Gli strumenti urbanistici generali devono necessariamente adeguarsi alle norme generali contenute nel D.M. 1444/1968. La solita lite tra vicini nata per il mancato rispetto delle distanze costituisce l’occasione per chiarire la disciplina dei rapporti tra normativa statale e regolamentazione comunale.
La Cassazione, con la sentenza numero 4076 dello scorso 14 marzo, ribadisce alcuni principi il D.M. detta i requisiti minimi inderogabili, i piani regolatori devono necessariamente adeguarsi a tali requisiti minimi sono possibili solo deroghe più restrittive al progetto devono applicarsi le norme in vigore al momento della sua approvazione in quanto la disciplina urbanistica non può avere effetto retroattivo. Il caso nasce da una banale lite tra vicini. Un fabbricato viene realizzato a meno di dieci metri, in linea perpendicolare, da quello preesistente e ciò innesca le ire del vicino che contestato il mancato rispetto delle norme in materia di distanze previsto dal D.M. del 2 aprile 1968 numero 1444, chiede la demolizione dell’opera ed il ripristino dello status quo ante. Il proprietario-costruttore si difende a spada tratta le norme tecniche comunali non avrebbero recepito la normativa e le distanze minime imposte dal citato D.M. il Legislatore nazionale avrebbe introdotto l’obbligo di adeguare gli strumenti urbanistici al decreto interministeriale solo con il d.P.R. 380/2001 c.d. Testo Unico dell’edilizia il progetto sarebbe stato presentato ed approvato in epoca antecedente per cui la relativa concessione edilizia sarebbe del tutto valida ed efficace in quanto rispettosa dei principi imposti dal P.R.G. vigente. Legittimo il risarcimento dei danni determinati dalla sospensione dei lavori. Il Tribunale rigetta la domanda ripristinatoria e, accogliendo la domanda riconvenzionale, condanna la parte attrice al risarcimento del danno determinato dall’avvenuta sospensione dei lavori. Le norme in materia di distanze tra edifici sono inderogabili. La Corte di Appello muta indirizzo ed assume una interpretazione restrittiva della vicenda. La costruzione realizzata ad una distanza inferiore a quella prevista dal decreto interministeriale deve essere considerata abusiva per violazione delle distanze legali. Di conseguenza, il fronte del fabbricato deve necessariamente essere arretrato. Porte sbarrate al risarcimento del danno per equivalente. L’unica soluzione possibile sarebbe quella di demolire l’opera ripristinando le distanze minime. Tale interpretazione troverebbe il proprio fondamento nella inderogabilità delle norme nazionali dettate al fine di salvaguardare la vivibilità degli ambienti e la salute della cittadinanza. La strumentazione urbanistica comunale dovrebbe essere integrata automaticamente dalle norme nazionali per cui la disciplina urbanistica comunale sarebbe inapplicabile nella parte in cui sia in contrasto con le norme nazionali. Al progetto viene disciplinato dalle norme vigenti al momento della sua approvazione. La Cassazione cambia rotta e pone i paletti per la soluzione della controversia. L’edificio sarebbe stato realizzato in forza di una regolare concessione edilizia rilasciata nel 1993, sotto la vigenza di un Piano Regolatore Generale approvato nel 1965. Le norme in materia di distanze sono contenute nel D.M. 2 aprile 1968 numero 1444. L’obbligo di recepire tali norme nella strumentazione urbanistica sarebbe contenuto nel d.P.R. 6 giugno 2001, numero 380, pubblicato sulla G.U. del 20 ottobre 2001 ma entrato parzialmente in vigore solo a far data dal 1° gennaio 2002. I titoli abilitativi dei lavori rilasciati in epoca antecedente all’entrata in vigore del Testo Unico dell’edilizia sarebbero salvi in quanto al nuova disciplina in materia di distanze tra edifici, introdotta attraverso il d.P.R. 380/2001, non avrebbe efficacia retroattiva. Essenziale la distinzione tra Comuni provvisti e quelli sprovvisti di P.R.G Le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza del 7 luglio 2011, numero 14953 in tema di limitazioni legali alla proprietà e di distanze tra pareti finestrate, aveva chiarito che «In tema di distanze tra costruzioni, l'articolo 9, secondo comma, del d.m. 2 aprile 1968, numero 1444, essendo stato emanato su delega dell'articolo 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, numero 1150 c.d. legge urbanistica , aggiunto dall'articolo 17 della legge 6 agosto 1967, numero 765, ha efficacia di legge dello Stato, sicché le sue disposizioni in tema di limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica». Di conseguenza è necessario stabilire, in via preliminare, quale sia la posizione dello strumento urbanistico locale rispetto alle disposizioni introdotte col D.M. numero 1444/1968. In linea di principio, sarebbero possibili tre soluzioni alternative a nel caso in cui il P.R.G. contenga disposizioni meno rigorose, la normativa locale sarebbe disapplica b le norme locali, invece, troverebbero applicazione nel caso in cui risultassero più rigorose rispetto alle disposizioni nazionali, in quanto queste ultime devono essere intese come dei requisiti minimi indispensabili il che lascerebbe aperto la porta alle norme locali eventualmente più restrittive c nel caso il cui il Comune risultasse privo di P.R.G., la controversia andrebbe decisa applicando l’articolo 17, legge 6 agosto 1967, numero 765 «Modifiche ed interventi alla legge urbanistica 17 agosto 1942, numero 1150» c.d. legge Ponte . Alla luce di tali presupposti la causa è stata rimessa alla Corte di Appello, chiamata ad accertare l’esistenza delle norme Comunali, all’epoca della realizzazione della costruzione.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 30 gennaio – 14 marzo 2012, numero 4076 Presidente Triola – Relatore Nuzzo Svolgimento del processo Nel 1993 G.B. iniziava, in base a concessione edilizia del Comune di Pisa, la costruzione di un fabbricato a più piani, distante, per una limitata porzione, meno di 10 metri, in linea perpendicolare, dalla parete finestrata del fabbricato di L.E. , M F. e D F. . Queste ultime convenivano, quindi, in giudizio, innanzi al Tribunale di Pisa, il G. chiedendo il rispetto di detta distanza, prescritta dall'articolo 9 del D.M. Lavori Pubblici 2.4.1968, ma mai recepita nel piano regolatore comunale di Pisa. Con sentenza del 22.11.2005 il Tribunale rigettava la domanda attrice ed, in accoglimento della domanda riconvenzionale del convenuto, condannava le attrici al risarcimento del danno connessi alla sospensione dei lavori ottenuta nelle more del giudizio. Avverso tale decisione L.E. , M F. e D F. , proponevano appello cui resisteva il G. . la Corte di Appello di Firenze, con sentenza del 14.9.2009, in totale riforma della decisione impugnata, dichiarava illegittima, per violazione dell'articolo 9 co. 2 del D.M. 2.4.68 numero 1444, la costruzione realizzata dal G. nella parte in cui si trovava a distanza inferiore a 10 metri dal contrapposto edificio delle controparti e condannava l'appellato ad arretrare il fronte della propria costruzione, per il tratto sopra descritto, fino al rispetto della distanza di 10 metri dall'edificio delle appellanti. Osservava la Corte di merito che, secondo la giurisprudenza della corte di legittimità e del Consiglio di Stato, le disposizioni dell'articolo 9 cit. sono norme assolute ed inderogabili, dettate per esigenze collettive di igiene e sicurezza, tali da comportare la loro inserzione automatica negli strumenti urbanistici ,con la conseguenza che al Giudice non rimane che tenerne conto, come fonte diretta di diritti del cittadino, disapplicando le eventuali contrarie disposizioni della regolamentazione locale, siano esse antecedenti che successive . Tale decisione è impugnata dal G. con ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo cui resistono L.E. , F.M. e D. con controricorso, avanzando, altresì, ricorso incidentale condizionato, basato su un solo motivo, avverso il capo della sentenza che aveva negato il risarcimento del danno per equivalente in relazione alla permanenza dell'opera ad una distanza inferiore ai dieci metri. Con relazione ex articolo 380 bis c.p.c., il Consigliere designato ha concluso per il rigetto in camera di consiglio del ricorso principale, ai sensi dell'articolo 375 numero 5 c.p.c. e per la declaratoria di assorbimento del ricorso incidentale. Le parti hanno successivamente depositato memorie. A seguito di ordinanza interlocutoria,in data 30.9.2010, questa Corte disponeva l'acquisizione, tramite cancelleria, dello strumento urbanistico del Comune di Pisa vigente nell'anno 1993. Tutte le parti hanno presentato ulteriori memorie ex articolo 378 c.p.c Motivi della decisione Il ricorrente principale, con l'unico motivo, denuncia violazione o falsa applicazione dell'articolo 9, 2 co. del D.M. 2.4.1968 il G. aveva edificato il proprio immobile nel 1993, in forza di concessione edilizia rilasciata dal Comune di Pisa, secondo l'allora vigente piano regolatore del 1965 erroneamente, quindi, la sentenza impugnata aveva ritenuto immediatamente applicabile, nei rapporti tra privati, la disposizione dell'articolo 9 cit., posto che la stessa non era stata recepita nello strumento urbanistico locale ed avendo il Comune stesso rilasciato la concessione edilizia secondo l'allora vigente piano regolatore del 1965 l'obbligo degli enti locali di adeguarsi al cit. D.M. era intervenuto a seguito dell'emanazione del D.P.R. 380/2001 T.U. dell'Edilizia e dell'Urbanistica che riguardava la realizzazione di nuovi edifici nella specie si trattava, invece, di un edificio preesistente sicché detto D.M. non trovava applicazione, non avendo la nuova regolamentazione sulla distanza tra edifici efficacia retroattiva. Il ricorso è fondato. La Corte di merito ha fondato la decisione esclusivamente sul disposto dell'articolo 9 co. 2 del D.M. 2,4.68 numero 1444, in tema di distanze tra costruzioni, omettendo di accertare quale fosse la disposizione vigente al momento della costruzione del G. , con riferimento anche al Piano regolatore del Comune di Pisa ove ne fosse stato provvisto. Al riguardo va rilevato che questa Corte, con recente sentenza S.U., numero 14953 del 20011 , ferma restando la distinzione fra i Comuni provvisti e quelli sprovvisti di Piano Regolatore Generale,ha affermato che non è consentita l'adozione, da parte degli strumenti urbanistici comunali, di norme contrastanti con quelle del D.M. cit., nel senso che lo stesso, essendo stato emanato su delega dell'articolo 41 quinquies, inserito nella L. 17.8.1942, numero 1150, dalla L. 6.8.1967, articolo 17 che espressamente dispone l'applicabilità delle limitazioni per la edificazione a scopo residenziale ai Comuni sprovvisti di Piano Regolatore generale o di programma di fabbricazione , ha efficacia di legge, sicché le sue disposizioni, in tema di limiti inderogabili di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati, cui i Comuni sono tenuti a conformarsi, prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali successivi, alle quali si sostituiscono per inserzione automatica, con conseguente loro operatività tra privati . Orbene, detta prevalenza normativa del D.M. numero 1444/68 sulla norma regolamentare locale, stante l'inidoneità di quest'ultima ad apportare modifiche a norme di rango superiore, quale quella di cui all'articolo 9 co. 2 cit., implica, evidentemente, un contrasto normativo,da risolversi nel senso dell'applicazione della distanza minima stabilita dal D.M., in luogo di quella meno gravosa prevista del Piano Regolatore Generale che,invece,ove prescriva una distanza fra edifici maggiore di quello minima di metri 10, deve essere applicata, in conformità col principio, sopra riportato, affermato dalle S.U. Se, infatti, la finalità dell'articolo 9 del D.M. cit. è da ravvisarsi nell'intento di evitare la formazione tra edifici frontistanti di intercapedini nocive, con la prescrizione di una distanza minima inderogabile, non è impedito ai Comuni di adottare, nella formazione dei piani regolatori generali e dei regolamenti edilizi locali, in forza dell'autonomia loro riconosciuta dall'articolo 128 Cost. nonché in base all'articolo 33 L. numero 1150/42, regole che, con la medesima efficacia delle fonti primarie del diritto, siano più rigorose, sulla base di valutazioni discrezionali degli interessi pubblici da tutelare Cfr. Cass. numero 1132/98 numero 5878/2006 . Alla stregua delle considerazioni svolte il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Firenze che dovrà uniformarsi ai principi esposti, procedendo ad accertare se il Comune di Pisa all'epoca della realizzazione della costruzione per cui è causa 1 avesse uno strumento urbanistico con disposizioni meno rigorose di quelle previste dal D.M. 2.4.1968 numero 1444, provvedendo in tal caso a disapplicarle, alla stregua della giurisprudenza di questa S.C. 2 avesse uno strumento urbanistico con disposizioni più rigorose di quelle previste dal D.M. 2.4.1968 numero 1444, provvedendo in tal caso ad applicarle 3 non avesse uno strumento urbanistico, provvedendo in tal caso a decidere la controversia sulla base di quanto disposto dall'articolo 17 c.d. legge ponte. Va rimesso al giudice del rinvio il regolamento delle spese anche del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d'Appello di Firenze anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio di legittimità.