I reati in materia fiscale di cui agli articolo 2 e 8, D.lgs. numero 74/2000, sono speciali rispetto alla truffa in danno dello Stato, ma non si può escludere la penale rilevanza di condotte elusive degli obblighi tributari i reati fiscali di omessa e infedele dichiarazione possono essere integrati anche da condotte elusive se strettamente riconducibili ad ipotesi di elusione espressamente previste dalla legge.
Dal maxi yacht di Briatore La nota vicenda del sequestro del maxi yacht di Briatore Force Blue è l’ennesima occasione per la Suprema Corte di intervenire sulla problematica dei rapporti tra truffa allo stato e reati fiscali, questione già affrontata e risolta brillantemente dalle Sezioni Unite con la nota sentenza Giordano Cass. SS.UU., 28 ottobre 2010, numero 1235 . Questa volta è la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Genova ad impugnare la decisione del Tribunale del Riesame del capoluogo che aveva rigettato l’impugnazione del Pubblico Ministero proposta avverso il decreto di revoca del sequestro preventivo disposto dal GIP presso il medesimo Tribunale. Lamenta la Procura della Repubblica come nel caso in esame, invero collaterale al sequestro della famosa imbarcazione, il Tribunale del Riesame abbia erroneamente ritenuto applicabile il principio di diritto statuito nella nota pronuncia Giordano, sul presupposto che il caso di specie, rappresentando ipotesi di truffa consumata in danno dello Stato, non costituirebbe criminalizzazione di condotte prodromiche alle violazioni fiscali, ipotesi non consentita dallo opzione punitiva operata dal legislatore con il D.lgs. numero 74/2000. al contrasto giurisprudenziale Sino alla pronuncia delle SS.UU. Giordano il tema del rapporto tra frode fiscale e truffa ai danni dello Stato aveva conosciuto prospettive interpretative alterne e non uniformi nel corso degli anni, con oscillazioni tra sentenze, da un lato, orientate ad affermare il concorso dei reati, legittimando dunque una contestazione cumulativa delle due fattispecie, e dall’altro indirizzate, al contrario, verso la tesi del concorso di norme. Tre, nel dettaglio, gli orientamenti giurisprudenziali. Secondo il primo, i reati in esame non sono in rapporto di specialità, trattandosi di fattispecie eterogenee sia rispetto al bene giuridico tutelato che rispetto alle modalità di consumazione non occorre, infatti per integrare la frode fiscale l'induzione in errore della amministrazione finanziaria né l'ingiusto profitto, elementi costitutivi, per contro, della truffa. Ne consegue, per tale impostazione, che i due reati rappresentano fattispecie suscettibili di concorrere tra loro. Per il secondo, invece, tali reati sono in rapporto di specialità. La frode fiscale è reato di pericolo a condotta vincolata, caratterizzato da modalità fraudolente tipiche e dal dolo specifico del fine di evasione. E’ reato a consumazione anticipata e rappresenta l'antecedente logico della truffa, in quanto esaurisce il disvalore del fatto prima ed indipendentemente dalla verificazione del danno. Ne consegue che le due fattispecie non possono concorrere. Per il terzo indirizzo, infine, trattasi di concorso di norme, ma, poiché i due reati, pur diversi nella configurazione delle rispettive fattispecie, tutelano il medesimo interesse, applicando il principio di consunzione, deve prevalere l’ipotesi delittuosa per la quale è previsto il più grave trattamento sanzionatorio la frode fiscale , configurandosi, diversamente, una ipotesi di bis in idem sostanziale, con l'attribuzione, due volte, del medesimo fatto al suo autore. alle Sezioni Unite Giordano. La Suprema Corte opera, nella pronuncia Giordano, una rigorosa applicazione del principio di specialità di cui all’articolo 15 c.p., per poi arrivare ad affermare riguardo alle ipotesi di cui agli articolo 2 e 8, D.lgs. numero 74/2000 come, nella descrizione delle due fattispecie, il profilo dell'artificio vada a coincidere con l'utilizzare in contabilità – o, specularmente, con l'emettere – fatture od altri documenti per operazioni inesistenti la specialità della frode fiscale rispetto alla truffa consisterebbe sul piano strutturale proprio in ciò, che gli artifici previsti dalla norma di carattere generale si sostanziano, nella norma di settore, in una condotta vincolata, contraddistinta da una specifica modalità decettiva incentrata sull'uso di documenti fiscalmente rilevanti rappresentativi di operazioni fittizie. La Corte, dopo aver aderito in buona sostanza al secondo dei suesposti orientamenti, si spinge oltre giungendo ad affermare che «il sistema sanzionatorio in materia fiscale ha una spiccata specialità che lo caratterizza come un sistema chiuso e autosufficiente, all'interno del quale si esauriscono tutti i profili degli interventi repressivi, dettando tutte le sanzioni penali necessarie a reprimere condotte lesive o potenzialmente lesive dell'interesse erariale alla corretta percezione delle entrate fiscali». Non è, dunque, consentito all’interprete di andare a cercare nelle norme generali di parte speciale del codice penale fattispecie quale la truffa in danno dello Stato applicabili ad ipotesi non espressamente sanzionate dalla legislazione speciale penale tributaria. Sino alla riapertura per la rilevanza penale dell’elusione fiscale. La pronuncia che si annota ripercorre pedissequamente il rigoroso apparato motivazionale della sentenza Giordano per arrivare ad escludere, anche nel caso in esame, la ricorrenza di una fattispecie di truffa aggravata ai danni dello stato. A tale conclusione gli Ermellini sono giunti sulla base, sia della ratio della riforma operata con il D.lgs. numero 74/2000 – volta a punire la effettiva offesa all’erario e non le condotte prodromiche –, che della non punibilità del tentativo ai sensi dell’articolo 6, D.lgs. numero 74/2000, sia, infine, sulla base della giurisprudenza comunitaria e della compatibilità con la normativa sul condono fiscale di cui alla l. numero 289/2002. A fronte della riconfermata chiusura sull’utilizzo di fattispecie generali nella repressione penale degli illeciti tributari vi è tuttavia una evidente apertura della Corte alla applicazione, anche nel caso in esame, delle specifiche norme penali tributarie contenute nello stesso D.lgs. numero 74/2000, e ciò ricorrendo alla possibile rilevanza penale delle condotte elusive di obblighi tributari. In particolare, la Suprema Corte richiama un proprio precedente Cass. Sez. II, 22 novembre 2011, numero 7739 , noto al grande pubblico in quanto riguardante un famoso marchio di moda, in cui era stata riconosciuta penale rilevanza alla “esterovestizione” di talune attività economiche, in quanto finalizzate ad eludere la legislazione tributaria vigente. Ciò, secondo gli ermellini, non sarebbe in contrasto con il principio di legalità allorchè i reati tributari di dichiarazione infedele o di omessa dichiarazione possono essere integrati anche dalle condotte elusive ai fini fiscali, a condizione che siano strettamente riconducibili alle ipotesi di elusione espressamente previste dalla legge, quali quelle di cui agli articolo 37, comma 3, e 37 bis, D.P.R. numero 600/1973. La questione della penale rilevanza di condotte elusive di obblighi fiscali è dunque quanto mai aperta, in attesa dell’auspicato e apparentemente prossimo, seppur con esiti incerti, intervento sul punto del legislatore.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 9 – 22 ottobre 2012, numero 41087 Presidente Macchia – Relatore Gallo Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 16/3/2012, il Tribunale di Genova respingeva l'appello proposto dal Pubblico Ministero avverso il decreto 20/1/2012 con il quale il Gip di Genova ebbe a revocare il sequestro preventivo, disposto il 10/12/2010 sui beni e sulle somme nella disponibilità di T.F. , indagato, assieme ad altri per il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato. 2. Avverso tale ordinanza propone ricorso il Pubblico Ministero deducendo erronea applicazione di norme penali. Il Pubblico Ministero ricorrente eccepisce che il Tribunale ha errato nel ritenere che il reato di truffa aggravata ai danni dello Stato, di cui all'articolo 640 cpv. cod. penumero non sia applicabile ai comportamenti di frode al fisco. Il Tribunale avrebbe erroneamente interpretato i principi di diritto espressi dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con la sentenza Giordano numero 1235/2010 che riguardavano esclusivamente l'impossibilità di configurare il concorso fra i reati fiscali ed il reato di truffa, in ossequio al principio di specialità. Nel caso di specie la contestazione di truffa consumata non costituirebbe una censura di atti prodromici alle violazioni fiscali e quindi non rientrerebbe nell'area che il legislatore tributario del 2000 ha scelto di considerare non sanzionabile. Per converso l'inapplicabilità al caso di specie della figura generale della truffa priverebbe del tutto irragionevolmente il bene giuridico dell'erario da ogni tutela, anche in presenza di evidenti condotte di frode al fisco. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. Questa Sezione si è già occupata della medesima vicenda a seguito del ricorso proposto da B.F. avverso il decreto di sequestro preventivo emesso in data 10 dicembre 2010 dal g.i.p. del Tribunale di Genova nell'ambito del medesimo procedimento penale con la sentenza numero 46591 del 29 settembre 2011. In punto di diritto, tale sentenza ha testualmente rilevato che “le Sezioni unite di questa Corte 28 ottobre 2010, numero 1235 - rv. 248865 hanno recentemente affrontato il quesito se il sistema delle sanzioni penali in materia fiscale debba essere integrato con le fattispecie di diritto comune, talché le condotte non previste dalle norme speciali potrebbero comunque ricadere nell'ambito di applicazione di quelle generali ovvero se esso costituisca un sistema autonomo ed esclusivo, con la conseguente irrilevanza penale dei fatti non espressamente tipizzati dalle disposizioni fiscali, sebbene astrattamente riconducibili a fattispecie incriminatrici di diritto comune. Al riguardo la citata sentenza ha rilevato innanzitutto come il legislatore, in occasione della riforma introdotta con il D.Lgs. numero 74 del 2000, con una scelta di radicale alternatività rispetto al pregresso modello di legislazione penale tributaria, ha inteso abbandonare il modello del c.d. reato prodromico caratteristico della precedente disciplina di cui al D.L. 10 luglio 1982, numero 429, conv. L. 7 agosto 1982, numero 516 , che anticipava la linea d'intervento repressivo già sulla fase preparatoria dell'evasione d'imposta, in favore del focalizzazione del disvalore sul momento dell'effettiva offesa degli interessi dell'erario. Questa strategia, come si legge nella relazione ministeriale, ha impuntato la reazione punitiva sulla dichiarazione annuale, quale atto che realizza, dal lato del contribuente, il presupposto obiettivo e definitivo dell'evasione di contro, è stata negata autonoma rilevanza penale alle violazioni a monte della dichiarazione stessa, non ancora produttive di danno reale ed effettivo per l'erario v. pure Sez. Unumero 25 ottobre 2000 numero 27 - rv. 217031 Corte cost. 27 febbraio 2002, numero 49 . Ai fini della questione che ci interessa, assume particolare rilievo il D.Lgs. numero 74 del 2000, articolo 6, che esclude la punibilità a titolo di tentativo dei delitti in materia di dichiarazione di tipo commissivo articolo 2, 3 e 4 D.Lgs. cit. . La disposizione mira ad evitare che le violazioni preparatorie, già autonomamente represse nel vecchio sistema, possano essere ritenute tuttora penalmente rilevanti ex se a titolo di delitto tentato, quali atti idonei preordinati in modo non equivoco ad una falsa dichiarazione. La ratio risiede nell'intenzione di stimolare, nell'interesse dell'erario, la resipiscenza del contribuente scoperto nel corso del periodo d'imposta. Sulla base di tale rilievo, le Sezioni unite hanno concluso che la negazione di un rapporto di specialità tra la fattispecie penale tributaria e quella comune di truffa aggravata ai danni dello Stato si porrebbe in palese contrasto con la linea di politica criminale e con la stessa ratio che ha ispirato il legislatore nel dettare le linee portanti della riforma introdotta con il D.Lgs. numero 74 del 2000. Ciò in quanto, se il legislatore individua nella presentazione della dichiarazione annuale la condotta tipica e il momento di rilevanza penale della fattispecie di evasione, espressamente escludendo che la soglia di punibilità possa essere anticipata , ai sensi dell'articolo 56 c.p., anche nel caso di accertamento di irregolarità fiscali compiute nel corso del periodo d'imposta, non può recuperarsi l'illiceità penale della condotta preparatoria utilizzando un'ipotesi delittuosa comune contro il patrimonio, quale la truffa aggravata ai danni dello Stato eventualmente anche sub specie di tentativo . A ragionare diversamente, si finirebbe con lo stravolgere il sistema di repressione penale dell'evasione fiscale, consapevolmente disegnato dalla riforma del 2000 su basi radicalmente diverse. In favore della esclusività del sistema penale fiscale depone anche la disciplina del condono fiscale di cui alla L 27 dicembre 2002, numero 289, articolo 8, comma 6, lett. c e comma 12 legge finanziaria 2003 . Il ravvedimento del contribuente comporta l'esclusione della punibilità per i reati tributari di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, numero 74 e l'integrazione dei redditi e degli imponibili non determina obbligo di denunzia all'autorità giudiziaria, in quanto non costituisce notizia di reato. Emergono quindi due elementi che attestano come il legislatore abbia inteso escludere il concorso con il delitto di truffa ai danni dello Stato. In primo luogo, diversamente opinando, la non punibilità dei soli reati fiscali esporrebbe il contribuente alla responsabilità penale per truffa ai danni dello Stato, con l'effetto di disincentivare - anziché auspicare - il perseguimento delle finalità a cui l'intervento normativo è rivolto”. La Corte osserva, inoltre, che se il fatto continuasse a costituire reato alla stregua della normativa comune , costituirebbe una grave aporia sistematica l'affermazione secondo cui la dichiarazione dei redditi non integra gli estremi della notitia criminis e non deve essere trattata come tale. Quindi la Corte rileva testualmente che “un ulteriore argomento a sostegno della non applicabilità dell'articolo 640-bis c.p. alla materia fiscale si trae dall'articolo 7 della Convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità Europee oggi dell'Unione Europea del 26 luglio 1995. La norma, nel porre il principio ne bis in idem Europeo la persona che sia stata giudicata con provvedimento definitivo in uno Stato membro non può essere perseguita in un altro Stato membro per gli stessi fatti, purché la pena eventualmente applicata sia stata eseguita, sia in fase di esecuzione o non possa essere più eseguita ai sensi della legislazione dello Stato che ha pronunciato la condanna , conferma che la tutela degli interessi finanziari comunitari deve essere attuata mediante un sistema sanzionatorio che è esaustivo degli interventi repressivi, non solo all'interno dei confini nazionali, ma anche nella dimensione comunitaria. Sulla base di tali considerazioni, le Sezioni unite hanno quindi concluso che in definitiva, qualsiasi condotta di frode al fisco non può che esaurirsi all'interno del quadro sanzionatorio delineato dalla apposita normativa. Vi è, dunque, una generale specialità delle previsioni penali tributarie in materia di frode fiscale, le quali, in quanto disciplinano condotte tipiche e si riferiscono ad un determinato settore di intervento della repressione penale, esauriscono la connessa pretesa punitiva dello Stato e della Unione Europea . Nella specie, al B. è stato contestato il reato di cui all'articolo 640 c.p., commi 1 e 3, perché, in concorso con altri, avrebbe rappresentato falsamente - anche attraverso la realizzazione di una complessa struttura societaria volta a dissimulare l'effettiva destinazione del bene - che l'imbarcazione denominata OMISSIS versava nelle condizioni di non imponibilità i.v.a. in relazione alla fornitura del carburante. La condotta naturalistica così descritta non rientra in alcuna delle fattispecie criminose di cui al D.Lgs. numero 74 del 2000. L'imputazione, infatti, è strutturata secondo un criterio di tutela anticipata dell'interesse dell'erario, dal momento che l'azione delittuosa è individuata non già nell'evasione dell'imposta in sé, bensì nella creazione di un'apparenza idonea a creare l'inganno circa la sussistenza dei presupposti destinazione esclusivamente commerciale e proprietà extracomunitaria del natante per l'esenzione dal pagamento dell'i.v.a Facendo applicazione dei principi di diritto testé illustrati, il fatto è quindi penalmente irrilevante, non essendo legittimo impiegare una norma incriminatrice di diritto comune per perseguire una condotta certamente lesiva degli interessi fiscali dello Stato e della Comunità Europea, ma estranea alle fattispecie tipiche del sistema penale tributario”. 3. Questo Collegio condivide la decisione sopra richiamata ed i principi di diritto ivi espressi. Pertanto nessuna censura è possibile avverso l'ordinanza impugnata, che, escludendo la configurabilità del reato di cui all'articolo 640 cpv cod. penumero , è coerente con l'indirizzo giurisprudenziale sopra delineato. Tuttavia, rispetto all'orientamento espresso con la sentenza sopra citata, è opportuno ulteriormente precisare che la condotta in esame non può essere necessariamente ritenuta estranea alle fattispecie tipiche del sistema penale tributario. Infatti non si può escludere la rilevanza penale delle condotte elusive degli obblighi tributari. Al riguardo questa Corte ha statuito che i reati tributari di dichiarazione infedele o di omessa dichiarazione possono essere integrati anche dalle condotte elusive ai fini fiscali che siano strettamente riconducibili alle ipotesi di elusione espressamente previste dalla legge, ovverossia quelle di cui agli articolo 37, comma terzo, e 37 bis del D.P.R. numero 600 del 1973 Cass. Sez. 2, Sentenza numero 7739 del 22/11/2011 Cc. dep. 28/02/2012 Rv. 252019 conforme Sez. 3, Sentenza numero 26723 del 18/03/2011 Cc. dep. 07/07/2011 Rv. 250958 . In particolare, con la sentenza 7739/11, questa Corte si è occupata del caso delle esterovestizione di talune attività economiche finalizzata ad eludere la legislazione tributaria vigente ed ha osservato che “La affermazione della rilevanza penale delle condotte elusive in materia fiscale, nei limiti sopra specificati, non contrasta con il principio di legalità, inteso nel senso sopra precisato, poiché se tale principio non consente la configurabilità della generale fattispecie di truffa, in presenza di una espressa previsione nel sistema tributario di una specifica condotta elusiva, non è, invece, ostativo alla configurabilità della rilevanza penale della medesima condotta, trattandosi di un risultato interpretativo conforme ad una ragionevole prevedibilità, tenuto conto della ratio delle norme, delle loro finalità e del loro inserimento sistematico. Se il principio di legalità venisse diversamente applicato nella materia di cui si parla si chiuderebbero gli spazi non solo della normativa penale generale, ma anche di quella speciale di settore la plurima invocazione del principio di specialità trasformerebbe questo in principio di impunità, pur in presenza di una descrizione della fattispecie elusiva provvista dei necessari caratteri di determinatezza”. P.Q.M. Rigetta il ricorso.