Famiglia sterminata, orfano in fuga: fatti troppo datati, ma resta possibile la protezione

Confermata la risposta negativa alla richiesta di protezione internazionale. Allo stesso tempo, però, è ancora concreta la possibilità di riconoscere allo straniero, fattosi uomo, lo status di rifugiato o la protezione sussidiaria è irrilevante la possibilità, per lui, di tornare nel Paese d’origine, collocandosi però in una zona differente da quella dove sono avvenuti i terribili fatti.

Famiglia sterminata per motivazioni pseudo politiche, ragazzino solitario in fuga dal proprio Paese, il Senegal ora, a distanza di anni da quei terribili fatti, e dopo l’approdo in Italia, arriva la richiesta di protezione internazionale. Negativa la risposta della Commissione territoriale e del Ministero dell’Interno troppo lontani gli episodi di persecuzione lamentati dal cittadino senegalese, oramai fattosi uomo. Resta, però, ancora uno spiraglio quello della protezione sussidiaria. Che non può essere negata proponendo allo straniero, come soluzione, il ritorno in patria, ma in una diversa regione del Paese Cassazione, sentenza numero 15781, sez. VI Civile, depositata oggi . Protezione. Dramma incredibile per un ragazzino senegalese, che, a metà degli anni ’90, vede la propria famiglia «sterminata». Fatale il fatto che il «padre» abbia «collaborato con le autorità governative» della regione del Paese, azione mal vista dai gruppi «secessionisti», capaci di vendicarsi, come detto, con una violenza inaudita. Unica opzione, per il ragazzino, è la fuga, «prima in Gambia, poi in Libia e infine, nel 2011, in Italia». Nonostante il terribile passato, però, la richiesta dell’immigrato senegalese di vedersi riconosciuta la «protezione internazionale» si rivela inutile. Il ‘no’ della Commissione territoriale, difatti, viene condiviso sia dai giudici del Tribunale che da quelli della Corte d’Appello ciò perché, da un lato, «i fatti erano risalenti nel tempo», e, dall’altro, l’uomo «avrebbe potuto sottrarsi alla persecuzione trasferendosi in altra zona del Senegal». Ma tale visione è corretta solo parzialmente Chiarificatrice la presa di posizione dei giudici del ‘Palazzaccio’, i quali, accogliendo il ricorso proposto dall’uomo, evidenziano la fragilità della tesi secondo cui è lecito respingere il «riconoscimento della protezione» solo alla luce della «possibilità» per lo straniero di «trasferirsi in altra regione del suo Paese, ove non si presenti la minaccia». Su questo punto, in sostanza, bisogna tenere bene a mente, concludono i giudici – riaffidando la vicenda alla Corte d’Appello –, che «il riconoscimento del diritto ad ottenere lo status di rifugiato politico, o la misura più gradata della protezione sussidiaria, non può essere escluso in virtù della ragionevole possibilità del richiedente di trasferirsi in altra zona del territorio del Paese d’origine», ove egli, si presume, «non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi».

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, sentenza 16 aprile – 10 luglio 2014, numero 15781 Presidente Di Palma – Relatore De Chiara Premesso Che nella relazione ai sensi dell'articolo 380 bis c.p.c. si legge quanto segue «1. - Il sig. N.F., senegalese, ricorse il 19 aprile 2012 al Tribunale di Napoli avverso il diniego di riconoscimento della protezione internazionale da parte della competente Commissione territoriale. Il Tribunale respinse il ricorso e la Corte della stessa città ha poi respinto l'appello del soccombente. La Corte, premesso che l'appellante richiedeva protezione in quanto temeva la vendetta dei secessionisti della regione senegalese di Casamance, in cui viveva, i quali avevano già sterminato la sua famiglia perché suo padre aveva collaborato con le autorità governative, ha osservato che, anche ammettendo che l'appellante avesse raccontato la verità, lo status di rifugiato non poteva essergli riconosciuto sia perché a i fatti di persecuzione allegati erano risalenti nel tempo, essendo stata la sua famiglia sterminata nel 1997, allorché egli, appena undicenne, era riuscito a fuggire dal proprio paese riparando prima in Gambia, poi in Libia e infine, nel 2011, in Italia sia perché b l'appellante ben avrebbe potuto sottrarsi alla persecuzione trasferendosi in altra zona del Senegal. Per questa seconda ragione non poteva essergli riconosciuta neppure la protezione sussidiaria. Il sig. F. ha presentato ricorso per cassazione articolando tre motivi di censura, cui non ha resistito l'amministrazione intimata. 2. - I tre motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente in quanto connessi e parzialmente ripetitivi, sono fondati nei limiti che seguono. Quanto al riconoscimento dello status di rifugiato, va osservato che la prima delle due rationes decidendi della sentenza impugnata non è stata attinta da ammissibili censure da parte del ricorrente. Infatti, nella pur lunga esposizione dei motivi di ricorso, l'unica pertinente critica rivolta alla ratio di cui si tratta - la quale si sostanzia, come si è visto, nell'accertamento in fatto della inattualità della minaccia denunciata dal ricorrente - consiste nell'affermazione della irrilevanza causale del carattere remoto dei fatti narrati se non accompagnato da altra e ben più approfondita istruttoria, tale da denotare un'effettiva assenza di alcun concreto pericolo di vita in caso di rimpatrio nel Paese di origine v. secondo motivo di ricorso critica inammissibile non potendo affatto negarsi che il carattere remoto dei fatti causativi del pericolo possa incidere in qualche misura sull'attualità del pericolo stesso, restando semmai da valutare il livello di probabilità di tale inferenza, che però è compito esclusivo del giudice di merito. Essendo inammissibile la critica della prima delle due rationes decidendi, non occorre esaminare, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, la critica rivolta alla seconda. Tale critica, però, riacquista rilevanza allorché la si riferisca alla subordinata domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, il cui rigetto è basato esclusivamente su tale ratio, ossia sulla possibilità per il richiedente protezione di trasferirsi in altra regione del suo paese ove non si presenti la dedotta minaccia. La critica, a tal riguardo, oltre che ammissibile è altresì fondata, alla luce della giurisprudenza di questa Corte secondo cui il riconoscimento del diritto ad ottenere lo status di rifugiato politico, o la misura più gradata della protezione sussidiaria, non può essere escluso, nel nostro ordinamento, in virtù della ragionevole possibilità del richiedente di trasferirsi in altra zona del territorio del paese d'origine, ove egli non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi, atteso che tale condizione, contenuta nell'articolo 8 direttiva 2004/83/CE, non è stata trasposta nel d.lgs. 19 novembre 2007, numero 251, essendo una facoltà rimessa agli stati membri inserirla nell'atto normativo di attuazione della direttiva Cass. 2294/2012 .» che detta relazione è stata notificata all'avvocato della parte costituita e comunicata al P.M. che non sono state depositate memorie o conclusioni scritte che il Collegio condivide le considerazioni svolte nella relazione che pertanto il ricorso va accolto nei sensi di cui alle medesime e la sentenza impugnata va cassata con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale si atterrà al principio di diritto enunciato nel capoverso finale della relazione sopra trascritta e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Napoli in diversa composizione.