Ciò in quanto le comunicazioni dispongono di un loro proprio specifico codice . L'eventuale imposizione di un canone in base ad una legge regionale, pertanto, viola la previsione dell’articolo 93, comma 1, del d.lgs. numero 259/2003, il quale prevede che «le Pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni non possono imporre per l’impianto di reti o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, oneri o canoni che non siano stabiliti per legge». E ciò, anche alla luce di quanto la Corte Costituzionale ha chiarito nella sentenza numero 272/2010, laddove ha specificato che il richiamo dell’articolo 93, comma 1, dello stesso d.lgs. numero 259/2003, ad altri eventuali oneri o canoni che non siano stabiliti dalla legge deve intendersi alla sola legge statale e non anche, quindi, ad eventuale legge regionale.
E ciò, ha rilevato la Terza Sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza numero 2335/16 depositata il 1° giugno, non solo perché il richiamo alla legge, contenuto in una norma dello Stato, deve essere interpretato come rinvio ad una fonte legislativa, comunque di provenienza statale, ma anche perché l’accoglimento di una diversa opzione ermeneutica contrasterebbe con la ratio legis , come individuata dalla stessa Corte nella sentenza numero 336/2005, e cioè al fine di evitare che ogni Regione possa «liberamente prevedere obblighi “pecuniari” a carico dei soggetti operanti sul proprio territorio, con il rischio, appunto, di una ingiustificata discriminazione rispetto ad operatori di altre Regioni, per i quali, in ipotesi, tali obblighi potrebbero non essere imposti». Né tale copertura normativa, come nel caso specifico aveva sostenuto la Regione Liguria, può essere rinvenuta nell’articolo 86 del d.lgs. numero 112/1998 e, a tale proposito, non ritenendo di potere condividere, sul punto, l’interpretazione seguita da Cons. St., sez. V, 31 dicembre 2014, numero 6459. Ha chiarito al riguardo la Corte di Cassazione, con giurisprudenza ormai consolidata sul punto, che il titolo legittimante all’imposizione di oneri o canoni per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica non può essere rinvenuto né negli articolo 822 e 823 c.c. né negli articolo 86 e 89 del d.lgs. numero 112/1998, che delegano alle Regioni la gestione del demanio idrico, le relative concessioni, la determinazione dei canoni e l’introito dei relativi proventi. Comunicazioni elettroniche. Tali disposizioni, più in particolare, «divengono incompatibili con l’enunciazione dei principi con cui il legislatore, intervenendo nel settore delle telecomunicazioni, ha attuato la liberalizzazione del mercato secondo i dettami comunitari di non discriminazione, proporzionalità e universalità del servizio», poiché «tale determinazione dei canoni di concessione del demanio idrico da parte delle singole Regioni consentirebbe, anzitutto, contrariamente a quanto escluso in radice dal d.lgs. numero 259/2003 e dai suoi principi ispiratori, condizioni diverse per i singoli operatori a secondo delle determinazioni delle Regioni che governano il territorio sul quale essi operano inoltre, l’imposizione di canoni di concessione, in assenza di un riferimento agli utenti raggiunti rinvenibile nelle disposizioni statali invocate dalla Regione, violerebbe il principio di universalità poiché, da un lato, imporrebbe oneri non proporzionati secondo criteri di incentivazione dello sviluppo della comunicazione elettronica e, d'altro canto, come rovescio della stessa medaglia, contribuirebbe a disincentivare il raggiungimento di potenziali utenti isolati, mentre obiettivo del Codice è il raggiungimento “di tutti gli utenti finali ad un livello qualitativo stabilito, a prescindere dall’ubicazione geografica dei medesimi” articolo 53 » Cass. civ., sez. I, 14.8.2014, numero 18004 . Codice delle comunicazioni elettroniche. L’incompatibilità di fondo della normativa indicata, come deroga alla esclusione di ulteriori oneri, prevista dall’articolo 93 del d.lgs. numero 259/2003, è confermata dal fatto che il Codice delle comunicazioni elettroniche si ponga come normativa speciale rispetto alla materia da esso regolata. In tale senso depongono chiaramente, come pure ha osservato la Corte di Cassazione, sia la scelta della legge di delegare al Governo l’istituzione di un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica l. numero 166/2002, articolo 41, comma 1, lett. a sia la scelta di racchiudere in un “Codice” le disposizioni legislative e regolamentari in materia di telecomunicazioni l. numero 166/2002, articolo 41, comma 2, lett. a e, cioè, di un testo normativo in grado di disciplinare compiutamente la materia, un corpo organico e sistematico comprensivo di tutte le disposizioni pertinenti a un ramo del diritto.
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 21 aprile – 1 giugno 2016, numero 2335 Presidente Lipari – Estensore Noccelli Fatto e diritto 1. L’odierna appellata Metroweb Genova s.p.a., titolare di una concessione per l’attraversamento del demanio idrico con cavi in fibra ottica, ha impugnato, avanti al T.A.R. per la Liguria, la Determinazione del Dirigente del Servizio Controllo e Gestione del Territorio della Direzione Pianificazione Generale e di Bacino della Provincia di Genova, prot. numero 92190, adottata il 30 settembre 2014, e in parte qua i presupposti atti regolamentari della Regione Liguria e della stessa Provincia di Genova – poi divenuta Città Metropolitana di Genova – nella misura in cui le imponevano il pagamento del canone idrico demaniale per l’apposizione dei cavi in fibra ottica. 1.1. La ricorrente, deducendo la violazione dell’articolo 93, comma 1, d. lgs. numero 259 del 2003 e delle altre disposizioni speciali in materia, ha chiesto al T.A.R. adìto, previa sospensione, l’annullamento degli atti impugnati. 1.2. Nel primo grado di giudizio si sono costituite la Regione Liguria e la Città Metropolitana di Genova per resistere al ricorso, di cui hanno eccepito l’inammissibilità, anzitutto per difetto di giurisdizione, e poi nel merito l’infondatezza. 1.3. Con successivi motivi aggiunti la ricorrente ha impugnato, sempre per le medesime ragioni, anche la successiva Determinazione del Dirigente del Servizio Controllo e Gestione del Territorio della Direzione Pianificazione Generale e di Bacino della Provincia di Genova, prot. numero 21637, adottata il 10 marzo 2015, e la nota del Direttore del Dipartimento Ambiente, Settore Assetto del Territorio della Regione Liguria, prot. numero PG/2015/8522, adottata il 19 gennaio 2015. 2. Con la sentenza numero 511 del 21 maggio 2015 il T.A.R. per la Liguria ha accolto il ricorso e i motivi aggiunti, annullando gli atti impugnati di natura normativa o generale, limitatamente alla parte in cui assoggettano ai canoni di occupazione del demanio idrico le reti di telecomunicazione, nonché, in toto, quelli applicativi. 2.1. Il primo giudice, dopo aver ritenuto sussistente la propria giurisdizione per il rilievo che fossero stati impugnati anche gli atti regolamentari, ha censurato la mancanza di una copertura normativa che legittimasse l’imposizione del canone idrico demaniale anche gli operatori di telefonia mobile, in contrasto con la previsione dell’articolo 93, comma 1, del d. lgs. numero 259 del 2003. 3. Avverso tale sentenza ha proposto appello la Regione Liguria, deducendo due distinti motivi di censura, e ne ha chiesto, previa sospensione, la riforma. 3.1. Si è costituita la Città Metropolitana di Genova, chiedendo che l’appello della Regione venga accolto. 3.2. Si è costituita, altresì, Metroweb Genova s.p.a., con articolata memoria difensiva depositata il 12 dicembre 2015, per chiedere la reiezione del ricorso. 3.3. Nella camera di consiglio del 17 dicembre 2015, fissata per l’esame della domanda cautelare, la causa è stata rinviata alla pubblica udienza del 21 aprile 2016 per il sollecito esame del merito. 3.4. Nella pubblica udienza del 21 aprile 2016 il Collegio, uditi i difensori delle parti, ha trattenuto la causa in decisione. 4. L’appello della Regione Liguria deve essere respinto. 5. Con il primo motivo pp. 4-6 del ricorso la Regione appellante censura il fatto che il T.A.R. abbia omesso di rilevare la tardività del ricorso di primo grado in riferimento alla impugnazione degli atti generali posti a fondamento della richiesta di pagamento e, più precisamente, con riguardo all’impugnazione della d.G.R. numero 1412 del 18 novembre 2015 e del Regolamento Regionale numero 7 del 2013. 5.1. Secondo la Regione, infatti, gli atti regionali sarebbero risalenti nel tempo e sarebbero stati applicati dalla Provincia sin dal 2006. 5.2. Il motivo è infondato. 5.3. Quelli della Regione, impugnati in primo grado, sono atti regolamentari relativi ai canoni idrici demaniali, avverso i quali il privato non ha l’onere di proporre l’impugnazione immediata, ma solo quella contestuale all’atto applicativo lesivo nei confronti del soggetto interessato, come è avvenuto nel caso di specie. 5.4. Metroweb Genova s.p.a. ha infatti richiesto il rinnovo della concessione per l’utilizzo delle aree del demanio idrico e la Provincia ha rilasciato il nuovo provvedimento concessorio, con la specificazione – per quanto qui interessa – che la concessione prevedesse l’imposizione di un canone idrico demaniale in applicazione degli atti regolamentari adottati dalla Regione e della Provincia. 5.5. Il provvedimento della Provincia è, dunque, l’atto lesivo nei confronti di Metroweb Genova s.p.a., che ha regolarmente impugnato l’atto applicativo “a valle” e gli atti regolamentari “a monte”. 5.6. Nemmeno può ritenersi inammissibile il ricorso per motivi aggiunti avverso la nota regionale del 19 gennaio 2015, con il quale la Regione esprimerebbe un mero parere sulla corretta applicazione della normativa contestata dal ricorrente, poiché tale parere, nella misura in cui ha confermato la legittimità della richiesta dei canoni da parte della Provincia di Genova a Metroweb Genova s.p.a., costituisce senza dubbio un atto lesivo della posizione soggettiva di questa, ove si consideri che il successivo atto del 10 marzo 2015, pure impugnato con i motivi aggiunti, ha dato nuova attuazione agli indirizzi operativi impartiti nel parere della Regione. 5.7. Il motivo, dunque, è infondato. 6. Con il secondo motivo pp. 6-15 del ricorso la Regione Liguria assume che sia erroneo il convincimento espresso dal primo giudice, secondo il quale l’imposizione del canone non avrebbe base normativa, e non ritiene condivisibile la considerazione secondo cui la riserva di legge per il canone in questione costituirebbe oggetto di riserva di legge statale, posto che la disposizione dell’articolo 93, comma 2, del d. lgs. numero 259 del 2003 ciò non prevede. 6.1. Tale erroneo convincimento del primo giudice sarebbe illogico, incoerente e addirittura ultra petita anche rispetto alla corretta interpretazione da attribuire all’articolo 93, comma 2, del d. lgs. numero 259 del 2003. 6.2. Tanto avrebbe chiarito, deduce l’appellante, anche questo stesso Consiglio di Stato nella sentenza della sez. V, 31 dicembre 2014, numero 6459. 6.3. Il motivo deve essere respinto. 6.4. Gli atti impugnati, annullati dal giudice di primo grado, violano infatti la previsione dell’articolo 93, comma 1, del d. lgs. numero 259 del 2003, il quale prevede che «le Pubbliche Amministrazioni, le Regioni, le Province ed i Comuni non possono imporre per l’impianto di reti o per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica, onero o canoni che non siano stabiliti per legge», anche alla luce di quanto la Corte costituzionale ha chiarito nella sentenza numero 272 del 22 maggio 2010, laddove ha specificato che il richiamo dell’articolo 93, comma 1, dello stesso d. lgs. numero 259 del 2003, ad altri eventuali oneri o canoni che non siano stabiliti dalla legge deve intendersi alla sola legge statale. 6.5. E ciò non solo perché il richiamo alla legge, contenuto in una norma dello Stato, deve essere interpretato come rinvio ad una fonte legislativa, comunque di provenienza statale, ma anche perché l’accoglimento di una diversa opzione ermeneutica contrasterebbe con la ratio legis, come individuata dalla stessa Corte nella sentenza numero 336 del 2005, e cioè al fine di evitare che ogni Regione possa «liberamente prevedere obblighi “pecuniari” a carico dei soggetti operanti sul proprio territorio, con il rischio, appunto, di una ingiustificata discriminazione rispetto ad operatori di altre Regioni, per i quali, in ipotesi, tali obblighi potrebbero non essere imposti». 6.6. Né tale copertura normativa, come assume la Regione Liguria, può essere rinvenuta nell’articolo 86 del d. lgs. numero 112 del 1998. 6.7. Il Collegio non ritiene di potere condividere, sul punto, l’interpretazione seguita da Cons. St., sez. V, 31 dicembre 2014, numero 6459. 6.8. Ha chiarito al riguardo la Corte di Cassazione, con giurisprudenza ormai consolidata sul punto, che il titolo legittimante all’imposizione di oneri o canoni per l’esercizio dei servizi di comunicazione elettronica non può essere rinvenuto né negli articolo 822 e 823 c.c. né negli articolo 86 e 89 del d. lgs. numero 112 del 1998, che delegano alle Regioni la gestione del demanio idrico, le relative concessioni, la determinazione dei canoni e l’introito dei relativi proventi. 6.9. Tali disposizioni, più in particolare, «divengono incompatibili con l’enunciazione dei principi con cui il legislatore, intervenendo nel settore delle telecomunicazioni, ha attuato la liberalizzazione del mercato secondo i dettami comunitari di non discriminazione, proporzionalità e universalità del servizio», poiché «tale determinazione dei canoni di concessione del demanio idrico da parte delle singole Regioni consentirebbe, anzitutto, contrariamente a quanto escluso in radice dal D. Lgs. numero 259 del 2003 e dai suoi principi ispiratori, condizioni diverse per i singoli operatori a secondo delle determinazioni delle Regioni che governano il territorio sul quale essi operano inoltre, l’imposizione di canoni di concessione, in assenza di un riferimento agli utenti raggiunti rinvenibile nelle disposizioni statali invocate dalla Regione, violerebbe il principio di universalità poiché, da un lato, imporrebbe oneri non proporzionati secondo criteri di incentivazione dello sviluppo della comunicazione elettronica e, d'altro canto, come rovescio della stessa medaglia, contribuirebbe a disincentivare il raggiungimento di potenziali utenti isolati, mentre obiettivo del Codice è il raggiungimento “di tutti gli utenti finali ad un livello qualitativo stabilito, a prescindere dall’ubicazione geografica dei medesimi” articolo 53 » Cass. civ., sez. I, 14.8.2014, numero 18004 . 6.10. L’incompatibilità di fondo della normativa invocata come deroga alla esclusione di ulteriori oneri, prevista dall’articolo 93 del d. lgs. numero 259 del 2003, è confermata dal fatto che il Codice delle comunicazioni elettroniche si ponga come normativa speciale rispetto alla materia da esso regolata. 6.11. In tale senso depongono chiaramente, come pure ha osservato la Corte di Cassazione, sia la scelta della legge di delegare al Governo l’istituzione di un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica l. numero 166 del 2002, articolo 41, comma 1, lett. a sia la scelta di racchiudere in un “Codice” le disposizioni legislative e regolamentari in materia di telecomunicazioni l. numero 166 del 2002, articolo 41, comma 2, lett. a e, cioè, di un testo normativo in grado di disciplinare compiutamente la materia, un corpo organico e sistematico comprensivo di tutte le disposizioni pertinenti a un ramo del diritto. 7. Da tanto discende che, essendo l’imposizione del canone per l’attraversamento del demanio idrico contraria alla disposizione dell’articolo 93, comma 1, del d. lgs. numero 259 del 2003 e non trovando essa alcun fondamento normativo nella legislazione statale e, ancor meno, negli articolo 91, comma 1, lett. g e 101, comma 1, della L.R. numero 18 del 1999 , l’appello della Regione Liguria deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata nei limiti in cui ha annullato gli atti normativi e generali, che tale imposizione hanno introdotto, sia quelli applicativi. 8. Le spese del presente grado di giudizio, considerata la specifica complessità della questione qui controversa, possono essere interamente compensate tra le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza , definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto dalla Regione Liguria, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata. Compensa interamente tra le parti le spese del presente grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.