Odi et amo ... l’attendibilità dell’accusatrice è messa in discussione

Il controllo delle accuse deve essere particolarmente rigoroso in una situazione di amore-odio in cui questione assai delicata è quella dell’individuazione – non secondo criteri astratti aprioristici, bensì tenendo conto, in concreto, di ogni circostanza oggettiva e soggettiva – di un consenso viziato dalla costrizione e dell’idoneità della violenza o della minaccia a coartare la volontà della vittima.

È quanto sostenuto dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 39767, depositata il 25 settembre 2013. Il caso. La Corte d’Appello aveva confermato la responsabilità penale di un uomo per i reati di violenza sessuale, lesioni personali e rapina ai danni di una donna con cui aveva una relazione burrascosa”. Infatti, l’imputato era stato accusato di aver, con violenza, immobilizzato la donna, costringendola a congiungersi carnalmente con lui. L’episodio si era ripetuto più volte inoltre, con percosse e minacce, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, si era impossessato di alcuni oggetti personali d’oro appartenenti alla compagna. Contro tale sentenza, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, lamentando che la Corte di merito, pur avendo riconosciuto l’esistenza di un rapporto tra le parti altalenante fra amore e litigi, avrebbe affidato la ricostruzione dei fatti alla sola narrativa di uno dei soggetti in sentimentale conflitto, omettendo la necessaria verifica della attendibilità intrinseca della denunziante e la ricerca di estrinseci supporti confermativi. Per la Suprema Corte il ricorso è fondato. Situazione obiettiva di altalenante consenso. Gli Ermellini hanno rilevato che il Tribunale aveva constatato che la parte offesa aveva reso una deposizione giudiziale ammettendo che a volte i rapporti sessuali erano stati consenzienti, ma, nonostante ciò, aveva ritenuto, comunque, pienamente attendibile e sincera la donna, sui rilievi che le sue accuse erano state confermate da plurimi riscontri rinvenibili nelle acquisizioni testimoniali. Piazza Cavour ha evidenziato i rilievi della difesa, secondo cui la relazione sentimentale dei due giovani era stata felicemente condivisa da entrambe le famiglie che anche per le ammissioni della donna stessa restava assai incerto il discrimine tra consenso e mancata adesione. Alle confutazioni peculiarmente illustrate nell’atto di gravame, la Corte distrettuale ha dato non esauriente risposta, limitandosi a superare le pur ravvisate lacune e contraddizioni narrative, spiegandole con la difficoltà a indicare date precise per singoli episodi atteso il passaggio di più anni . Secondo il Collegio, però, non ha affrontato il fondamentale tema dell’attendibilità intrinseca della denunciante, attraverso un approfondito controllo del contenuto delle accuse. Pertanto, la sentenza è stata annullata.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 16 aprile - 25 settembre 2013, n. 39767 Presidente Squassoni – Relatore Fiale Ritenuto in fatto La Corte di appello di Milano, con sentenza del 29.3.2012, in parziale riforma della sentenza 27.10.2010 del Tribunale di Monza a ha ribadito l'affermazione della responsabilità penale di G.P.D.G. in ordine ai reati di cui - all'art. 609 bis cod. pen. [perché - con violenza consistita nell'immobilizzare A.S G.C. e nel chiudere a chiave la porta del bagno ove ella al momento si trovava - costringeva la donna a congiungersi carnalmente con lui - in omissis , nei primo giorni di omissis ] - all'art. 609 bis cod. pen. [perché - con violenza consistita nell'immobilizzare e nel percuotere G.C.A.S. , nonché minacciandola con un coltello - costringeva la donna a congiungersi carnalmente con lui - in omissis ] - all'art. 628, 1 comma, cod. pen. [perché, con percosse e minacce, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, si impossessava di alcuni oggetti personali d'oro appartenenti alla G.C. - in omissis ] - agli artt. 582, 585 e 576 n. 5, cod. pen. [per avere volontariamente cagionato alla G.C. lesioni personali giudicate guaribili in 5 giorni - in omissis ] - all'art. 609 bis cod. pen. [perché - con violenza consistita nell'immobilizzare e nel percuotere G.C.A.S. , nonché con la minaccia di divulgare un video riproducente un rapporto sessuale tra loro intercorso - costringeva la donna a compiere e subire atti sessuali - in . e altrove, dal omissis ] b e, con le attenuanti generiche già riconosciute prevalenti sulle aggravanti contestate ed essendo stati già unificati tutti i reati nel vincolo della continuazione ex art. 81 cpv. cod. pen., ha determinato la pena principale in anni 3, mesi 10 di reclusione, confermando le statuizioni risarcitorie in favore della costituita parte civile. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il difensore del G. , il quale ha eccepito - la viziata metodologia di valutazione delle prove in relazione ai principi normativi fissati dall'art. 192 cod. proc. pen Lamenta in particolare che la Corte di merito - pure avendo riconosciuto l'esistenza di un rapporto tra le parti altalenante fra amore e litigi - avrebbe affidato la ricostruzione del fatti alla sola narrativa di uno dei soggetti in sentimentale conflitto, omettendo la necessaria verifica della attendibilità intrinseca della denunziante e la ricerca di estrinseci supporti confermativi. - la carenza assoluta di motivazione in ordine al delitto di rapina. Considerato in diritto Il ricorso è fondato e deve essere accolto. Il Tribunale aveva constatato che la parte offesa aveva reso una deposizione giudiziale molto sofferta ma sostanzialmente confermativa dei fatti, pure ammettendo che a volte i rapporti sessuali erano stati consenzienti. Aveva ritenuto, comunque, pienamente attendibile e sincera la donna, sui rilievi che le sue accuse erano state confermate da plurimi riscontri rinvenibili nelle acquisizioni testimoniali, nella deposizione resa dall'amica M P. , nei referti medici ospedalieri acquisiti e nella dichiarazione della stessa madre dell'imputato, la quale aveva ammesso di avere saputo dal figlio che egli aveva sul cellulare una foto di A.S. nuda. La Corte di merito - a fronte delle articolate e specifiche censure contenute nell'atto di appello - con una sentenza oggettivamente assai scarna ha argomentato che Se pure è vero che, durante la sua deposizione, la parte offesa è stata ammonita dal presidente del Tribunale e richiamata alle sue responsabilità di testimone, è anche vero che lo stesso Tribunale, all'esito del giudizio, ha ritenuto di superare e spiegare ogni divergenza ed affermazione della attendibile parte offesa con un giudizio che si collega perciò anche all'iter processuale . Ha convenuto poi sul giudizio espresso dal primo giudice di credibilità sostanziale della donna, confutando alcuni degli aspetti asseritamente contraddittori delle sue narrazioni evidenziati nell'atto di gravame e riconducendo ad ordinaria razionalità la volontà manifestata dalla madre di A.S. di fare rientrare in . dalla . ove si era trasferito l'imputato che pure ella sapeva avere abusato della figlia, la quale però ne era innamorata, soffriva della sua lontananza e continuava a scrivergli lettere di amore. La difesa aveva posto in evidenza tra l'altro che - la relazione sentimentale dei due giovani si era protratta per alcuni anni ed era stata felicemente condivisa da entrambe le famiglie, le quali avevano ospitato ora l'uno ora l'altra, consentendo loro di trascorrere anche le notti insieme - quanto ai due asseriti episodi di violenza consumati nell' omissis , la donna non aveva spiegato - pure avendo affermato che la sua relazione sentimentale con l'imputato si era interrotta da epoca anteriore - perché mai, essendosi asseritamente recata per riprendere il suo gatto nella casa ove l'ex fidanzato viveva con i suoi genitori, aveva deciso di accompagnarlo addirittura nella camera da letto in occasione del secondo episodio che pure sarebbe stato preceduto dalle brutalità subite pochi giorni prima - la parte lesa aveva ammesso di avere avuto, nel periodo in cui aveva collocato le violenze, numerosi rapporti sessuali consenzienti con l'imputato, sicché restava assai incerto il discrimine tra consenso e mancata adesione - luoghi e date indicati dalla donna in sede di denuncia erano rimasti smentiti dall'istruttoria dibattimentale. Alle confutazioni peculiarmente illustrate nell'atto di gravame la Corte territoriale ha dato non esauriente risposta, limitandosi a superare le pur ravvisate lacune e contraddizioni narrative spiegandole con la difficoltà ad indicare date precise per singoli episodi atteso il passaggio di più anni e con le difficoltà linguistiche . Non ha affrontato, però, il fondamentale tema dell'attendibilità intrinseca della denunciante, attraverso un approfondito controllo del contenuto delle accuse, che doveva essere particolarmente rigoroso in una situazione di amore-odio in cui questione assai delicata è quella dell'individuazione - non secondo criteri astratti aprioristici, bensì tenendo conto, in concreto, di ogni circostanza oggettiva e soggettiva - di un consenso viziato dalla costrizione e dell'idoneità della violenza o della minaccia a coartare la volontà della vittima. In relazione al delitto di rapina, poi, effettivamente la motivazione manca del tutto. È vero che il rapporto tra il disposto degli artt. 544 e 546 cod. proc. pen., e cioè tra completezza e concisione della motivazione, comporta che la motivazione del giudice di merito non deve dare conto di tutti gli elementi di prova esaminati, ma concentrarsi su quelli che assumono valore decisivo ai fini della decisione, posto che la finalità della motivazione è quella di rendere edotte le parti delle ragioni essenziali della decisione stessa e del percorso logico seguito. Va altresì riaffermato il principio secondo il quale il giudizio della Corte di Cassazione sulla completezza e correttezza della motivazione della sentenza impugnata non può confondersi con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporsi a quella fornita dal giudice di merito , con la conseguenza che una motivazione esauriente nell'affrontare i temi essenziali e coerente nella valutazione degli elementi probatori si sottrae al sindacato di legittimità. Nella vicenda in esame, però, la sentenza impugnata - nella sua estrema stringatezza - si pone fuori del pur legittimo ambito di ricorso alla motivazione per relationem , in quanto non da conto degli specifici motivi di impugnazione che censuravano in modo puntuale le soluzioni adottate da giudice di primo grado ed omette. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano.