Vittoria definitiva per una donna. Legittimo il fatto che nella sua richiesta non siano stati indicati i proventi percepiti grazie alla truffa che l’ha portata sul banco degli imputati.
Sotto accusa per truffa ed esercizio abusivo della professione di commercialista. Prova ad ottenere il gratuito patrocinio, ma ‘dimentica’ di indicare i 35mila euro percepiti proprio grazie ai reati oggetto del processo. Scelta legittima e non punibile, sanciscono ora i giudici Cassazione, sentenza numero 27990/17, sez. IV Penale, depositata oggi . Illecito. Per i giudici di primo e di secondo grado non ci sono discussioni è evidente come la persona, una donna, che ha presentato «istanza di ammissione al gratuito patrocinio», abbia tentato un bluff, subito scoperto, «dichiarando di non avere percepito alcun reddito». E tale comportamento è ritenuto sanzionabile, poiché «vi è l’obbligo di dichiarare anche i redditi illeciti», ossia, in questo caso, «la somma di 35mila euro percepita a seguito di una truffa» messa a segno. In linea teorica ci si trova di fronte a un ragionamento corretto. Ma, annotano i Giudici della Cassazione, va tenuta presente la peculiarità della vicenda. Più precisamente, è emerso che «i redditi illeciti» non dichiarati «sono il frutto dei reati» contestati alla donna. Questo dettaglio non può essere trascurato, secondo i giudici, poiché «pretendere» dalla donna «la dichiarazione di percezione di redditi illeciti» confligge con «il suo diritto di difesa» e «di protestarsi innocente, rivendicando una pronuncia assolutoria». Di conseguenza, non si può parlare di «falsa dichiarazione» quando, come in questo caso, «i redditi percepiti e non indicati» sono proprio «il frutto dei reati» oggetto del procedimento in cui «viene richiesto il gratuito patrocinio». Cade, quindi, ogni accusa nei confronti della donna, che potrà usufruire del «patrocinio a spese dello Stato» nel procedimento in cui è sotto accusa per «truffa ed esercizio abusivo della professione di commercialista».
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 13 gennaio – 6 giugno 2017, numero 27990 Presidente Blaiotta - Relatore Izzo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 26\1\2016 la Corte di appello di Trieste confermava la condanna di No. Fa. per il delitto di cui all'articolo 95 del D.P.R. 115 del 2002, per avere falsamente dichiarato, nell'istanza di ammissione al gratuito patrocinio presentata nel novembre 2011, di non aver percepito alcun reddito dal luglio 2009, avendo invece percepito la somma di Euro 35.000,00 a seguito di una truffa consumata nel giugno-ottobre 2011. Esponeva la Corte distrettuale che ai fini dell'ottenimento del beneficio è fatto obbligo di dichiarare anche i redditi illeciti e con tale omissione l'imputata aveva consumato il delitto contestatole. 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell'imputata, lamentando la erronea applicazione della legge. Invero al momento della presentazione dell'istanza non era ancora intervenuta la sentenza definitiva che attestava la percezione dell'illecito reddito, pertanto l'imputata non era tenuta alla sua dichiarazione ciò a maggior ragione se si considerava che il processo per truffa era proprio quello nel quale era stata chiesta l'ammissione al beneficio. Considerato in diritto 1. Il ricorso fondato e la sentenza deve essere annullata senza rinvio perché il fatto non sussiste. 2. Questa Corte di legittimità ha, con consolidato orientamento, stabilito che ai fini dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato il giudice deve tenere conto anche dei redditi da attività illecite posseduti dall'istante ex plurimis, Sez. 4, numero 21974 del 20/05/2010, Di St., Rv. 247300 . Pertanto, la mancata indicazione di tali redditi nella richiesta di ammissione al beneficio è idonea ad integrare la fattispecie delittuosa di cui all'articolo 95 del D.P.R. 115 del 2002. 3. Ciò detto, va osservato che il caso in esame presenta una particolare peculiarità i redditi illeciti sono il frutto dei reati di esercizio abusivo della professione di commercialista e di truffa tali delitti erano oggetto del processo nel cui ambito la No. ha richiesto l'ammissione al beneficio. E' di tutta evidenza che in tale ipotesi pretendere dall'imputata la dichiarazione di percezione di redditi illeciti, in violazione del principio «nemo tenetur se detegere», confligge con il suo diritto di difesa e quindi a protestarsi innocente e rivendicare una pronuncia assolutoria. Si impone, pertanto, l'annullamento senza rinvio della sentenza, perché il fatto non sussiste, affermando il seguente principio di diritto «In tema di falsità ed omissioni nella dichiarazione diretta ad ottenere l'ammissione al benefico del patrocinio a spese dello Stato, non integra il delitto di cui all'articolo 95 D.P.R. 115 del 2002 la mancata indicazione della percezione di redditi illeciti, quando questi sono il frutto dei reati nell'ambito del cui procedimento viene richiesta l'ammissione al beneficio». P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.