Il medico si fa pubblicità con un depliant: l’Ordine non può sanzionarlo se l’informativa è corretta e trasparente

La riaffermazione dei poteri di verifica degli Organi Professionali, malgrado l’indiscutibile eliminazione del divieto di svolgere pubblicità sui servizi offerti, sui prezzi e sui costi complessivi delle prestazioni professionali, è funzionale alla verifica della trasparenza e veridicità del messaggio, ma non può spingersi a sindacare la capacità di persuasione del testo, profilo certamente estraneo alla loro sfera di intervento.

Il quadro normativo. La Corte di Cassazione, con la decisione in esame, è stata chiamata a decidere sulla legittimità dell’applicazione di una sanzione disciplinare inflitta ad un medico odontoiatra dal competente Ordine professionale. Come noto, il professionista iscritto ad un albo è sottoposto al vigile controllo del proprio Ordine affinché le sue condotte siano prive di mancanze ed abusi nell’esercizio dell’attività ovvero non siano contrarie alla deontologia professionale. Tra i compiti dell’Ordine ricade anche il vigilare che il medico pubblicizzi in modo regolamentato la sua attività e le sue qualifiche. Il fine è la tutela della collettività nei confronti di pubblicità ingannevole su capacità cliniche, formazione acquisita e prestazioni professionali. Quanto al quadro normativo, la l. numero 175/1992 c.d. Legge Poggiolini stabiliva che il medico potesse vergare il proprio ricettario, od incidere sulle targhe o indicare su ogni altro mezzo finalizzato alla pubblicità, esclusivamente i titoli di carriera ed accademici es. specializzazione universitaria, ruolo ospedaliero, ecc. . A sconvolgere tale quadro è stata l’introduzione nel nostro ordinamento dell’articolo 2, comma 1, lett. b della l. 4 agosto 2006, numero 248 c.d. Decreto Bersani in base al quale «Sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto e verificato dall’Ordine». Secondo la delibera numero 52 FNOMeO Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri , a decorrere dal 1° aprile 2007, il medico è obbligato solo a comunicare al proprio Ordine il testo pubblicitario con acclusa una specifica dichiarazione di conformità al Codice Deontologico cfr. Cass. Civ. numero 7274/08 . Il Decreto Bersani consente così di pubblicizzare anche il prezzo delle prestazioni, ponendo con ciò il problema di una informativa corretta per i fruitori del servizio poiché è evidente che la salute dei cittadini passa anche attraverso prestazioni che non si assestino su costi inferiori al necessario standard di qualità. Il medico viene in tal modo responsabilizzato all’autodisciplina nell’autogoverno della propria pubblicità. Il fatto. Un medico odontoiatra viene sottoposto a procedimento disciplinare da parte del proprio Ordine in relazione alla diffusione di un volantino ove sono pubblicizzate le offerte di una struttura della quale lo stesso è direttore sanitario. Il Consiglio dell’ordine lo accusa di aver violato gli articolo 55 e 56 del Codice Deontologico in tema di informazione e pubblicità sanitaria. Le Commissioni disciplinari di prima e seconda istanza ritengono che la diffusione di volantini pubblicitari, ispirata a realtà di esclusiva natura commerciale, sia ontologicamente scorretta, in quanto lesiva del decoro e della dignità professionale. In particolare, assumono che il messaggio diffuso sia falso, nella parte in cui postula l’esistenza di una tariffa professionale minima ormai abrogata ed un prezzo praticato dalla struttura sanitaria ridotto di 2/3 rispetto alla predetta tariffa, tanto da infliggere al medico la sanzione disciplinare di un mese di sospensione dall’attività. Ricorre per la cassazione di siffatta pronuncia il medico, formulando diversi motivi di doglianza. La tesi della ricorrente. Secondo il medico la pronuncia del Consiglio dell’Ordine viola, innanzi tutto, gli articolo 42 e 49 del Trattato UE e la Direttiva numero 123/2006, atteso che le disposizioni comunitarie sono ispirate alla massima liberalizzazione possibile delle prestazioni di servizi professionali richiama sul punto la recente sentenza della Corte di Giustizia Europea causa C-119/09 secondo cui la pubblicità professionale diretta e ad personam dei propri servizi «démarchage» non è contraria al diritto dell’Unione Europea. Oltre ad evidenziare nella tesi difensiva che il Decreto Bersani, come anticipato in premessa, ha abrogato le disposizioni precedenti che impedivano ai professionisti di farsi pubblicità, anche con specifico riferimento al prezzo ed ai costi complessivi delle prestazioni. Le argomentazioni della Cassazione. Gli Ermellini accolgono le tesi del ricorrente cassando con una concisa motivazione la decisione impugnata. Per il giudice di nomofilachia l’assunto dell’ambiguità e del carattere ingannevole del riferimento ad una tariffa ormai abrogata è sintomo da parte del Consiglio dell’Ordine di una «insopprimibile sofferenza verso il ricorso al messaggio pubblicitario da parte dell’esercente la professione sanitaria». Anzi detto richiamo contenuto nel depliant pubblicitario presuppone, piuttosto che smentire, «il carattere puramente orientativo della tariffa», tanto da non poter violare i crismi della trasparenza e della veridicità della comunicazione commerciale operata dal medico. Ed ancora, non può essere valorizzata in chiave di addebito, la «genericità della promessa riduzione, in quanto non riferita a singole prestazioni», potendo questo fattore avere solo un’incidenza sulla capacità di persuasione del messaggio che è un profilo cognitivo, però, del tutto sottratto ad un sindacato di verifica da parte dell’organo disciplinare. La decisione in parola si muove nel coerente solco di altre recenti pronunce cfr. ex multis Cass. numero 3717/12 , secondo le quali, all’interno del nuovo sistema normativo, la pubblicità non è soggetta a forme di preventiva autorizzazione, atteso che la stessa è attuativa dei principi comunitari volti a garantire la libertà di concorrenza e il corretto funzionamento del mercato. Ai rispettivi ordini professionali, ai sensi dell'articolo 2, lett. b, ultima parte, della l. numero 248/2006, non spetta altro che il potere di verifica, al fine dell'applicazione delle sanzioni disciplinari, della trasparenza e della veridicità del messaggio pubblicitario veicolato. Conclusioni. Al medico, pertanto, non può essere mossa alcuna censura quando la sua informativa pubblicitaria abbia consentito al cittadino una scelta libera e consapevole della struttura, del servizio, del professionista e dei costi che andrà a sopportare. D’altra parte, quale che sia il mezzo o lo strumento comunicativo da questi utilizzato sito internet, mail, ecc. non è mai ammessa la pubblicità ingannevole, compresa la pubblicazione di notizie che ingenerino aspettative illusorie, che siano false o non verificabili, o che possano procurare timori infondati, spinte consumistiche o comportamenti clinicamente inopportuni così la Linea - guida inerente l’applicazione degli articolo 55-56-57 del codice di deontologia medica .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 3, sentenza 12 giugno – 12 luglio 2012, numero 11816 Presidente Preden – Relatore Amendola Svolgimento del processo e motivi della decisione È stata depositata in cancelleria la seguente relazione, regolarmente comunicata al P.G. e notificata ai difensori delle parti. Il relatore, cons. Adelaide Amendola esaminati gli atti. osserva 1. Il dottor F R. venne sottoposto a procedimento disciplinare da parte dell'Ordine dei Medici di Brescia in relazione alla diffusione di un volantino ove erano pubblicizzate le prestazioni offerte da Dental Coop La Fenice s.r.l., struttura della quale lo stesso era direttore sanitario. L'accusa formulata nei suoi confronti era di aver tenuto un comportamento non conforme al disposto degli articolo 55 e 56 del Codice Deontologico. All'esito del procedimento, la Commissione dell'Albo degli Odontoiatri dell'Ordine irrogò all'incolpato la sanzione della sospensione di un mese dall'esercizio della professione. Per quanto risulta dal provvedimento impugnato, ritenne la Commissione che la diffusione di volantini pubblicitari fosse deontologicamente scorretta, in quanto lesiva del decoro e della dignità professionale e ispirata a realtà di esclusiva natura commerciale che il messaggio diffuso fosse falso, nella parte in cui postulava l'esistenza di una tariffa minima nazionale, ormai abrogata. 2. L'impugnazione proposta dal Dott. R. alla Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie è stata da questa respinta in data 7 febbraio/1 luglio 2001. Segnatamente la Commissione, nel confutare la tesi difensiva secondo cui il riferimento alla tariffa minima nazionale - rispetto alla quale i prezzi praticati dalla struttura risultavano ridotti di 2/3 - aveva un valore meramente parametrico, ha affermato che la stessa necessità di chiarire il significato dell'espressione era indice di un'inemendabile mancanza di trasparenza del messaggio pubblicitario. Ha aggiunto che il richiamo a quei minimi, in un contesto normativo in cui essi erano stati abrogati, era biasimevole e che una riduzione generalizzata delle tariffe, non riferita alle singole prestazioni, si poneva in contrasto con il principio di correttezza. Quanto poi alle innovazioni in materia di pubblicità sanitaria sancite dalla normativa comunitaria e dal c.d. decreto Bersani legge numero 248 del 2006 , le disposizioni sopravvenute non avevano inciso sulla competenza degli Ordini professionali di verificare la rispondenza dei messaggi pubblicitari ai criteri di trasparenza e veridicità. 3. Per la cassazione di detta pronuncia ricorre dunque a questa Corte il sanitario, formulando due motivi e notificando l'atto all'Ordine dei Medici della Provincia di Brescia, al Ministero della Salute, al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Brescia, al Procuratore Generale presso la Corte di cassazione nonché alla Prefettura di Brescia. Nessuno degli intimati ha svolto attività difensiva. 4. Il ricorso è soggetto, in ragione della data della sentenza impugnata, successiva al 4 luglio 2009, alla disciplina dettata dall'articolo 360 bis, inserito dall'articolo 47, comma 1, lett. a della legge 18 giugno 2009, numero 69. Esso può pertanto essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli articolo 376, 380 bis e 375 cod. proc. civ., per esservi accolto. Queste le ragioni. 5.1 Con il primo motivo l'impugnante denuncia violazione degli articolo 42 e 49 del Trattato UE, della Direttiva numero 123 del 2006, nonché vizi motivazionali. Ricordato che le disposizioni comunitarie risultano ispirate alla massima liberalizzazione possibile delle prestazioni di servizi ivi comprese quelle di tipo professionale che la Corte di Giustizia ha ribadito anche in tempi recentissimi, nella sentenza del 5 aprile 2011 causa C-119/09 , l'obbligo, sancito per gli Stati membri della Comunità dall'articolo 24 della direttiva numero 123 del 2006, di sopprimere tutti i divieti in materia di comunicazioni commerciali delle professioni regolamentate che, in tale contesto, l’anacronistica disciplina dettata dalla legge numero 175 del 1992 deve ritenersi inapplicabile, sostiene l'esponente che sia l'Ordine dei Medici, sia la Commissione, avrebbero apoditticamente affermato che le informazioni contenute nel volantino contrastavano con i doveri di correttezza e trasparenza, senza specificare in che modo esse potessero ledere l'indipendenza, la dignità, l'integrità nonché il segreto professionale, e cioè gli unici valori legittimanti limitazioni a siffatto tipo di comunicazioni. Assume che la Commissione si sarebbe limitata a ribadire la legittimità del proprio potere di controllo, senza chiarire le ragioni per le quali la condotta ascritta al Dott. R. fosse deontologicamente scorretta, così di fatto perseguendo in maniera surrettizia il fine di vietare la pubblicità professionale. 5.2 Con il secondo mezzo il ricorrente lamenta violazione dell'articolo 2 del d.l. 223 del 200 e della relativa legge di conversione 4 agosto 2006, numero 248, nonché, ancora una volta, erroneità o insufficienza della motivazione. Ricorda che la predetta fonte ha sancito, dalla data della sua entrata in vigore, l'abrogazione delle disposizioni legislative e regolamentari che prevedono, con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali, il divieto, anche parziale, di svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni. Né, rileva, in tale contesto normativo, la motivazione della sanzione irrogata consentirebbe di identificare i connotati censurabili dell'opuscolo di Dentale Coop. 6. Entrambi i motivi appaiono fondati. Le argomentazioni addotte dalla Commissione a sostegno della scelta decisoria adottata sono speciose e tautologiche. L'assunto dell'ambiguità e, in definitiva, del carattere ingannevole del riferimento a una tariffa ormai abrogata è all'evidenza viziato da un'insopprimibile insofferenza verso il ricorso al messaggio pubblicitario da parte dell'esercente la professione sanitaria. Non si vede, infatti, come quel richiamo, che necessariamente presuppone, piuttosto che smentire, il carattere puramente orientativo della tariffa, possa configgere con la trasparenza e la veridicità della comunicazione. Né ha troppo senso la valorizzazione, in chiave di addebito, della genericità della promessa riduzione, in quanto non riferita a singole prestazioni, potendo ciò incidere solo sulla capacità di persuasione del messaggio, che è profilo certamente estraneo alla sfera di intervento degli organi disciplinari. 7. In tale contesto, la riaffermazione dei poteri di verifica degli Ordini professionali, malgrado l'indiscutibile eliminazione del divieto di svolgere pubblicità sui servizi offerti, sui prezzi e sui costi complessivi delle prestazioni professionali articolo 2 legge numero 248 del 2006 , è del tutto inidonea a giustificare la decisione. Quei poteri - la cui sopravvivenza è fuori discussione - sono funzionali alla verifica della trasparenza e della veridicità del messaggio. Ma si è già visto che le ragioni addotte dalla Commissione a sostegno della negativa valutazione formulata al riguardo sono giuridicamente scorrette e logicamente inappaganti . Ritiene il collegio di dovere fare proprio il contenuto della sopra trascritta relazione. Ne deriva che, in accoglimento del ricorso, la decisione impugnata deve essere cassata, con rinvio alla Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie che, nel decidere, si atterrà ai principi e ai rilievi innanzi esposti. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie, in diversa composizione.