Rischio tumore per un uso eccessivo del cellulare

Qualche settimana fa la clamorosa decisione del Tribunale di Ivrea e sulla stessa falsariga si è espresso qualche giorno fa il Tribunale di Firenze. Rendita INAIL per due lavoratori. Riconosciuto il nesso tra impiego del telefonino e malattia. L’avvocato Stefano Bertone soddisfatto “Sarà comunque una battaglia ancora dura”.

30 marzo 2017 il Tribunale di Ivrea è scenario di una decisione che rischia di diventare storica. Luca Fadda, giudice del lavoro, legge in aula un testo di poche righe, con cui riconosce l’origine professionale, cioè l’eccessivo uso del telefono cellulare, per il tumore benigno – neurinoma al nervo acustico – che ha colpito Roberto Romeo, vecchio dipendente di un’azienda telefonica. Al telefono. La battaglia legale, però, sarà ancora «dura», ammette l’avvocato Stefano Bertone che, insieme ai colleghi Renato Ambrosio e Chiara Ghibaudo, ha rappresentato Romeo, sostenendo la legittimità della sua richiesta di rendita presentata nei confronti dell’INAIL. La vittoria in primo grado va considerata solo come una tappa, seppur importante, della vicenda giudiziaria, anche perché pare plausibile che l’Inail decida di contestare in appello la decisione del giudice Fadda. Possibili, quindi, nuovi confronti in aula. Ciò che però conta, per ora, è il fatto che sia stato messo nero su bianco che un uso esagerato del telefonino può comportare seri problemi fisici. Su questo punto batte con forza Bertone, che, assistendo «diversi lavoratori che hanno domandato, senza successo, all’Inail la rendita per malattia professionale» connessa all’«esposizione ai telefoni cellulari di servizio», considera un «avanzamento delle conoscenze scientifiche» il fatto che vengano considerati i «campi elettromagnetici generati dal cellulare» come potenzialmente capaci di provocare tumori nell’uomo. Nella vicenda presa in esame ad Ivrea è emerso che Romeo è stato per diverso tempo a capo di un gruppo di operai destinati a intervenire per risolvere i problemi segnalati dai clienti, e ha svolto quel ruolo soprattutto tramite il cellulare aziendale, poiché quello era lo strumento di comunicazione più utile e più comodo per tenersi costantemente in contatto con ogni singolo tecnico. Così, di telefonata in telefonata, son trascorsi ben quindici anni, con Romeo attaccato al telefonino almeno quattro ore al giorno, cioè 840 ore l’anno, cioè 12.600 ore in quindici anni. E il risultato è stato, secondo il giudice Fadda, che l’esposizione costante a radiofrequenze e campo elettromagnetico ha provocato in Romeo un neurinoma nella zona della regione temporale destra, neurinoma poi rimosso assieme al nervo acustico. Se confermato il nesso tra uso del cellulare e danno fisico, ci sarebbe da fare i conti con immense ripercussioni sociali ed economiche. Per ora ci si deve limitare a prendere atto di una decisione per ora solo significativa. Ciò che colpisce, in particolare, è il fatto che «il consulente del giudice abbia messo in discussione quella parte di letteratura scientifica che ha sempre escluso la connessione tra l’uso del cellulare e la possibile comparsa di malattie», sottolinea Bertone. Su questo fronte rischia di dover essere aperto un capitolo a parte. Come sono state realizzate sino ad ora le indagini sui potenziali effetti nocivi provocati da un uso del cellulare? Secondo Bertone in alcuni casi si può ipotizzare un «conflitto d’interessi», ad esempio se a contribuire a una determinata ricerca è proprio un’azienda telefonica ecco perché il consulente del giudice si è richiamato anche ai dati forniti dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro – collocata nel contesto dell’Organizzazione mondiale della sanità –, secondo cui è potenzialmente «cancerogena per l’uomo l’esposizione a campi elettromagnetici ad alta frequenza», cioè le «emissioni» tipiche dei telefoni cellulari. Prudenza. Tutto il materiale raccolto, oltre ai dettagli della vicenda raccontata da Romeo, ha spinto il consulente a ritenere «probabile» che «la causa della malattia contratta dal lavoratore sia da attribuire alle esposizioni derivanti» proprio «dal lavoro svolto». E questa valutazione è stata condivisa dal giudice Fadda. Ora, come detto, la prospettiva di nuove tappe nella battaglia legale, sempre che l’INAIL decida di impugnare la decisione del Tribunale di Ivrea. In questa ottica però va tenuto presente che pochissimi giorni fa un’altra decisione importante, sulla stessa falsariga di quella presa dal giudice Fadda, è arrivata dal Tribunale di Firenze anche in questo caso è stato riconosciuto il nesso tra l’uso del cellulare e il tumore benigno che ha colpito un lavoratore, un addetto alle vendite, costretto per anni a impiegare il telefonino per almeno tre ore al giorno. Firenze dopo Ivrea. Senza dimenticare una sentenza della Cassazione dell’ottobre 2012, con cui è stato riconosciuto il nesso tra la «patologia tumorale» che aveva colpito un uomo e il fatto che egli, sempre per ragioni di lavoro, abbia dovuto utilizzare per dodici anni «telefoni cordless e telefonini cellulari» per «cinque ore al giorno». Il consiglio, a questo punto, è semplice meglio essere prudenti. Meglio evitare una esposizione eccessiva alle radiofrequenze, evitando il ricorso costante al wireless e ai telefoni cellulari.