Svolta forzata, cade un motociclista. Condannato, anche senza contatto, l’automobilista in fuga

Nessun dubbio sulla dinamica dell’episodio. Ma ciò che conta non è solo la consapevolezza piena, da parte dell’automobilista autore dell’azzardata manovra, ma anche il dolo eventuale in merito all’ipotesi che la persona coinvolta nell’incidente abbia bisogno effettivamente di soccorso.

Manovra azzardata dell’automobilista, che ‘forza’ la svolta, mettendo in ‘secondo piano’ l’obbligo di ‘dare precedenza’. A rimetterci è un motociclista, colto di sprovvista e, probabilmente, anche impaurito dalla situazione di potenziale pericolo inevitabile è la caduta del veicolo a due ruote. E consequenziale è la condanna del conducente su quattro ruote per omissione di soccorso lo stop per prestare assistenza era necessario a prescindere dall’eventuale contatto tra i due mezzi, anche tenendo presenti le caratteristiche del ciclomotore Cassazione, sentenza numero 5510, Quarta Sezione Penale, depositata oggi . Contatto dubbio. Nodo gordiano, nella vicenda stradale, è il punto interrogativo in merito al presunto contatto tra un’automobile e un ciclomotore. Perché tutti gli altri elementi sono acclarati un’automobilista effettua «una manovra di svolta a sinistra senza accordare la precedenza» a una moto che proviene «dalla parte destra», e il motociclista cade a terra mentre il conducente della vettura prosegue la propria marcia «omettendo di fermarsi e di prestare al soccorso». Proprio alla luce di questo quadro, però, per i giudici – sia in Tribunale che in Corte d’Appello – nessun dubbio è possibile sull’addebito nei confronti dell’automobilista, che, difatti, viene condannato per la violazione delle «norme di comportamento» in caso di incidente. Anche perché, viene chiarito dai giudici, pur volendo «ipotizzare la mancanza di un contatto tra i veicoli», come suggerito dall’automobilista, la versione proposta da quest’ultimo – secondo il quale «il motociclista aveva fatto tutto da solo» – dimostrava, comunque, che egli «era certamente reso conto di essere rimasto coinvolto in un incidente per ciò solo, vi era comunque l’obbligo di fermarsi». Stop a prescindere. Nonostante ciò, però, l’automobilista rivendica ancora la propria buonafede, sostenendo – come evidenziato nel ricorso per cassazione – che «non vi sarebbe stata collisione tra i veicoli», e che quindi egli «non sarebbe rimasto coinvolto nell’incidente». E, comunque, sempre ad avviso dell’uomo, «anche ad ammettere come avvenuto il prospettato contatto tra i veicoli, non ne sarebbe derivato un rumore sufficiente a mettere in allarme il conducente», né, peraltro, «sarebbe stato dimostrato l’allontanamento a forte velocità» da parte sua. Ma questa visione viene completamente rigettata dai giudici, i quali, innanzitutto, a mo’ di riferimento, ricordano che «l’elemento soggettivo del reato ricorre quando l’utente della strada, al verificarsi di un incidente, idoneo a recar danno alle persone e riconducibile al proprio comportamento, ometta di fermarsi per prestare eventuale soccorso, non essendo necessario che il soggetto agente abbia in concreto constatato il danno provocato alla vittima», e aggiungono che sull’addebito della fuga «la consapevolezza che la persona coinvolta nell’incidente ha bisogno di soccorso può sussistere anche sotto il profilo del dolo eventuale». E quest’ultimo profilo si attaglia bene alla vicenda in esame, perché, sottolineano i giudici, «il contatto con un ciclomotore o, comunque, anche la sola caduta a terra del mezzo stesso – veicolo che comporta, come è noto, instabilità e precarietà di equilibrio per il conducente – imponeva l’obbligo della fermata», e, comunque, l’automobilista, secondo la propria versione dei fatti, «avendo avvertito la necessità di ispezionare la strada alle sue spalle attraverso lo specchietto retrovisore, si era ben reso conto dell’incidente riconducibile alla sua condotta». Quadro chiarissimo, allora l’uomo «aveva percepito l’incidente era consapevole che l’incidente stesso era riconducibile al suo comportamento e concretamente idoneo a produrre eventi lesivi». Ricorreva, quindi, «l’elemento psicologico quantomeno nella forma del dolo eventuale», in merito alla fuga dal luogo della caduta del ciclomotore, «attestato dal rifiuto, per effetto dell’allontanamento, di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali la condotta costituiva reato». Ecco perché la condanna dell’automobilista va confermata in toto.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 12 dicembre 2012 – 4 febbraio 2013, numero 5510 Presidente Sirena – Relatore Romis Ritenuto in fatto M.K. veniva condannato dal Tribunale di Firenze per violazione dell’articolo 189, primo, sesto e settimo comma, del codice della strada. Secondo l’ipotesi accusatoria l’auto dell’imputato aveva effettuato una manovra di svolta a sinistra senza accordare la precedenza alla moto condotta da R.R. che proveniva dalla parte destra il motociclista era caduto a terra ed il M. aveva proseguito la marcia omettendo di fermarsi e di prestare soccorso al R A seguito di rituale gravame dell’imputato, la Corte d’Appello di Firenze confermava la sentenza impugnata, osservando, in particolare, che a la tesi difensiva secondo cui il M. non sarebbe rimasto coinvolto nell’incidente, per essere il motociclista caduto da solo, risultava smentita perché vi era stato un contatto tra la moto e l’auto come dimostrato anche dalle fotografie dell’auto scattate dalla Polizia b in ogni caso, pur a voler ipotizzare la mancanza di un contatto tra i veicoli, la versione del M. stesso, secondo cui il motociclista «aveva fatto tutto da solo», dimostrava che il M. si era certamente reso conto di essere rimasto coinvolto in un incidente per ciò solo, vi era comunque per il M. l’obbligo di fermarsi. Ricorre per cassazione il M., a mezzo del difensore, riproponendo la tesi secondo cui non vi sarebbe stata collisione tra i veicoli e quindi l’imputato non sarebbe rimasto coinvolto nell’incidente si prospetta la inattendibilità della parte lesa in quanto portatrice di interesse, e si sostiene che i segni sull’auto quali rilevabili dalle foto non costituirebbero elemento idoneo a ritenere avvenuto un contatto tra i due veicoli, e la riconducibilità di tali segni all’incidente apparirebbe «né più né meno che un atto di fede nei confronti della Parte Civile e degli operanti che hanno deposto» pag. 3 del ricorso ma, anche ad ammettere come avvenuto il prospettato contatto tra il veicolo, non ne sarebbe derivato un rumore sufficiente a mettere in allarme il conducente, né sarebbe stato dimostrato l’allontanamento di costui a forte velocità. Considerato in diritto Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per la manifesta infondatezza delle censure dedotte che tendono sostanzialmente ad una rivalutazione delle risultanze probatorie non consentita in sede di legittimità. Deve ancora una volta ribadirsi, anche in questa circostanza, in via di principio, che le doglianze relative ad asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell’episodio e dell’attribuzione dello stesso alla persona dell’imputato non sono proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da un percorso motivazionale che risulti comunque esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio e con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata le argomentazioni prevalentemente di merito svolte dal ricorrente non valgono a scalfire la motivazione fornita dalla Corte d’Appello, sopra ricordata e da intendersi qui richiamata onde evitare superflue ripetizioni, in punto di responsabilità ed invero a Corte distrettuale non ha mancato di richiamare espressamente gli elementi acquisiti a carico dell’imputato con particolare riferimento all’esito degli accertamenti eseguiti dai verbalizzanti, alle foto acquisite, alla deposizione della parte lesa - ritenuta pienamente attendibile per avere il teste reso dichiarazioni precise e circostanziate - ed alle dichiarazioni dello stesso imputato. Per quel che riguarda la valutazione probatoria della deposizione della parte lesa, è bene ricordare che questa Corte ha affermato, e ripetutamente ribadito, il condivisibile principio secondo cui le dichiarazioni della parte lessa, anche se rappresentano l’unica prova del fatto da accertare e manchino riscontri esterni, può essere posta a base del convincimento del giudice, atteso che a tali dichiarazioni non si applicano le regola di cui ai commi 3 e 4 dell’art 192 c.p.p., che presuppongono l’esistenza di altri elementi di prova unitamente ai quali le dichiarazioni devono essere valutate per verificarne l’attendibilità in tal senso, «ex plurimis», Sez. 3, numero 43303 del 18/10/2001 Ud. - dep. 03/12/2001 - Rv. 220362 . Certamente, così come precisato nella giurisprudenza di legittimità, il controllo del giudice sulle dichiarazioni della persona offesa, considerato l’interesse del quale può essere portatrice, deve essere particolarmente rigoroso ebbene, nel caso di specie, detto controllo è stato operato nel complesso motivazionale di merito, alla stregua di quanto si è dinanzi osservato a fronte di ciò, il ricorrente si è limitato a concentrarsi in una serie di generiche e ripetitive critiche all’affidabilità della parte offesa, con formulazioni del tutto assertive e prive di qualsiasi spunto di specificità. In punto di violazione dell’obbligo di fermarsi, il ricorrente ha reiterato quanto aveva già lamentato con i motivi di appello, sostenendo che non avrebbe compreso di essere incorso in un sinistro stradale e di essersi allontanato nella convinzione di essere estraneo al fatto. Mette conto sottolineare al riguardo che secondo il più recente ed ormai consolidato, nonché assolutamente condivisibile, indirizzo interpretativo di questa Corte, «in tema di circolazione stradale, l’elemento soggettivo del reato di cui all’articolo 189 comma sesto del codice della strada punito solo a titolo di dolo ricorre quando l’utente della strada, al verificarsi di un incidente - idoneo a recar danno alle persone e riconducibile al proprio comportamento - ometta di fermarsi per prestare eventuale soccorso, non necessario per contro essendo che il soggetto agente abbia in concreto constatato il danno provocato alla vittima» in termini, «ex plurimis», Sez. 4, Sentenza numero 7615 del 10/11/2004 Ud. - dep. 01/03/2005 – Rv. 230816, Imp. Verginella . Ai fini della configurabilità del reato di «fuga», quanto all’elemento psicologico, per essendo richiesto il dolo, «la consapevolezza che la persona coinvolta nell’incidente ha bisogno di soccorso può sussistere anche sotto il profilo del dolo eventuale, che si configura normalmente in relazione all’elemento volitivo, ma che può attenere anche all’elemento intellettivo, quando l’agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso l’esistenza» in termini, «ex plurimis», Sez. 4, numero 34134 del 13/07/2007 - dep. 06/09/2007 - Rv. 237239, imp. Agostinone conf. Sez. 4 numero 21445 del 10/04/2006 - dep. 21/06/2006 - Rv. 234570, imp. Marangoni Sez. 4, Sentenza numero 8103 del 10/01/2003 - dep. 19/02/2003 - Rv. 223966, imp. Fariello . Nella concreta fattispecie, il contatto con un ciclomotore e, comunque, anche la sola caduta a terra del mezzo stesso - veicolo che comporta, come è noto, instabilità e precarietà di equilibrio per il conducente - imponeva l’obbligo della fermata. Mette conto sottolineare che, secondo la versione dello stesso imputato, il conducente del ciclomotore si sarebbe rimesso in piedi da solo ciò dimostra dunque che, avendo avvertito la necessità di ispezionare la strada alle sue spalle attraverso lo specchietto retrovisore, il M. - il quale aveva effettuato la manovra di svolta omettendo di accordare la precedenza al R. si era ben reso conto dell’incidente riconducibile alla sua condotta. Orbene, nel reato di fuga previsto dall’articolo 189, comma 6, cod. strad., l’accertamento dell’elemento psicologico va compiuto in relazione al momento in cui l’agente pone in essere la condotta e, quindi, alle circostanze concretamente rappresentate e percepite a quel momento, che siano univocamente indicative di un incidente ricollegabile al proprio comportamento ed idoneo ad arrecare danno alle persone, dovendo riservare ad un successivo momento il definitivo accertamento delle effettive conseguenze del sinistro. E giova evidenziare, altresì, che il dovere di fermarsi sul posto dell’incidente deve durare per tutto il tempo necessario all’espletamento delle prime indagini rivolte ai fini dell’identificazione del conducente stesso e del veicolo condotto, perché, ove si ritenesse che la durata della prescritta fermata possa essere anche talmente breve da non consentire né l’identificazione del conducente, né quella del veicolo, né lo svolgimento di un qualsiasi accertamento sulle modalità dell’incidente e sulle responsabilità nella causazione del medesimo, la norma stessa sarebbe priva di ratio e di una qualsiasi utilità pratica cfr., «ex plurimis» Sez. 4, numero 20235 del 25/01/2006 Ud. - dep. 14/06/2006 - Imputato Mischiatti . Conclusivamente, nel caso in esame, dal complesso motivazionale della sentenza impugnata si rileva che a il ricorrente aveva percepito l’incidente b egli era consapevole che l’incidente stesso era riconducibile al suo comportamento e concretamente idoneo a produrre eventi lesivi. Ricorreva, quindi, l’elemento psicologico quantomeno nella forma del dolo eventuale attestato dal rifiuto del ricorrente, per effetto del suo allontanamento, di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali la condotta costituiva reato. Il convincimento così espresso, in quanto frutto di una valutazione delle risultanze acquisite - di cui è stato dato conto in maniera adeguata, coerente e corretta - sfugge al sindacato di legittimità. Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente cfr. Corte Costituzionale, sent. numero 186 del 7-13 giugno 2000 al versamento a favore della cassa delle ammende di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in euro 1.000,00 mille ciascuno. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.