L’assicurato che proponga azione risarcitoria, ai sensi dell’articolo 33, comma 2, legge numero 287/1990, nei confronti dell’impresa di assicurazione sanzionata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per aver partecipato ad un’intesa anticoncorenziale, assolve l’onere della prova a suo carico allegando la polizza assicurativa contratta quale condotta finale del preteso danneggiante e l’accertamento, in sede amministrativa, dell’intesa anticoncorrenziale quale condotta preparatoria .
Con la sentenza numero 11904 del 28 maggio 2014, la Corte di Cassazione affronta nuovamente la rilevante questione dell’onere della prova nei giudizi risarcitori relativi a premi assicurativi corrisposti in esecuzione di un’intesa, a monte, dichiarata illegittima dall’Autorità Garante in quanto determinata da un assetto anticoncorrenziale. Il caso. La sentenza della Cassazione in commento prende le mosse da una vicenda molto nota e dalla grande rilevanza giuridica, relativa all’accertamento, da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – poi confermato in sede amministrativa – di una serie di condotte anticoncorrenziali assunte da numerose compagnie assicurative, aventi come scopo quello di aumentare i premi in misura superiore alla media dei premi pratitcati in Europa. Accertata tale illegittima condotta, il contraente di una di una polizza, emessa da una compagnia facente parte del cartello in questione, agiva in giudizio innanzi alla Corte di Appello ai sensi dell’articolo 33, legge 287/1990, chiedendo il risarcimento del danno, riconosciuto dalla corte adita nella misura dell’aumento del premio rispetto alla media europea. Ricorre avverso tale decisione la compagnia assicurativa, sostenendo che il danno era stato liquidato in maniera errata ed in assenza di un prova. Rigettando tale ricorso, la Cassazione si allinea ad analoghe decisioni già assunte in materia, nell’ottica, anche, di una semplificazione dell’onere probatorio a carico dell’utente, in forza del valore privilegiato che viene attribuito, in particolare, all’accertamento amministrativo effettuato dall’AGCM ed i cui esito sono stati confermati dalla giustizia amministrativa. La tutela della concorrenza e del mercato come e perchè in Italia. L'accertamento delle intese restrittive della libertà di concorrenza, ex articolo 2, legge numero 287/1990, è attribuito - anche alla luce del ruolo assegnato alla tutela privata dal Regolamento CE numero 1/2003 del 16 dicembre 2002 - sia all'Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato, al fine di prevenire l'effetto distorsivo del fenomeno di mercato, sia al giudice ordinario, al fine di dirimere controversie, instaurate in presenza di un pregiudizio od almeno in vista di esso conseguentemente, nel giudizio instaurato, ai sensi dell'articolo 33, comma 2, legge numero 287/1990, innanzi alla corte di appello deve essere allegata un'intesa, di cui si chieda la dichiarazione di nullità, ed altresì il suo effetto pregiudizievole, che rappresenta l'interesse ad agire per il risarcimento Natura privatistica e natura pubblicistica della tutela della concorrenza. Secondo il nostro ordinamento, la normativa a tutela della concorrenza ha, quindi, una duplice struttura, sia pubblica, sia privata. L’AGCM, infatti, opera su un piano pubblicistico, avendo la funzione di garantire, anche d’ufficio e nell’interesse pubblico, il regolare “gioco” della concorrenza per evitare il verificarsi di condotte vietate dalla legge. Dall’altro, in sede civile, gli utenti possono agire innanzi all’autorità ordinaria, la quale ha la funzione di garantire la tutela delle posizioni giuridiche soggettive che sono state lese da condotte di impresa assunte in violazione, appunto, della normativa antitrust. La sentenza in commento affronta, in particolare, un aspetto rilevante della tutela privatistica della concorrenza, relativamente al profilo dell’onere della prova. L’onere della prova a carico del consumatore intesa illecita e danno. Secondo la sentenza in commento, similmente ad altre pronunce di legittimita, l'assicurato che propone azione risarcitoria, ai sensi dell'articolo 33,comma 2, legge 10 ottobre 1990, numero 287, nei confronti dell'impresa di assicurazione che sia stata sottoposta a sanzione dall'Autorità garante per aver partecipato ad un'intesa anticoncorrenziale - che, attraverso lo scambio sistematico di informazioni commerciali sensibili, abbia comportato un incremento dei premi, anche in considerazione della loro media sul mercato europeo - ha l'onere di allegare la polizza assicurativa contratta e l'accertamento, in sede amministrativa, dell'intesa anticoncorrenziale, potendosi su queste circostanze fondare la presunzione dell'indebito aumento del premio per effetto del comportamento collusivo e della misura di tale aumento Intesa anticoncorrenziale illecita la “probatio diabolica” della compagnia assicuarativa. Fermo il principio richiamato nella massima di cui sopra, la compagnia assicuratrice, dal canto suo, può fornire prova contraria in ordine all'interruzione del nesso causale fra illecito anticoncorrenziale e danno, ma deve articolarla sugli aspetti non definiti dal provvedimento amministrativo di accertamento, stante il ruolo di prova privilegiata degli atti del procedimento pubblicistico condotto dall'Autorità garante. In un caso, in particolare, il S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva condannato la società di assicurazione sulla base delle risultanze di un provvedimento sanzionatorio dell'Autorità garante, rilevando che, siccome gli accertamenti amministrativi avevano fatto riferimento ai livelli medi dei premi europei e degli aumenti in Italia, senza soffermarsi sulla misura in cui ciascuna impresa aveva tradotto le informazioni acquisite nell'incremento dei premi applicati alla clientela, la prova liberatoria avrebbe dovuto attenere alla concreta e specifica situazione dell'impresa interessata, del singolo assicurato o della singola polizza, ovvero al raffronto tra le tariffe praticate da essa e quelle applicate da altra impresa non partecipante all'intesa illecita. Ad analoghe conclusioni, peraltro, giunge la Cassazione in commento. L’onere della prova anche per presunzioni. L'onere di fornire la prova del nesso causale grava, in linea di massima, sul danneggiato, ma essa può essere fornita anche tramite presunzioni gravi, precise e concordanti, ai sensi degli articolo 2727 e 2729 c.c. In particolare, in ordine all’entità del danno, qualora l'assicurato produca in giudizio la polizza assicurativa ed il provvedimento amministrativo che ha accertato l'intesa illecita tra diverse compagnie di assicurazioni, il giudice potrà desumere l'esistenza del nesso causale anche mediante criteri di alta probabilità logica e per il tramite di presunzioni, salvo che l'assicuratore offra adeguati elementi di prova in contrario. Né in questo modo può considerarsi violato il brocardo praesumptum de praesumpto non admittitur, perché nel danno subito dalla generalità degli assicurati per effetto dell'illecito antitrust, accertato sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, è infatti ricompreso, come suo essenziale componente, il danno subito dai singoli assicurati, dovendosi ritenere che lo stesso, pur concettualmente distinguibile sul piano logico, non lo sia sul piano fattuale e, dunque, non richieda, per essere dimostrato, un'ulteriore presunzione.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 27 marzo - 28 maggio 2014, numero 11904 Presidente Salvago – Relatore Di Amato Svolgimento del processo Con provvedimento numero 8546 del 28 luglio 2000, impugnato senza successo innanzi al giudice amministrativo sentt. numero 6139/2001 TAR Lazio e numero 2199/2002 Cons. Stato , l'Autorità garante della concorrenza e del mercato d'ora innanzi AGCM sanzionava un largo numero di società assicuratrici, fra le quali la S.A.I. s.p.a., per avere posto in essere, “nella forma di una pratica concordata, consistente nello scambio sistematico d'informazioni commerciali sensibili tra imprese concorrenti”, un'intesa orizzontale restrittiva della concorrenza, tale da comportare un notevole incremento dei premi considerato che, nel periodo interessato dal comportamento illecito anni 1994- 2000 , la media dei premi praticati in Italia era cresciuta del 63% rispetto alla media Europea. Sulla base di tale provvedimento P.N. conveniva in giudizio la S.A.I. s.p.a., innanzi al Giudice di pace di Fasano, esponendo di avere stipulato con la convenuta un contratto di assicurazione della RCA, corrispondendo il relativo premio nel periodo dal 1995 al 2000 per tale ragione chiedeva, ai sensi dell'articolo 33 della legge numero 287/1990, la condanna della S.A.I. al risarcimento del danno cagionatogli con la violazione delle norme a tutela della concorrenza, come accertata dall'AGCM. Il Giudice di pace, con sentenza del 3 marzo 2005, dichiarava la propria incompetenza e la competenza della Corte di appello di Lecce. Quest'ultima, innanzi alla quale il giudizio era riassunto, con sentenza del 16 giugno 2007, accoglieva la domanda e condannava la convenuta al risarcimento dei danni liquidati equitativamente in Euro 104,00=, oltre rivalutazione ed interessi. In particolare, per quanto ancora interessa, la Corte di appello osservava che 1 il consumatore, che veda ingiustamente eluso attraverso un'intesa vietata il suo diritto di scelta tra prodotti in concorrenza, dispone delle azioni di nullità e di risarcimento del danno di cui all'articolo 33 della legge numero 287/1990 2 il consumatore, nel caso di prodotti assicurativi, assolve l'onere della prova a suo carico con la produzione dell'accertamento dell'intesa anticoncorrenziale e con la produzione della polizza, dovendosi individuare il danno nel maggior premio pagato l'assicuratore, d'altro canto è ammesso a provare che la sequenza causale tra intesa vietata ed aumento dei premi risulta interrotta da uno o più fatti diversi che da soli sono idonei a procurare il danno 3 nella specie lo scambio sistematico di informazioni aveva consentito alle imprese di assicurazione, secondo quanto accertato dall'AGCM, di uniformare le loro condotte commerciali e di determinare premi più elevati di quelli che si sarebbero registrati in un mercato concorrenziale 4 la compagnia di assicurazione si era limitata ad allegare le molteplici cause truffe, incremento della sinistrosità, lievitazione dei risarcimenti per micropermanenti, imposte etc. che, a suo dire, avevano influito sull'aumento dei premi, ma non aveva documentato attraverso quale iter era pervenuta agli incrementi tariffari ed in quale misura ciascun fattore aveva inciso sul rialzo del costo delle polizze ed era incorsa nelle preclusioni istruttorie di cui agli articolo 183 e 184 c.p.c. 5 il danno poteva essere liquidato, in via equitativa e prudenziale, nella misura del 15% dei premi pagati e perciò nella somma di Euro 104,00=, sulla quale erano dovuti rivalutazione ed interessi. La Fondiaria S.A.I. s.p.a. già S.A.I. s.p.a. propone ricorso per cassazione, deducendo due motivi illustrati anche con memoria. P.N. resiste con controricorso. Motivi della decisione Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione dell'articolo 180 c.p.c. nel testo anteriore alle modifiche dettate dal d.l. numero 35/2005 ed il vizio di motivazione, lamentando che la Corte di appello, che decideva la causa in unico grado, non aveva svolto tutte le previste fasi procedurali, omettendo in particolare, in sede di udienza di prima comparizione, di fissare “a data successiva la prima udienza di trattazione, assegnando al convenuto un termine perentorio non inferiore a venti giorni prima di tale udienza per proporre le eccezioni processuali e di merito” non rilevabili d'ufficio. Del tutto contraddittoriamente, pertanto, la Corte di appello aveva affermato che la convenuta era incorsa nelle preclusioni di cui agli articolo 183 e 184 c.p.c. ed aveva inammissibilmente formulato le sue richieste istruttorie soltanto con la comparsa conclusionale. Il motivo è infondato. Nell'ordinamento processuale opera il principio esplicitato negli articolo 400 e 406 c.p.c. per cui si osservano le forme proprie dei procedimenti innanzi al giudice adito, se non è diversamente stabilito Cass. 7 febbraio 2001 Cass., 14 gennaio 2003 . Nei giudizi attribuiti alla competenza funzionale in unico grado della Corte di appello si applicano, pertanto, le disposizioni dettate dall'articolo 350 c.p.c., mentre le norme dettate per il procedimento di primo grado si applicano soltanto se non incompatibili. In particolare, per quanto riguarda la trattazione della causa, l'articolo 350 c.p.c. prevede soltanto la prima udienza di trattazione e non la scansione in udienza di prima comparizione e udienza di trattazione introdotta per il giudizio di primo grado innanzi al tribunale dal d.l. 432/1995. Tale scansione è evidentemente incompatibile con il giudizio di appello il cui ambito è segnato dalla sentenza di primo grado e dai motivi di appello. Ne consegue che, anche quando la Corte di appello giudica in unico grado, la predetta scansione, che non corrisponde ad esigenze imprescindibili della definizione del thema decidendum e della posizione delle parti, come dimostra la sua successiva eliminazione ad opera del d.l. numero 35/2005, risulta comunque inapplicabile. Del resto la scelta del legislatore di affidare la cognizione alla Corte di appello in unico grado è normalmente caratterizzata dalla presenza di una precedente attività accertativa, sia essa operata dalla P.A. così nel caso di opposizione alla stima, prevista dall'articolo 20 della legge numero 865/1971 e dall'articolo 54 del d.p.r. numero 32/2001 , dagli arbitri come nel caso dell'impugnazione del lodo, ai sensi dell'articolo 828 c.p.c. o da giudici di altri ordinamenti come nel caso della delibazione delle sentenze ecclesiastiche, ai sensi degli articolo 796 e 797 c.p.c., rimasti in vita, anche dopo l'abrogazione ad opera della legge numero 218/1995, nei limiti del richiamo da parte della legge numero 121/1985 . Tale precedente attività, con conseguente circoscrizione del thema decidendum, concorre, insieme al fine di favorire la sollecita definizione delle controversie Cass. s.u. 4 febbraio 2005, numero 2207 , a giustificare la scelta del legislatore di affidare la cognizione in unico grado alla Corte di appello, con la conseguente applicabilità del rito innanzi ad essa previsto. Quanto detto è vero, almeno in via di fatto, anche per le azioni previste dal secondo comma dell'articolo 33 della legge numero 287/1990. Infatti, sebbene tali azioni non siano dirette all'impugnazione dei provvedimenti del Garante della concorrenza e del mercato tale impugnazione è riservata alla competenza del TAR del Lazio e sebbene il provvedimento del Garante non sia configurato come un presupposto dell'azione, nei fatti le azioni ex articolo 33 cit., certamente quando proposte dai consumatori ma per lo più anche quando proposte da un'impresa concorrente, presuppongono fisiologicamente un tale provvedimento in quanto la complessità dell'accertamento delle condotte anticoncorrenziali esclude di fatto che esse possano essere dedotte e provate dal singolo consumatore o concorrente. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione dell'articolo 2729 c.c. ed il vizio di motivazione, lamentando che la Corte territoriale dopo avere presunto che l'intesa restrittiva della concorrenza aveva determinato un aumento generalizzato del premio di tutte le polizze, aveva anche presunto l'esistenza di un danno in capo al singolo assicurato, avvalendosi così di una inammissibile presunzione di secondo grado, senza considerare che l'aumento poteva in concreto non essersi verificato. In ogni caso, la presunzione che faceva discendere il generalizzato aumento dei premi dall'intesa anticoncorrenziale, realizzata attraverso lo scambio di informazioni, non era grave, precisa e concordante poiché l'accertamento dell'AGCM, da un lato, si era basato su un'analisi a campione ed aveva rilevato, oltre allo scambio di informazioni, soltanto medie di mercato e cioè dati statistici non aventi valenza di fatto storico e, dall'altro, non aveva tenuto conto dei molteplici fattori che avevano concretamente inciso sui premi di polizza, come del resto riconosciuto dall'AGCM con il provvedimento numero 11891 del 2003, con cui era stata deliberata la chiusura dell'indagine conoscitiva sul settore. Il motivo è infondato. Si deve premettere che all'esame del motivo deve restare estraneo il tema, ampiamente ed approfonditamente prospettato dalla difesa della ricorrente nella memoria ex articolo 378 c.p.c., dell'ambito della prova concessa all'impresa per dimostrare che gli aumenti di prezzo sono stati determinati da fattori indipendenti dalla condotta anticoncorrenziale sanzionata dal Garante. Nelle specie, infatti, il rigetto del primo motivo esclude che la questione possa avere uno sviluppo nel processo e ne determina l'assorbimento. Ne consegue che questa Corte deve occuparsi soltanto del tema della prova offerta dal consumatore. Al riguardo, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte Cass. s.u. 4 febbraio 2005, numero 2207 Cass. 2 febbraio 2007, numero 2305 Cass. 20 giugno 2011, numero 13486 Cass. 9 maggio 2012, numero 7039 Cass. 22 maggio 2013, numero 12551 proprio in relazione all'intesa de qua, l'assicurato che proponga azione risarcitoria, ai sensi dell'articolo 33, comma secondo, della legge numero 287/1990, nei confronti dell'impresa di assicurazione sanzionata dall'Autorità garante per aver partecipato ad un'intesa anticoncorrenziale, assolve l'onere della prova a suo carico allegando la polizza assicurativa contratta quale condotta finale del preteso danneggiante e l'accertamento, in sede amministrativa, dell'intesa anticoncorrenziale quale condotta preparatoria . Sulla base di tali elementi si può, infatti, fondare la presunzione dell'indebito aumento del premio causato dal comportamento collusivo. Il problema del rapporto tra l'intesa illecita ed i contratti a valle va risolto, secondo la citata giurisprudenza, nel senso dell'inscindibilità di questi ultimi rispetto alla volontà anticoncorrenziale residente a monte, la quale trova il suo momento di realizzazione appunto nella necessitata ed inconsapevole adesione del consumatore finale, cioè di colui che, acquistando il prodotto, chiude la catena che inizia con la produzione del bene. In altri termini, “il contratto finale tra imprenditore e consumatore costituisce il compimento stesso dell'intesa anticompetitiva tra imprenditori, la sua realizzazione finale, il suo senso pregnante” Cass. numero 12551/2013 cit. . Il che consente di affermare che il giudice, attraverso presunzioni probabilistiche, può desumere il legame eziologico tra comportamento anticoncorrenziale e danno lamentato. Ne consegue che, in tale situazione, provata l'intesa anticoncorrenziale e provata la stipula di una polizza, il nesso di causalità giuridica può essere escluso soltanto se l'assicuratore prova la sopravvenienza di fatti idonei di per sé soli a determinare l'aumento dei premi. A tale orientamento deve essere data continuità. Il problema della prova del danno subito dal singolo consumatore, per effetto di un'intesa anticoncorrenziale accertata dal Garante della concorrenza e del mercato, richiede la soluzione delle seguenti connesse questioni a il rapporto tra le decisioni del Garante e quelle della Corte di appello b la prova del nesso causale tra l'intesa anticoncorrenziale accertata dal Garante ed il danno patito dal consumatore c la prova di quest'ultimo danno. Nel nostro ordinamento il meccanismo di attuazione delle norme poste a tutela della concorrenza ha una struttura duplice, pubblica e privata. Infatti, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato opera su un piano pubblicistico, essendo ad essa istituzionalmente affidata dalla legge la funzione di “autorità nazionale competente per la tutela della concorrenza” articolo 10, comma 4, l. numero 287/1990 , ed agisce anche d'ufficio, nell'interesse pubblico ed in posizione di indipendenza, per dare attuazione alle norme che vietano intese ed abusi di posizione dominante articolo 2, 3, 4, legge numero 287/1990 . L'Autorità ha, tra l'altro, poteri di accertamento degli illeciti antitrust e poteri sanzionatori di natura amministrativa che svolgono una funzione deterrente. In sede civile, invece, operano i giudici ordinari i quali, su domanda di singoli interessati concorrenti o consumatori , garantiscono la tutela delle posizioni giuridiche soggettive che siano state lese da condotte d'impresa in violazione delle norme antitrust, nazionali e comunitarie. La posizione giuridica del consumatore, oggetto di tutela, è rappresentata dal “diritto a godere dei benefici della competizione commerciale, costituenti la colonna portante del meccanismo negoziale e della legge della domanda e dell'offerta” Cass. 2 febbraio 2007, numero 2305 . La Corte di appello può, tra l'altro, condannare gli autori di un'infrazione antitrust a risarcire i danni causati. La distinzione tra tutela pubblica public enforcement e tutela privata private enforcement si fonda sulla diversità dei presupposti della tutela pubblica “che soddisfa un'esigenza diversa da quella concessa dal giudice ordinario, laddove quest'ultimo si pronuncia soltanto su ricorso di parte in genere, imprese concorrenti per la tutela di un interesse privato, mentre l'Autorità agisce di sua iniziativa per tutelare l'interesse pubblico primario di rilevanza comunitaria e costituzionale, alla salvaguardia di un mercato concorrenziale” TAR Lazio sez. I, 7 marzo 2006, numero 1713 . Nel nostro ordinamento, pertanto, a differenza di quanto accade in altri ordinamenti ad es. in Germania e nel Regno Unito , l'azione davanti al giudice civile non è subordinata ad una previa pronuncia dell'Autorità, in virtù dell'autonomia dei rapporti tra azione amministrativa e giudiziaria, ed il provvedimento assunto dal Garante non è vincolante per il giudice ordinario neppure nel caso, come quello in esame, in cui abbia superato con successo il vaglio del giudice amministrativo. Ciò non solo perché il privato consumatore è normalmente estraneo al giudizio amministrativo, ma anche perché il giudicato amministrativo si forma soltanto sulla legittimità dell'atto assunto dall'Autorità garante. Il controllo del giudice amministrativo - anche quando si sostanzia in una verifica dei fatti volta ad accertare che il processo valutativo seguito dall'Autorità e la ricostruzione da essa operata siano immuni da travisamenti e vizi logici, ed a valutare che le norme giuridiche siano state correttamente individuate, interpretate ed applicate Cons. Stato sez. VI, 10 marzo 2006, numero 1271 - non comporta mai una traslazione di poteri dall'Autorità al giudice Cass. s.u. 17 marzo 2008, numero 7063 . Inoltre, il giudicato amministrativo non concerne il rapporto tra l'impresa sanzionata ed il singolo consumatore. D'altro canto, le due tutele sono tra loro complementari, come in ambito comunitario non ha mancato di sottolineare il Reg. CE numero 1/2003 nel considerando numero 7 , affermando che le giurisdizioni nazionali “svolgono un ruolo complementare rispetto a quello delle autorità antitrust nazionali e della stessa Commissione”. La sinergia delle due tutele, infatti, accresce l'efficacia complessiva della normativa antitrust. Inoltre, il principio di effettività e di unitarietà dell'ordinamento non consente di ritenere irrilevante il provvedimento del Garante nel giudizio civile, considerato anche che le due tutele sono previste nell'ambito dello stesso testo normativo e nell'ambito di un'unitaria finalità. In tale prospettiva assume rilievo anche l'evidente asimmetria informativa tra l'impresa partecipe dell'intesa anticoncorrenziale ed il singolo consumatore, che si trova, salvo casi eccezionali da considerare di scuola, nell'impossibilità di fornire la prova tanto dell'intesa anticoncorrenziale quanto del conseguente danno patito e del relativo nesso di causalità. Al riguardo giova anche ricordare che, sia pure con esclusivo riferimento all'azione di classe, il sesto comma dell'articolo 140 bis del codice del consumo d. lgs. numero 206/2005 prevede che il tribunale, nella fase di valutazione di ammissibilità della domanda, “può sospendere il giudizio quando sui fatti rilevanti ai fini del decidere è in corso un'istruttoria davanti a un'autorità indipendente ovvero un giudizio davanti al giudice amministrativo”. Tutti tali elementi, non potendosi ritenere che l'attribuzione ai singoli consumatori dell'azione di risarcimento dei danni si risolva in una mera affermazione di principio, convergono verso la conclusione che nel giudizio civile il provvedimento del Garante abbia una elevata attitudine probatoria tanto con riferimento all'accertamento della condotta anticoncorrenziale quanto con riferimento alla idoneità a procurare un danno ai consumatori. In proposito, la giurisprudenza di questa Corte ha parlato di “prova privilegiata”, connettendo tuttavia all'espressione non sempre un univoco significato mentre, infatti, in un caso Cass. 13 febbraio 2009, numero 3640 si afferma che le parti hanno comunque la possibilità di offrire prove a sostegno dell'accertamento del Garante o ad esso contrarie, in altre pronunzie Cass. 20 giugno 2011, numero 13486, Cass. 9 maggio 2012, numero 7039 si afferma che all'impresa sanzionata non è consentito “nel giudizio civile rimettere in discussione i fatti costitutivi dell'affermazione di sussistenza della violazione della normativa in tema di concorrenza in base allo stesso materiale probatorio od alle stesse argomentazioni già disattesi in quella sede”. Il tema, tuttavia, come preannunciato, esula dalle questioni che assumono rilievo ai fini della decisione del caso in esame in questa sede, infatti, la questione deve essere esaminata soltanto nella prospettiva della idoneità della prova offerta dal consumatore. In questa prospettiva, pur dovendosi condividere l'assunto della ricorrente della inesistenza nel nostro ordinamento della categoria della prova privilegiata, distinta da quella della prova legale, non si può discutere l'elevata attitudine probatoria dell'accertamento compiuto dall'Autorità cui, come si è detto, è istituzionalmente affidata dalla legge la funzione di “autorità nazionale competente per la tutela della concorrenza”. Da quanto detto e dal fatto che la condotta anticoncorrenziale trova il suo momento di realizzazione nella adesione del consumatore finale al contratto predisposto dall'impresa sanzionata consegue che il provvedimento del Garante consente di ritenere provate non solo la condotta anticoncorrenziale e la sua idoneità a procurare un danno ai consumatori, ma anche, in via presuntiva, che tale danno sia stato concretamente arrecato ai consumatori. Invero, la fattispecie di intesa orizzontale antitrust, che trova la sua ragione primaria nella volontà delle imprese partecipanti di ricavare maggiori profitti, non può essere sganciata dalla serie dei contratti di massa che le imprese partecipanti alla stessa vanno successivamente a stipulare con i consumatori e che della stessa intesa rappresentano il naturale complemento. Infatti, è attraverso la pluralità dei contratti a valle che l'illecito anticoncorrenziale viene portato realmente a compimento e realizza il fine ultimo delle imprese responsabili lucrare un profitto maggiore rispetto a quello che si sarebbe ottenuto in assenza di comportamenti restrittivi della concorrenza. Al riguardo, poi, non è possibile distinguere tra danno arrecato alla generalità dei consumatori e danno arrecato al singolo consumatore conf. Cass. 22 maggio 2013, numero 12551 , assumendo che il passaggio dell'accertamento dall'uno all'altro avvenga con una violazione del principio praesumptum de praesumpto non admittitur. Invero, per sua natura, l'illecito anticoncorrenziale polverizza il danno tra tutti i consumatori sicché è artificioso ritenere che la posizione del singolo vada distinta, sul piano presuntivo, dalla posizione dell'insieme dei consumatori. In questa situazione, pertanto, il consumatore assolve l'onere della prova a suo carico con la produzione del provvedimento dell'AGCM e del contratto da lui stipulato. Sull'impresa sanzionata grava, anche alla stregua del principio di vicinanza della prova - principio riconducibile all'articolo 24 Cost. e al divieto di interpretare la legge in modo da rendere impossibile o troppo difficile l'esercizio dell'azione in giudizio e plurimis Cass. 17 aprile 2012, numero 6008 Cass. 25 luglio 2008, numero 20484 - l'onere di vincere la presunzione, dimostrando che l'ammontare del premio non sia stato determinato anche dalla condotta anticoncorrenziale, ma soltanto da fattori ad essa estranei. Infatti, il contratto è predisposto dall'impresa ed il consumatore ha solo la possibilità di aderirvi o meno, con conseguente totale estraneità alla determinazione del prezzo, affidata soltanto all'impresa, la quale, quindi, è l'unica ad avere piena conoscenza degli elementi che hanno concorso alla detta determinazione. Quanto, infine, all'ammontare del danno subito dal consumatore, si deve rilevare l'eccezionale difficoltà per il danneggiato di darne precisa dimostrazione, sia per la complessità dei fattori che concorrono nella determinazione dei premi sia perché, come già detto, soltanto l'impresa conosce esattamente la relativa incidenza dell'intesa anticoncorrenziale. Ne consegue che il danno, come ritenuto nella specie dalla sentenza impugnata, ben può essere determinato equitativamente in una percentuale del premio, quando il Garante ha accertato, sulla base di un campione ritenuto significativo, che la media dei premi praticati in Italia era cresciuta del 63% rispetto alla media Europea. In conclusione, nel caso in cui l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato abbia sanzionato un'impresa di assicurazione per un'intesa restrittiva della concorrenza, il consumatore che promuova azione di risarcimento dei danni ex articolo 33, secondo comma, della legge numero 287/1990 assolve l'onere della prova a suo carico con la produzione del provvedimento sanzionatorio e con la produzione della sua polizza. Infatti, il provvedimento del Garante, cui deve riconoscersi elevata attitudine a provare tanto la condotta anticoncorrenziale quanto l'astratta idoneità della stessa condotta a procurare un danno ai consumatori, consente di presumere, senza violazione del principio praesumptum de praesumpto non admittitur, che dalla condotta anticoncorrenziale sia effettivamente scaturito un danno per la generalità degli assicurati, nel quale è ricompreso, come essenziale componente, il danno subito dai singoli assicurati, mentre è onere dell'impresa assicurativa, anche alla stregua del principio di vicinanza, offrire prova contraria a dimostrazione della interruzione del nesso causale tra l'illecito antitrust e il danno patito tanto dalla generalità dei consumatori quanto dal singolo. Accertata l'esistenza di un danno risarcibile, il giudice può procedere in via equitativa alla relativa liquidazione, determinando l'importo risarcitorio in una percentuale del premio pagato. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese di lite liquidate in Euro 3.600,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.