Cliente in ritardo nei pagamenti, nessun alibi per l’imprenditore che non versa l’IVA

Respinta la tesi difensiva poggiata sulla crisi di liquidità dell’azienda. Il credito vantato, e non riscosso, nei confronti del cliente principale non rende comprensibile la scelta di non provvedere per tempo all’adempimento dell’onere fiscale.

Cliente in perenne ritardo nei pagamenti. Questo credito ancora non incassato però non è sufficiente per ridurre nei confronti dell’erario le responsabilità dell’imprenditore che non ha provveduto al regolare versamento dell’Iva. Definitiva la sua condanna a dieci mesi di reclusione Cassazione, sez. III Penale, sentenza n. 39503/17, depositata oggi . Crisi. Prima in Tribunale e poi in Appello l’amministratore dell’azienda è ritenuto colpevole del reato previsto all’articolo 10ter del decreto legislativo 74 del 2000, cioè omesso versamento dell’Iva , relativamente all’ anno d’imposta 2009 . Respinta la tesi difensiva poggiata sulla crisi di liquidità della società, poi dichiarata fallita e sul sistematico ritardo nei pagamenti da parte del cliente principale. E la visione tracciata in secondo grado viene ora condivisa e fatta propria dai giudici della Cassazione. Anche a loro parere, difatti, è impossibile ritenere in qualche modo giustificata la condotta tenuta dall’imprenditore. Il legale ribadisce, nel contesto del ‘Palazzaccio’, che il titolare dell’azienda ha dovuto far fronte al sistematico ritardo nei pagamenti da parte della società sua cliente principale – corrispondente al 70 per cento del fatturato – e ha ripetutamente diffidato quella società, non intraprendendo azioni giudiziarie per evitare la perdita di commesse . Per i magistrati, però, è decisivo proprio la circostanza che l’imprenditore non abbia adottato iniziative giudiziarie per il recupero del credito nei confronti della società che rappresentava per lui la principale fonte di fatturato. E ciò comporta che a lui sia in toto addebitabile la responsabilità per il mancato versamento dell’Iva. Definitiva, di conseguenza, la condanna decisa in Appello, con pena fissata in dieci mesi di reclusione .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 12 aprile – 29 agosto 2017, n. 39503 Presidente Savani – Relatore Macrì Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 23.2.2016, la Corte d'Appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Lecco in data 27.6.2014 che aveva condannato Be. Ni. alla pena di mesi 10 di reclusione con doppi benefici di legge per il reato di cui all'art. 10ter D.Lgs. 74/00, relativo all'omesso versamento dell'IVA per l'anno d'imposta 2009. 2. Con il primo motivo di ricorso, l'imputato deduce la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. 3 , c.p.p., perché i Giudici di merito non avevano valutato il sistematico ritardo nei pagamenti da parte di Trenitalia, la crisi di liquidità della società e la sua dichiarazione di fallimento. Precisa che aveva ripetutamente diffidato Trenitalia ma che non aveva intrapreso azioni giudiziarie per evitare la perdita di commesse, che non avrebbe potuto eseguire alcun finanziamento a favore della società, essendo egli l'amministratore e non un socio, che il comportamento di Trenitalia cliente che da solo assorbiva il 70% del fatturato era stato imprevedibile e quindi non ricorreva a suo carico l'elemento psicologico. Con il secondo motivo, lamenta la violazione dell'art. 606, comma 1, lett. e , c.p.p. in relazione all'omessa concessione delle circostanze attenuanti generiche, motivata dalla Corte territoriale per la contumacia, la presenza di due precedenti specifici ed il mancato ristoro del danno. Evidenzia che la scelta della contumacia non era stata sintomatica di un completo disinteresse, siccome si era difeso con una scelta ponderata ed attiva. Considerato in diritto 3. Sebbene la sentenza impugnata sia censurabile sia nella parte in cui afferma che il Be. da amministratore avrebbe dovuto far ricorso a risorse proprie per finanziarie la società ed evitare l'inadempimento nei confronti dell'Erario - il Giudice d'Appello non ha precisato che lo stesso fosse socio ed il Be. ha escluso tale qualità, sicché certamente non era esigibile la richiesta di provvista - sia nella parte in cui valuta a suo carico la scelta processuale di rimanere contumace, perché non sindacabile, il ricorso è infondato. Ed invero, il ricorrente non risulta abbia mai dimostrato che la crisi fosse stata imprevedibile, repentina e che egli, da amministratore, avesse fatto tutto quanto nelle sue disponibilità per evitare l'omissione del versamento dell'IVA. E' certo invece il contrario, che la crisi era in corso dal 2010 e che non aveva intrapreso iniziative giudiziarie per il recupero del credito nei confronti di Trenitalia. La circostanza quindi dell'inadempimento del creditore non scrimina la sua condotta rendendola inesigibile. Segue al rigetto la condanna alle spese processuali. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.