In tema di reati tributari, commessi dal legale rappresentante, non è possibile procedere al sequestro preventivo ai fini della confisca per equivalente in riferimento ai beni dell’ente, ad eccezione del caso in cui questo sia privo di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni. Risulta perciò necessario accertare se presso la persona giuridica vi sia il profitto del reato prima di procedere a confisca
E’ stato così deciso dalla Corte di Cassazione nella sentenza numero 45471, depositata il 4 novembre 2014. Il caso. Il Tribunale confermava il sequestro preventivo per equivalente di beni o somme nella disponibilità dell’indagato, legale rappresentante di una società. La pronuncia del Tribunale era intervenuta prima della pronuncia delle Sezioni Unite relativa alla possibilità o meno di aggredire i beni di una persona giuridica per le violazioni tributarie commesse dal legale rappresentante della stessa. In particolare, i Giudici di merito avevano ritenuto di applicare, al caso in esame, il principio, affermato in sede di legittimità fino all’intervento predetto, secondo cui il sequestro preventivo per equivalente non poteva avere ad oggetto i beni appartenenti alla persona giuridica, ritenendo superflua ogni indagine diretta a verificare se nel patrimonio della persona giuridica fosse ancora presente quanto costituiva il profitto del reato commesso. L’indagato proponeva, allora, ricorso per cassazione, deducendo l’erronea applicazione dell’articolo 322 ter c.p. confisca , non avendo l’impugnata ordinanza accertato il presupposto costituito dall’impossibilità di confisca in via diretta nel patrimonio della società dei beni o del denaro che costituivano il profitto del reato. Nessun sequestro preventivo sui beni dell’ente, salvo Il ricorso è fondato, alla luce della sentenza della Cassazione, S.U., numero 10561/2014, secondo cui «in tema di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente prevista dagli articolo 1, comma 143, della legge numero 244 del 2007 e 322 ter cod. penumero non può essere disposto sui beni dell’ente, ad eccezione del caso in cui questo sia privo di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni». La medesimo pronuncia ha specificato che l’articolo 322 ter c.p. distingue fra confisca diretta del profitto del reato e confisca per equivalente di beni di valore corrispondente allo stesso, sicché il denaro che si trova nel patrimonio della società deve, ai fini di tale distinzione, essere considerato profitto da confiscare, o in via preventiva da sequestrare, in via diretta, in conseguenza della sua fungibilità. Sì al sequestro preventivo se è impossibile quello diretto. Altrettanto pacifico in sede di legittimità è che il sequestro per equivalente ha come presupposto l’impossibilità del sequestro diretto è, quindi, necessario che dagli atti risulti l’impossibilità del reperimento dei beni costituenti il profitto, anche transitoriamente, al momento dell’esecuzione del sequestro, ovvero che gli stessi non siano aggredibili per altra ragione Cass., numero 30930/2009 . Nel caso in esame, l’ordinanza, come indicato dalla Cassazione, è del tutto in contrasto con i principi sopra richiamati, poiché afferma che è irrilevante accertare se presso la persona giuridica vi sia il profitto del reato prima di procedere a confisca per equivalente a carico del legale rappresentante. Sulla base di tali argomenti, la Suprema Corte annulla l’ordinanza e rinvia al Tribunale.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 16 luglio – 4 novembre 2014, numero 45471 Presidente Mannino – Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. - Con ordinanza dell'8 gennaio 2014, il Tribunale di Bologna ha confermato il decreto del Gip dello stesso Tribunale del 22 novembre 2013, con il quale era stato disposto il sequestro preventivo per equivalente di beni o somme comunque nella disponibilità dell'indagato, legale rappresentante di una società, fino alla concorrenza di Euro 728.901,00, in relazione all'articolo 10-ter del d.lgs. numero 74 del 2000, per la mancata corresponsione, entro il 27 dicembre 2012, di quanto dovuto in base alla dichiarazione annuale Iva 2011. Il Tribunale si è pronunciato prima della sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione del 30 gennaio 2014, relativa alla questione se sia possibile o meno aggredire i beni di una persona giuridica per le violazioni tributarie commesse dal legale rappresentante della stessa, ed ha ritenuto di applicare il principio - affermato dalla giurisprudenza fino a quel momento maggioritaria - secondo cui il sequestro preventivo per equivalente non può avere per oggetto i beni appartenenti alla persona giuridica. All'applicazione di tale principio ha fatto conseguire la superfluità di ogni indagine diretta a verificare se nel patrimonio della persona giuridica fosse ancora presente quanto costituiva il profitto del reato commesso ed ha respinto il relativo motivo di gravame. Ha altresì escluso, sulla base dei risultati delle indagini preliminari, la sussistenza di uno stato di crisi economica della società, rigettando le censure difensive formulate sul punto. 2. - Avverso l'ordinanza l'indagato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, deducendo, in primo luogo l'erronea applicazione dell'articolo 322 ter cod. penumero , per il mancato accertamento del presupposto costituito dall'impossibilità di confisca di in via diretta nel patrimonio della società dei beni o del denaro che costituiscono il profitto del reato. E il Tribunale non avrebbe preso posizione sulla doglianza difensiva secondo cui nel fascicolo del pubblico ministero non era presente alcun atto di indagine idoneo a documentare l'infruttuoso tentativo di eseguire il sequestro in forma specifica sui beni che si ponevano, nel patrimonio della società, in rapporto di pertinenzialità col reato. Con un secondo motivo di doglianza, si deducono vizi di motivazione quanto alla sussistenza del fumus commissi delicti, perché non si sarebbe presa in considerazione la crisi determinata da fattori assolutamente estranei alla sfera di controllo dell'imprenditore che avevano determinato il mancato pagamento del tributo entro i termini di legge. Considerato in diritto 3. - Il primo motivo di ricorso - con cui il ricorrente lamenta il pubblico ministero non avrebbe condotto alcuna indagine relativamente alla possibilità di eseguire il sequestro in forma diretta sui beni della società prima di procedere al sequestro per equivalente - è fondato. Con la sentenza Cass., sez. unumero , 30 gennaio 2014, numero 10561, rv. 258646, il contrasto di giurisprudenza richiamato dal Tribunale nell'ordinanza impugnata è stato risolto nel senso che, in tema di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente prevista dagli articolo 1, comma 143, della legge numero 244 del 2007 e 322 ter cod. penumero non può essere disposto sui beni dell'ente, ad eccezione del caso in cui questo sia privo di autonomia e rappresenti solo uno schermo attraverso il quale il reo agisca come effettivo titolare dei beni. Nella stessa sentenza si è, però, chiarita l'essenziale distinzione tratteggiata dall'articolo 322 ter cod. penumero fra confisca diretta del profitto del reato e confisca per equivalente di beni di valore corrispondente allo stesso, evidenziando che il denaro che si trova nel patrimonio della società deve, ai fini di tale distinzione, essere considerato profitto da confiscare - o preventivamente sequestrare - in via diretta, in conseguenza della sua fungibilità. Si è ulteriormente chiarito punto 2.7. del Considerato in diritto che il sequestro per equivalente ha quale presupposto l'impossibilità del sequestro diretto. È cioè necessario che dagli atti risulti che il reperimento dei beni costituenti il profitto è impossibile, anche transitoriamente, al momento dell'esecuzione del sequestro ovvero che gli stessi non sono aggredibili per qualsiasi ragione v. anche sez. 3, 5 maggio 2009, numero 30930 sez. 2, 10 dicembre 2008, numero 2823/2009 . L'ordinanza del Tribunale si pone in contrasto con tali principi - peraltro compiutamente elaborati dalla Corte di cassazione solo dopo la pronuncia dell'ordinanza qui impugnata - perché afferma che è irrilevante accertare se presso la persona giuridica vi sia il profitto del reato prima di procedere a confisca per equivalente a carico del legale rappresentante. Del tutto corretta e coerente risulta, invece - a fronte dei generici rilievi formulati con il secondo motivo di ricorso - la motivazione del provvedimento impugnato quanto all'insussistenza di una crisi economica dell'impresa tale da escludere il reato. Lo stesso Tribunale si riferisce, infatti, alle emergenze istruttorie, evidenziando sia che nello stesso periodo erano stati regolarmente effettuati altri pagamenti, sia che la situazione economica-finanziaria della società non era compromessa, perché era stata illustrata come moderatamente positiva nella relazione tenuta dal ragioniere consulente all'assemblea ordinaria del 24 novembre 2012. 4. - Ne consegue l'annullamento dell'ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di Bologna perché proceda a nuovo giudizio facendo applicazione dei principi sopra richiamati relativamente al preventivo accertamento dell'impossibilità di procedere al sequestro diretto quale necessario presupposto per procedere alla sequestro per equivalente. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Bologna.