Violato l’articolo 8 Cedu. La CEDU giudica l’accesso ad archivi privati di un PC contenenti materiale pedopornografico e la successiva condanna del suo proprietario come un’ingerenza arbitraria, sproporzionata e non necessaria in una società democratica il sequestro del PC e l’accesso al suo contenuto, in base alla legge ed alla prassi costituzionale interne era possibile solo previo ordine giudiziario o in casi d’urgenza che consentono un controllo giudiziario a posteriori. Nella fattispecie il PC era stato consegnato alla polizia da un terzo.
È quanto sancito dalla CEDU sez. III nel caso Trabajo Rueda c. Spagna ric.32600/12 del 30 maggio 2017. Il caso. Il ricorrente fu incastrato dal suo tecnico di fiducia che, durante la riparazione del PC, rilevò archivi personali con file pedopornografici ed un programma Emule per il loro scambio in rete. All’insaputa del cliente consegnò il tutto alla polizia che lo dette prima all’unità crimini informatici e poi al GIP e che lo arrestò quando andò a ritirarlo. Fu condannato per detenzione e scambio in rete di materiale pedopornografico condanna poi prescritta . Per la S.C. non poteva invocare la violazione della sua privacy e, quindi, l’illecita acquisizione delle prove per la presenza di detto programma e l’assenza di password a tutela del PC. Per la Consulta, pur dando atto che il sequestro e l’accesso erano avvenuti in assenza di un preventivo ordine giudiziario, l’azione della polizia era necessaria a verificare la veridicità delle accuse ed a scongiurare il rischio che le prove venissero cancellate, sì che aveva usato mezzi ragionevoli e proporzionati al conseguimento di tali fini lecita la deroga alla sua privacy. Limiti all’accesso agli archivi privati di un PC. Gli Stati devono adottare misure severe per scongiurare abusi ed ingerenze arbitrarie nell’altrui privacy in caso di sorveglianza segreta e di intercettazioni. Nel nostro caso alcune norme e la prassi costituzionale indicavano una regola chiara e prevedibile «ogni volta che è in gioco la tutela della privacy di una persona» l’accesso è consentito previo un ordine giudiziario od in casi d’urgenza. La legge non è chiara nell’elencarli, essendo difficile individuarne anticipatamente le varie ipotesi possibili, ma rispetta le garanzie processuali dell’interessato che può contestare la legittimità dell’acquisizione delle prove nel successivo controllo giudiziario. Sono offerte importanti ed adeguate garanzie contro l’arbitrarietà e gli abusi delle autorità. Il fine di queste misure di sorveglianza è tutelare i diritti altrui e reprimere la criminalità. I minori, poi, «sono soggetti vulnerabili che hanno diritto ad una protezione da parte dello Stato che deve metterli al sicuro e proteggerli da ingerenze negli aspetti essenziali della loro vita privata». Infatti gli oneri positivi previsti dall’articolo 8 possono obbligare gli Stati ad adottare mezzi per indentificare, tramite l’IP dinamico, il titolare del PC che ha messo online annunci sessuali relativi a minori Kruslin c. Francia del 24/4/90, K.U. c. Finlandia del 2008 e Delfi As c. Estonia [GC] del 16/5/15 . Per la CEDU l’accesso al PC del ricorrente aveva un fondamento legale e perseguiva fini legittimi. Anche il pedofilo ha diritto alla privacy. La verifica della corrispondenza degli scopi legittimi a «bisogni sociali imperiosi» spetta alla Corti interne e la presenza di adeguate, pertinenti e sufficienti garanzie contro gli abusi può essere ravvisata dall’analisi delle circostanze del caso nel suo complesso, sì da giustificare queste restrizioni natura, entità e durata di dette misure, i motivi per ordinarle, le autorità competenti ad autorizzarle e verificarle, i mezzi d’impugnazione contro le stesse. Pur essendoci una base legale e giusti motivi per adottare questi limiti, queste misure potrebbero non essere necessarie in una società democratica come nella fattispecie Bernh Larsen Holding As ed altri c. Norvegia del 14/3/13 e Klass ed altri c. Germania del 1978 . Infatti la CEDU rileva che non sono stati rispettati questi criteri la verifica della veridicità delle accuse, pur essendo avvenuta senza connessione ad internet e nella stazione di polizia, aveva comportato l’esame di tutte le cartelle del PC in assenza di chiare esigenze urgenti. Viste le circostanze del caso, invero, non vi era alcun rischio concreto che detti file fossero cancellati, anche accidentalmente e la richiesta di un’autorizzazione giudiziaria, generalmente concessa in tempi brevi 24 ore non avrebbe ostacolato in alcun modo le indagini. Sul punto si registra l’opinione dissenziente di un giudice della CEDU.
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