Lavoratori trasferiti, nessuna indennità: accordo legittimo e utile. Occupazione salva

Respinta la richiesta, a posteriori, di un dipendente di vedersi riconosciuta l’indennità non percepita per un periodo di 18 mesi. Riferimento è il patto tra sindacati e azienda, finalizzato a salvaguardare i posti di lavoro, e accettato, col loro comportamento, dai lavoratori spostati in uno stabilimento differente da quello a cui erano stati originariamente assegnati.

‘Do ut des’ d’emergenza nel rapporto tra datore di lavoro e dipendente l’azienda sposta alcuni operatori, prevedendo però – come da accordo sindacale – il non riconoscimento della relativa “indennità di trasferta”, ma, dal canto loro, i lavoratori salvano il ‘posto’, nonostante la crisi dell’impresa. Scambio assolutamente legittimo, non solo per la partecipazione attiva dei sindacati, ma anche, anzi soprattutto, per l’obiettivo prefissato evitare lo spauracchio dei licenziamenti. Di conseguenza, è illogica la richiesta, a posteriori, di un dipendente di vedersi riconosciuta l’indennità di trasferta non versata – per i diciotto mesi previsti nell’accordo – dall’azienda Cass., sent. numero 14944/2014, Sezione Lavoro, depositata oggi . Trasferta sì, indennità no. Casus belli, paradossalmente, è l’«accordo», a fine 1999, messo ‘nero su bianco’ per «evitare licenziamenti a fronte di una crisi aziendale» elemento centrale è la «mobilitazione temporanea di cinque lavoratori» – spostati di circa 40 chilometri e collocati in un nuovo stabilimento –, senza, però, «rimborso delle indennità di trasferta» per un periodo di diciotto mesi. Tale azione è stata adottata, dall’impresa, per salvare il posto di lavoro dei dipendenti. E questo elemento è decisivo per i giudici, sia di primo che di secondo grado, i quali respingono la richiesta avanzata da uno dei lavoratori trasferiti, e finalizzata a ottenere, a posteriori, la «corresponsione di quanto dovuto per l’indennità di trasferta, relativamente al periodo gennaio 2000-giugno 2001». Per i giudici è decisiva la considerazione che «la natura retributiva dell’indennità di trasferta non ne esclude la negoziabilità, specialmente quando la movimentazione dei lavoratori viene prevista», come in questa vicenda, per «evitare il licenziamento e fronteggiare una situazione di crisi aziendale». Posti di lavoro salvi. Secondo il lavoratore, però, l’ottica adottata dai giudici in Corte d’Appello è erronea. Per una ragione fondamentale è stato trascurato il fatto che per altri lavoratori, anch’essi trasferiti – seppur, bisogna annotare, con uno spostamento molto più complicato, pari a circa 280 chilometri –, e sempre a causa della «crisi aziendale», è stata, invece, riconosciuta l’«indennità di trasferta». Allo stesso tempo, peraltro, il lavoratore sostiene di non avere affatto condiviso la ‘filosofia’ adottata dai sindacati Ma queste obiezioni si rivelano assolutamente inutili. In premessa, i giudici del ‘Palazzaccio’ ricordano che «un contratto collettivo può incidere in senso peggiorativo su diritti del singolo lavoratore non ancora acquisiti», e sottolineano, poi, il valore della «adesione» dei lavoratori, sia «esplicita» che «implicita». Ebbene, dalla ricostruzione della vicenda emerge che il lavoratore ha «dato pratica applicazione, senza mai lamentarsene, alla clausola prevedente la trasferta senza l’attribuzione dei rimborsi», solo per «alcuni mesi» tale «comportamento», spiegano i giudici, è da intendere «come accettazione implicita della clausola del contratto, peraltro incidente su diritti patrimoniali non ancora acquisiti da parte del lavoratore». Peraltro, «la trasferta, temporaneamente senza indennità» appare configurabile, sostengono ancora i giudici, come «una soluzione che non è stata adottata dal datore di lavoro nel suo esclusivo interesse, ma precipuamente per tutelare l’interesse dei lavoratori di evitare la perdita del posto, nell’impossibilità di una prosecuzione dell’attività nella sede di origine». È lapalissiano, concludono i giudici, che il «sacrificio», sostenuto per pochi mesi, della «mancata riscossione dell’indennità di trasferta» sia stato adeguatamente «ripagato dal mantenimento del posto di lavoro».

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 25 marzo – 1° luglio 2014, numero 14944 Presidente Lamorgese – Relatore Tria Svolgimento di processo 1.- La sentenza attualmente impugnata depositata il 20 febbraio 2007 respinge l'appello proposto da Gaetano L.F., avverso la sentenza del Tribunale di Brindisi di rigetto della domanda del L.F. volta ad ottenere la condanna della datrice di lavoro SO.GE.SER. s.r.l. alla corresponsione di quanto dovuto per l'indennità di trasferta relativamente al periodo gennaio 2000 - giugno 2001. La Corte d'appello di Lecce, per quel che qui interessa, precisa che a l'appellante non ha mai contestato il contenuto delle pattuizioni sindacali richiamate in primo grado, ma si è limitato ad escluderne la vincolatività nei suoi confronti, sull'assunto dell'assenza di uno specifico mandato conferito alla RSA b l'accordo aziendale del 29 dicembre 1999, con lo specifico obiettivo dì evitare licenziamenti a fronte di una crisi aziendale, prevedeva la mobilitazione temporanea di cinque lavoratori da Brindisi a Lecce, senza rimborso delle indennità di trasferta. Solo con successivo accordo del 28 giugno 2001, si stabilì il riconoscimento delle indennità di trasferta, con decorrenza 1 luglio 2001, come in effetti accaduto c il ricorrente era iscritto al sindacato UIL, che è tra le Associazioni sindacali firmatarie del suddetto accordo, e non risulta che egli abbia mai disconosciuto l'operato della propria organizzazione sindacale, né tantomeno che abbia manifestato alcuna contestazione all'azienda durante il periodo di assegnazione all'impianto di Lecce d in base alla giurisprudenza di legittimità i contratti collettivi aziendali sono applicabili a tutti i lavoratori dell'azienda salvo che per quei lavoratori che, aderendo ad un sindacato diverso, esprimono il loro esplicito dissenso e, in caso di contrasto tra contratti collettivi che operano a diverso livello, si deve individuare l'effettiva volontà delle parti desumibile dal coordinamento delle varie disposizioni e inoltre i contratti aziendali possono addirittura modificare in pejus la disciplina contenuta nella contrattazione collettiva precedente di qualsiasi livello , fermo restando il rispetto dei diritti acquisiti dal lavoratore alla stregua della normativa poi superata da quella peggiorativa Cass. 19 giugno 2001, numero 8296, Cass. 6 ottobre 2000, numero 13300 f nella controversia in esame, gli accordi aziendali hanno preceduto il trasferimento dei lavoratori, i cui diritti sono stati quindi acquisiti successivamente g comunque, la natura retributiva dell'indennità di trasferta non ne esclude la negoziabilità, specialmente quando la movimentazione dei lavoratori viene prevista - come nella specie - per evitarne il licenziamento e per fronteggiare una situazione di crisi aziendale. 2.- Il ricorso di Gaetano L.F. domanda la cassazione della sentenza per due motivi SO.GE.SER s.p.a. già s.r.l. resiste con controricorso. Motivi della decisione I - Sintesi dei motivi di ricorso 1.- Il ricorso è articolato in due motivi, formulati in conformità con le prescrizioni di cui all'articolo articolo 366-bis cod. proc. civ., applicabile ratione temporis. 1.1.- Con il primo motivo si denuncia violazione ed erronea applicazione dell'articolo 2113 cod. civ., nonché degli articolo 1321, 1324 e 1325 cod. civ. Si sottolinea che la Corte territoriale ha attribuito molto rilievo al fatto che l'attuale ricorrente è iscritto alla UIL, che è una delle Associazioni sindacali firmatarie della contrattazione collettiva aziendale del 29 dicembre 1999, con la quale è stato stabilito di mobilitare temporaneamente 5 lavoratori da Brindisi a Lecce senza l'attribuzione dei rimborsi e dell'indennità di trasferta previsti dal CCNL ed ha sottolineato come il L.F. non abbia disconosciuto l'operato della propria Organizzazione sindacale, né abbia espresso alcuna contestazione all'azienda nel periodo di assegnazione a Lecce cui si riferiscono le presenti rivendicazioni. La Corte leccese ha altresì richiamato la giurisprudenza di legittimità sulla vincolatività della contrattazione collettiva anche per i lavoratori non iscritti alle Associazioni stipulanti nonché sulla possibilità della reformatio in pejus da parte dei contratti collettivi. Tuttavia la Corte d'appello, violando le norme richiamate nella rubrica del motivo, non ha i tenuto conto della giurisprudenza di legittimità secondo cui il diritto sindacale resta fondato esclusivamente sui principi privatistici e sulla rappresentanza negoziale. In questa ottica, Cass. 2 aprile 1996, numero 3041 ha precisato che, nel caso in cui l'accordo stipulato dal sindacato abbia ad oggetto situazioni giuridiche individuali, non può ritenersi vincolato a tale accordo il lavoratore che non vi abbia aderito, in quanto il rapporto tra il singolo e l'Associazione sindacale non è configurabile come un rapporto di mandato. Nella specie le OO.SS. hanno pattuito che sarebbe stata corrisposta l'indennità di trasferta solo ai lavoratori che si spostavano verso Lecce provenendo da Foggia e non a quelli che provenivano da Brindisi e, in tal modo, hanno inciso su situazioni giuridiche individuali dei lavoratori provenienti da Brindisi, tra cui il ricorrente, senza alcuna esplicita adesione degli interessati. Ne consegue che il richiamo alla reformatio in pejus da parte del contratto collettivo aziendale o provinciale, cui fa riferimento la Corte leccese, è del tutto inappropriato ed errato in quanto il petitum non riguarda l'eventuale trattamento peggiorativo, ma l'efficacia di un accordo privativo di un diritto facente capo al ricorrente e, invece, riconosciuto ad altri lavoratori. 1.2.- Con il secondo motivo si denuncia l'omessa e insufficiente motivazione ex articolo 360, primo comma, numero 5, cod. proc. civ. Si sostiene che la Corte d'appello ha omesso di motivare sulla natura giuridica del rapporto tra lavoratore iscritto e sindacato e, quindi, sulla necessaria adesione del lavoratore medesimo a pattuizioni lesive dei propri diritti specie se indisponibili, come quello di cui si tratta. II - Esame delle censure 2.- Entrambi i motivi di ricorso - da trattare congiuntamente, data la loro intima connessione - sono infondati, per le ragioni di seguito esposte. 3.- In base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte a è indubbio il carattere generale del principio per cui alla contrattazione collettiva non è consentito incidere, in relazione alla regola dell'intangibilità dei diritti quesiti, su posizioni già consolidate o su diritti già entrati nel patrimonio dei lavoratori in assenza di uno specifico mandato od una successiva ratifica da parte degli stessi vedi, fra le tante Cass. 23 luglio 1994, numero 6845 Cass. 29 settembre 1998, numero 9734 Cass. 7 febbraio 2004, numero 2362 b ne deriva che un contratto collettivo può incidere in senso peggiorativo su diritti del singolo lavoratore non ancora acquisiti vedi per tutte Cass. 23 aprile 1999, numero 4069 c peraltro, l'adesione degli interessati - iscritti o non iscritti alle associazioni stipulanti - ad un contratto o accordo collettivo può essere non solo esplicita, ma anche implicita, come accade quando possa desumersi da fatti concludenti, generalmente ravvisabili nella pratica applicazione delle relative clausole vedi, fra le altre Cass. 11 marzo 1987, numero 2525 Cass. 5 novembre 1990, numero 10581 . Ne consegue che, avendo nella specie il L.F. dato pratica applicazione alla clausola in contestazione, prevedente la trasferta di alcuni lavoratori da Brindisi a Lecce senza l'attribuzione dei rimborsi solo per alcuni mesi come di fatto accaduto , senza mai lamentarsene - come si legge nella sentenza impugnata e non viene specificamente smentito nel ricorso, essendosi sempre il lavoratore limitato a dedurre l'assenza di uno specifico mandato al riguardo della RSA - già da questo è facile desumere che il comportamento dell'interessato è da intendere come accettazione implicita dell'anzidetta clausola del contratto, peraltro incidente su diritti patrimoniali non ancora acquisiti da parte del lavoratore. 4.- A ciò va aggiunto che - come pure sottolineato dalla Corte d'appello - l'accordo collettivo di cui si tratta, essendo intervenuto nel corso di una procedura di mobilità, è stato stipulato in base all'ari. 4, comma 11, della legge numero 223 del 1991. Ebbene, come più volte affermato da questa Corte, tale norma ha carattere speciale perché - statuendo che, nel corso delle procedure di mobilità, gli accordi sindacali, al fine di garantire il reimpiego almeno ad una parte dei lavoratori, possono stabilire che il datore di lavoro assegni, in deroga all'articolo 2103 cod. civ., mansioni diverse da quelle svolte - non solo sottintende la possibilità di attribuzione di mansioni anche peggiorative, ma non pone alcuna preclusione nell'assegnazione delle mansioni inferiori, anche attribuendo all'impiegato quelle proprie dell'operaio e ciò si spiega considerando che trattasi per un verso di un rimedio per evitare il licenziamento e per altro verso di una deroga che non vincola i lavoratori, i quali ben potrebbero rifiutare la dequalificazione, andando però incontro al rischio del licenziamento Cass. 7 settembre 2000, numero 11806 Cass. 10 novembre 1999, numero 12498 Cass. 29 settembre 1998, numero 9734 Cass. 7 settembre 1993, numero 9386 Cass. 29 novembre 1988. numero 6441 L'articolo 2103 cod. civ. si riferisce anche al trasferimento - nonché alla trasferta - del lavoratore da una unità produttiva ad un'altra, quindi la suddetta deroga riguarda espressamente l'ipotesi che ne occupa. Ne consegue che la trasferta temporaneamente senza indennità di cui si discute nell'attuale controversia, in definitiva appare configurabile - anche da quanto emerge dagli atti, a partire dalla sentenza impugnata - come una soluzione che non è stata adottata dal datore di lavoro nel suo esclusivo interesse, ma precipuamente per tutelare l'interesse dei lavoratori - ivi compreso quello del ricorrente - di evitare la perdita del posto, nell'impossibilità - non altrimenti ovviabile, come viene affermato dalla Corte salentina e non specificamente contestato dall'interessato - di una prosecuzione dell'attività lavorativa nella sede di origine. A fronte di questa situazione, il sacrificio - per pochi mesi - della mancata riscossione dell'indennità di trasferta è stato ripagato dal mantenimento del posto di lavoro, in un accordo sottoscritto dai sindacati stipulanti, in conformità con il loro ruolo istituzionale - particolarmente rilevante in sede di partecipazione alle procedure previste dalla legge 23 luglio 1991 numero 223 - di portatori dell'interesse collettivo alla conservazione dell'occupazione, a vantaggio di tutti i lavoratori interessati alla procedura di mobilità de qua Cass. 26 giugno 2009, numero 15073 Cass. 29 marzo 2000. numero 3827 . 5.- Di qui il rigetto del ricorso, in quanto la sentenza impugnata, con congrua e logica motivazione. si è del tutto conformata ai suindicati principi. III - Conclusioni 6.- In sintesi, il ricorso deve essere respinto. Le spese del presente giudizio di cassazione - liquidate nella misura indicata in dispositivo, determinata tenendo conto anche della mancata partecipazione dei difensori delle parti alla discussione della causa in udienza - seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in euro 100,00 cento/00 per esborsi, euro 2000,00 duemila/00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.