I membri dei collegi professionali partecipano al giudizio non come rappresentanti dell’ordine professionale, e quindi in una posizione incompatibile con l’esercizio della funzione giurisdizionale, bensì a titolo personale e perciò in una posizione di terzietà, analogamente a tutte le magistrature.
E' quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, sez. unite, con la sentenza numero 12064 del 29 maggio 2014. Il fatto. Il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Pisa infliggeva ad un avvocato la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per un anno. L’avvocato proponeva ricorso al CNF deducendo un vizio di costituzione del giudice ai sensi dell’articolo 3, comma 5, d.l. numero 138/2011, che autorizzava la emanazione di un regolamento governativo per la riforma degli ordinamenti professionali, prevedendo, tra l’altro, un organo nazionale di disciplina diverso da quello aventi funzioni amministrative regolamento adottato con d.P.R. numero 137/2012 . Il CNF rigettava il ricorso in quanto non riteneva potersi applicare allo stesso la suddetta normativa. Avverso la suddetta sentenza l’avvocato ricorreva per cassazione affermando la nullità del processo per vizio di costituzione e/o capacità del giudice. In particolare evidenziava che la suddetta normativa prevede che gli ordinamenti professionali debbano prevedere l’istituzione di organi a livello territoriale diversi da quelli aventi funzioni amministrative ai quali affidare l’istruzione e la decisioni delle questioni disciplinari e di un organismo nazionale di disciplina. La ricorrente deduceva che il CNF aveva omesso di adottare il regolamento che avrebbe dovuto, in virtù della normativa vigente, separare stabilmente le funzioni dei propri componenti. La ricorrente sottolineava, altresì, l’erroneità della tesi al riguardo sostenuta nella decisione impugnata, là dove essa afferma che il predetto articolo 3, comma 5, d.l. numero 138/2011 riguarderebbe solo i Consigli Nazionali operanti in veste amministrativa e non quelli, come il CNF, operano quali giudici speciali, garantiti da riserva assoluta di legge. Secondo parte ricorrente, in sostanza, la norma richiamata, nell’imporre la separazione tra funzione disciplinare ed amministrativa degli Ordini professionali, si rivolge in modo indifferenziato ad ogni consiglio locale e nazionale di ciascuna professione con la sola esclusione di quella sanitaria . Tale previsione non contrasterebbe con l’articolo 108 della Costituzione, essendo stato il principio della incompatibilità della funzione giurisprudenziale con quella amministrativa del giudicante dell’Ordine professionale stabilito in una norma di legge. Il CNF è giudice speciale. Gli Ermellini chiariscono che il CNF, allorché si pronunci in materia disciplinare, costituisce un giudice speciale, istituito con d.lgs numero 382/1944 e che, pertanto, la disciplina della funzione giurisdizionale del CNF, anche per quanto attiene al momento della formazione dell’organo, è coperta da riserva assoluta di legge ex articolo 108, primo comma, della Costituzione e non può essere affidata alla regolamentazione governativa. La Corte conclude che l’ articolo 3, comma 5, d.l. numero 138/2011 non si applica al CNF nella veste di organo disciplinare. Il CNF ha i requisiti della terzietà ed imparzialità. Gli Ermellini a tal riguardo richiamano la sentenza costituzionale numero 284/1986 in tema di giurisdizioni “professionali” in cui la Consulta ebbe ad osservare che la giurisdizione professionale è conosciuta anche dagli ordinamenti di altri Stati e che, in particolare, la Corte Europea dei diritti dell’uomo, chiamata ad esaminare il medesimo problema, aveva riconosciuto l’indipendenza degli organi della giurisdizione professionale. Di tali decisioni il Giudice delle Leggi ricordò anche l’importante notazione che i membri dei collegi professionali partecipano al giudizio non come rappresentanti dell’ordine professionale, e quindi in una posizione incompatibile con l’esercizio della funzione giurisdizionale, bensì a titolo personale e perciò in una posizione di terzietà, analogamente a tutte le magistrature. Nella stessa sentenza la Corte chiarì che sulla legittimità costituzionale della normativa non poteva incidere la circostanza della spettanza, in capo al Consiglio, delle funzioni amministrative. «In proposito – osservò il giudice delle leggi – non è pertinente la giurisprudenza costituzionale che ha ritenuto l’illegittimità di alcune giurisdizioni speciali a causa della coesistenza nello stesso organo di funzioni giurisdizionali ed amministrative. Invero, secondo detta giurisprudenza, non è la semplice coesistenza delle due funzioni che menoma l’indipendenza del giudice, bensì il fatto che, nelle ipotesi considerate nelle decisioni suddette, le funzioni amministrative erano affidate all’organo giurisdizionale in una posizione gerarchicamente sottordinata, sicché era immanente il rischio che il potere dell’organo superiore potesse indirettamente estendersi anche alle funzioni giurisdizionali e potesse così in definitiva pregiudicare l’indipendenza del giudice. Nella fattispecie, al contrario, le funzioni amministrative sono esercitate dal Consiglio senza che sussista un rapporto di subordinazione verso alcuno altro soggetto e quindi in piena autonomia con la evidente conseguenza che la loro coesistenza con quelle giurisdizioni non importa il rischio sopra menzionato e pertanto non incide sull’indipendenza del Consiglio stesso».
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 17 dicembre 2013 – 29 maggio 2014, numero 12064 Presidente Canevari – Relatore San Giorgio Ritenuto in fatto 1.- Il Consiglio Nazionale Forense, con sentenza depositata il 22 aprile 2013, ha rigettato il ricorso proposto dall'avv. M.G.K. avverso la decisione del Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Pisa che le aveva inflitto la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio della professione per un anno in relazione a due procedure disciplinari, l'una relativa all'acquisizione di pagamenti da un cliente in difetto di alcuna attività professionale, l'altra per negligenza nella conduzione di un procedimento di divorzio. Con riguardo, in particolare, per quanto rileva nella presente sede, alla censura avente ad oggetto il vizio di costituzione del giudice per effetto dell'articolo 3, comma 5, del d.l. numero 138del 2011, conv., con modif., nella legge numero 148 del 2011, che ha autorizzato la emanazione di un regolamento governativo per la riforma degli ordinamenti professionali, prevedendo, tra l'altro, un organo nazionale di disciplina diverso da quello avente funzioni amministrative - regolamento adottato con d.p.r. numero 137 del 2012 - il C.N.F. ha escluso che le predette disposizioni siano applicabili ad esso, che opera n veste di giudice speciale, ed è, quindi, soggetto a riserva assoluta di legge ai sensi dell'articolo 108 della Costituzione, con conseguente irrilevanza anche della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 54 del r.d. numero 1578 del 1933, eccepita dalla ricorrente, questione peraltro ritenuta manifestamente infondata nel merito, avuto riguardo alla terzietà ed imparzialità del C.N.F., riconosciuta anche dalla Corte costituzionale. 2. - Per la cassazione di tale sentenza ricorre l'avv. M.G. sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso il COA di Pisa, che ha anche depositato memoria illustrativa. Considerato in diritto 1. - Con la prima doglianza si deduce “violazione di legge violazione dell'articolo 3, comma 5, lett. f , del d.l. 138/2011 - violazione dell'articolo 8, comma 7, del d.p.r. 137/2012 - nullità del processo per vizio di costituzione e/o capacità del giudice -incompetenza del giudicante - incompatibilità del giudice adito - violazione dei principi di terzietà ed imparzialità del giudice - violazione dell'articolo 111 della Costituzione”. Si censura la decisione adottata dal CNF sul punto della contestata nullità del processo per vizio di costituzione e/o capacità del giudice. Richiamato il tenore dell'articolo 3, comma 5, del d.l. numero 138 del 2011, conv. in legge numero 148 del 2011, il quale ha stabilito l'obbligo di riformare gli ordinamenti professionali entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore dello stesso decreto-legge mediante lo strumento del decreto del Presidente della Repubblica ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, numero 400 adottato con d.P.R. 7 agosto 2012, numero 137, recante riforma degli ordinamenti professionali , e ricordata, in particolare, la lettera f del comma 5 del citato articolo 3 - a norma del quale gli ordinamenti professionali devono prevedere l'istituzione di organi a livello territoriale diversi da quelli aventi funzioni amministrative, ai quali vanno specificamente affidate l'istruzione e la decisione delle questioni disciplinari e di un organo nazionale di disciplina -, la difesa della ricorrente rileva che il CNF ha omesso di adottare il regolamento che avrebbe dovuto, alla stregua della invocata normativa, separare stabilmente le funzioni dei propri componenti. Si sottolinea nel ricorso la erroneità della tesi al riguardo sostenuta nella sentenza impugnata, là dove essa afferma che il predetto articolo 3, comma 5, del d.l. numero 138 del 2011 riguarderebbe solo i Consigli Nazionali operanti in veste amministrativa, e non quelli che, come il CNF, operano quali giudici speciali, garantiti da riserva assoluta di legge. Secondo la difesa della ricorrente, invece, la norma richiamata, nell'imporre la separazione tra funzione disciplinare e funzione di amministrazione degli Ordini professionali, si rivolge in modo indifferenziato ad ogni consiglio locale e nazionale di ciascuna professione, con la sola esclusione di quella sanitaria. Tale previsione non contrasterebbe con la riserva di legge di cui all'articolo 108 Cost., essendo stato il principio della incompatibilità della funzione giurisdizionale con quella amministrativa del giudicante dell'Ordine professionale stabilito in una norma di legge, andata ben oltre il principio di delegificazione nel perseguire obiettivi primari e comuni ai diversi contesti professionali. Del resto, anche a voler ammettere che illegittimamente, perché in contrasto con la riserva assoluta di legge di cui all'articolo 108 Cost., si sia realizzato un trasferimento della disciplina della materia de qua dalla sede legislativa a quella regolamentare, si dovrebbe comunque giungere alla conclusione che il CNF, nella specie, non avrebbe potuto che adeguarsi al disposto normativo in attesa di una eventuale pronuncia di illegittimità costituzionale del d.l. numero 138 del 2011 per contrasto con l'articolo 108 Cost 2. - La doglianza risulta immeritevole di accoglimento. 2.1. - Come già chiarito dalla giurisprudenza di legittimità v., di recente, Cass. S.U., sent. numero 27268 del 2013, e, in precedenza, Cass., S.U., sentt. numero 16349 del 2010, numero 1732 del 2002 , e dalla stessa Corte costituzionale sent. numero 114 del 1970 arg. altresì ex sent. numero 284 del 1986, pur pronunciata con riguardo al Consiglio nazionale dei geometri , il Consiglio Nazionale Forense, allorché pronuncia in materia disciplinare, è un giudice speciale, istituito con D.Lgs.Lgt. 23 novembre 1944, numero 382, e tuttora legittimamente operante giusta la previsione della sesta disposizione transitoria della Costituzione. Le norme che concernono il predetto Organo, nel disciplinare la nomina dei componenti dello stesso ed il procedimento che innanzi ad esso si svolge, assicurano, per il metodo elettivo della prima e per la prescrizione, quanto al secondo, della osservanza delle comuni regole processuali e dell'intervento del P.M., il corretto esercizio della funzione giurisdizionale affidata al suddetto organo in tale materia con riguardo alla garanzia del diritto di difesa e all'indipendenza del giudice, che consiste nella autonoma potestà decisionale, non condizionata da interferenze dirette ovvero indirette di qualsiasi provenienza. Né sul requisito in esame può influire la circostanza che i componenti del Consiglio Nazionale Forense appartengano all'ordine di professionisti nei confronti dei quali il detto organo deve esercitare le sue funzioni, poiché il tratto caratteristico della c.d. giurisdizione professionale è dato proprio dalla vasta partecipazione - anche indiretta tramite il sistema elettivo, garanzia di per se stesso della democraticità del sistema e costituzionalmente legittimo cfr. articolo 106 Cost., comma 2 - dei medesimi soggetti appartenenti alla categoria interessata, partecipazione che è giustificata dalla specifica idoneità dei singoli componenti il Collegio a pronunziarsi nella materia disciplinare, attinente, in sostanza, alle regole di deontologia professionale che l'Ordine ha ritenuto di dare a se stesso ed ai propri appartenenti riconoscendone la validità e la conformità alla communis opinio in un determinato momento storico ed in un determinato contesto sociale. 2.2. - Ne consegue che la disciplina della funzione giurisdizionale del CNF, anche per quanto attiene al momento della formazione dell'organo, è coperta da riserva assoluta di legge ex articolo 108, primo comma, della Costituzione, e non può essere affidata alla regolamentazione governativa. Deve, dunque, concludersi che l'articolo 3, comma 5, lettera f , del d.l. numero 138 del 2011 non trova applicazione con riferimento al CNF nella sua veste di organo disciplinare. Non a caso la legge 31 dicembre 2012, numero 247, recante “Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense”, all'articolo 34, nel regolare la composizione del predetto Organo, richiama gli articolo 52 e segg. del r.d.l. numero 1578 del 1933 e gli articolo 59 e segg. del r.d. numero 37 del 1934, e, all'articolo 38, che disciplina la eleggibilità e le incompatibilità dei componenti del CNF, non opera alcun riferimento alla separazione delle funzioni amministrative da quelle giurisdizionali. 3. - Le considerazioni svolte sub 2.1. danno altresì conto della manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale, sollevata, in riferimento all'articolo Ili, primo e secondo comma, Cost., con il secondo motivo di ricorso, degli articolo da 52 a 56, e, segnatamente, dell'articolo 54 del r.d. numero 1578 del 1933 e degli articolo 14 e 21 del D.lgs.lgt. numero 382 del 1944, per la mancata esclusione del congiunto esercizio delle funzioni giurisdizionali ed amministrative in capo ai componenti del C.N.F. Secondo la difesa della ricorrente il Consiglio Nazionale Forense sarebbe un giudice privo dei requisiti della terzietà e della imparzialità. Al riguardo, oltre a quanto già supra rilevato, giova richiamare quanto chiarito con la sentenza numero 284 del 1986, con riguardo, in via generale, alle giurisdizioni professionali , dalla Corte costituzionale, che, in detta occasione, ebbe ad osservare, tra l'altro, che la giurisdizione professionale è conosciuta anche dagli ordinamenti di altri Stati e che, in particolare, la Corte Europea dei diritti dell'uomo, chiamata ad esaminare il medesimo problema pur se, naturalmente, rispetto a una fonte normativa diversa e cioè all'articolo 6, par. 1, della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata in Italia con L. 4 agosto 1955 numero 848 , aveva riconosciuto, rispetto ad alcune decisioni del Consiglio nazionale dei medici belgi, la sussistenza del requisito dell'indipendenza degli organi della giurisdizione professionale sent. 23 giugno 1981, nel caso Le Compte, Van Leuven, De Meyere e sent. 10 febbraio 1983, nel caso Albert e Le Compte . Di tali decisioni il giudice delle leggi ricordò anche l'importante notazione, indubbiamente da condividere, che i membri dei collegi professionali partecipano al giudizio non già come rappresentanti dell'ordine professionale, e quindi in una posizione incompatibile con l'esercizio della funzione giurisdizionale, bensì a titolo personale e perciò in una posizione di terzietà, analogamente a tutte le magistrature. Nella medesima sentenza la Corte chiarì anche che sulla legittimità costituzionale della normativa non poteva incidere la circostanza della spettanza in capo al Consiglio anche delle funzioni amministrative. In proposito - osservò il giudice delle leggi - non è pertinente la giurisprudenza costituzionale che ha ritenuto l'illegittimità di alcune giurisdizioni speciali a causa della coesistenza nello stesso organo di funzioni giurisdizionali e amministrative cfr. sentt. numero 60 del 1969 numero 121 del 1970 numero 128 del 1974 . Invero, secondo detta giurisprudenza, non è la semplice coesistenza delle due funzioni che menoma l'indipendenza del giudice come la Corte ha espressamente ribadito nella sent. 73/1970 , bensì il fatto che, nelle ipotesi considerate dalle decisioni suddette, le funzioni amministrative erano affidate all'organo giurisdizionale in una posizione gerarchicamente sottordinata, sicché era immanente il rischio che il potere dell'organo superiore potesse indirettamente estendersi anche alle funzioni giurisdizionali e potesse così in definitiva pregiudicare altresì l'indipendenza del giudice. Nella fattispecie, al contrario, le funzioni amministrative sono esercitate dal Consiglio senza che sussista un rapporto di subordinazione verso alcun altro soggetto e quindi in piena autonomia con la evidente conseguenza che la loro coesistenza con quelle giurisdizionali non importa il rischio sopra menzionato e pertanto non incide sull'indipendenza del Consiglio stesso. 4. - Con il terzo motivo si denuncia la violazione degli articolo 56, 59 e 65 del d.p.r. numero 247 del 2012, eccependosi la prescrizione con riferimento al procedimento disciplinare numero 4 del 2007. In relazione a tale procedimento, si rileva che l'incarico alla ricorrente fu conferito l'8 ottobre 2002, e che, nel mese di agosto del 2004 e nel mese di aprile del 2005, il mandante, in considerazione dei dubbi nutriti sul corretto operato della professionista, registrò due colloqui con la stessa. Dall'8 ottobre del 2002, ma anche dalla data della registrazione dell'agosto 2004, la ricorrente ritiene ampiamente violati i termini di cui all'articolo 56, in combinato disposto con l'articolo 65, del d.p.r. numero 247 del 2012, avuto riguardo alla data del deposito della decisione del CNF, intervenuto il 22 aprile 2013. 5. - La censura è inammissibile. Non chiarisce il ricorso la ragione per la quale dovrebbe aversi riguardo, ai fini in esame, alla prima e non già alla seconda delle registrazioni dei colloqui intercorsi tra la professionista ed il cliente, posto che la condotta denunciata era proseguita anche fino all'aprile del 2005 data della seconda registrazione . In tal modo, la doglianza rimane generica sulla indicazione della data dalla quale dovrebbe decorrere nella specie il termine prescrizionale. Per di più, la genericità investe l'ulteriore profilo della mancata indicazione delle date della interruzione del periodo da considerare ai fini della prescrizione. 6. - Il ricorso deve, conclusivamente, essere rigettato. Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, devono, in applicazione del criterio della soccombenza, essere poste a carico della ricorrente. Risultando dagli atti che il procedimento in esame è considerato esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al comma 1 - quater dell'articolo 13 del testo unico approvato con il d.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, introdotto dall'articolo 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, numero 228 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013 . P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi Euro 4200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge.