Esenzione Iva sulla vigilanza privata: sì ai lavoratori autonomi, no agli istituti

Netto distinguo tra l’attività realizzata dalle singole guardie giurate, operanti quali lavoratori autonomi, e quella degli istituti quali realtà imprenditoriali. Chiara la linea dettata dalla norma, anche tenendo presente che, comunque, gli istituti vantano una organizzazione di apprezzabile dimensione economica.

Repetita iuvant, sostenevano i latini. Ma seguire questa filosofia non sempre porta buoni frutti Soprattutto se, come in questo caso, la domanda proposta per ben due volte non tiene conto di un particolare significativo, la realtà economica, ossia la differenza sostanziale tra un lavoratore autonomo e una struttura aziendale complessa. Per questo è logico limitare l’applicazione dell’esenzione Iva ecco il nocciolo della questione alla singola figura della guardia giurata, senza provare ad allargarla anche agli istituti di vigilanza. Cassazione, sentenza n. 20979, sezione Tributaria, depositata oggi Piccoli lavoratori crescono Assolutamente netta la posizione assunta già nei primi due gradi di giudizio sia la Commissione tributaria provinciale che la Commissione tributaria regionale danno torto all’imprenditore, titolare di ben due istituti di vigilanza. Secondo questa ottica, è assolutamente corretta la scelta del Fisco di rigettare l’ istanza di rimborso Iva presentata dall’imprenditore per il periodo 1983-1993. Ciò perché il mutamento del quadro normativo aveva reintrodotto l’esenzione sì ma limitandola alle prestazioni di servizi di vigilanza e custodia delle guardie giurate quali lavoratori autonomi . Deduzione logica, quindi, sono escluse dall’esenzione le prestazioni rese dagli istituti di vigilanza aventi carattere d’impresa . Visione, questa, completamente errata, secondo l’imprenditore, il quale sostiene, con ricorso ad hoc in Cassazione, che, norme alla mano, non vi è diversità ontologica fra le tipologie di prestazioni , ovvero fra attività esercitate da guardie particolari e da istituti di vigilanza , Ma le rimostranze dell’imprenditore vengono ritenute assolutamente prive di senso dai giudici della Cassazione, i quali, difatti, confermano quanto deciso dalle Commissioni tributarie. Nessuna possibilità di applicazione dell’ esenzione Iva per i due istituti di vigilanza dell’imprenditore. Per la semplice ragione che l’esenzione dall’imposta prevista in materia di servizi di vigilanza deve intendersi limitata alle sole prestazioni rese direttamente dalle guardie particolari giurate ai privati ed agli enti, in qualità di lavoratori autonomi . Questa diversità di trattamento fiscale si spiega, chiariscono i giudici, coll’intenzione di non gravare le attività svolte dalle guardie giurate, operanti in veste di lavoratori autonomi , soprattutto tenendo presente le caratteristiche degli istituti di vigilanza, ossia una organizzazione di apprezzabile dimensione economica .

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 9 luglio 13 settembre 2013, n. 20979 Presidente Cirillo Relatore Conti Svolgimento del processo D’A.G., n.q. di titolare dell’I.V.N.D.C. e dell’I.H.I.V., presentava istanza di rimborso IVA per il periodo 1983/1993 assumendo l’operatività dell’art. 10 n. 26 d.p.r. n. 633/72 quanto all’attività di vigilanza privata. Avverso il silenzio rifiuto il D’A. ha proposto separati ricorsi che la CTP di Vibo Valenzia, previa riunione dei ricorsi, rigettava. La CTR della Calabria, con sentenza pubblicata il 15 settembre 2008, confermava la sentenza impugnata rigettando, previa riunione, i due appelli proposti dalla parte contribuente. Osservava il giudice di appello che all’esito del mutamento del quadro normativo di riferimento attuato attraverso la modifica del d.l. n. 953/82, il legislatore aveva reintrodotto l’esenzione limitandola alle prestazioni di servizi di vigilanza e custodia di cui al r.d. n. 1952/1935 relativo al servizio delle guardie giurate particolari quali lavoratori autonomi. Da ciò conseguiva che, fino all’abrogazione dell’art. 10 n. 26 cit. operata dall’art. 2 comma 1 lett. b del d.l. n. 557/93, conv. nella l. n. 133/94 - non operante nel caso di specie -, erano escluse dall’esenzione le prestazioni rese dagli istituti di vigilanza disciplinati dal RDL 12.11.1936 n. 2144 aventi carattere di impresa, come aveva pacificamente riconosciuto la giurisprudenza di questa Corte. Il contribuente, con due distinti ricorsi, proposti nella qualità di titolare dell’I.V.N.D.C. e dell’I.H.I.V. ha impugnato innanzi a codesta Corte la sentenza di appello, affidandoli a due motivi, ai quali ha resistito l’Agenzia delle Entrate con controricorso. Motivi della decisione Il procedimento recante il n. 24206/09 va riunito, ex art. 335 c.p.c., a quello recante il n. 24200/09, avendo gli stessi ad oggetto i due ricorsi proposti dal D’A. n.q. di titolare dell’I.V.N.D.C. e dell’I.H.I.V. avverso la medesima sentenza n. 160/1/08 resa dalla CTR della Calabria. Con il primo complesso motivo di ricorso il D’A. ha prospettato la violazione e falsa applicazione dell’art. 10 n. 2 dpr n. 633/72, come modificato dall’art. 5 del d.1. n. 953/1982 conv. nell’art. 5 c. l della l. n. 53/83, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. e tenuto conto degli artt. 1, 2, 3, 4, 5 e 6 del r.d.l. n. 1952/35. Lamenta che la CTR aveva fondato il proprio assunto sulla reintroduzione dell’esenzione per le prestazioni di vigilanza regolate dal R.D.L. n. 1952/1935, ritenendo che la mancata estensione alle prestazioni regolate dal RDL n. 1952/1935 dimostrerebbe la netta diversità, ontologica, fra le tipologie di prelazioni. Evidenzia che tale assunto era errato, ciò risultando dall’esame degli articoli del RDL n. 1952, riferibili non solo alle singole guardia giurata, ma anche agli istituti. Ciò, peraltro, risultava confermato dal tenore testuale dell’art. 10 n. 19 dpr n. 633/72 che, anteriormente all’entrata in vigore del d.l. n. 953/82, esentava dall’IVA i servizi di vigilanza direttamente effettuati da istituti autorizzati esclusivamente a tale attività . Doveva pertanto ritenevi, ad onta di quanto postulato dalla CTR, che le discipline di cui ai RR.DD.LL. del 1935 e del 1936 non si ponevano affatto in rapporto di alternatività, ciò peraltro trovando conferma anche negli artt. 133-141 del R.D. n. 773/1931 TULPS ove non si rinveniva alcuna distinzione fra attività esercitate da guardie particolari e da istituti di vigilanza. D’altra parte, lo stesso contenuto del RDL n. 1952, riferendosi anche alla disciplina dell’attività degli istituti di vigilanza, confermava il carattere unitario dello stesso e del RDL n. 2144 del 1936. Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotte il vizio della nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. Lamenta che la CTR non aveva risposto a tutti gli argomenti difensivi esposti dalla parte contribuente, ritenendoli assorbiti e confutati nella propria pronuncia. L’Agenzia delle Entrate, nel controricorso, ha dedotto l’infondatezza delle due censure, richiamando, quanto alla prima, i lavori preparatori della l. n. 53/83 di conversione del d.l. n. 953/82, nei quali era stata nettamente diversificata la posizione degli istituti di vigilanza da quella delle prestazioni rese dalle guardie giurate operanti quali lavoratori autonomi ed il parere del Consiglio di Stato n. 247/96. Aggiungeva che la giurisprudenza di questa Corte, a partire dalla sentenza n. 7811/2000, si era orientata nel senso condiviso dalla CTR. Il primo motivo di ricorso è infondato. La questione sottoposta all’esame del Collegio se la esenzione IVA prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, n. 26 nel testo vigente nel periodo 1986-1993 ricomprenda - anche ed esclusivamente - le prestazioni di servizi di vigilanza e custodia erogate dagli Istituti di vigilanza di cui all’art. 134, cit. TULPS va risolta alla stregua della costante giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non vi è motivo di discostarsi, non avendo fornito la parte ricorrente argomenti giuridici diversi da quelli già esaminati nei precedenti ai quali il Collegio intende conformarsi ed in particolare da Cass. n. 16101/11, la quale ha confermato la piena correttezza delle tesi espresse dall’Ufficio negli avvisi di accertamento impugnati, nel caso di specie parimenti condivise dalla CTR. In tale occasione la Corte, rispondendo alle doglianze analoghe a quelle proposte in questa sede dalla parte contribuente, dando continuità all’indirizzo inaugurato - come puntualmente ricordato dalla controricorrente - da Cass. n. 7811/2000 e poi seguito da Cass. n. 4254/2002, Cass. 1998/2003 n. 1998 e Cass. n. 19696/2004 , ha ritenuto che l’esenzione dall’imposta prevista in materia di servizi di vigilanza dall’art. 10, primo comma, n. 26, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, come modificato dall’art. 5 del d.l. 30 dicembre 1982, n. 953 conv. In legge 28 febbraio 1983, n. 53 deve intendersi limitata alle sole prestazioni rese direttamente dalle guardie particolari giurate ai privati ed agli enti, in qualità di lavoratori autonomi, mentre non spetta relativamente alle prestazioni fornite, quand’anche a mezzo di guardie giurate, dagli istituti di vigilanza privata previsti dal r.d.l. 12 novembre 1936, n. 2144. In tale occasione si è ritenuto che l’esplicita soppressione, nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 10, n. 26 del precedente riferimento alle prestazioni effettuale dagli Istituti autorizzati ad esercitare l’attività di vigilanza ed il richiamo esclusivo al R.D.L. 26 settembre 1935, n. 1952 conv. in L. 19 marzo 1936, n. 508 recante disciplina del servizio delle guardie particolari giurate e non anche al R.D.L. 12 novembre 1936, n. 2144, conv. in L. 3 aprile 1937, n. 526 recante disciplina degli istituti di vigilanza privata assume carattere dirimente, dimostrando la ratio legis tesa a limitare la esenzione alle sole prestazioni di vigilanza e custodia effettuate da persone fisiche guardie particolari giurate a favore di enti pubblici, altri enti collettivi e privati R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 133, TULPS . Deve pertanto qui riaffermarsi che le norme di attuazione dei due regi decreti leggi si pongono in rapporto di esclusione e non di complementarietà od unitarietà , tanto risultando dal R.D.L. n. 2144 del 1936, art. 5 concernente gli Istituti di vigilanza privata, a cui tenore il presente decreto non riguarda le guardie particolari giurate destinate da enti pubblici, altri enti collettivi e privati alla vigilanza o custodia delle loro proprietà mobiliari od immobiliari, le quali rimangono sottoposte alle disposizioni del R.D.L. 26 settembre 1935, n. 1952 . Né a diverso avviso può condurre il richiamo, operato dalla parte ricorrente, alle disposizioni del TULPS, bastando all’uopo ricordare che l’art. 133, comma 1, cit., nel prevedere che enti pubblici, altri enti collettivi e privati possano avvalersi di guardie particolari per la vigilanza e custodia delle loro proprietà, non dispone in alcun modo sul contenuto del rapporto avente ad oggetto la prestazione di servizi - così sent. numero /11, cit. -. D’altra parte, è stato parimenti sottolineato che la diversità di trattamento ai fini fiscale fra guardie giurate particolari ed istituti di vigilanza trova parimenti conferma nel Bollettino delle Commissioni della Camera, relativo ai lavori del 19 gennaio 1983, ove risulta che l’intendimento del legislatore era quello di sopprimere totalmente, l’art. 10, n. 26 per eliminare l’esenzione dall’iva delle prestazioni di servizi ivi indicate, ma che, poi, era sembrato opportuno non gravare le attività svolte dalle guardie giurate di cui al decreto 1952/1935 , operanti in veste di lavoratori autonomi - cfr. Cass. n. 7811/2000, cit. -. Resta soltanto da dire che la diversità fra il più gravoso trattamento fiscale riservato dall’ordinamento agli istituti di vigilanza, rispetto a quanto previsto per lo svolgimento del medesimo servizio da parte delle guardie particolari giurate, trova piena giustificazione, sotto il profilo della ragionevolezza e della compatibilità con l’art. 53 Cost., con la necessaria presenza, nel primo caso, di un’organizzazione di apprezzabile dimensione economica - cfr. Cass. n. 19489/2004 -. Sulla base di tali argomentazioni la censura va disattesa. Passando al secondo motivo di ricorso lo stesso è infondato. Ed invero, è pacifico l’insegnamento di questa Corte nel senso che ricorre il vizio di omessa pronunzia, solo quando il giudice di merito abbia omesso di pronunziarsi sulla domanda ed eccezione proposta da una delle parti, non potendosi qualificare nel vizio di cui all’art. 112 c.p.c. correlato all’art. 360 coma 1 n. 4 c.p.c. - l’omesso esame di argomentazioni giuridiche e difese proposte dalla parte, che potrebbe semmai dare luogo al vizio previsto dall’art. 350, n. 5, cod. proc. civ. - cfr. Cass. n. 6858/2004, Cass. n. 7268/2012, Cass. n. 7871/2012 -. Sulla base di tali argomentazioni il motivo è inammissibile. Al rigetto del ricorso segue la condanna alle spese della parte ricorrente. P.Q.M. La Corte riunisce il procedimento recante il n. 24206/09 a quello recante il n. 24200/09. Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese che liquida in euro 25.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.