Quando la verifica è complessa, basta una sola autorizzazione per effettuare più accessi

L’autorizzazione rilasciata dal capo dell’ufficio o dal comandante del reparto dal quale dipendono i verificatori – funzionari dell’Amministrazione finanziaria nel primo caso, nel secondo appartenenti alla Guardia di Finanza – può essere rilasciata una tantum per l’effettuazione di una pluralità di accessi nel caso in cui lo richieda la complessità della verifica.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione nella sentenza n. 17357 del 16 luglio 2013. Il caso. Applicando tale principio, il Giudice di legittimità rigetta il ricorso del contribuente nel caso di specie, la Guardia di Finanza aveva posto in essere due accessi presso la sede di una s.r.l. distanziati nel tempo. Secondo il contribuente, l’ordine di servizio utilizzato in occasione del primo accesso non copriva” anche il secondo. Questa tesi difensiva viene respinta dalla Suprema Corte, in ragione dell’unitarietà complessiva dell’operazione e della mancata lesione dei diritti di difesa del contribuente. Accessi, ispezioni e verifiche. In base all’art. 52, comma 1, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633 applicabile non soltanto in materia di IVA, ma anche per le imposte sui redditi ex art. 33, comma 1, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 , gli impiegati che eseguono l’accesso devono essere muniti di apposita autorizzazione che ne indica lo scopo, rilasciata dal capo dell’ufficio da cui dipendono per gli accessi operati dalla Guardia di Finanza, l’autorizzazione è costituita dal foglio di servizio rilasciato dal Comandante del Reparto o da un Ufficiale delegato. La disciplina richiamata tace sul profilo esaminato nella sentenza in rassegna. L’inciso in cui s’impone l’indicazione dello scopo dell’accesso potrebbe essere valorizzato qualora gli accessi successivi fuoriuscissero dai confini indicati nell’autorizzazione. In realtà questa soluzione non pare pienamente condivisibile la prescrizione che viene valorizzata ha infatti un duplice scopo, perché essa tutela, da un lato, gli operatori e la Pubblica Amministrazione, consentendo ai primi di porsi al riparo da contestazioni al loro operato e alla seconda di verificare le attività dei propri dipendenti, dall’altro il contribuente rispetto a verifiche arbitrarie. La tutela del contribuente non può però spingersi fino a impedire agli operatori di ampliare l’oggetto della propria indagine qualora ciò sia conseguenza ragionevole delle rilevanze istruttorie, ad esempio nel caso in cui siano rinvenuti elementi idonei a giustificare approfondimenti investigativi relativi ad altri periodi di imposta o a tributi diversi. È pur vero che la disciplina degli accessi è volta a prevenire abusi e vessazioni, ad esempio promuovendo il coordinamento dell’azione dell’Amministrazione finanziaria con quella della Guardia di Finanza non soltanto attraverso accordi tra gli organi di vertice a livello territoriale ma anche mediante comunicazioni tra gli organi operativi cfr. art. 33, commi 3 e 4, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 600 . A questa finalità sono ispirate anche le tutele apprestate dall’art. 12, l. 27 luglio 2000, n. 212 non a caso rubricato Diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali” , ove ad esempio si ribadisce che tutti gli accessi [] nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali sono effettuati sulla base di esigenze effettive di indagine e controllo sul luogo . I diritti del contribuente. Ecco allora che si profilano ulteriori vie difensive proprio alla luce dello Statuto dei diritti del contribuente, il quale potrebbe contestare il secondo accesso quando effettuato in violazione dei limiti temporali previsti al comma 5, vale a dire oltre i trenta giorni lavorativi quindici giorni lavorativi in un trimestre, qualora si tratti di imprese in contabilità semplificata e lavoratori autonomi . Tale periodo di tempo può essere raddoppiato nei casi di particolare complessità dell’indagine ma soltanto a condizione che tali esigenze di proroga siano individuate e motivate dal dirigente dell’ufficio. Nel caso di specie, non è dato sapere se la fattispecie concreta fosse riconducibile a tale previsione supponendo che lo fosse, il contribuente avrebbe potuto dolersi della mancata indicazione delle esigenze di proroga. La disciplina contenuta nello Statuto dei diritti del contribuente consente agli operatori di ritornare nella sede del contribuente, decorso tale periodo, per esaminare le osservazioni e le richieste eventualmente presentate dal contribuente dopo la conclusione delle operazioni di verifica ovvero, previo assenso motivato del dirigente dell’ufficio, per specifiche ragioni . Anche questa previsione, se applicabile al caso di specie, avrebbe potuto consentire al contribuente di contestare la legittimità dell’accesso, poiché la prosecuzione dell’attività dei verificatori è condizionata o dall’esigenza di rispondere a osservazioni del contribuente o da altre specifiche ragioni che devono essere indicate dal dirigente dell’ufficio in una ulteriore autorizzazione. Supponiamo che l’attività dei verificatori sia posta in essere in violazione di tali prescrizioni de iure condito qual è la tutela apprestata a favore del contribuente? La giurisprudenza di legittimità tende a svalutare questo profilo, quando afferma che la violazione dell’art. 12, comma 5, l. n. 212/2000 non comporta la nullità dell’accertamento né l’inutilizzabilità dei dati acquisiti, posto che tali effetti non sono previsti dall’ordinamento e lascia spazio soltanto alla formulazione di osservazioni e rilievi, nonché all’intervento del Garante del Contribuente ex art. 12, comma 6, l. n. 212/2000 Cass. n. 19338/2011, in bancadati DeJure . Viene infatti considerato meramente ordinatorio il termine alla permanenza degli operatori civili o militari dell’Amministrazione finanziaria presso la sede del contribuente e si esclude che l’illegittimità dell’atto impositivo possa essere ricavata dalla ratio della disciplina, apparendo sproporzionata la sanzione del venir meno del potere accertativo fiscale a fronte del disagio arrecato al contribuente dalla più lunga permanenza degli agenti dell’amministrazione Cass. n. 17002/2012, in bancadati DeJure . A parere di chi scrive, l’intervento del Garante del Contribuente può produrre risultati operativi concreti mediante l’attivazione della procedura di autotutela nei confronti di atti amministrativi di accertamento o di riscossione notificati al contribuente ex art. 13, comma 6, l. n. 212/2000. Sostenibile pare anche l’inutilizzabilità dei dati illegittimamente acquisiti – e l’illegittimità dell’atto impositivo nella parte in cui li recepisca. In materia di accesso domiciliare, è la stessa Corte di Cassazione Cass. n. 20028/2010, edizione del 6 ottobre 2010, con nota di L. R. Corrado, Accertamento tributario e utilizzabilità degli elementi probatori irritualmente acquisiti ad affermare che l’illegittimità del provvedimento di autorizzazione del Procuratore della Repubblica ex artt. 33, d.p.r. n. 600/1973 e 52, d.p.r. n. 633/1972 comporta l’inutilizzabilità delle prove reperite durante la perquisizione. Tale statuizione è poggiata sulle seguenti argomentazioni - l’inutilizzabilità deriva dalla regola generale secondo cui l’assenza del presupposto di un procedimento amministrativo infirma tutti gli atti nei quali si articola - il compito del giudice di vagliare le prove offerte in causa è circoscritto a quelle di cui abbia preventivamente riscontrato la rituale assunzione - l’acquisizione di un documento con violazione di legge non può rifluire a vantaggio del detentore, qualora sia l’autore di tale violazione o il responsabile in via diretta o indiretta. Per corroborare tale soluzione, il Giudice di legittimità osserva che, a prescindere dalla verifica dell’esistenza, nell’ordinamento tributario, di un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite analogo a quello valevole per il processo penale ex art. 191 c.p.p., l’inutilizzabilità de qua discende dal principio dell’inviolabilità del domicilio di cui all’art. 14 Cost

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 3 maggio - 16 luglio 2013, n. 17357 Presidente D’Alonzo – Relatore Parmeggiani Svolgimento del processo A seguito di verifica da parte della Guardia di Finanza, la Agenzia delle Entrate - ufficio IVA di Livorno notificava alla società S. s.r.l. avviso di accertamento per l'anno 1994, con il quale erano accertati ricavi non dichiarati e disconosciuti crediti posti in detrazione, con relativa determinazione della imposta sul valore aggiunto ed irrogazione di sanzioni. L'avviso era impugnato dalla società innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Livorno, per illegittimità delle operazioni di verifica alla base dell'accertamento. La Commissione respingeva il ricorso. Su appello della contribuente la Commissione Tributaria Regionale della Toscana con sentenza n. 99 in data 24-10-2005, depositata in data 19-12-2006 respingeva il gravame e confermava la sentenza impugnata. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione la contribuente, con un motivo. La Agenzia resiste con controricorso. Motivi della decisione Con l'unico motivo la ricorrente deduce violazione degli artt. 52 DPR 633/72 e 33 DPR 600/73, sostenendo che, contrariamente a quanto asserito in sentenza, poiché gli accessi della Guardia di Finanza presso la sede della società erano stati due, a distanza di tempo l'uno dall'altro, l'ordine dei servizio utilizzato per il primo accesso non era valido anche per il secondo, non potendo tale atto avere durata illimitata. Inoltre rileva che ai sensi dell'art. 33 cit. l'accesso deve essere condotto da militi dotati di particolari qualifiche, cosa che non appare essere accaduta nel secondo accesso . Il motivo è palesemente infondato sotto entrambi i profili denunciati. Il primo, perché, conformemente a quanto ritenuto in sentenza, l'art. 52 DPR n. 633/72 prevede per l'accesso dei verbalizzanti nella sede della impresa la necessità di una autorizzazione rilasciata dal capo dell'Ufficio da cui dipendono, ma non richiede che l'atto sia reiterato per ogni singolo accesso ispettivo, ben potendo essere la autorizzazione rilasciata in via preventiva per una pluralità di accesi ispettivi, quando, come nella fattispecie, l'effettuazione della verifica per la sua complessità richieda più di un atto di questo tipo, non venendo per questo meno la unitarietà complessiva della operazione, né potendosi ravvisare una lesione dei diritti di difesa del contribuente. Il secondo è inammissibile sia perché il punto non è trattato in sentenza, con necessità di censura non per violazione di legge ma, se del caso, per omessa pronuncia ai sensi dell'art. 112 c.p.c., sia perché totalmente privo di autosufficienza, non essendo neppure specificato quali fossero le qualifiche di cui i militi verbalizzanti sarebbero stati carenti. Il ricorso deve quindi essere respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna la contribuente alle spese a favore della Agenzia, liquidate in euro 1.000. oltre spese prenotate a debito.