Quando il dibattimento è inutile...

Le valutazioni che deve operare il GUP per emettere sentenza di non luogo a procedere ex art. 425 c.p.p. non riguardano la prognosi relativa all’innocenza dell’imputato

Il GUP deve emettere sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti risultino insufficienti o contraddittori. Detta decisione, imposta dal terzo comma dell’art. 425 c.p.p., è da assumersi soltanto ove i predetti elementi siano comunque inidonei a sostenere l’accusa in giudizio, con la conseguenza che solo una prognosi di inutilità del dibattimento relativa all’evoluzione, in senso favorevole all’accusa, del materiale probatorio raccolto e non un giudizio prognostico in esito al quale il giudice pervenga ad una valutazione di innocenza dell’imputato, può condurre ad una sentenza di non luogo a procedere. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 3893 del 28 gennaio 2014. La sentenza di non luogo a procedere . Come è noto si tratta di una pronuncia che deve essere emessa allorché il giudice ritenga gli elementi acquisiti insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio”. La condizione per l’emissione della pronuncia è dunque la presenza, all’interno degli atti portati alla conoscenza del Giudice di elementi che abbiano la natura di risultare insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio. È evidente che le qualità descritte, sempre da riferirsi agli elementi acquisiti agli atti, debbano essere accertate, e successivamente dichiarate, in esito alla loro lettura e disamina da parte del giudice. Disamina che, e non potrebbe essere altrimenti, sarà effettuata ai sensi del libero convincimento del Giudice cui il compito è demandato. Occorre tenere in debita considerazione le caratteristiche che deve possedere il controllo effettuato dal Giudice e, allo stesso tempo, la natura del tutto particolare che hanno gli elementi acquisiti e posti a disposizione del giudicante. Pare corretto partire proprio dalla natura dei predetti elementi. Si tratta come è noto di tutti gli elementi acquisiti in sede di indagine dalle parti. Accusa e difesa. Elementi che non possono, integralmente od in parte, essere ancora considerati quali prove posto che debbono essere ancora assoggettati alla procedura del cosiddetto vaglio dibattimentale ma che, nondimeno, consentono, addirittura in misura maggiore rispetto a quanto consentito al Giudice del merito, di avere una cognizione amplissima dei fatti di causa. Cognizione che ben potrebbe, come detto, essere addirittura maggiore rispetto a quella consentita al Giudice di merito. Elementi che, dunque, per loro intrinseca natura non sono ancora in grado di riferire una storia compiuta ma, necessariamente una situazione soggetta, assoggettata od assoggettabile ad una mutazione di carattere dinamico in relazione ai risultati ed agli approdi che, in termine probatorio essi possono apportare. Proprio questa peculiarità che è ontologica qualità degli elementi che compongono il fascicolo del GUP induce ad alcune importanti riflessioni. Prima riflessione gli elementi che compongono il fascicolo del GUP debbono possedere necessariamente lo stesso valore a prescindere dalla provenienza degli stessi. Ovvero in altre parole gli elementi raccolti dalla difesa debbono essere valutati alla stregua degli stessi criteri adottati per valutare gli elementi raccolti dalla accusa. Seconda riflessione. Pacifico che il Giudice debba poter verificare quanto previsto dalla norma ai fini della pronuncia di sentenza di non luogo a procedere alla luce di alcuni criteri ermeneutici che pare, debbano essere individuati facendo riferimento a indici non previsti nella norma. Ora, a me pare, che l’art. 425 c.p.p. indichi al Giudice dell’Udienza Preliminare la possibilità di procedere alla pronuncia di non luogo a procedere nel caso in cui, secondo il corretto, prudente e libero suo convincimento gli elementi raccolti non siano in grado, per insufficienza, contraddittorietà o inidoneità, a sostenere l’accusa. Senza che detta valutazione possa e debba essere assoggettata ad altra valutazione differente e diversa rispetto a quella riservata ad ogni altro provvedimento di carattere giurisdizionale. So bene che si tratta di una interpretazione di carattere per cos’ dire estremistico che finisce con l’equiparare la sentenza di non luogo a procedere alla sentenza resa dal GUP in sede di giudizio abbreviato ma mi pare che, dal tenore della norma, non sia assolutamente inferibile alcuna limitazione al potere del Giudice di valutare ed analizzare gli elementi raccolti. Del resto proprio la differenza, basilare e di natura strutturale tra la pronuncia resa ex art. 425, comma 3, e quella assunta in sede di rito abbreviato rende le due decisioni assolutamente incomparabili fra loro. La pronuncia di non luogo a procedere non è definitiva. Essa può essere sempre rimessa in discussione” allorché il Pubblico Ministero abbia raccolto diversi e differenti elementi atti a ribaltare o a spostare l’indice di quell’equilibrio fra tesi accusatoria e tesi difensiva in proprio favore, Senza problemi di sorta attivando la ben nota procedura. Anche nel caso in cui gli elementi nuovi dovessero dipendere da quegli elementi che la difesa ha apportato nell’originario procedimento e che, per avventura, non si fossero dimostrati, all’esito di nuove indagini, capaci di reggere alle nuove obiezioni dell’accusa. Ma, sappiamo altrettanto bene, che la giurisprudenza ha ritenuto che la proposta equiparazione dei metri di giudizio da utilizzarsi sia del tutto improponibile. Il Giudice, nel caso di sentenza resa ex articolo 425 comma 3 c.p.p., non può utilizzare i criteri ed i canoni che normalmente sorreggono il giudizio da rendersi circa la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato. Del resto, di fa osservare da parte della giurisprudenza, il Legislatore ha inteso porre l’accento del giudizio sull’idoneità degli elementi apportati rispetto all’accusa da sostenersi che non sulla esistenza di penale responsabilità in capo all’imputato. Ecco allora che il criterio interpretativo prima ed ermeneutico poi diviene quello del cosiddetto giudizio prognostico” sulla possibilità di quegli elementi di essere in grado di sostenere l’accusa con esito favorevole alla medesima. E qui cominciano le dolenti note che la sentenza in commento vorrebbe inesistenti. Chi ha avuto la fortuna di imbattersi in provvedimento reso da un GUP ex articolo 425 comma 3 c.p.p., ex sé rara avis, ha dovuto spesso, in caso di ricorso per Cassazione formato dal Procura della Repubblica, incrociare le dita ed affidarsi più che alla linearità interpretativa degli Ermellini all’Italico Stellone. Eh si, perché è difficile stabilire con certezza i limiti di quel giudizio prognostico. Ancor più se si pone mente alla circostanza che quel giudizio va reso sulla scorta del probabile esito che gli elementi presenti nel fascicolo del GUP potrebbero provocare nel dibattimento ben sapendo che la prova regina, quella dell’esame e del contro esame del testimone potrebbe sempre, in linea neppur troppo teorica, apportare impreviste ed imprevedibili variazioni del portato probatorio. Un testimone che smentisse se stesso o che incorresse in contraddizioni od imprecisioni così gravi dal non consentire al giudicante di concedere patente di credibilità alle sue affermazioni od un contro esame capace di far emergere aspetti differenti o diversi restati sconosciuti all’atto dell’interrogatorio o, paradossalmente, la confessione dell’imputato che colorerebbe di nuovi ed oggettivi riscontri gli elementi di prova e le prove versate in atti, sono esempi della difficoltà di effettuare prognosi certe e soddisfacenti in relazione all’esito del procedimento. Allora su cosa può e deve fondarsi la valutazione del Giudice? Per la Corte di Cassazione deve fondarsi solo ed esclusivamente su di una valutazione prognostica circa il possibile sviluppo che le fonti, gli elementi ed i mezzi di prova potrebbero avere in funzione del giudizio, rendendolo inutile ogni qualvolta essi si dimostrassero del tutto incapaci di produrre in quella sede effetti diversi rispetto a quelli prodotti avanti al GUP stesso. Senza impingere ad alcuna valutazione circa l’innocenza o la colpevolezza dell’imputato. Il che, mi pare, sia una forzatura. Ovvero se dagli elementi risultassero dati che imporrebbero al Giudice di valutare ex art. 530, comma 2, la posizione dell’imputato indagato il Giudice la cui figura è stata introdotta nel sistema ai fini di deflazionare l’attività dibattimentale ed a tutela dell’indagato da proteggere rispetto ad imputazioni traballanti, vedrebbe la propria funzione menomata dall’impossibilità di emettere sentenza motivata proprio in ordine a quello che, in ultima analisi, è il cardine e la funzione stessa del processo ovvero la possibilità di attribuzione di penale responsabilità in capo all’indagato-imputato. Di fatto, e di diritto visto l’autorevolezza del Giudice da cui provengono le sentenze che della materia si occupano, così è. I GUP sono costretti a motivare effettuando pericolosissimi slalom fra i paletti posti dalla Cassazione in ordine all’inutilità del dibattimento facendo attenzione, massima ed assoluta, a non calpestare mai, neppure inavvertitamente la linea invalicabile del giudizio di colpevolezza che, per loro ed in questa funzione, appare inspiegabilmente preclusa.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 19 dicembre 2013 – 28 gennaio 2014, n. 3893 Presidente Dubolino – Relatore Lapalorcia Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 25-3-2013, il Gup del Tribunale di Brescia dichiarava non luogo a procedere, con la formula perché il fatto non sussiste, nei confronti di T.T.F. , +Altri , in ordine ai reati di riduzione in schiavitù capi A e B e di calunnia i soli T.T.F. , P.P. e R.T. , capo C . I reati sarebbero maturati all'interno della comunità creata dalla T.T.F. , dove anche persone in stato d'inferiorità psicologica tossicodipendenti e minori sarebbero stati tenuti in stato di soggezione continuativa con totale annichilimento limitazioni alla libertà di movimento, nonché costrizione a prestazioni lavorative massacranti nella stessa struttura o nelle aziende facenti capo alla T.T.F. mediante punizioni corporali e vessazioni psicologiche, grazie anche al fatto che la T.T.F. si autoaccreditava quale reincarnazione della Vergine Maria. 2. Il primo giudice, premesso che per altri reati tra i quali quelli di maltrattamenti e di sequestro di persona, pendeva altro procedimento, riteneva che non fossero emersi elementi idonei a sostenere l'accusa in dibattimento perché, nonostante i metodi organizzativi della T.T.F. fossero talora sfociati in atti di violenza o prevaricazione verso soggetti più deboli, tuttavia, alla stregua delle testimonianze di una nutrita serie di soggetti diversi dalle pp.oo., nonché anche di alcuni soggetti sentiti in sede di investigazioni difensive questi ultimi parenti stretti delle pp.oo. , la configurabilità del reato di cui all'art. 600 cod. pen. appariva di impervia dimostrazione” dal momento che le condizioni di lavoro particolarmente gravose con compenso inesistente o inadeguato erano state liberamente accettate, sia pure per compiacere la leader T.T.F. , dagli appartenenti alla comunità, i quali se ne erano allontanati senza conseguenze quando non avevano più sopportato la situazione di disagio. 3. Ha proposto ricorso per cassazione il PM presso il Tribunale di Brescia deducendo erronea applicazione dell'art. 425 cod. proc. pen. per essere stata la pronuncia estesa alla valutazione della colpevolezza degli imputati, anziché limitata alla verifica processuale della sostenibilità dell'accusa in giudizio. 4. Dopo aver ricostruito il quadro probatorio citando stralci di testimonianze, e aver sostenuto che l'intera attività che ruotava intorno alla comunità aveva fini di lucro in quanto parenti e persone comunque legate alla T.T.F. avevano costituito società in cui era impiegata manodopera a costo zero, il PM ricorrente concludeva che il GIP aveva digerito ed utilizzato le dichiarazioni testimoniali raccolte dai difensori in sede di indagini difensive, come se si trovasse a decidere un giudizio abbreviato” trascurando che le criticità delle dichiarazioni dei testi a difesa, tutti legati alla T.T.F. in quanto dipendenti di una delle società riferibili alla stessa, oppure locatari di immobili della stessa società, o tuttora interni alla comunità, sarebbero potute emergere in sede dibattimentale modificando il giudizio di attendibilità delle stesse. 5. Hanno depositato memorie l'avv. Gulotta per la T.T.F. , l'avv. Arco per P.P. , F.A. , D.C. , P.S. , F.R. , T.E. e I.G. . 6. Il primo chiede dichiararsi il ricorso inammissibile o, in subordine, infondato, da un lato perché basato su considerazioni di merito a sostegno della fondatezza della tesi accusatoria, dall'altro perché l'unico vizio di legittimità lamentato - l'erronea applicazione dell'art. 425 cod. proc. pen. -, è insussistente in quanto la declaratoria di improcedibilità si basa non tanto sulla contraddittorietà degli elementi non superabile in dibattimento contraddittorietà che riguarderebbe il reato di maltrattamenti per il quale pende altro procedimento , ma sulla non configurabilità della riduzione in schiavitù, che il PM ricorrente non ha contestato. 7.Il secondo chiede quanto meno il rigetto del ricorso osservando tra l'altro come esso si riferisca soltanto alla posizione della T.T.F. e al reato di riduzione in schiavitù. Considerato in diritto 1. Il ricorso del PM è da disattendere perché infondato. 2. Va premesso che, per pacifico approdo della giurisprudenza di questa corte, la previsione di cui all'art. 425, comma terzo, cod. proc. pen. - per la quale il Gup deve emettere sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti risultino insufficienti o contraddittori - è qualificata dall'ultima parte del suddetto comma terzo che impone tale decisione soltanto ove i predetti elementi siano comunque inidonei a sostenere l'accusa in giudizio, con la conseguenza che solo una prognosi di inutilità del dibattimento relativa alla evoluzione, in senso favorevole all'accusa, del materiale probatorio raccolto - e non un giudizio prognostico in esito al quale il giudice pervenga ad una valutazione di innocenza dell'imputato - può condurre ad una sentenza di non luogo a procedere Cass. 5049/2012, 10849/2012, 22864/2009 . 3.Ciò posto, e considerato che l'impugnazione investe, nella sostanza, esclusivamente la posizione della T.T.F. in ordine ai reati sub A e B , si osserva che il ricorso del PM, che muove dall'adesione all'orientamento giurisprudenziale di cui sopra, non intacca la prognosi del Gup circa l'impossibilità di sviluppi dibattimentali favorevoli all'accusa. 4. Invero, a fondare la censura di erronea applicazione dell'art. 425 cod. proc. pen., l'organo impugnante, dopo aver prospettato, mediante citazione di stralci selezionati dalle dichiarazioni testimoniali, una ricostruzione in fatto del panorama probatorio alternativa a quella ritenuta in sentenza, assume che il giudice avrebbe fondato le proprie conclusioni sulla disamina delle sole dichiarazioni dei testi assunti in sede di indagini difensive, la valutazione della cui attendibilità sarebbe, a suo dire, suscettibile di modifica a seguito del controesame dibattimentale. 5. Per contro deve osservarsi, in prima battuta, che il giudicante ha sottoposto ad attenta e puntuale analisi le dichiarazioni di ben trentasette testi dell'accusa, molti dei quali indicati in denuncia dalle pp.oo., e solo ad epilogo della medesima, senza peraltro nascondersi che esse evidenziavano la possibile ricorrenza di altri reati per il quali pende diverso procedimento, ha evocato, a scopo ulteriormente rafforzativo, le risultanze delle indagini difensive relative all'audizione di sei parenti degli offesi. Conclusivamente ha formulato una prognosi di inutilità del dibattimento in punto di evoluzione favorevole all'accusa del materiale probatorio raccolto, sulla base della contraddittorietà di questo, inidonea a sostenere l'accusa in giudizio, anche a fronte dell'esito favorevole all'imputata del monitoraggio delle società a lei riferibili, eseguito per otto mesi dalle forze dell'ordine. 6.A fronte di tale modus procedendi e correlato iter valutativo, non attaccati dal PM, che ha dedotto soltanto violazione di legge, con la censura di vizio motivazionale, appare genericamente apodittico - oltre che errato, per quanto sopra, sotto il profilo del preteso utilizzo delle sole prove a difesa - l'assunto dell'impugnante secondo cui il Gup avrebbe digerito ed utilizzato le dichiarazioni testimoniali raccolte dai difensori in sede di indagini difensive, come se si trovasse a decidere un giudizio abbreviato”, mentre assertivo ed aspecifico è il rilievo che le criticità delle dichiarazioni dei testi a difesa che costituiscono - lo si ribadisce per l'ennesima volta - solo una minima parte del complesso ed articolato materiale probatorio esaminato dal Gup , asseritamente legati tutti, a vario titolo, alla T.T.F. , sarebbero suscettibili di emergere in sede dibattimentale. 7. Ma, ciò che più conta e che non ha formato oggetto di critica dell'impugnante, è la conclusione, cui è pervenuto il primo giudice alla stregua delle testimonianze di cui sopra, della impervia” configurabilità in radice del reato di cui all'art. 600 cod. pen. in quanto le condizioni di lavoro particolarmente gravose, con compenso inesistente o inadeguato, che costituiscono il fulcro della contestazione di riduzione in schiavitù, erano state liberamente accettate dagli appartenenti alla comunità, i quali si erano allontanati dalla stessa, senza subire conseguenze, quando non avevano più tollerato la situazione. 8. Tale assunto si pone ineccepibilmente in linea con l'indirizzo di questa corte relativo ad un caso analogo secondo il quale non integra la fattispecie criminosa di riduzione in schiavitù, il cui evento di riduzione o mantenimento di persone in stato di soggezione consiste nella privazione della libertà individuale, la condotta consistente nell'offerta di un lavoro con gravose prestazioni in condizioni ambientali disagiate verso un compenso inadeguato, qualora la persona si determini liberamente ad accettarla e possa sottrarvisi una volta rilevato il disagio concreto che ne consegue Cass. 13532/2011 . 9. Totalmente diverse da quella in esame sono invece le fattispecie, oggetto di altre pronunce di legittimità in cui è stata ritenuta la sussistenza del reato, relative, ad esempio, all'induzione di minori di nazionalità straniera a trasferirsi in Italia con la prospettiva di una lecita attività lavorativa, seguita dalla sottrazione dei loro passaporti e da percosse e minacce di morte e di mutilazioni per indurli a commettere furti e a consegnare la refurtiva all'imputato Cass. 2775/2010 , oppure alla riduzione in soggezione di persone provenienti dall'Est, privandole dei passaporti, collocandole in luoghi isolati privi di relazioni esterne, corrispondendo retribuzioni nettamente inferiori alle promesse e imponendo loro contestuali sacrifici di esigenze primarie relative alla nutrizione, all'abitazione, alla libertà di spostamenti, così rendendole incapaci di sottrarsi allo sfruttamento anche per effetto di violenze e minacce Cass. 40045/2010 . 10. Situazioni, queste ultime, all'evidenza assai lontane da quella in cui si erano trovati, secondo la prospettazione dello stesso PM ricorrente, alcuni appartenenti alla comunità creata dalla T.T.F. . P.Q.M. Rigetta il ricorso.