di contraddizioni e le deduzioni dell'A. contenute in entrambi i ricorsi , del V. in entrambi i ricorsi e del C. primo motivo presuppongono una diversa ricostruzione dei fatti. A. e C. concordano nel ritenere di essersi limitati allo svolgimento di attività difensiva lecita in relazione a numerosi, ma predeterminati ricorsi di carattere seriale, come risulterebbe da una scrittura privata intervenuta tra di loro V. addirittura afferma di essersi limitato a consentire una domiciliazione in relazione ad una attività conciliativa, che neppure presupponeva una successiva presentazione di ricorsi in sede giudiziaria e tanto afferma, tra l'altro, sulla base della medesima scrittura privata che non lo riguardava. Nella prospettiva accusatoria, fatta propria dai giudici di merito, invece, ciascuno dei tre indagati aveva un preciso compito nel meccanismo truffaldino, concepito rispetto ad un numero indeterminato di affari C. procurava i nominativi dei ricorrenti V. curava la fase di conciliazione A. la fase contenziosa C. si occupava poi della fase esecutiva di recupero delle spese liquidate dai giudici di pace in danno della Telecom. In tale chiave di lettura, evidentemente, l'accordo tra A. e C. non ha alcuna valenza probatoria, poiché, come del tutto logicamente osserva il Tribunale per il riesame, esso rappresenta un paravento ufficiale, apparentemente legale, a copertura di un accordo assolutamente illecito, espressione di un programma illegale , che non fa venire meno il vincolo associativo tra i tre, che evidentemente era stato stipulato allo scopo di consentire a ciascuno di difendersi da eventuali accuse penali. 2.3 Manifestamente infondata, allora, è anche la censura proposta dell'A. al provvedimento del Tribunale di Napoli, di aver trascurato la deduzione difensiva in ordine al contratto con il C. il documento è stato valutato dai giudici del riesame, ma è stato ritenuto semplicemente espressione di un accordo simulatorio. 2.4 Ancora inammissibile deve considerarsi la censura di V. riguardante il suo ruolo nella vicenda e l'omessa considerazione della consulenza difensiva in ordine alla falsità delle sottoscrizioni in calce alle istanze di conciliazione terzo motivo del primo ricorso, sostanzialmente coincidente con il secondo motivo del secondo ricorso il Tribunale del riesame ha preso in esame specificamente la consulenza della difesa, ma l'ha ritenuta - almeno allo stato - meno attendibile di quella del pubblico ministero, poiché le valutazioni espresse partono da un dato di partenza scarsamente attendibile la valutazione dei documenti non in originale rispetto ad alcuni dei criteri utilizzati per escludere la paternità della scrittura dell'indagato le penne utilizzate, le carte oggetto di scrittura, l'inchiostro, le caratteristiche generali della grafia, quali la pressione, la continuità e il calibro . Anche la deduzione riguardante il carattere non essenziale della procedura conciliativa peraltro affermata solo da una parte della giurisprudenza di merito è stata espressamente disattesa, osservando che in tutte le procedure in cui sono emersi i falsi era sempre stata esperita tale procedura, che dunque, nel sistema in esame era, in concreto, una fase essenziale. A fronte di tale completa motivazione la valutazione del Tribunale appare incensurabile vi è soltanto da ribadire come nel giudizio di cassazione il controllo di legittimità sulle ordinanze emesse in sede di riesame è diretto semplicemente ad accertare che a base della pronuncia esista un concreto apprezzamento delle risultanze processuali e che la motivazione non sia puramente assertiva o palesemente affetta da errori logico-giuridici, mentre restano escluse da tale controllo le deduzioni che riguardano l'interpretazione e la specifica consistenza dei fatti indizianti, la valutazione comparativa della loro attendibilità, la scelta di quelli determinanti Sez. 6, n. 1909 del 18/06/1993, Pasquale, Rv. 194951 Sez. 2, n. 56 del 07/12/2011 - dep. 04/01/2012, Siciliano, Rv. 251760 . 3. Passando all'esame delle altre doglianze proposte dagli indagati, va presa in esame l'eccezione di incompetenza territoriale formulata da V. primo motivo di entrambi i ricorsi secondo il ricorrente la competenza territoriale si radica a Napoli, luogo in cui ha avuto inizio la consumazione del reato più grave di associazione a delinquere, secondo la previsione dell'art. 8, comma 3, cod. proc. pen In difetto di prova relativa al luogo ed al momento della costituzione dell'associazione, poi, occorreva far riferimento al luogo del primo reato commesso o comunque del primo atto diretto a commettere i delitti programmati, da individuare sempre in Napoli, poiché qui erano presentate le procedure di conciliazione. 3.1 Il motivo è infondato, poiché il giudice per le indagini preliminari ha fatto corretta applicazione della disciplina processuale riguardante la determinazione della competenza per territorio. Essendo infatti ignoto il luogo di perfezionamento del reato associativo, andava preso in considerazione il reato più grave fra quelli residui, secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte Sez. U, n. 40537 del 16/07/2009, Confl. comp. in proc. Orlandelli, Rv. 244330 qualora non sia noto il luogo di commissione del reato più grave o del primo reato non può farsi ricorso ai criteri suppletivi di cui all'art. 9 cod. proc. pen. in relazione a tale reato, ma deve farsi riferimento, in successione gradata, al reato più grave o anteriore nel tempo fra quelli residui. Con la precisazione, però, che il luogo di commissione del reato più grave o del primo reato va individuato utilizzando non solo le regole indicate nell'art. 8, ma eventualmente anche quella di cui al primo comma dell'art. 9, secondo cui se la competenza non può essere determinata a norma dell'art. 8, è competente il giudice dell'ultimo luogo in cui è avvenuta parte dell'azione o dell'omissione . Nel caso di specie il reato più grave fra quelli residui è quello di falsità per induzione, perfezionato sicuramente in Santa Maria Capua Vetere, poiché l'autorità giudiziaria innanzi alla quale erano esercitate le azioni legali era il giudice di pace di quella città. 4. Viene in rilievo a questo punto il motivo di ricorso, proposto da tutti gli indagati, riguardante la contestazione di falso per induzione in relazione alla sentenza del giudice di pace, schema ritenuto incompatibile con un provvedimento giurisdizionale espressione di piena discrezionalità, in base alle decisioni delle Sezioni Unite di questa Corte Sez. U, n. 1827 del 03/02/1995, Proietti, Rv. 200117 Sez. U, n. 35488 del 28/06/2007, Scelsi, Rv. 236868 , secondo le quali il delitto di falsa attestazione del privato di cui all'art. 483 cod. pen. può concorrere - quando la falsa dichiarazione sia prevista di per sé come reato - con quello della falsità per induzione in errore del pubblico ufficiale nella redazione dell'atto al quale la attestazione inerisca artt. 48 e 479 cod. pen. , sempre che la dichiarazione non veridica del privato concerna fatti dei quali l'atto del pubblico ufficiale è destinato a provare la verità. 4.1 Le difese contestano l'applicabilità dello schema del c.d. autore mediato con riferimento al caso di specie, poiché le condotte degli imputati si esauriscono nella falsità ideologica commessa da persona esercente un servizio di pubblica necessità tesi dell'indagato C. del falso in scrittura privata che non costituisce un antecedente logico dell'attività del pubblico ufficiale tesi dell'indagato V. , o comunque in una attività che resta relegata alla fase afferente al rapporto tra soggetto privato e difensore, senza determinare alcuna induzione al falso tesi di A. . 4.2 I motivi di ricorso sono infondati. 4.3 Secondo quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella prima delle due decisioni citate dalle difese, l'autore mediato, responsabile ex art. 48 cod. pen., è colui il quale, con inganno, determina in altri l'errore sul fatto costituente reato, fatto che l'autore immediato commette in buona fede. Ad integrare la responsabilità ex art. 48 cod. pen. è quindi necessario e sufficiente che venga posta in essere una condotta causalmente e consapevolmente correlata all'induzione in errore di chi dovrà commettere il fatto costituente reato. Con riferimento al reato di falso ideologico in atto pubblico, la sentenza ha ritenuto che tutte le volte in cui il pubblico ufficiale adotti un provvedimento, a contenuto descrittivo o dispositivo, dando atto in premessa, anche implicitamente, della esistenza delle condizioni richieste per la sua adozione, desunte da atti o attestazioni non veri prodotti dal privato, si è in presenza di un falso del pubblico ufficiale, del quale risponde, ai sensi dell'art. 48 cod. pen., colui che ha posto in essere l'atto o l'attestazione non vera. 4.4 Con la seconda decisione, poi, le Sezioni Unite di questa Corte hanno ribadito che il falso ideologico in documenti a contenuto dispositivo ben può investire le attestazioni anche soltanto implicite contenute nell'atto e quei fatti, giuridicamente rilevanti, connessi indiscutibilmente, quali presupposti, con la parte dispositiva dell'atto medesimo, sia che concernano fatti compiuti o conosciuti direttamente dal pubblico ufficiale sia che concernano altri fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità art. 479 cod. pen., ultima parte . Si configurano, anche sotto il profilo naturalistico, due condotte riconducibili al decipiens stante il rapporto di causa-effetto tra il fatto attestato dal privato, quale presupposto dell'emanazione dell'atto del pubblico ufficiale, ed il contenuto dispositivo di quest'ultimo e stante, altresì, la stretta connessione logica tra l'uno e l'altro, la falsità del primo si riverbera sul secondo e diventa essa stessa falsità di questo, sicché la recepita falsa attestazione del decipiens acquista la ulteriore veste di falsa attestazione del pubblico ufficiale deceptus sui fatti falsamente dichiarati dal primo e dei quali l'atto pubblico è destinato a provare la verità. Il passaggio fondamentale della decisione, ai fini che rilevano, attiene però alla incidenza della falsa attestazione del privato sul contenuto di accertamento dell'atto pubblico, che le difese contestano la falsa premessa deve concernere un fatto del quale l'atto del pubblico ufficiale è destinato a provare la verità e ciò va inteso anche quale immutatio veri circa l'esistenza di un presupposto in assenza del quale il provvedimento non avrebbe potuto essere adottato. 4.5 Orbene, a giudizio di questo Collegio, le condotte contestate agli imputati sono perfettamente sussumibili nello schema del falso per induzione, come fin qui descritto. Come correttamente osservato da entrambi i giudici di merito, infatti, la falsità ideologica è configurabile anche rispetto ad una manifestazione di giudizio, quale la sentenza, sia pure con riferimento alla sussistenza di alcuni presupposti necessari per l'adozione dell'atto, da identificare nella legittimazione del difensore a compiere attività processuali, fondata sull'esistenza di una valida procura ad litem , in mancanza della quale il giudice avrebbe dovuto pronunciare una sentenza di inammissibilità del ricorso. 5. Restano da esaminare le doglianza prospettate dai singoli indagati. 5.1 V.B. lamenta travisamento della prova, in relazione alle dichiarazioni del coindagato C. , dalle quali il Tribunale del riesame avrebbe dedotto la necessità di autentica delle sottoscrizioni delle istanze di conciliazione, nonché la materiale presenza di una autentica falsa, apposta appunto dal V. . La censura è generica, poiché l'ordinanza impugnata pagina 17 si limita ad affermare che le firme apocrife furono vergate di proprio pugno dall'indagato, senza fare alcun riferimento ad una autentica apposta dal medesimo, tanto che l'affermazione di falsità si fonda sulla consulenza grafologica del pubblico ministero. 5.2 Anche la censura riguardante l'inattendibilità della praticante legale dello studio, Dott.ssa M.A. , è proposta in maniera del tutto generica, poiché non si precisa l'apporto delle dichiarazioni nel compendio indiziario. 6. A.B. deduce i entrambi i ricorsi l'assenza di esigenze cautelari, alla luce della condotta collaborativa tenuta dall'indagato fin dal momento della perquisizione, che escluderebbe il rischio di reiterazione della condotta criminale. 6.1 In proposito l'ordinanza impugnata precisa che della circostanza si è già tenuto conto, avendo il G.I.P., all'esito dell'interrogatorio di garanzia, sostituito la misura custodiale con quella meno gravosa dell'obbligo di dimora, dovendo per il resto desumersi l'esigenza cautelare dal numero dei ricorsi presentati, dall'arco temporale interessato, dal collegamento della condotta criminosa con l'attività professionale di avvocato e dalla raffinatezza del meccanismo criminoso predisposto dotato di paraventi di legalità, come il contratto stipulato tra C. e A. in presenza di tale motivazione, assolutamente congrua e logica, la censura deve ritenersi inammissibile, poiché con riferimento alle esigenze cautelari come per i gravi indizi il ricorso per cassazione è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti ovvero che si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito Sez. 5, n. 46124 del 08/10/2008, Pagliaro, Rv. 241997 Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, Lupo, Rv. 252178 . 7. In conclusione i ricorsi proposti dagli indagati vanno rigettati, con conseguente condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.