A finire nel mirino la promozione messa in campo per due cliniche, a pagarne le conseguenze il direttore sanitario, sanzionato con una sospensione di 5 mesi. Ma la questione deve essere ulteriormente approfondita la Commissione centrale non può limitarsi, difatti, ad aderire alle valutazioni compiute dall’Ordine provinciale.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza numero 5612/14, depositata oggi. Il caso. Oltre 4 anni di battaglia legale – con ben 2 approdi in Corte di Cassazione –, in ballo una sanzione disciplinare – sospensione per 5 mesi dall’esercizio della professione –, eppure il nodo principale è ancora da sciogliere Cioè è davvero ‘scorretta’ la promozione pubblicitaria messa in campo da due cliniche, e centrata sul concetto – sempre accattivante – delle prestazioni gratuite? Pubblicità. A finire sotto i ‘riflettori’ sono due strutture sanitarie private – due studi odontoiatrici –, e la persona del direttore sanitario casus belli, come detto, la campagna pubblicitaria realizzata, evidentemente, per attrarre nuova clientela. Più in particolare, a creare la bagarre è la frase “Prima visita gratuita, diagnosi, radiografica e preventivo gratuiti”, frase sanzionata dall’Ordine dei medici provinciale prima e dalla ‘Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie’ poi, perché la «pubblicità, posta in essere dalle due società» non è ritenuta «conforme a veridicità e correttezza sulla base del Codice deontologico». Conseguenziale è la sanzione della «sospensione» per cinque mesi nei confronti del direttore sanitario delle due strutture. Tale decisione viene assunta dalla Commissione centrale alla luce della valutazione compiuta dall’Ordine dei medici provinciale, che, avendo «piena competenza a verificare se la pubblicità è trasparente e veritiera», ha appurato che le «espressioni» ‘incriminate’ non sono «conformi ai dettami delle norme ideologiche». Approfondimento. Ma la linea di pensiero seguita dalla Commissione centrale si rivela clamorosamente fallace Perché, certo, è indiscutibile la «competenza» dell’Ordine dei medici, ma, allo stesso tempo, proprio la Commissione centrale avrebbe dovuto valutare «in concreto la veridicità e la correttezza della pubblicità all’origine del procedimento disciplinare». E invece questo passaggio è saltato completamente Ciò ‘obbliga’ i giudici del ‘Palazzaccio’ ad accogliere il ricorso proposto dal direttore sanitario delle due strutture, proprio perché, come detto, la Commissione centrale «si è limitata ad affermare che la verifica richiesta era già stata effettuata dall’Ordine» provinciale, senza, per giunta, «neppure riportare le motivazioni dell’Ordine professionale che riteneva di condividere» e senza «individuare quali fossero le norme deontologiche» violate. Lacuna evidentissima, come detto, che dovrà essere colmata ecco perché la vicenda viene nuovamente affidata agli approfondimenti e alle valutazioni della Commissione centrale.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 4 febbraio – 11 marzo 2014, numero 5612 Presidente/Relatore Triola Svolgimento del processo Con provvedimento in data 1° settembre 2009 l'Ordine dei Medichi Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di La Spezia, rilevata, tra l'altro, la violazione da parte del dott. G.D.P. del vigente codice deontologico per asserita mancanza di trasparenza e veridicità della pubblicità sanitaria diffusa dalle cliniche di cui lo stesso era direttore sanitario, gli irrogava la sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio della professione per sei mesi. Il dott. G.D.P. proponeva impugnazione innanzi alla Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie che, con decisione in data 10 maggio 201 riduceva soltanto la sanzione da sei a cinque mesi di sospensione, ritenendo che il d.l. 4 luglio 2006 numero 223, convertito, con modificazioni, in 1. 4 agosto 2006, numero 248, che ha regolato la pubblicità sanitaria in modo diverso dalla l. 5 febbraio 1992, numero 175, non si applica alle società di capitali, che restano soggette alla vecchia disciplina, per cui risultava accertato che le società titolare delle cliniche di cui il dott. G.D.P. era direttore sanitario avevano effettuato la pubblicità in violazione di un divieto di legge. Il dott. D.G.P. proponeva ricorso per cassazione e questa S.C. con sentenza in data 9 marzo 2012 numero 3717, accoglieva l'impugnazione affermando il seguente principio di diritto L'abrogazione generale contenuta nella L. numero 248 del 2006, articolo 2, lett. b, nella quale è sicuramente compresa l'abrogazione delle norme in materia di pubblicità sanitaria, di cui alla L. numero 175 del 1992, prescinde dalla natura individuale, associativa, societaria dei soggetti rispetto ai quali sarebbe illegittimo, oltre che irragionevole, limitarne la portata all'esercizio della professione in forma individuale, fermo restando che, all'interno del nuovo sistema normativo, nel quale la pubblicità non è soggetta a forme di preventiva autorizzazione, gli Ordini professionali hanno il potere di verifica, al fine dell'applicazione delle sanzioni disciplinari, della trasparenza e della veridicità del messaggio pubblicitario. Sulla base di tale principio la Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie, in sede di rinvio, avrebbe dovuto giudicare se la pubblicità, posta in essere dalle due società, delle quali il dott. P. era direttore sanitario, fosse o meno conforme a veridicità e correttezza sulla base del codice deontologico . La causa veniva riassunta davanti alla Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie, la quale emetteva in data 12 novembre 2012-15 gennaio 2013 una decisione che, dopo avere affermato la infondatezza di alcuni motivi originariamente proposti contro la decisione dell'Ordine dei Medici Chirurghi ed Odontoiatri, che dovevano considerarsi estranei al thema decidendum a seguito della sentenza di questa S.C., così motivava I motivi di ricorso quattro, cinque e sei vengono trattati unitariamente per identità di materia in quanto, rispettivamente, ognuno per alcuni aspetti, a parere del ricorrente, giustificherebbero comportamenti non contrari all'attuale normativa di pubblicità sanitaria L. 248/2006 , ed in particolare per avere utilizzato nel messaggio pubblicitario il termine estetica e la frase Prima visita gratuita, diagnosi, radiografica e preventivo gratuiti . I motivi sono infondati. La cosiddetta liberalizzazione del sistema pubblicitario ex articolo 2, lett. b , della legge numero 248/2006 comporta che dalla datata di entra in vigore di detta norma sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali il divieto, anche parziale, i svolgere pubblicità informativa circa i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto, nonché il prezzo e i costi complessivi delle prestazioni secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto è verificato dall'Ordine . Dal tenore della citata disposizione si evince che resta attribuita agli Ordini e Collegi professionali la piena competenza a verificare se la pubblicità è trasparente e veritiera nel caso di specie l'Ordine di La Spezia, nella sua decisione del 1° settembre 2010, ha effettivamente svolto tale verifica ritenendo le sopra menzionate espressioni non conformi ai dettami delle norme deontologiche. Ala luce di tutte le circostanze emerse, appare credibile che l'incolpato abbia comunque assunto un ruolo non primario nella realizzazione del messaggio in questione in ragione di ciò questa Commissione ritiene di attenuare la misura sanzionatoria applicata dall'Ordine, riducendo a mesi cinque l'entità della sanzione irrogata. Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il dott. G. D. P., con un unico motivo. Resistono con separati controricorso il Ministero della Salute e l'Ordine dei Medichi Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di La Spezia. Motivi della decisione Con l'unico motivo il ricorrente deduce che la Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie, non ha ottemperato a quanto richiesto dalla decisione di questa S.C. del 9 marzo 2012 numero 3717, non verificando in concreto la veridicità e correttezza della pubblicità all'origine del procedimento disciplinare. Il ricorso è fondato. E' sufficiente ricordare che la Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie avrebbe dovuto giudicare se la pubblicità, posta in essere dalle due società, delle quali il dott. P. era direttore sanitario, fosse o meno conforme a veridicità e correttezza sulla base del codice deontologico . La decisione impugnata avrebbe dovuto effettuare una verifica autonoma, mentre si è limitata ad affermare che la verifica richiesta era stata già effettuata dall'Ordine di La Spezia, nella sua decisione del 1° settembre 2010, senza neppure riportare le motivazioni dell'ordine professionale, che riteneva di condividere e senza individuare quali fossero le norme deontologiche che il dott. G.D.P. aveva violato. In conseguenza della fondatezza del ricorso, la decisione impugnata va cassata, con rinvio per un nuovo esame alla Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie, che provvederà anche in ordine alle spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa la decisione impugnata, con rinvio alla Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie, anche per le spese del giudizio di legittimità.