Piena dignità alle prestazioni domestiche della colf: si tratta di lavoro subordinato

Lo scambio di prestazioni di lavoro domestico, rese da una straniera estranea alla famiglia, contro vitto, alloggio e retribuzione pecuniaria sia pur modesta, dà luogo ad un rapporto di lavoro subordinato.

È quanto affermato dalla Corte di Cassazione, che - con la sentenza numero 25859 depositata lo scorso 21 dicembre - ha accolto il ricorso proposto da una domestica straniera, la quale chiedeva fosse accertata l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato relativamente alle faccende domestiche espletate presso una famiglia romana.La fattispecie. In appello la lavoratrice vedeva confermata la decisione di primo grado, secondo cui non era configurabile alcun rapporto di lavoro subordinato, essendo emerso che tra le parti fosse sorto semplicemente un rapporto in chiave umanitaria, dal momento che i coniugi le avevano offerto vitto e alloggio in cambio di un aiuto alla stregua di altri componenti del nucleo familiare.Tuttavia, la colf impugnava tale decisione in cassazione, ribadendo che per le sue prestazioni domestiche i coniugi pagavano una somma di denaro seppur modesta, così da escludere - a detta della ricorrente - la sussistenza di un rapporto alla pari.Il principio di diritto. Ed infatti, le sue ragioni vengono accolte dai giudici di Piazza Cavour lo scambio di prestazioni di lavoro domestico, rese da una straniera estranea alla famiglia, contro vitto, alloggio e retribuzione pecuniaria sia pur modesta, dà luogo ad un rapporto di lavoro subordinato, ove non risultino tutti gli elementi del rapporto c.d. alla pari, richiesti dalla legge numero 304/1973 .

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 23 novembre - 21 dicembre 2010, numero 25859Svolgimento del processoCon ricorso, ritualmente depositato, esponeva - di avere lavorato come domestica ammessa alla convivenza familiare e alle dipendenze dei coniugi e dal 28.03.1993 al 29.08.1998 -di avere ricevuto la retribuzione mensile di L. 400.000, aumentate a L. 700.000 dal 9.01.1997, oltre al vitto e all'alloggio - di avere atteso a tutte le faccende domestiche secondo le direttive e le disposizioni degli anzidetti coniugi - di non avere goduto per tutta la durata del rapporto di lavoro del riposo settimanale - di essere stata malmenata dalla figlia dei datori di lavoro e cacciata di casa il 29 agosto 1998, riportando tra l'altro varie contusioni con inabilità al lavoro per 20 giorni.Ciò premesso, conveniva in giudizio |' e la , per sentir accertare resistenza di un rapporto di lavoro subordinato, con condanna degli stessi al pagamento della complessiva somma di L. 78.967.710, oltre accessori, per varie voci retributive dettagliatamente esposte.I convenuti costituendosi contestavano l'esistenza dell'asserito rapporto di lavoro e chiedevano quindi il rigetto del ricorso.All'esito dell'istruzione il Tribunale di Roma con sentenza del 25.01.2002 rigettava le domande della ricorrente.Tale decisione, appellata dalla , è stata confermata dalla Corte di Appello di Roma con sentenza numero 210 del 2006, che, sulla base dei testi escussi e delle ammissioni contenute nella domanda di concessione del permesso di soggiorno, ha ribadito l'inesistenza di un rapporto di lavoro subordinato, essendo emerso che tra le parti era sorto un rapporto esclusivamente in chiave umanitaria , per avere offerto gli anzidetti coniugi all'appellante vitto ed alloggio in cambio di un aiuto allo stregua degli altri componenti il nucleo familiare.Contro la sentenza di appello la propone ricorso per cassazione articolato su quattro motivi, illustrati con memoria ex articolo 378 CPC. e la resistono con controricorso.Motivi della decisione1. Con il primo motivo la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell'articolo 360 numero 3 numero 5 CPC .La osserva che la decisione del giudice di appello non è corretta, in quanto, a fronte del dato di fatto dell'avvenuto svolgimento di prestazioni di lavoro da parte della lavoratrice di aiuto in casa a titolo oneroso, sarebbe stato onere dagli appellati fornire la prova che lo scambio tra collaborazione domestica il vitto, l'alloggio e il compenso erogato trovava il proprio titolo in ragion di ospitalità in chiave umanitaria .Con il secondo motivo la ricorrente, nel denunciare violazione della articolo 360 numero 3 CPC , sostiene che le prestazioni rese da uno straniero a favore di una famiglia ospitante, consistenti in una partecipazione ai normali lavori casalinghi, si presumono di lavoro domestico, a meno che non sia fornita la prova della ricorrenza dei presupposti di lavoro c. d alla pari.Con il terzo motivo la ricorrente, nel dedurre vizio di motivazione circa un punto decisivo della controversia, contesta la decisione di appello per avere escluso il carattere oneroso del rapporto in relazione alla ritenuta modestia del contributo economico offerto pari a L. 700.000 negli ultimi tempi 360 numero 5 C.P.C. Posti motivi, che per la loro intima connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati.Il giudice di appello, come già detto, ha ritenuto che il rapporto in questione fosse sorto esclusivamente per ragioni umanitarie, ma nel procedere a tale valutazione non ha dato il dovuto rilievo alla causa del negozio intercorso tra le parti in relazione allo scambio tra le prestazioni tipiche del lavoro domestico e compenso, oltre vitto ed alloggio.Le valutazioni espresse da tale giudice sono peraltro motivate con riferimento alle risultanze testimoniali contraddittorie ed imprecise circa le modalità dello svolgimento dell'attività da parte della presso l'abitazione degli appellati, con conseguente esclusione di un rapporto di lavoro subordinato.Le riferite argomentazioni non sono ispirale a criteri giuridici, giacché nel caso di specie non é in contestazione il fatto dell'espletamento di prestazioni oggettivamente configurabili come tipiche del lavoro domestico, sicché la sussistenza del rivendicato rapporto di lavoro subordinato avrebbe potuto essere esclusa, qualora fossero emersi i presupposti per la configurabilità di un rapporto c. d. alla pari, quali risultano delineati dalla richiamata legge numero 304 del 1973, che non è dato cogliere nella decisione impugnata.La sentenza impugnata contrasta con il principio di diritto secondo cui lo scambio di prestazioni di lavoro domestico, rese da una straniera estranea alla famiglia, contro vitto, alloggio e retribuzione pecuniaria sia pur modesta dà luogo a rapporto di lavoro subordinato, ove non risultino tutti gli elementi del rapporto cosiddetto alla pari, richiesti dalla legge 18 maggio 1973 numero 304.La sentenza deve perciò essere cassata per errore di diritto e, non occorrendo nuovi accertamenti di fatto sul punto nella motivazione si legge che il contributo economico offerto solo negli ultimi tempi era salito a lire 700.000 mensili , dove ai sensi dell'articolo 384, primo comma, cod. proc. civ. decidersi nel merito affermando la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato.La causa deve per contro essere rinviata ad altro giudice di merito, che si designa nella Corte di Appello di Roma in diversa composizione, in ordine al calcolo delle retribuzioni pretese dall'attuale ricorrente.2 Con il quarto motivo la ricorrente, nel lamentare violazione degli articolo 437 CPC, sostiene che il giudice di appello, pur sollecitato ad esercitare i poteri ufficiosi con riguardo alle prove richieste, erroneamente non ha disposto l'integrazione istruttoria e ha rigettato la domanda per non essere stata raggiunta la prova.Le doglianze contenute in tale motivo, riguardanti sostanzialmente la valutazione delle prove, possono ritenersi assorbite in conseguenza e per l'effetto dell'accoglimento dei primi tre motivi.Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.P.Q.M.Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla corte di Appello di Roma in diversa composizione.