E' esclusa la responsabilità del medico, in caso di colpa lieve, se la sua condotta ha osservato le indicazioni metodologiche elaborate dalla comunità scientifica.
Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza numero 11804, depositata l’11 marzo 2014. Il caso. La Corte d’appello di Roma confermava la sentenza di condanna nei confronti di una ginecologa, accusata di aver cagionato l’aborto ad una sua paziente per colpa, consistita in imprudenza, negligenza ed imperizia. L’imputata non avrebbe individuato, per tempo, lo stato ipossico cronico del feto, nonostante gli accertamenti strumentali evidenziassero una sofferenza fetale. La ginecologa ometteva di intervenire e non disponeva, nei tempi necessari, un parto cesareo, cagionando la morte del feto. L’innovazione legislativa. L’imputata ricorreva in Cassazione, basandosi sull’entrata in vigore, in quei giorni, della l. numero 189/2012, la quale, all’art.3, stabilisce che «l’esercente le professioni sanitarie, che, nello svolgimento della propria attività, si attiene alle linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, non risponde penalmente per colpa lieve». Accettazione delle linee guida. Da questa norma si ricaverebbe che la colpa medica giuridicamente rilevante sarebbe solo quella grave e, se il medico si attiene alla indicazioni metodologiche elaborate dalla comunità scientifica, un’eventuale e trascurabile imprecisione nella pratica applicazione di tali criteri non potrebbe determinare una sua responsabilità. Nel caso di specie, il quadro patologico, a giudizio della ricorrente, era oscuro, con conseguente difficoltà di cogliere le informazioni cliniche in grado di segnalare l’atipicità della situazione. Da parte sua, ci sarebbe stata conformità agli schemi previsti, ma la situazione, inizialmente ottimale, era andata lievemente modificandosi nel tempo, per poi precipitare improvvisamente negli ultimi giorni. Analizzando la domanda, la Cassazione ricordava che, in tema di responsabilità medica, questa norma esclude la rilevanza della colpa lieve in riferimento a quelle condotte che abbiano osservato linee guida o pratiche terapeutiche mediche virtuose, purché accreditate dalla comunità scientifica. La comunità medica non avrebbe approvato. Nel caso di specie, non poteva, però, considerarsi corretta o virtuosa una condotta che non aveva tenuto conto dei segnali di pericolo per la paziente. Infatti, anche quando la situazione era già drammatica, l’imputata non aveva rappresentato alla donna l’assoluta urgenza del suo ricovero e del conseguente parto cesareo, come si poteva evincere dalla condotta della stessa paziente, che, una volta fatto ingresso in clinica, seguiva la normale trafila burocratica, senza passare dal pronto soccorso, quando ormai portava già in grembo un feto in irreversibile stato preagonico. Non c’erano peculiarità. Non si trattava, quindi, per i giudici di merito di accertare se le circostanze concrete fossero tanto equivoche, da ingenerare il convincimento che potesse, o dovesse, tenersi una condotta diversa da quella prescritta dalle linee guida generalmente accertate. Il caso concreto non presentava alcuna peculiarità, ma evidenziava, semplicemente, una riconoscibile situazione di pericolo di una gravidanza a rischio, che era stata individuata dall’imputata già in origine, essendo la paziente ipertesa. Per questo motivo, la Cassazione rigettava il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 13 febbraio – 11 marzo 2014, numero 11804 Presidente Ferrua – Relatore Fumo Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la corte di appello di Roma ha confermato la pronuncia di primo grado, con la quale R.S. era stata condannata a pena di giustizia in quanto riconosciuta colpevole del reato di cui all'articolo 17 legge 194/1978, in quanto, quale ginecologa di fiducia della gestante P.T. , per colpa, consistita in imprudenza, negligenza e imperizia, aveva cagionato l'aborto del feto della medesima, evento verificatosi in OMISSIS . Secondo i giudici di merito, l'imputata non aveva per tempo individuato lo stato ipossico cronico del feto, pur documentato dai tracciati cgt eseguiti fin dal giorno 8 settembre 2004. Gli accertamenti strumentali infatti evidenziavano una sofferenza fetale. Nonostante ciò, la R. - per quel che si legge nelle sentenze di primo e secondo grado - ometteva di intervenire tempestivamente, e quindi non operava, né disponeva, nei tempi necessari, parto cesareo elettivo e cagionava, in tal modo, la ricordata morte intrauterina del feto, morte sopravvenuta per insufficienza placentare acuta e conseguente anossia intrauterina. 2. Ricorre per cassazione il difensore, il quale, dopo avere ricordato il fatto e dopo aver sintetizzato in cinque pagine lo sviluppo procedimentale, articola due censure. 3. Con la prima censura, deduce assoluta carenza di motivazione, ovvero mera apparenza della stessa. La sentenza impugnata non fa che riportare le dichiarazioni rese dai testi escussi nel corso dell'istruttoria dibattimentale in primo grado. I giudici di appello dichiarano - puramente e semplicemente - di aderire alla ricostruzione dei fatti operata dai primi giudicanti e addirittura riportano, quasi per intero, il testo della sentenza di primo grado. Si tratta dunque di una motivazione interamente redatta per relationem, la quale non risponde affatto alle censure mosse con l'atto di appello. Invero, i secondi giudici avrebbero dovuto analizzare la decisione di primo grado in modo puntuale, alla luce delle critiche ad essa mosse dall'appellante viceversa, essi hanno enunciato le motivazioni in poche, sintetiche righe. Si tratta per altro di affermazioni tautologiche, le quali fanno interamente riferimento al decisum del tribunale. 4. Con la seconda censura, deduce carenza dell'apparato motivazionale e violazione dell'articolo 192 cpp. La corte d'appello non ha proceduto a una valutazione unitaria dell'intero materiale probatorio a sua disposizione, ma ha valutato le singole emergenze ed evidenze processuali in modo parcellizzato. Invero, non vi è prova negli atti processuali che l'atteggiamento asseritamente omissivo assunto dall'imputata abbia causato la morte del feto. I giudici di merito non tengono in adeguato conto il fatto che la dottoressa R. prescrisse ben 25 esami clinici alla P. e che detti esami dettero per lungo periodo valori rassicuranti in ordine allo sviluppo del feto. Essi attestavano lo stato di benessere del nascituro. In data 8 e 10 settembre 2004 la ricorrente ebbe ad eseguire ulteriori controlli, cui seguì un esame di flussimetria effettuato, su richiesta della R. , dal dottor Ro. . L'esito di tale esame, contrariamente a quel che ritengono i giudici del merito, evidenziò semplicemente una lieve riduzione delle resistenze al livello centrale e dunque, sostanzialmente, un quadro clinico non preoccupante ma del tutto accettabile . È pur vero che il dottor Ro. consigliò ulteriori controlli del benessere fetale, ma si trattò di una raccomandazione alquanto blanda, perché, come riferito dal medesimo teste in udienza, egli segnalò alla P. che la sua situazione era un po' particolare e andava seguita con attenzione. Dunque fino al 13 settembre, le condizioni della paziente e del feto non destavano particolare preoccupazione. Il OMISSIS la ricorrente sottopose nuovamente la paziente a controllo e l'esito fu, ancora una volta, rassicurante. Solo il 20 dello stesso mese la R. fu in grado di percepire che le condizioni del nascituro erano peggiorate. Ella quindi consigliò immediatamente alla P. di recarsi nella vicina clinica OMISSIS per l'espletamento del parto cesareo. Tali circostanze sono state ampiamente confermate dalla segretaria dell'imputata, la signora Pa.Ma. , della cui deposizione i giudici di merito – arbitrariamente - non hanno tenuto alcun conto. La P. giunse in clinica alle 17.00 lì ella fu sottoposta a ulteriore accertamento, ma l'intervento per il parto cesareo fu disposto solo alle ore 18.30. È evidente quindi che i ritardi verificatisi nella struttura sanitaria non possono essere posti a carico della R. . La corte d'appello trascura il fatto che, se i sanitari della clinica non avessero atteso un'ora e mezza prima di eseguire il taglio cesareo, il feto sarebbe nato vivo. Ed è per altro anche sulla sussistenza del nesso di causalità tra la condotta dell'imputata e l'evento morte che la sentenza di secondo grado appare manchevole, anche perché trascura del tutto l'evoluzione giurisprudenziale, fino alla cosiddetta sentenza delle SS.UU. Franzese, sempre successivamente confermata dalle pronunzie delle sezioni semplici. Attribuire arbitrariamente alla condotta pretesamente omissiva della ricorrente la morte del feto sostanzia un giudizio che non rispetta il canone di garanzia del convincimento oltre ogni ragionevole dubbio, anche perché manca qualsiasi valutazione ispirata al cosiddetto giudizio controfattuale, vale a dire quel ragionamento, in base al quale, ipotizzando che l'imputata si fosse attivata così come pretendono i giudici del merito, il feto non sarebbe morto. Di tutto ciò non vi è traccia alcuna nella sentenza d'appello, che, come si ripete, si limita a una semplice trasposizione grafica di quanto sostenuto in precedenza dal giudice di primo grado. Risulta dagli atti che l'intervento operatorio fu effettuato con colpevole ritardo, nonostante la paziente avesse certamente rappresentato l'urgenza del caso. 5. In data 28 gennaio 2014 sono stati depositati motivi nuovi il difensore ricorda l'entrata in vigore della legge numero 189 del 2012 e le conseguenti pronunzie giurisprudenziali. Detta legge, entrata in vigore pochi giorni dopo la proposizione del ricorso, si segnala in particolare per il suo articolo 3 che, come è noto, stabilisce che “l'esercente le professioni sanitarie, che, nello svolgimento della propria attività, si attiene alle linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica, non risponde penalmente per colpa lieve . Con tale intervento legislativo si è voluto evidentemente affermare che la colpa medica giuridicamente rilevante è solo la colpa grave e, ovviamente, gravissima e che – dunque - se il medico si attiene a quelle che sono le indicazioni metodologiche elaborate, nel corso degli anni, dalla comunità scientifica, una eventuale, trascurabile imprecisione nella pratica applicazione dei criteri sopra ricordati non può determinare sua responsabilità. In altre parole, è solo la macroscopica violazione delle regole della ars medica quella che può fondare una pronuncia di addebito nei confronti del sanitario. Dunque la colpa assume connotati di grave entità unicamente quando l'erronea conformazione dell'approccio terapeutico risulti marcatamente distante dalla necessità di adeguamento alle peculiarità della malattia, al suo sviluppo, alle condizioni del paziente. Può, pertanto, parlarsi di colpa grave solo quando i riconoscibili fattori che suggerivano l'abbandono delle prassi accreditate assumono un chiaro rilievo, che non lasci residuare alcun dubbio plausibile sulla necessità di un intervento difforme e personalizzato rispetto alla peculiare condizione del paziente. Ebbene se si pone attenzione ai tratti specifici della vicenda, non si potrà trascurare il fatto che il quadro patologico si presentava oscuro, con conseguente difficoltà di cogliere le informazioni cliniche in grado di segnalare la atipicità della situazione. La R. si è attenuta agli schemi comportamentali, diagnostici e terapeutici, imposti dalle leges artis. Le sue diagnosi sono sempre state corrette e se errore minimo vi è stato, esso attiene all'adattamento delle direttive di massima alle evenienze nel caso concreto. Il predetto articolo 3, invero, tiene conto della complessità della scienza medica, anche allo scopo precipuo di evitare che la responsabilità del medico venga meccanicamente riconosciuta ogni qualvolta vi sia un exitus sfavorevole. A tutto voler concedere, dunque, si è in presenza di un errore nella fase esecutiva, non certo di una negligenza nella fase di accertamento, dovendosi ricordare, come sopra premesso, a che la P. fu sottoposta a 25 esami clinici, b che la stessa fu sottoposta flussimetria, c che la paziente fu immediatamente avviata in clinica quando la situazione si mostrò preoccupante. In sintesi una situazione inizialmente ottimale, è andata lievemente modificandosi nel corso del tempo ed è precipitata improvvisamente negli ultimi giorni. Dunque il solo errore eventualmente attribuibile alla R. è stato quello di non prescrivere, dopo il 15 settembre, ulteriori monitoraggi prima del parto, ma la rapidità dell'evoluzione negativa non può non essere considerata a vantaggio della ricorrente. Considerato in diritto 1. Il ricorso è privò di fondamento per le ragioni che saranno chiarire infra va però immediatamente rilevato che il termine di prescrizione risulta spirato. Ne consegue che, in presenza di impugnazione infondata, ma non inammissibile, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione. L'annullamento, tuttavia, va disposto ai soli fini penali, atteso che, non essendo - come premesso - il ricorso fondato, esso va rigettato ai fini civili. 2. La sentenza impugnata direttamente estesa dal presidente del collegio ha, senza dubbio, una struttura particolare. Essa infatti, nella terza pagina, riporta il capo di imputazione con la intestazione della procura della Repubblica presso il tribunale di Roma e, nelle pagine seguenti fino alla dodicesima , riporta il testo integrale probabilmente fotocopiato della sentenza di primo grado. Le successive due pagine sintetizzano i motivi di appello e, finalmente, nelle ultime pagine, la corte territoriale sviluppa le sue considerazioni sulla proposta impugnazione. Tale veste grafica, frutto di un inusitato collage, è certamente poco elegante e tuttavia la sentenza deve essere valutata per i suoi contenuti e non certo per la sua struttura esteriore. D'altra parte è noto che la motivazione per relationem è ammessa a talune condizioni dalla giurisprudenza di questa corte. 2.1. Nel caso in esame, peraltro, non può parlarsi propriamente di motivazione per relationem, in quanto, nonostante la sproporzione numerica tra la parte descrittivo-ricostruttiva e la parte strettamente valutativa della sentenza, la corte romana non si sottrae, in sostanza, all'onere di analizzare le censure mosse alla sentenza di primo grado. Sulla base di una rilettura delle emergenze processuali documenti clinici, dichiarazioni dei consulenti tecnici, testimonianze , il giudice di secondo grado giunge motivatamente ad una conferma dell'affermazione di responsabilità per la condotta omissiva tenuta dalla R. . In particolare, viene valorizzato il dictum del dottor Ro. , esecutore della flussimetria, il quale, come si legge in sentenza terzultima pagina , aveva definito borderline la situazione della P. e aveva consigliato ulteriori controlli del benessere fetale, controlli che peraltro, secondo la sua specifica indicazione, dovevano essere strettamente ravvicinati . Veniva quindi eseguito un tracciato cgt dall'esito, anche esso, poco rassicurante. Sulla base di tali obiettivi dati e delle considerazioni formulate dai consulenti B. e Re. , la corte giunge, non illogicamente, né immotivatamente e condividendo il giudizio formulato dal tribunale , alla conclusione che la R. aveva tutti gli elementi per riconoscere lo stato di sofferenza del feto e – quindi - per assumere tutte le iniziative del caso, non esclusa la anticipazione del parto cesareo, già programmato per il 21 settembre. 2.2. È dunque improprio parlare, così come si fa nel ricorso, di rapidità dell'evoluzione negativa, in quanto detta evoluzione iniziò quasi una settimana prima dell'esito finale e, quel che più conta, fu certamente portata all'attenzione della imputata. 2.3. Sempre dalla sentenza impugnata, si evince a che il giorno 20 settembre la P. , avendo operato una sorta di autodiagnosi si sentiva strana , giunse nello studio della R. intorno alle 17 30, b che la stessa fu visitata e che solo circa 20 minuti dopo fu avviata presso la vicina clinica, che, a quanto pare, alla raggiunse con le sue gambe. Poiché la donna non era stata, evidentemente, sensibilizzata circa la gravità della sua situazione, ella non passò neanche per il pronto soccorso percorso che avrebbe accelerato i tempi di ricovero , ma si pose disciplinatamente in fila all'accettazione. Ciò - e lo si evince con chiarezza dalla lettura integrata delle sentenze di primo e secondo grado - determinò un fatale, ulteriore ritardo dell'intervento chirurgico, che, tuttavia, fu immediatamente disposto non appena i sanitari della OMISSIS si resero conto della gravità della situazione. Nessun rilievo possono poi avere le denunziate dal difensore erronee annotazioni sulla cartella clinica compilata in clinica, atteso che la tempistica sopra descritta risulta anche aliunde e, comunque, è ricavabile dalle stese dichiarazioni della P. . 3. Quanto alla sussistenza del nesso causale tra la condotta emissiva della ricorrente e l'evento morte del feto, la sentenze di merito, che, come premesso, si integrano vicendevolmente, pongono in adeguata evidenza il fatto che, se la ginecologa avesse per tempo intuito la gravità delle condizioni e avesse, conseguentemente, anticipato l'intervento di parto cesareo, il feto sarebbe nato vivo. Ciò, evidentemente, i giudici del merito affermano sulla base delle consulenze tecniche che, a quanto è dato intuire, non sono state contrastate, appunto, in sede di merito, ma le cui risultanze vengono - ormai tardivamente - poste in dubbio innanzi a questo giudice di legittimità. 4. Quanto infine alla portata restrittiva dell'articolo 3 della legge 189/2012, è di tutta evidenza che essa non esplica alcun effetto nel caso in scrutinio. Invero è stato ritenuto ASN 201316237- RV 255105 che, in tema di responsabilità medica, il predetto articolo esclude la rilevanza della colpa lieve con riferimento a quelle condotte che abbiano osservato linee guida o pratiche terapeutiche mediche virtuose, purché esse siano accreditate dalla comunità scientifica. 4.1. Ma certamente non può considerarsi corretta o virtuosa una condotta che non abbia tenuto in nessun conto gli allarmanti segnali di pericolo che, anche in seguito ad accertamenti strumentali, si andavano addensando sul capo della P. , segnali che la R. ignorò o comunque non percepì nella loro effettiva gravità, tanto che, anche in data 20 settembre, la stessa non rappresentò nemmeno alla diretta interessata l'assoluta urgenza del suo ricovero e del conseguente intervento, come si evince, sulla base di quanto si legge in sentenza, dalla stessa condotta della P. , la quale, come premesso, una volta fatto ingresso nella clinica OMISSIS , si adattò a seguire la normale trafila burocratica, quando ormai, inconsapevolmente, portava in grembo un feto in irreversibile stato preagonico. Non si trattava – dunque - per i giudici del merito di accertare se le circostanze concrete fossero tanto equivoche da ingenerare il convincimento che dovesse/potesse tenersi una condotta diversa da quella prescritta dalle linee guida suggerite dalle leges artis. Sta di fatto che la sentenza ricorsa - seppure con le particolari modalità espositive sopra ricordate - ha posto in evidenza che l'imputata non rispettò affatto le elementari linee guida della professione, atteso che il caso concreto non presentava alcuna peculiarità, ma evidenziava semplicemente una riconoscibile situazione di pericolo di una gravidanza a rischio che, come tale, peraltro, era stata individuata dalla stessa R. ab origine, essendo la P. una paziente ipertesa cfr. sentenza di primo grado, incorporata nella sentenza di appello, che fa riferimento alla cartella clinica in atti . 5. Per le ragioni sopra esposte, le censure sono da considerarsi infondate e il ricorso, di conseguenza, va rigettato, come si è premesso, agli effetti civili. La ricorrente va condannata al rimborso delle spese sostenute nel grado dalla costituita parte civile, che si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effetti penali per essere il reato estinto per intervenuta prescrizione rigetta il ricorso agli effetti civili e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile nel grado, spese che liquida in complessivi Euro 2.800 duemilaottocento , oltre accessori, come per legge.