Anche se l’ex moglie è benestante può avere diritto all’assegno divorzile

Il fatto che la donna percepisca un reddito che gli consenta di mantenere un tenore di vita dignitoso o agiato, ma non corrispondente a quello condotto durante la convivenza, matrimoniale, non influisce sul diritto di chiedere un’integrazione dell’assegno che sia volta a riequilibrare la situazione economico-sociale dell’ex coniuge.

Il caso. Moglie e marito si separano. I due conducono una vita agiata, possiedono immobili e partecipazioni societarie dalle quali ricavano il reddito sufficiente a mantenere un tenore di vita più che dignitoso. Con la separazione provvedono a dividere quel che è di loro proprietà. La donna però, agisce ugualmente in giudizio chiedendo che le venga riconosciuto il diritto ad un assegno divorzile. Il Tribunale accoglie la domanda, ma la Corte d’appello riforma la sentenza. Si arriva dunque in Cassazione dove la donna lamenta l’insufficiente e contraddittoria motivazione del diniego dell’assegno divorzile. La Suprema Corte, con l’ordinanza numero 4335/12 depositata il 19 marzo scorso, accoglie il ricorso precisando quali siano, in casi come questo, le valutazioni che deve compiere il giudice di merito. Per prima cosa è necessario valutare lo stile di vita. Il tenore di vita coniugale va identificato avendo riguardo allo standard di vita reso oggettivamente possibile dal complesso delle risorse economiche dei coniugi, tenendo quindi conto di tutte le potenzialità derivanti dalla titolarità del patrimonio in termini di redditività, di capacità di spesa, di garanzie di elevato benessere e di fondate aspettative per il futuro, e ben può essere desunto dalle potenzialità economiche dei coniugi, ossia dall’ammontare complessivo dei loro redditi e dalle loro disponibilità patrimoniali, originarie e sopravvenute. Anche se l’ex coniuge è benestante, può ugualmente aver diritto all’assegno divorzile. Il fatto poi che il richiedente percepisca un reddito che gli consenta di mantenere un tenore di vita dignitoso o agiato, ma non corrispondente a quello condotto durante la convivenza, matrimoniale, non influisce sul diritto di chiedere un’integrazione dell’assegno che sia volta a riequilibrare la situazione economico-sociale dell’ex coniuge. Possono aver rilievo anche i miglioramenti finanziari successivi alla cessazione della convivenza. Inoltre, è importante ribadire come il giudice che sia chiamato a decidere sull’attribuzione dell’assegno divorzile deve effettuare un esame comparativo della situazione reddituale e patrimoniale attuale del richiedente con quella della famiglia all’epoca della cessazione della convivenza, che tenga altresì conto dei miglioramenti della condizione finanziaria dell’onerato, anche se successivi alla cessazione della convivenza, i quali costituiscano sviluppi naturali e prevedibili dell’attività svolta durante il matrimonio. Le valutazioni vanno effettuate con riguardo a tutte le reali disponibilità dei coniugi. Infine, la verifica del tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio impone un accertamento delle disponibilità patrimoniali dell’onerato per la cui valutazione non è possibile limitarsi alla considerazione del solo reddito emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma che impone la tenuta in conto di diversi elementi di ordine economico suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti, come potrebbe essere la disponibilità di un consistente patrimonio mobiliare. L’apprezzamento dei giudici di merito è lacunoso. Nel caso specifico, la Corte territoriale ha compiuto un incompleto apprezzamento del tenore di vita coniugale e delle condizioni economiche delle parti effettuando solamente una comparazione tra la fruttuosità del denaro percepito dalla donna in conseguenza della liquidazione delle sue partecipazioni societarie ed il reddito dichiarato dal marito omettendo di considerare il valore di tutte le ulteriori sostanze possedute dall’uomo accertabile anche a mezzo di indagini tecniche d’ufficio o tramite indagine di polizia tributaria.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza 25 gennaio – 16 marzo 2012, numero 4253 Presidente Salmè – Relatore Giancola Fatto e diritto Il Collegio, all'esito dell'adunanza in camera di consiglio del 25.01.2012, svoltasi con la presenza del Sost. Proc. Genumero dr R. Ceniccola, osserva e ritiene - il relatore designato, nella relazione depositata ai sensi dell'articolo 380 bis c.p.c., ha formulato la proposta di definizione che di seguito interamente si trascrive Il relatore, cons M.C. Giancola, esaminati gli atti, osserva - M.P P. ha tempestivamente proposto ricorso per cassazione nei confronti dell'ex marito C F. , che ha debitamente resistito con controricorso l'impugnazione della P. , che concerne soltanto il diniego del chiesto assegno divorzile, è rivolta contro la sentenza resa in data 1.02 - 14.04.2010 notificata il 24.06.2010 dalla Corte di appello di Venezia, di rigetto del gravame da lei proposto avverso la sentenza definitiva numero 1854/2009, con cui il Tribunale di Treviso che con sentenza non definitiva numero 1629/2006 aveva già pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto dalle parti il 28.08.1971 aveva respinto la sua domanda di attribuzione di detto assegno e disposto che il F. pagasse all’ex moglie l'assegno di Euro 800,00 mensili, annualmente rivalutabili, oltre al 50% delle spese straordinarie, per il mantenimento della figlia terzogenita delle parti, che conviveva con la madre e che non era ancora economicamente indipendente a differenza dei due fratelli maggiori nell'impugnata pronuncia si espone tra l'altro a che con sentenza numero 2488 del 2003, il Tribunale di Treviso aveva pronunciato la separazione personale del F. e della P. , imponendo al primo di corrispondere alla moglie anche l'assegno di Euro 2.500,00 mensili per il suo mantenimento e che la Corte di appello di Venezia, riformando questa statuizione, aveva escluso la debenza di tale apporto, con sentenza numero 1642 del 2004, che sul punto questa Corte di legittimità, con sentenza numero 20886 del 2008, aveva cassato con rinvio, ancora pendente b che tra le parti era intervenuta nel giugno del 1999, la divisione dei risparmi familiari pari a complessive L. 2,600.000.000 e successivamente quella degli immobili comuni casa coniugale ed immobile in omissis , tramite l'acquisto per il complessivo corrispettivo di Euro 377.550,00 da parte del F. delle relative quote in titolarità della P. , la quale aveva anche ceduto per il controvalore di L. 2.613.964.500, le sue quote di partecipazione nelle società di cui era consocio il marito, società da cui entrambi i coniugi nel corso della convivenza avevano percepito l'importo globale di L. 19.000.000 mensili, quale compenso per le rivestite cariche di amministratori e segnatamente lei la somma di L. 9.000.000 quale vicepresidente della s.r.l. Concorde c che la P. , per la quale, data l'età, non poteva ipotizzarsi una concreta capacità di impiego redditizio, sebbene iscritta all'Albo dei farmacisti di Roma, fruiva, tenuto pure conto dell'importo di Euro 54.227,77, da lei presumibilmente riscosso quale riscatto di una polizza assicurativa scaduta nel 2005, di un capitale pecuniario di complessivi Euro 2.555.667,60, che, senza essere posto a rischio, poteva ritenersi atto a fornirle un rendimento medio non inferiore al 2,5%, corrispondente ad un reddito annuo di Euro 63.891,68 d che il F. era titolare di attività imprenditoriale molteplice e ben avviata, tanto che era socio ed amministratore di tre società, ed aveva fruito nel 2004 di un reddito netto di Euro 67.872,00, cui occorreva fare riferimento e che sempre con riguardo al F. , i recenti riscatti delle quote delle case in comproprietà con la P. , non consentivano di concludere per una sua maggiore capacità di spesa, atteso che nel 1999, egli aveva incamerato la sua quota dei risparmi comuni L. 1.300.000.000 f che alla stregua della redditualità di ciascuno degli ex coniugi e del fatto che il F. doveva versare mensilmente Euro 800,00 per il mantenimento della figlia, non sussistevano i presupposti per l'attribuzione alla P. del chiesto assegno divorzile, pur avuto riguardo all’ottimo tenore della loro vita coniugale il ricorso contiene i seguenti due motivi 1. Violazione della L. 01.12.1970 numero 898, articolo 5 co 9 e L. 06.03.1987 numero 74, articolo 10 e per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa punto decisivo della controversia con cui la P. si duole per più profili, del confermato diniego di assegno divorzile. 2. “Violazione dell'articolo 336 c.p.c. con riguardo agli effetti dell’accoglimento del primo motivo di ricorso sulla disposta condanna dell’appellante alle spese del grado di merito il primo motivo di gravame appare manifestamente fondato con riguardo dia ritenuta ed avversata insussistenza dei presupposti per la concessione del chiesto assegno in suo favore al relativo favorevole apprezzamento dovrebbe anche conseguire l'assorbimento del secondo motivo l'impugnata conclusione negativa appare affidata ad un incompleto apprezzamento del tenore della vita coniugale e delle condizioni economiche delle parti, anteriori e posteriori alle sopravvenute divisioni dei risparmi e degli immobili comuni nonché alla liquidazione delle quote societarie intestate alla P. , essendo stato non solo il raffronto delle rispettive situazioni essenzialmente limitato alla comparazione tra la fruttuosità del denaro acquisito dalla ricorrente ed il reddito dichiarato dal F. , con illegittima espunzione del valore delle sostanze di quest'ultimo, rinveniente anche dalle partecipazioni societarie e dagli immobili di sua pertinenza ed in effetti accertabile anche a mezzo di indagini tecniche d'ufficio o tramite indagini di polizia tributaria, ma anche rimasti non valorizzati i cospicui compensi già percepiti mensilmente dai coniugi e la relativa sorte il ricorso può, quindi, essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli articolo 376, 380 bis e 375 c.p.c. per esservi accolto. Roma, il 12 settembre 2011 - la relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti. il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte le parti hanno presentato memorie preliminarmente in rito va ritenuta l'irricevibilità degli atti prodotti dal F. in allegato alla memoria da lui presentata, estranei al novero di quelli di cui è ammissibile il deposito ai sensi dell'articolo 372 c.p.c., sia pure a dimostrazione della formazione di un presunto giudicato esterno, che nella specie lo stesso controricorrente definisce in fieri e, quindi, inattuale nella depositata memoria il F. ha ribadito le eccezioni di inammissibilità del ricorso della P. , le quali si rivelano insuscettibili di favorevole apprezzamento, nonché sollevato inammissibili o infondati rilievi critici avverso la trascritta relazione quanto alle suddette eccezioni, relativamente a quelle contraddistinte dai nnumero 1 e 3, va ribadito che è ammissibile il ricorso per cassazione, che denunzi con unico motivo vizi di violazione di legge e di motivazione, poiché nessuna prescrizione è rinvenibile nelle norme processuali che ostacoli tale duplice denunzia, purché, come è avvenuto nella specie, la relativa illustrazione si riveli atta a consentire di apprezzare in termini distinti e autosufficienti i diversi profili di doglianza, mentre per quanto attiene alla seconda eccezione, l'assenza nel pregresso grado di istanze sollecitatorie all'esercizio discrezionale e non doveroso di poteri officiosi da parte della Corte distrettuale, segnatamente volte a disporre o ctu o, ex articolo 5 comma 9 legge div., indagini su redditi, patrimoni e tenore della vita coniugale, non assume alcun connotato processuale preclusivo all'esame della doglianza svolta in questa sede, stante sia l'assenza in appello relativamente alla CTU, di prescrizioni e limiti previsti per l'ammissione di nuovi mezzi di prova in tema cfr Cass. numero 13343 del 2000 e sia l'emersa presenza di pregresse specifiche contestazioni al riguardo e l'espresso diniego di assegno divorzile, confermato in appello e correlato anche al profilo della mancata dimostrazione del tenore e dello stile della vita coniugale in tema, tra le altre, cfr Cass. numero 8417 del 2000 numero 10344 del 2005, numero 4872 del 2006 . nel merito, va ricordato che a il tenore della vita coniugale va identificato avendo riguardo allo standard di vita reso oggettivamente possibile dal complesso delle risorse economiche dei coniugi, tenendo quindi conto di tutte le potenzialità derivanti dalla titolarità del patrimonio in termini di redditività, di capacità di spesa, di garanzie di elevato benessere e di fondate aspettative per il futuro, e ben può essere desunto dalle potenzialità economiche dei coniugi, ossia dall'ammontare complessivo dei loro redditi e dalle loro disponibilità patrimoniali, originarie e sopravvenute. b la titolarità, in capo al richiedente, di un reddito che gli consenta di fruire di un tenore di vita dignitoso o agiato, ma non corrispondente a quello condotto durante la convivenza matrimoniale, legittima un'integrazione dell'assegno che, pur non consentendo il raggiungimento del medesimo standard di vita goduto in costanza di matrimonio, sia tendenzialmente volto a riequilibrare, sia pure in parte, la situazione economico-sociale dell'ex coniuge. c nella disciplina dettata dall'articolo 5 della legge 1 dicembre 1970, numero 898, come modificato dall'articolo 10 della legge 6 marzo 1987, numero 74, il giudice, chiamato a decidere sull'attribuzione dell'assegno di divorzio, è tenuto a verificare l'esistenza del diritto in astratto, in relazione all'inadeguatezza - all'atto della decisione - dei mezzi o all'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio, fissate al momento del divorzio dunque, è la nozione di adeguatezza a postulare un esame comparativo della situazione reddituale e patrimoniale attuale del richiedente con quella della famiglia all'epoca della cessazione della convivenza, che tenga altresì conto dei miglioramenti della condizione finanziaria dell'onerato, anche se successivi alla cessazione della convivenza, i quali fa costituiscano sviluppi naturali e prevedibili dell'attività svolta durante il matrimonio cfr. Cass. numero 20582 del 2010 . d ai fini della verifica del tenore di vita di cui i coniugi avevano goduto durante la convivenza, quale situazione condizionante la qualità e la quantità delle esigenze del richiedente, vanno verificate anche le disponibilità patrimoniali dell'onerato ed a tal fine, il giudice non può limitarsi a considerare soltanto il reddito emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma deve tenere conto pure degli altri e diversi elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti, quali la disponibilità di un consistente patrimonio anche mobiliare - tanto anche premesso, vanno condivise le argomentate proposte contenute nella depositata relazione, rivelandosi l'impugnata sentenza affetta dai radicali vizi denunciati dalla P. e non aderente alle regole normative ed ai criteri che presiedono alla verifica dell'esistenza o meno dei presupposti per il riconoscimento dell'assegno divorzile prima che dotata di iter motivazionale affetto da incongruenze logiche - il primo motivo del ricorso va quindi, accolto, con assorbimento del secondo motivo di gravame e cassazione dell'impugnata sentenza, con rinvio alla Corte di appello di Venezia, in diversa composizione, cui si demanda anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo del ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Ih Venezia, in diversa composizione.