Le distanze sancite dall’articolo 9 d.m. numero 1444/1968 sono tendenzialmente inderogabili al solo fine di garantire l’interesse pubblico ad uno sviluppo ordinato dell’edilizia e alla protezione della salute dei cittadini.
Sul punto si è espresso il Consiglio di Stato con sentenza numero 5307/18 depositata il 10 settembre. La vicenda. Il proprietario di un immobile impugnava in primo grado le concessioni in sanatoria e le autorizzazioni paesaggistiche rilasciate dal Comune in favore della proprietaria dell’immobile confinante, oggetto di interventi edilizi abusivi. Nello specifico il TAR adito accoglieva il ricorso sul presupposto che l’edificio, oggetto degli interventi abusivi, non rispettava la distanza del nucleo originario del fabbricato del ricorrente. Appella così la proprietaria dell’immobile confinante. La materia del contendere. In primis occorre sottolineare che la controversia, avente ad oggetto l’impugnazione di un permesso di costruire da parte del vicino che lamenta violazione delle distanze legali, rappresenta una disputa non tra privati ma tra privato e pubblica amministrazione. In secondo luogo, l’esistenza di un collegamento “stabile” con il terreno interessato dall’intervento edilizio è circostanza sufficiente a dimostrare la sussistenza della legittimazione e dell’interesse a ricorrere, senza la necessità di ulteriori allegazioni. Il termine per ricorrere. Per l’impugnazione del titolo edilizio in sanatoria, il termine per ricorrere decorre dalla data in cui si giunge a conoscenza del fatto che sia stata rilasciata la concessione edilizia in sanatoria per un’opera abusiva già esistente. Nel caso di specie, l’appellante non ha fornito elementi da cui si possa desumere la piena conoscenza di cui sopra. Rispetto delle distanze. Dalla relazione redatta dopo il sopralluogo disposto dal TAR, nella fattispecie emerge che l’ampliamento dell’originario immobile con l’estensione fino al muro di confine del vicino, annulla la distanza dell’edificio di 10 metri dal predetto confine. Tale distanza di 10 metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti è prevista dall’articolo 9 d.m. numero 1444/1968 ed è inderogabile al fine di «garantire l’interesse pubblico ad un ordinato sviluppo dell’edilizia ed alla protezione della salute dei cittadini prevenendo la formazione di intercapedini malsane ». Pertanto, il Consiglio di Stato respinge l’appello.
Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 19 luglio – 10 settembre 2018, numero 5307 Presidente Maruotti – Estensore Caputo Fatto e diritto 1. È appellata la sentenza del Tar Campania, Napoli, sez. VII, numero 4690/2017, d’accoglimento del ricorso proposto dal sig. S. M., proprietario di un immobile ubicato nel Comune di omissis alla Via omissis , avverso le concessioni in sanatoria e le autorizzazioni paesaggistiche rilasciate in favore della sig.ra C. A., proprietaria dell’immobile confinante, oggetto degli interventi edilizi abusivi. 2. In particolare, il ricorrente in primo grado ha impugnato i seguenti titoli edilizi rilasciati dal Comune di omissis alla sig.ra A. la concessione edilizia in sanatoria numero 07/c dell’11 febbraio 2016 la concessione edilizia in sanatoria numero 6 l’autorizzazione edilizia in sanatoria numero 68 del 17 luglio 1998, oltre le autorizzazioni paesaggistiche numero 144/2015 e 143/2015 e le note prot. 16225 e prot. 16222 del 18 settembre 2012 della Soprintendenza per i beni culturali. 3. Dopo aver respinto le eccezioni d’inammissibilità, per le quali vi sarebbe il difetto di giurisdizione del giudice adito, nonché il difetto di legittimazione attiva al ricorso e l’irricevibilità del gravame per tardività, il TAR, assorbendo le altre censure, ha accolto il ricorso sul rilievo che l’edificio, oggetto degli interventi abusivi, non rispetta la distanza dal nucleo originario del fabbricato del ricorrente, prevista dall’articolo 9 del d.m. numero 1444/1968. 4. Appella la sig.ra C. A Resiste, riproponendo i motivi d’impugnazione assorbiti dal TAR, il sig. S. M Si è costituito in giudizio il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. 5. Alla pubblica udienza del 19 luglio 2018 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione. 6. Con il primo motivo d’appello, si deduce l’errore di giudizio in cui sarebbero incorsi i giudici di prime cure nel respingere l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del TAR. L’appellante deduce che nella specie si verserebbe in ipotesi di una mera controversia fra proprietari confinanti, avente a oggetto la violazione degli obblighi civilistici in tema di distanze e di costruzioni in aderenza. 7. Il motivo è infondato. 7.1 Va data continuità all’indirizzo giurisprudenziale consolidato, per il quale la controversia, derivante dall’impugnazione di un permesso di costruire da parte del vicino che lamenti la violazione delle distanze legali, costituisce una disputa non già tra privati, ma tra privato e p.a., nella quale la posizione del primo – in correlazione all’atto autoritativo abilitativo lesivo si atteggia a interesse legittimo, con conseguente spettanza della giurisdizione al giudice amministrativo cfr. Cass. civ., sez. unumero , 10 giugno 2004, nr. 11023 Cons. Stato, sez. IV, 6 luglio 2009, nr. 4300 Id., sez. V, 28 giugno 2004, nr. 4759 Id., sez. V, 13 gennaio 2004, nr. 46 . 8. Ad analoga conclusione deve giungersi sul secondo motivo d’appello, che ripropone l’eccezione d’inammissibilità per difetto di legittimazione attiva al ricorso del ricorrente di primo grado, parte appellata. 8.1 In materia edilizia, la vicinitas, ossia l'esistenza di uno stabile collegamento con il terreno interessato dall'intervento edilizio, è circostanza sufficiente a comprovare la sussistenza sia della legittimazione che dell'interesse a ricorrere, senza che sia necessario al ricorrente allegare e provare di subire uno specifico pregiudizio per effetto dell'attività edificatoria intrapresa sul suolo limitrofo cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. VI, 6 marzo 2018, numero 1448 . 8.2 Nel caso di specie la documentazione cartografica, fotografica e progettuale – in particolare la relazione tecnica del geom. P. – versata in atti attesta la vicinanza e l'identità del contesto territoriale ed urbanistico fra l’immobile del sig. M. e quello oggetto delle opere contestate. 9. Con il terzo motivo d’appello, si deduce l’errore di diritto in cui sarebbe incorso il TAR nel respingere l’eccezione di tardività del ricorso di primo grado. Limitatamente all’impugnazione dell’autorizzazione in sanatoria numero 68 del 17 luglio 1998 ed agli annessi pareri favorevoli della Soprintendenza, l’appellante ribadisce la tardività dell’impugnazione. 10. Il motivo è infondato. 10.1 In caso d'impugnazione del titolo edilizio in sanatoria, il termine decorre dalla data in cui si abbia conoscenza che, per una determinata opera abusiva già esistente, è stata rilasciata la concessione edilizia in sanatoria. 10.2 In conformità alla natura e alla modalità d’esecuzione delle opere, in materia occorre tenere separato il regime d’impugnazione del titolo edilizio “ordinario” da quello applicabile al titolo edilizio “in sanatoria”. Nel primo caso, il termine di decadenza decorre dal completamento dei lavori, cioè dal momento in cui sia materialmente apprezzabile la reale portata dell'intervento in precedenza assentito cfr. fra le tante, Cons. St., Ad. Plenumero , 29 luglio 2011, numero 15 Cons. St., sez. VI, 10 dicembre 2010, numero 8705 nel secondo caso, il termine decorre dalla data in cui si abbia conoscenza che, per una determinata opera abusiva già esistente, è stata rilasciata la concessione edilizia in sanatoria cfr., Cons. Stato, sez. VI, 27 dicembre 2007, numero 6674 10.3 Pertanto, in continuità all’indirizzo giurisprudenziale consolidato, qui condiviso, il termine d'impugnazione di un titolo in sanatoria decorre dal momento in cui si conosca la circostanza del rilascio del medesimo atto per una determinata opera già esistente la cui conoscenza deve essere dimostrata in giudizio al fine di far valere la tardività dell'impugnazione cfr. Consiglio di Stato, sez. V, 21 dicembre 2004, numero 8147 sez. IV, 26 marzo 2013, numero 1699 . 10.4 Nel caso di specie, la parte appellante non ha fornito specifici elementi da cui si possa desumere la piena conoscenza in una data rispetto alla quale il ricorso originario risulterebbe tardivo cfr., fra le tante, Cons. Stato, sez. VI, 12 novembre 2003, numero 7258 . Viceversa, risulta che l’originario ricorrente si è attivato nei termini richiesti dalla giurisprudenza cfr. ad es. Cons. di Stato, sez. IV, 21 gennaio 2013, numero 322 , impugnando l’autorizzazione entro il termine di 60 giorni decorrente dall’ostensione degli atti avvenuta in data 18 marzo 2016 , in risposta all’istanza d’accesso formulata al Comune. 11. Con il quarto motivo d’appello, si deduce l’errata o falsa applicazione dell’articolo 9 del d.m. 1444/1968 in ragione della tipologia delle opere realizzate, consistenti in sporti accessori, muri e balconi. 12. Il motivo d’appello è infondato. 12.1 Il fabbricato della sig.ra A. è stato oggetto nel corso degli anni degli ampliamenti abusivi di cui alle istanze di sanatoria domanda di sanatoria prot. numero 13175/1987 e prot. numero 4679/1995 nonché la pratica edilizia in sanatoria numero 10833/1998 . L'Amministrazione ha rilasciato in data 11 febbraio 2016 alla sig.ra A. C. due distinte concessioni in sanatoria, una ai sensi della legge numero 47/85 e l'altra ai sensi della legge numero 724/94, relative agli ampliamenti ed alle modifiche apportati all'immobile di Via omissis . L’immobile era già stato oggetto d’autorizzazione in sanatoria numero 68 del 17 giugno 1998, concernente “la sanatoria e il completamento delle opere relative al fabbricato”. Le opere realizzate e condonate con le concessioni numero 6/c e 7/c consistono in ampliamenti della sagoma dell’edificio chiusura di una scala, trasformazione di una tettoia aperta , che hanno alterato le preesistenti distanze dal confine e dal fabbricato del ricorrente. Dalla relazione del verificatore, redatta a seguito del sopralluogo disposto dal TAR e sulla base della documentazione di causa, emerge l’ampliamento del nucleo originario dell’immobile dell’appellante, in estensione fino al muro di confine con la proprietà Massa, fino ad annullare la distanza dell’edificio dal predetto confine La relazione del verificatore e la perizia di parte dell’appellato sostanzialmente corrispondente alle conclusioni dal verificatore – comprovano che l’edificio della sig.ra A., dopo l’esecuzione dalle opere oggetto dei provvedimenti di condono, non rispetta la distanza di 10 metri dal nucleo originario del fabbricato dell’appellato. 12.2 Alla stregua della consolidata giurisprudenza cfr., da ultimo, Cons. Stato, sez. IV, 14 settembre 2017, numero 4337 id., 23 giugno 2017, numero 3093 id., 8 maggio 2017, numero 2086 id., 3 agosto 2016, numero 3510 id., 29 febbraio 2016, numero 856 Cass. civ., sez. II, 14 novembre 2016, numero 23136 , va ribadito che a il D.M. 2 aprile 1968, numero 1444, recante Limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza fra i fabbricati e rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, al verde pubblico o a parcheggi da osservare ai fini della formazione dei nuovi strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, ai sensi dell'articolo 17 della legge 6 agosto 1967 numero 765 , all’articolo 9, recante limiti di distanza tra i fabbricati , prevede, tra l'altro, che le distanze minime tra i fabbricati nelle altre zone, con riferimento a nuovi edifici . in tutti i casi . . . di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti b le distanze sancite dall'articolo 9 cit. sono tendenzialmente inderogabili, venendo in rilievo una norma imperativa avente il fine specifico di garantire l'interesse pubblico ad un ordinato sviluppo dell'edilizia ed alla protezione della salute dei cittadini prevenendo la formazione di intercapedini malsane c le distanze previste dall'articolo 9 cit. sono dunque coerenti con il perseguimento dell'interesse pubblico e non già con la tutela del diritto dominicale dei proprietari degli immobili finitimi alla nuova costruzione, tutela che è invece assicurata dalla disciplina predisposta, anche in tema di distanze, dal codice civile d coerentemente, la disciplina imperativa sancita dall’articolo 9 cit., predetermina in via generale ed astratta le distanze tra le costruzioni, in considerazione delle esigenze collettive connesse ai bisogni di igiene e di sicurezza. 12.3 Nello specifico, costituisce orientamento consolidato, qui condiviso, che nella verifica dell’osservanza delle distanze ai sensi dell’articolo 9 d.m. 2 aprile 1968, numero 1444, vadano considerati i balconi, nonché tutte le sporgenze destinate per i loro caratteri strutturali e funzionali ad ampliare la superficie abitativa dei vani che vi accedono cfr., Cons. Stato, sez. V, 13 marzo 2014, numero 1272 Id, sez. IV, 21 ottobre 2013, numero 5108 . 12.4 Pertanto, la disciplina imperativa sancita dall’articolo 9 cit. è applicabile anche nel caso in esame, laddove una sola delle due pareti frontistanti sia finestrata e l’altra consista nella scalettatura per una parte della facciata posta a distanza inferiore di 10 metri. 12.5 Né la distanza è derogabile, come invece ha dedotto l’appellante, nel caso in cui – con riferimento all’altra facciata fronteggiante – la sopraelevazione si trovi ad una diversa altezza rispetto all’altra costruzione cfr., Cons. St., sez. IV, 20 luglio 2011, numero 4374 . 13. Conclusivamente l’appello deve essere respinto, con la conseguente declaratoria d’assorbimento dei motivi di ricorso proposti in prime cure e riproposti in appello dalla parte appellata sig. Massa. 14. Le spese di lite del presente grado di giudizio seguono la soccombenza, con la precisazione che vengono compensate nei confronti del Ministero. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta , definitivamente pronunciando sull'appello numero 9320 del 2017, come in epigrafe proposto, lo respinge. Condanna la sig.ra C. A. alla rifusione delle spese di lite del presente grado di giudizio in favore del sig. S. M., che si liquidano in complessive 5000,00 cinquemila euro, oltre diritti ed accessori di legge. Compensa le spese di giudizio nei confronti del Ministero dei beni e delle attività culturali. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.