In caso di stupro di gruppo, sì agli arresti domiciliari quale misura alternativa alla custodia cautelare in carcere

È costituzionalmente illegittimo l’articolo 275, comma 3, terzo periodo, c.p.p., come modificato dall’articolo 2, d.l. 23 febbraio 2009, numero 11 Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori , convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, numero 38, nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’articolo 609-octies c.p., è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.

Così si è pronunciata la Corte Costituzionale, con sentenza del 23 luglio 2013, numero 232, in merito alla questione di legittimità costituzionale della norma citata, sollevata dal Tribunale del Riesame di Salerno. I dubbi di costituzionalità sull’articolo 275, comma 3, terzo periodo, c.p.p., tra ordinanza di rimessione e recenti pronunce della Consulta. Il Tribunale del Riesame di Salerno ha rimesso alla Corte Costituzionale la questione di legittimità dell’articolo 275, comma 3, terzo periodo, c.p.p., così come modificato dal D.L. numero 11/2009, in tema di criteri di scelta delle misure cautelari personali, laddove impone «l’applicazione della custodia cautelare in carcere», ritenendo che, per il delitto di violenza sessuale di gruppo di cui all’articolo 609-octies c.p., la misura degli arresti domiciliari sia ugualmente idonea a neutralizzare il prescritto «pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di quelli per i quali si procede» nel restringere l’indagato in un ambito familiare-coniugale, gli arresti domiciliari comporterebbero già un pregnante controllo del soggetto e la preclusione di ogni situazione extraconiugale. Il giudice rimettente, in particolare, ritiene che la norma de qua sia in contrasto con i seguenti principi il principio di uguaglianza e di ragionevolezza, ex articolo 3 Cost. il principio d’inviolabilità della libertà personale, ex articolo 13, co. 1, Cost. la presunzione di non colpevolezza, ex articolo 27, co. 2, Cost. Suddetti principi – ritiene il Tribunale di Salerno – portano a individuare nel «“minor sacrificio necessario” il criterio che deve informare la materia delle misure cautelari personali» e a considerare che «le restrizioni della libertà personale dell’indagato o dell’imputato nel corso del procedimento debbono assumere connotazioni chiaramente differenziate da quelle della pena». L’articolo 275 cit. è stato, di recente, oggetto di diverse pronunce di incostituzionalità segnatamente, in tema di alcuni delitti a sfondo sessuale delitto di omicidio volontario delitto di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti o psicotrope. Una diversa interpretazione, costituzionalmente orientata della norma, non è, però, praticabile, in quanto, oltre ad avere la stessa carattere univoco, le indicate pronunce, tutte conclusesi con declaratorie di parziale illegittimità costituzionale, non sono estendibili ad altre fattispecie come quella in esame, perché relative solo ed esclusivamente ai reati oggetto delle varie pronunce. La Corte Costituzionale, sposando la ricostruzione ut supra riportata e per le ragioni di cui infra, dichiara, così, l’illegittimità costituzionale dell’articolo 275, comma 3, terzo periodo, cod. proc. penumero , così come modificato dal D.L. numero 11/2009, «nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’articolo 609-octies del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure». Anche in tema di misure cautelari personali, il modello da adottare deve essere quello della pluralità adeguata. L’Alta Corte, nell’accogliere l’ordinanza di rimessione, rileva un importante principio, che dovrebbe informare tutto il regime delle misure cautelari, qual è quello della “pluralità adeguata” il sistema cautelare – afferma la Consulta – dovrebbe essere dal legislatore strutturato, da un lato, «predisponendo una gamma di misure alternative, connotate da differenti gradi di incidenza sulla libertà personale» e, dall’altro, prefigurando «criteri per scelte «individualizzanti» del trattamento cautelare, parametrate sulle esigenze configurabili nelle singole fattispecie concrete» il tutto secondo la stessa disciplina generale del codice di procedura penale, che si basa, appunto, da un canto, su un ventaglio di misure di gravità crescenti articolo 281-295 c.p.p. e, dall’altro, sul fondamentale principio di “adeguatezza” ex articolo 275, comma 1, c.p.p. .

Corte Costituzionale, sentenza 16 - 23 luglio 2013, numero 232 Presidente Gallo – Redattore Lattanzi SENTENZA nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale, come modificato dall’articolo 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, numero 11 Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori , convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, numero 38, promosso dal Tribunale di Salerno, sezione riesame, nel procedimento penale a carico di S.F. ed altri con ordinanza del 21 agosto 2012, iscritta al numero 240 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numero 43, prima serie speciale, dell’anno 2012. Udito nella camera di consiglio del 3 luglio 2013 il Giudice relatore Giorgio Lattanzi. Ritenuto in fatto Con ordinanza depositata il 21 agosto 2012 r.o. numero 240 del 2012 , il Tribunale di Salerno, sezione riesame, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale, come modificato dall’articolo 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, numero 11 Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori , convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, numero 38, nella parte in cui «impone l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere», in relazione al delitto di cui all’articolo 609-octies del codice penale. Il giudice rimettente riferisce che con ordinanza del 10 giugno 2011 era stata applicata ad alcune persone, cui era addebitato anche il delitto previsto dall’articolo 600-bis, secondo comma, cod. penumero , la misura cautelare della custodia in carcere in relazione al delitto di violenza sessuale di gruppo. A tre degli indagati era contestata la partecipazione «in funzione essenzialmente di istigatori e di spettatori» a un «singolo episodio di violenza sessuale di gruppo», diverso per ciascuno di essi, in cui «proprio il fidanzato della persona offesa» aveva svolto «un ruolo fondamentale nella costrizione e nella esecuzione del rapporto sessuale», al quale, in tre diverse occasioni, gli altri indagati avevano assistito. Il giudice del riesame aveva escluso per uno degli indagati la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e – oltre a confermare la misura detentiva applicata a un quarto indagato – aveva disposto, per gli altri, la sostituzione della custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari, prospettando un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 275, comma 3, cod. proc. penumero , incentrata sulle ragioni poste a fondamento della sentenza di illegittimità costituzionale numero 265 del 2010 della Corte costituzionale e sull’omogeneità del bene protetto sia dai reati a sfondo sessuale presi in considerazione da tale pronuncia sia dal delitto di cui all’articolo 609-octies cod. penumero La Corte di cassazione aveva annullato con rinvio l’ordinanza del Tribunale del riesame, ritenendo, in particolare, illogica la motivazione relativa all’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nei confronti di uno degli indagati. Investito nuovamente, a seguito del rinvio disposto dalla Corte di cassazione, il giudice rimettente, da un lato, sottolinea la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nei confronti dell’indagato per il quale la precedente decisione li aveva esclusi e, dall’altro, conferma la valutazione circa l’adeguatezza della misura degli arresti domiciliari già applicata agli altri indagati in sostituzione della custodia cautelare in carcere originariamente disposta. Al riguardo il Tribunale del riesame osserva che la misura degli arresti domiciliari «restringendo l’indagato in un ambito familiare/coniugale, comportando già un pregnante controllo del soggetto e la preclusione di ogni situazione extraconiugale, appare già adeguata a neutralizzare del tutto il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie di quelli per i quali si procede». Con riferimento a quest’ultimo profilo, però, il giudice del riesame ritiene che non sia più possibile un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 275 cod. proc. penumero , come quella adottata dalla Corte di cassazione terza sezione penale, numero 4377 del 20 gennaio 2012 , secondo cui la presunzione prevista dall’articolo 275, comma 3, cod. proc. penumero anche per il delitto di violenza sessuale di gruppo dovrebbe essere interpretata alla luce della sentenza numero 265 del 2010 della Corte costituzionale, sicché il giudice avrebbe l’obbligo di valutare anche rispetto a tale delitto se siano stati acquisiti elementi specifici dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. Infatti, sottolinea il giudice a quo, la successiva sentenza della Corte costituzionale numero 110 del 2012 ha affermato che la lettera dell’articolo 275, comma 3, cod. proc. penumero non consente di conseguire in via interpretativa l’effetto che solo una pronuncia di illegittimità costituzionale può produrre. Rivalutati sia il quadro cautelare sia l’idoneità e l’adeguatezza della misura cautelare applicata agli indagati, il giudice rimettente mette in luce la rilevanza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 275, comma 3, cod. proc. penumero , nella parte in cui per il delitto di cui all’articolo 609-octies cod. penumero prevede una presunzione assoluta di adeguatezza della sola misura cautelare della custodia in carcere. La questione stessa sarebbe, inoltre, non manifestamente infondata in riferimento agli articolo 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, Cost. estesa dall’articolo 2, comma 1, del decreto-legge numero 11 del 2009, la presunzione in esame, osserva il rimettente, è stata oggetto di varie pronunce di illegittimità costituzionale. Pienamente estensibili alla fattispecie in esame sarebbero le motivazioni addotte dalla Corte costituzionale con tali pronunce e, in particolare, con la sentenza numero 265 del 2010 in considerazione dell’omogeneità del bene protetto dalle norme relative ai reati sessuali oggetto di questa sentenza rispetto al delitto di violenza sessuale di gruppo, per il quale si procede nel giudizio a quo la norma censurata sarebbe, quindi, in contrasto con i princìpi di uguaglianza e di ragionevolezza articolo 3 Cost. , con il principio di inviolabilità della libertà personale articolo 13, primo comma, Cost. e con la presunzione di non colpevolezza articolo 27, secondo comma, Cost. , che «portano ad individuare nel “minor sacrificio necessario” il criterio che deve informare la materia delle misure cautelari personali e a considerare che le restrizioni della libertà personale dell’indagato o dell’imputato nel corso del procedimento debbono assumere connotazioni chiaramente differenziate da quelle della pena». Considerato in diritto 1.– Il Tribunale di Salerno, sezione riesame, dubita, in riferimento agli articoli 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’articolo 275, comma 3, del codice di procedura penale, come modificato dall’articolo 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, numero 11 Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori , convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, numero 38, nella parte in cui «impone l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere» per il delitto di violenza sessuale di gruppo articolo 609-octies del codice penale . Ad avviso del rimettente sarebbero riferibili anche alla fattispecie in questione le ragioni che hanno indotto questa Corte a dichiarare costituzionalmente illegittima la norma censurata in relazione ad alcuni delitti a sfondo sessuale sentenza numero 265 del 2010 , al delitto di omicidio volontario sentenza numero 164 del 2011 e al delitto di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope sentenza numero 231 del 2011 , nonché la presunzione assoluta prevista dall’articolo 12, comma 4-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, numero 286 Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero in relazione ad alcune figure di favoreggiamento delle immigrazioni illegali sentenza numero 331 del 2011 . Esclusa la praticabilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata, il Tribunale di Salerno ritiene la norma censurata in contrasto con i princìpi di uguaglianza e di ragionevolezza articolo 3 Cost. , con il principio di inviolabilità della libertà personale articolo 13, primo comma, Cost. e con la presunzione di non colpevolezza articolo 27, secondo comma, Cost. , princìpi che portano a individuare nel «“minor sacrificio necessario” il criterio che deve informare la materia delle misure cautelari personali» e a considerare che «le restrizioni della libertà personale dell’indagato o dell’imputato nel corso del procedimento debbono assumere connotazioni chiaramente differenziate da quelle della pena». 2.– La questione è fondata in riferimento ai parametri evocati dal rimettente e nei termini di seguito specificati. 3.– In via preliminare, deve rilevarsi la correttezza della tesi del rimettente che esclude la praticabilità, nel caso in esame, di un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma sospettata di illegittimità costituzionale. Infatti, questa Corte ha più volte affermato che «l’univoco tenore della norma segna il confine in presenza del quale il tentativo interpretativo deve cedere il passo al sindacato di legittimità costituzionale» sentenza numero 78 del 2012 e, a proposito della presunzione assoluta dettata dall’articolo 275, comma 3, cod. proc. penumero , ha già ritenuto che le parziali declaratorie di illegittimità costituzionale della norma impugnata, relative esclusivamente ai reati oggetto delle varie pronunce, non si possono estendere alle altre fattispecie criminose ivi disciplinate sentenza numero 110 del 2012 . 4.– La norma censurata è frutto della stratificazione di una serie di interventi legislativi particolare rilievo è rivestito dalla novella del 2009 articolo 2, comma 1, lettere a e a-bis, del decreto-legge numero 11 del 2009 , che ha esteso la disciplina introdotta nel 1995 per i delitti di cui all’articolo 416-bis cod. penumero o commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo articolo 5, comma 1, della legge 8 agosto 1995, numero 332, recante «Modifiche al codice di procedura penale in tema di semplificazione dei procedimenti, di misure cautelari e di diritto di difesa» a numerose altre fattispecie penali, tra le quali quelle individuate attraverso il riferimento ai delitti di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, cod. proc. penumero Espressamente previsto nel terzo periodo dell’articolo 275, comma 3, cod. proc. penumero è il delitto di cui all’articolo 609-octies cod. penumero violenza sessuale di gruppo , assoggettato, come le altre figure delittuose indicate, al regime cautelare speciale salvo che ricorrano le circostanze attenuanti contemplate dalle relative disposizioni. Con la sentenza numero 265 del 2010, questa Corte ha già dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizione censurata, nella parte in cui configura una presunzione assoluta – anziché relativa – di adeguatezza della sola custodia in carcere a soddisfare le esigenze cautelari nei confronti della persona raggiunta da gravi indizi di colpevolezza per i reati di induzione alla prostituzione minorile o di favoreggiamento o sfruttamento della stessa, di violenza sessuale e di atti sessuali con minorenne articolo 600-bis, primo comma, 609-bis e 609-quater cod. penumero . Ad analoga declaratoria di illegittimità costituzionale questa Corte è poi pervenuta nei riguardi della medesima disposizione, nella parte in cui assoggetta a presunzione assoluta anche il delitto di omicidio volontario sentenza numero 164 del 2011 , il delitto di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope sentenza numero 231 del 2011 , il delitto di associazione per delinquere realizzato allo scopo di commettere i delitti previsti dagli articolo 473 e 474 cod. penumero sentenza numero 110 del 2012 e i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis cod. penumero ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo sentenza numero 57 del 2013 . Inoltre, questa Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 12, comma 4-bis, del d.lgs. numero 286 del 1998, recante una disciplina analoga a quella contenuta nell’articolo 275, comma 3, secondo e terzo periodo, cod. proc. penumero sentenza numero 331 del 2011 . Nelle decisioni richiamate, è stato rilevato come, alla luce dei principi costituzionali di riferimento – segnatamente, il principio di inviolabilità della libertà personale articolo 13, primo comma, Cost. e la presunzione di non colpevolezza articolo 27, secondo comma, Cost. – la disciplina delle misure cautelari debba essere ispirata al criterio del «minore sacrificio necessario» la compressione della libertà personale deve essere, pertanto, contenuta entro i limiti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari del caso concreto. Ciò impegna il legislatore, da una parte, a strutturare il sistema cautelare secondo il modello della «pluralità graduata», predisponendo una gamma di misure alternative, connotate da differenti gradi di incidenza sulla libertà personale, e, dall’altra, a prefigurare criteri per scelte «individualizzanti» del trattamento cautelare, parametrate sulle esigenze configurabili nelle singole fattispecie concrete. A questi canoni si conforma la disciplina generale del codice di procedura penale, basata sulla tipizzazione di un «ventaglio» di misure di gravità crescente articoli da 281 a 285 e sulla correlata enunciazione del principio di «adeguatezza» articolo 275, comma 1 , in applicazione del quale il giudice è tenuto a scegliere la misura meno afflittiva tra quelle astrattamente idonee a soddisfare le esigenze cautelari ravvisabili nel caso concreto e, conseguentemente, a far ricorso alla misura “massima” la custodia cautelare in carcere solo quando ogni altra misura risulti inadeguata articolo 275, comma 3, primo periodo . Da tali coordinate si discosta vistosamente la disciplina dettata dal secondo e dal terzo periodo del comma 3 dell’articolo 275 cod. proc. penumero , che stabilisce, rispetto ai soggetti raggiunti da gravi indizi di colpevolezza per taluni delitti, una duplice presunzione, relativa, quanto alla sussistenza delle esigenze cautelari, e assoluta, quanto alla scelta della misura, reputando il legislatore adeguata, ove la presunzione relativa non risulti vinta, unicamente la custodia cautelare in carcere, senza alcuna possibile alternativa. A tale proposito, questa Corte ha ribadito che «le presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto fondamentale della persona, violano il principio di eguaglianza, se sono arbitrarie e irrazionali, cioè se non rispondono a dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell’id quod plerumque accidit» e che «l’irragionevolezza della presunzione assoluta si può cogliere tutte le volte in cui sia “agevole” formulare ipotesi di accadimenti reali contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa» sentenza numero 139 del 2010, richiamata dalle decisioni sopra citate . 5.– Il delitto di violenza sessuale di gruppo è stato configurato quale fattispecie autonoma rispetto al delitto di violenza sessuale con la legge 15 febbraio 1996, numero 66 Norme contro la violenza sessuale come ha rilevato questa Corte, «l’esigenza di prevedere un’autonoma ipotesi di reato rispetto alla violenza sessuale monosoggettiva e di sanzionarla con una pena più severa trova ragione, sul terreno della politica criminale, nella constatazione che l’aggressione commessa da più persone riunite, oltre a comportare una più intensa lesione del bene della libertà sessuale a causa della prevedibile reiterazione degli atti di violenza, vanifica le possibilità di difesa e di resistenza della vittima e la espone a forme di degradazione e di reificazione che rendono più grave e profondo il trauma psichico che comunque consegue a qualsiasi episodio di violenza sessuale» sentenza numero 325 del 2005 . Vale dunque, a maggior ragione, per il delitto di violenza sessuale di gruppo la considerazione svolta a proposito dei reati di induzione alla prostituzione minorile, di favoreggiamento o sfruttamento della stessa, di violenza sessuale e di atti sessuali con minorenne articolo 600-bis, primo comma, 609-bis e 609-quater cod. penumero dalla sentenza numero 265 del 2010 di questa Corte, ossia che si tratta di delitti «odiosi e riprovevoli». Del resto, il rilievo che quella determinata dalla violenza sessuale di gruppo è una «lesione particolarmente grave e traumatica della sfera di autodeterminazione della libertà sessuale della vittima» ha contribuito a condurre questa Corte ad escludere che l’omessa previsione dell’attenuante dei “casi di minore gravità”, prevista per il delitto di violenza sessuale dall’ultimo comma dell’articolo 609-bis cod. penumero , possa essere ritenuta «espressione di una scelta del legislatore palesemente irragionevole, arbitraria o ingiustificata» sentenza numero 325 del 2005 . 6.– La particolare intensità della lesione del bene della libertà sessuale determinata dalla violenza sessuale di gruppo ha, quindi, indotto il legislatore, per un verso, a configurare un’autonoma fattispecie incriminatrice, delineata dall’articolo 609-octies cod. penumero , e a comminare una pena di maggior rigore rispetto a quella di cui all’articolo 609-bis cod. penumero , e, per altro verso, a non prevedere la circostanza attenuante dei “casi di minore gravità”. Tuttavia, la «più intensa lesione del bene della libertà sessuale» sentenza numero 325 del 2005 ricollegabile alla violenza sessuale di gruppo – se ha orientato le opzioni del legislatore nella prospettiva della definizione di un severo trattamento sanzionatorio – non offre un fondamento giustificativo costituzionalmente valido al regime cautelare speciale previsto dalla norma censurata. Infatti, sono riferibili anche alla fattispecie in esame le considerazioni svolte da questa Corte a proposito della presunzione de qua in rapporto al delitto di omicidio volontario nonostante l’indiscutibile gravità del fatto, che «peserà opportunamente nella determinazione della pena inflitta all’autore, quando ne sia riconosciuta in via definitiva la colpevolezza», anche nel caso della violenza sessuale di gruppo, così come in quello dell’omicidio, la presunzione assoluta di cui si discute non è rispondente a un dato di esperienza generalizzato, ricollegabile alla «struttura stessa» e alle «connotazioni criminologiche» della figura criminosa, non trattandosi di un «reato che implichi o presupponga necessariamente un vincolo di appartenenza permanente a un sodalizio criminoso con accentuate caratteristiche di pericolosità – per radicamento nel territorio, intensità dei collegamenti personali e forza intimidatrice – vincolo che solo la misura più severa risulterebbe, nella generalità dei casi, in grado di interrompere» sentenza numero 164 del 2011 . Né può argomentarsi, nel senso della legittimità della presunzione assoluta in questione, sulla base del carattere necessariamente plurisoggettivo del delitto di violenza sessuale di gruppo. Questa Corte, infatti, ha già affermato, come si è ricordato, l’illegittimità costituzionale del regime cautelare speciale di cui all’articolo 275, comma 3, cod. proc. penumero , in relazione ad alcune fattispecie associative sentenze numero 110 del 2012, numero 231 del 2011 , mentre ha ritenuto «assistita da adeguato fondamento razionale la presunzione de qua in rapporto al delitto di associazione di tipo mafioso», sottolineando che esso è «normativamente connotato – di riflesso a un dato empirico-sociologico – come quello in cui il vincolo associativo esprime una forza di intimidazione e condizioni di assoggettamento e di omertà, che da quella derivano, per conseguire determinati fini illeciti. Caratteristica essenziale è proprio tale specificità del vincolo, che, sul piano concreto, implica ed è suscettibile di produrre, da un lato, una solida e permanente adesione tra gli associati, una rigida organizzazione gerarchica, una rete di collegamenti e un radicamento territoriale e, dall’altro, una diffusività dei risultati illeciti, a sua volta produttiva di accrescimento della forza intimidatrice del sodalizio criminoso» sentenza numero 231 del 2011 . È di tutta evidenza la profonda differenza tra il paradigma punitivo ritenuto idoneo a giustificare la presunzione assoluta in esame e la connotazione normativa del delitto di cui all’articolo 609-octies cod. penumero , in relazione al quale la giurisprudenza di legittimità ha chiarito la differenza tra la nozione di gruppo e quella di associazione, quest’ultima ricollegabile al requisito della apposita creazione di una organizzazione, sia pure minima e rudimentale Corte di cassazione, terza sezione penale, sentenza 3 giugno 1999, numero 11541 . Se alla differenza della nozione di gruppo rispetto a quella di organizzazione – quest’ultima, peraltro, ancora insufficiente, di per sé sola, ad assicurare la tenuta costituzionale della presunzione in esame – si aggiunge la considerazione che, per consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, il delitto di cui all’articolo 609-octies cod. penumero può perfezionarsi anche con il concorso di due sole persone, ossia con un numero di partecipi inferiore a quello necessario alla configurazione di qualsiasi figura di associazione per delinquere, emerge l’inidoneità della fattispecie criminosa della violenza sessuale di gruppo a rispondere a «dati di esperienza generalizzati, riassunti nella formula dell’id quod plerumque accidit» sentenza numero 139 del 2010 , in forza dei quali riconoscere la legittimità della presunzione assoluta di cui alla norma censurata. È da aggiungere una considerazione sulla sfera applicativa della figura delittuosa delineata dall’articolo 609-octies cod. penumero per il tramite del richiamo agli atti sessuali di cui all’articolo 609-bis cod. penumero L’ampia portata di quest’ultima fattispecie, che è frutto della concentrazione in un’unica norma incriminatrice delle «fattispecie di violenza carnale e di atti di libidine violenti, rispettivamente previste negli articolo 519 e 521 del testo originario del codice penale» e che, pertanto, abbraccia «una gamma assai vasta di comportamenti, caratterizzati dall’idoneità a incidere comunque sulle facoltà della persona offesa di autodeterminarsi liberamente nella propria sfera sessuale» sentenza numero 325 del 2005 , si riflette sulla fattispecie di violenza sessuale di gruppo, ulteriormente dilatata dall’inapplicabilità a quest’ultima della circostanza attenuante dei “casi di minore gravità” articolo 609-bis, terzo comma, cod. penumero . Di conseguenza, anche tenendo conto dell’esclusione dal regime cautelare speciale delle ipotesi attenuante di cui all’articolo 609-octies, quarto comma, cod. penumero , vale a fortiori per il delitto di violenza sessuale di gruppo il rilievo svolto da questa Corte in relazione alla violenza sessuale ex articolo 609-bis cod. penumero , ossia che la fattispecie criminosa già in astratto comprende «condotte nettamente differenti quanto a modalità lesive del bene protetto», il che «rende anche più debole la “base statistica” della presunzione assoluta considerata» sentenza numero 265 del 2010 . 7.– Deve, pertanto, concludersi che la norma censurata è in contrasto sia con l’articolo 3 Cost., per l’irrazionale assoggettamento ad un medesimo regime cautelare delle diverse ipotesi riconducibili alla fattispecie in esame e per l’ingiustificata parificazione dei procedimenti relativi al delitto di violenza sessuale di gruppo a quelli concernenti delitti caratterizzati dalla “struttura” e dalle “connotazioni criminologiche” tipiche del delitto di cui all’articolo 416-bis cod. penumero sia con l’articolo 13, primo comma, Cost., quale referente fondamentale del regime ordinario delle misure cautelari privative della libertà personale sia, infine, con l’articolo 27, secondo comma, Cost., in quanto attribuisce alla coercizione processuale tratti funzionali tipici della pena. Come questa Corte ha già precisato, ciò che vulnera i parametri costituzionali richiamati non è la presunzione in sé, ma il suo carattere assoluto, che implica una indiscriminata e totale negazione di rilevanza al principio del «minore sacrificio necessario». La previsione, invece, di una presunzione solo relativa di adeguatezza della custodia carceraria – atta a realizzare una semplificazione del procedimento probatorio, suggerita da aspetti ricorrenti del fenomeno criminoso considerato, ma comunque superabile da elementi di segno contrario – non eccede i limiti di compatibilità costituzionale, rimanendo per tale verso non censurabile l’apprezzamento legislativo circa la ordinaria configurabilità di esigenze cautelari nel grado più intenso sentenze numero 57 del 2013 numero 110 del 2012 numero 331, numero 231 e numero 164 del 2011 numero 265 del 2010 . Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 275, comma 3, terzo periodo, cod. proc. penumero , come modificato dall’articolo 2 del decreto-legge numero 11 del 2009, nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’articolo 609-octies cod. penumero , è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 275, comma 3, terzo periodo, del codice di procedura penale, come modificato dall’articolo 2 del decreto-legge 23 febbraio 2009, numero 11 Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori , convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2009, numero 38, nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di cui all’articolo 609-octies del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari – non fa salva, altresì, l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure.