La decisione sulla competenza assunta senza che le parti fossero state preventivamente invitate a precisare le conclusioni non può in alcun modo considerarsi definitiva.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione nell’ordinanza numero 10306 del 13 maggio 2014. Il fatto. Una s.a.s. proponeva opposizione avverso il decreto del Tribunale di Lecco con il quale le era stato ingiunto il pagamento di una somma di denaro, eccependo l’incompetenza territoriale del giudice adito. Il Giudice istruttore, ritenendo infondata l’eccezione, concedeva l’esecuzione del provvedimento monitorio, assegnando alle parti il termine previsto dall’articolo 183 c.p.c. per il deposito delle memorie. La s.a.s. propone ricorso per regolamento di competenza. La decisione sulla competenza non sempre esaurisce la “potestas iudicandi” sul punto. Il ricorso è inammissibile nelle causa attribuite alla competenza del tribunale in composizione monocratica, il giudice unico che intende emettere una decisione definitiva sulla competenza è tenuto ad invitare le parti a precisare le conclusioni in questo modo si scandisce la fase istruttoria e quella della decisione, dato che non tutte le decisioni in tema di competenza implicano per il giudice l’esaurimento della potestas iudicandi sul punto. Se le parti non sono state invitate a presentare le proprie conclusioni la decisione non è definitiva. Nel caso di specie, la decisione sulla competenza è stata assunta senza che le parti fossero state previamente invitate a precisare le conclusioni. Di conseguenza, non è definitiva, in quanto il decidente si è limitato a rigettare l’eccezione di incompetenza territoriale, concedendo l’esecuzione provvisoria del provvedimento monitorio e assegnando alle parti un termine per il deposito delle memorie. «Ne discende che il ricorso per regolamento di competenza proposto avverso l’ordinanza del giudice monocratico che, senza aver provveduto agli adempimenti sopra indicati, esprime un convincimento sulla competenza e dia provvedimenti sulla prosecuzione del giudizio, deve essere dichiarato inammissibile».
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 15 aprile – 13 maggio 2014, numero 10306 Presidente Finocchiaro – Relatore Amendola Svolgimento del processo Delfino Verde s.a.s. ha proposto opposizione avverso il decreto del Tribunale di Lecco con il quale, a istanza della Ditta Merlino di R.E. , le è stato ingiunto il pagamento della somma di Euro 20.502,00, eccependo, in limine, l'incompetenza territoriale del giudice adito. Con ordinanza riservata depositata il 23 gennaio 2013 il giudice istruttore, ritenuto infondata l'eccezione, ha concesso la provvisoria esecuzione del provvedimento monitorio, assegnando alle parti termine per il deposito di memorie ex articolo 183 cod. proc. civ. Avverso detta pronuncia ha proposto ricorso per regolamento di competenza Delfino Verde s.a.s Ha resistito la Ditta Merlino di R.E. . Prestandosi il ricorso ad essere trattato con il procedimento di cui all'articolo 380 ter cod. proc. civ., sono state richieste le conclusioni al Pubblico Ministero presso la Corte e all'esito del deposito della requisitoria con la richiesta di inammissibilità del ricorso ne è stata disposta notificazione agli avvocati delle parti unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza camerale. Entrambe le parti anno depositato memoria. Motivi della decisione 1 Il ricorso non supera il preventivo vaglio di ammissibilità. E invero, anche dopo il mutamento della forma del provvedimento sulla competenza per effetto della legge 18 giugno 2009 numero 69, la decisione affermativa al riguardo presuppone sempre la rimessione in decisione della causa ai sensi degli articolo 189 e 275 cod. proc. civ. nonché ai sensi degli articolo 189 e 281 quinquies cod. proc. civ. per il procedimento davanti al giudice monocratico , preceduta dall'invito a precisare le conclusioni confr. Cass. civ. 28 febbraio 2011, numero 4986 Cass. civ. 21 luglio 2011, numero 16005 . Tanto alla stregua del seguente principio di diritto nelle cause attribuite alla competenza del tribunale in composizione monocratica, il giudice unico, che assomma in sé le funzioni di istruzione e di decisione, quando ritenga di emettere una decisione definitiva sulla competenza, è tenuto — ai sensi degli articolo 187 e 281 bis cod. proc. civ. — ad invitare le parti a precisare le conclusioni, in tal modo scandendo la separazione tra la fase istruttoria e quella di decisione, non potendosi ritenere che una qualunque decisione assunta in tema di competenza implichi per il giudice l'esaurimento della potestas iudicandi sul punto Cass. sez. unumero numero 11657 del 2008 . Ne discende che il ricorso per regolamento di competenza proposto avverso l'ordinanza del giudice monocratico che, senza aver provveduto agli adempimenti sopra indicati, esprima un convincimento sulla competenza e dia provvedimenti sulla prosecuzione del giudizio, deve essere dichiarato inammissibile confr. Cass. civ. numero 13287 del 2011 Cass. civ. numero 30254 del 2011 . 2 È bene precisare che da siffatto criterio la giurisprudenza di questa Corte si è motivatamente discostata con riferimento a un solo caso in cui, nel regime della legge numero 69 del 2009, il giudice di merito aveva sì deciso affermativamente sulla propria competenza, senza previo invito alla precisazione delle conclusioni, ma lo aveva fatto enunciando expressis verbis l'erroneo convincimento che tale decisione non dovesse essere preceduta, nel nuovo assetto normativo, da quell'invito. Nell'ipotesi considerata si è invero ritenuto ammissibile il regolamento di competenza, in ossequio al principio dell'apparenza, sul rilievo che una decisione sulla competenza così resa non potesse considerarsi meramente delibatoria e ridiscutibile in sede di decisione definitiva, ai sensi dell'articolo 187, terzo comma, seconda parte, cod. proc. civ. confr. Cass. civ. 26 giugno 2012, numero 10594 . 3 Sennonché nella fattispecie dedotta in giudizio la decisione sulla competenza, assunta senza che le parti fossero state previamente invitate a precisare le conclusioni, non può in alcun modo considerarsi definitiva, sia in quanto il decidente non ha espresso alcun convincimento in ordine alla non necessarietà dell'espletamento di quell'incombente sia in quanto, all'opposto, si è limitato a rigettare l'eccezione di incompetenza territoriale, contestualmente concedendo l'esecuzione provvisoria del provvedimento monitorio e assegnando alle parti il termine per il deposito delle memorie ex articolo 183 cod. proc. civ Ne deriva che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di giudizio. 4. La circostanza che il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone a questo punto di verificare l'applicabilità dell'articolo 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, nel testo introdotto dall'articolo 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, numero 228, a mente del quale quando l'impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l'ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma I-bis la norma prevede altresì, al suo secondo periodo, che il giudice da atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l'obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso. Ritiene il Collegio che, in base al tenore letterale della disposizione, il rilevamento della sussistenza o meno dei presupposti per l'applicazione dell'ulteriore contributo unificato sia un atto dovuto, poiché l'obbligo di tale pagamento aggiuntivo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo - ed altrettanto oggettivamente insuscettibile di diversa valutazione — del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l'impugnante, dell'impugnazione. In un certo senso, può dirsi che il raddoppio del contributo si muove nell'ottica di un parziale ristoro dei costi del vano funzionamento dell'apparato giudiziario o della vana erogazione delle, pur sempre limitate, risorse a sua disposizione. Infatti, nella previsione legislativa in esame l'obbligo del pagamento del contributo aggiuntivo sorge ipso iure, per il solo fatto del formale rilevamento della sussistenza dei suoi presupposti, al momento stesso del deposito del provvedimento di definizione dell'impugnazione sicché da quello stesso momento è attivabile pure il procedimento per la relativa riscossione. Ne consegue che il rilevamento non può costituire un capo del provvedimento di definizione dell'impugnazione dotato di contenuto condannatorio, né di contenuto declaratorio a tanto ostando irrimediabilmente la carenza di domanda di chicchessia o di controversia sul punto e comunque discendendo il rilevamento da un obbligo imposto dalla legge al giudice che definisce il giudizio. Deve allora ritenersi che la lettera della disposizione conferisca al giudice dell'impugnazione il solo potere-dovere di rilevare la sussistenza o meno dei presupposti per l'applicazione del raddoppio del contributo unificato, cioè che l'impugnazione sia stata rigettata integralmente, ovvero dichiarata inammissibile o improcedibile. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi , oltre IVA e CPA, come per legge. Ai sensi dell'articolo 13, co. 1-quater d.P.R. 115/02 da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.