Incompatibilità ambientale in polizia: sì alla discrezionalità, no all'arbitrio

L’esistenza di liti o scaramucce tra il personale dell’ufficio, per quanto frequenti o incresciose, non può essere posta a fondamento dell’indiscriminato trasferimento di tutto il personale interessato, senza la rigorosa valutazione delle condotte dei singoli che, pur non dovendo denotare una illiceità disciplinare, devono tuttavia pur sempre assumere, sul piano obiettivo, una rilevanza causale di gravità tale da offuscare la figura del dipendente e, per questa via, il prestigio dell’amministrazione nella sede di servizio, sì da rendere opportuno l’allontanamento del dipendente da questa.

Il caso. Con la sentenza 3740 depositata l'11 luglio, la Sezione ha richiamato la giurisprudenza del Consiglio Sez. VI, n. 1675/2009 , ai fini dell’adozione di un provvedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale di un agente di pubblica sicurezza, ai sensi dell’art. 55, comma 4, d.p.r. n. 335/1982, è sufficiente che dal provvedimento emergano adeguati elementi che, oltre ad incidere negativamente sullo stesso disimpegno efficiente dei compiti di istituto, siano tali da offuscare la figura dell’agente al punto da nuocere, mercé la sua persona, al prestigio dell’amministrazione. A tale proposito, il Collegio ha ricordato anche che detto trasferimento senza assumere carattere sanzionatorio, consegue d’altronde a una valutazione ampiamente discrezionale dei fatti che possono sconsigliare la permanenza dell’agente di pubblica sicurezza in una determinata sede. Poliziotto trasferito? Il trasferimento per incompatibilità di un agente di P.S. ha sottolineato non postula necessariamente un diretto rapporto di imputabilità di specifici fatti e comportamenti addebitabili al medesimo, essendo sufficiente a tal fine l’oggettiva sussistenza di una situazione lesiva del prestigio dell’Amministrazione che sia, da un lato, riferibile alla presenza in loco del dipendente in questione e, dall’altro, suscettibile di rimozione attraverso l’assegnazione del medesimo ad altra sede principio questo che assume particolare consistenza quando venga riferito, come nella specie, al trasferimento di un dipendente della Polizia di Stato, ipotesi questa in cui si configurano in capo all’Amministrazione più ampi e penetranti poteri discrezionali in funzione di tutela di particolari e preminenti interessi pubblici volti ad assicurare la convivenza civile Cons. St., sez. VI, n. 388/2010 . L’adozione dell’atto di trasferimento, infatti, non presuppone né una valutazione comparativa dell’amministrazione in ordine alle esigenze organizzative dei propri uffici, potendo essere disposto anche in soprannumero, né l’espressa menzione dei criteri in base ai quali vengono determinati i limiti geografici dell’incompatibilità ai fini dell’individuazione della sede più opportuna, né può essere condizionato alle condizioni personali e familiari del dipendente, le quali recedono di fronte all’interesse pubblico alla tutela del buon funzionamento degli uffici e del prestigio dell’amministrazione Cons. St., sez. VI, n. 1504/2006 Cons. St., sez. VI, n. 1913/2010 . Discrezionalità sì, ma assistita da un preventivo e rigoroso accertamento dei fatti. Ma l’ampia discrezionalità di cui gode l’amministrazione in questa materia deve essere assistita da un preventivo e rigoroso accertamento dei fatti, nocivi al prestigio della stessa, che siano riconducibili, sul piano eziologico, alla presenza del dipendente in loco, poiché diversamente si configurerebbe come l’esercizio di un insindacabile arbitrio. Per valutare la legittimità del provvedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale, previsto dall’art. 55, comma 4, d.p.r. n. 335/1982, è dunque richiesto che lo stesso sia stato adottato in base ad elementi logici e chiari che, senza essere tali da comportare un provvedimento disciplinare, siano però adeguati a rendere la figura del pubblico dipendente, ed in particolare di un agente della polizia di Stato, offuscata da ombre idonee a nuocere attraverso la sua persona al prestigio dell’amministrazione e alla funzionalità dell’esercizio stesso delle funzioni di istituto v., ex plurimis , Cons. St., sez. IV, n. 155/1990 . E sono proprio i necessari elementi logici e chiari, diversamente da quanto ha sostenuto il Ministero appellante, a difettare nel caso posto all'attenzione della Sezione. La sentenza di primo grado, infatti, aveva rilevato che il provvedimento si fondava sul pedissequo recepimento delle dichiarazioni rese dal Capo dell’Ufficio, ritenendo apoditticamente irrilevanti, senza idoneo supporto motivazionale, gli elementi di valutazione offerti dal ricorrente a seguito della partecipazione di avvio del procedimento e senza giustificare, per tal via, l’acritico rifiuto di effettuare le opportune verifiche sulla realtà, consistenza e direzione dei conflitti denunziati . Detto provvedimento si basava essenzialmente sul pedissequo recepimento delle relazioni del Dirigente della VI Zona di Frontiera di Napoli, le quali evidenziavano la conflittualità esistente, da un lato, tra due ispettori e, dall’altro, con il sostituto commissario, senza tuttavia aver approfondito le ragioni di tale conflittualità né aver vagliato, mediante adeguata istruttoria, le controdeduzioni dell’interessato, che aveva chiesto di sentire il personale in servizio presso l’ufficio al fine di accertare la riconducibilità di tale conflitto all’atteggiamento tenuto dal sostituto commissario. In sostanza, la radicalità del provvedimento, assunto senza previamente acclarare le ragioni di tale conflitto, ne palesava la sostanziale afflittività nei confronti di un dipendente in relazione al quale non erano emerse, né comunque state debitamente accertate e/o evidenziate dall’amministrazione, quelle ombre capaci di offuscarne la figura al punto da nuocere, mercé la sua persona, al prestigio dell’amministrazione.

Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 23 aprile 11 luglio 2013, n. 3740 Presidente Lignani Estensore Noccelli Fatto e diritto 1. Con ricorso notificato il 27.1.2010 Alberto Baldi, Ispettore Capo di P.S., impugnava il provvedimento con il quale era stato disposto in suo danno il trasferimento d’ufficio, ai sensi dell’art. 55, comma 4, del d.P.R. 24 aprile 1982, n. 335, dall’Ufficio Polizia di Frontiera presso lo Scalo Marittimo di Salerno alla Questura di Napoli in considerazione della sua perdurante conflittualità con altri colleghi dell’ufficio di appartenenza e della consequenziale compromissione dell’andamento e dell’operatività dell’ufficio stesso. L’interessato, denunciando la violazione e la falsa applicazione dell’art. 55 del d.P.R. 335/82, l’eccesso di potere per travisamento dei fatti, carenza dei presupposti, illogicità manifesta, nonché la violazione degli artt. 3, 7 e 20 della l. 241/90, chiedeva l’annullamento dell’impugnato trasferimento. Si costituiva il Ministero dell’Interno, resistendo al ricorso. Con sentenza n. 732 del 21.4.2011 il T.A.R. Campania, Salerno, accoglieva il ricorso, annullando il provvedimento impugnato. Avverso tale sentenza ha proposto appello il Ministero dell’Interno, lamentandone l’erroneità, e ne ha chiesto la riforma, previa sospensione. Si è costituito l’appellato, instando per la reiezione del ricorso. La Sezione, con ordinanza n. 3070 del 15.7.2011, respingeva l’istanza incidentale di sospensione. All’udienza pubblica del 23.4.2013 il Collegio, udita la discussione, ha assunto la causa in causa in decisione. 2. L’appello deve essere rigettato. 2.1. Il Ministero appellante lamenta l’erroneità della sentenza impugnata, sostenendo che non appaia revocabile in dubbio la comprovata esistenza di oggettiva situazione di grave disagio all’interno dell’Ufficio di Polizia di Frontiera di Salerno, determinata dalla accesa conflittualità esistente tra alcuni dipendenti assegnati all’ufficio, tra i quali figura l’odierno appellato. Nemmeno sarebbe contestabile, ad avviso dell’appellante, che tale situazione di conflitto avrebbe determinato un nocumento al funzionamento all’immagine e al funzionamento dell’amministrazione, che avrebbe così visto pregiudicato il buon andamento della sua azione. Tali circostanze, sostiene ancora il Ministero, sarebbero di per sé sufficienti ad adottare il provvedimento di trasferimento, senza che sia necessario indagare se e in quale misura il dipendente destinatario del provvedimento abbia causato tale situazione di incompatibilità. Apparirebbe evidente, per questa via, l’errore commesso dal T.A.R., che avrebbe annullato il provvedimento di trasferimento in considerazione del fatto che non erano state esperite le ulteriori indagini richieste dal Baldi al fine di determinare la responsabilità dei fatti occorsi, quando l’attribuzione di tale responsabilità, come affermerebbe la costante giurisprudenza di questo Consiglio, sarebbe irrilevante ai fini del trasferimento per incompatibilità ambientale, non venendo in rilievo alcun rilievo sanzionatorio. Il trasferimento sarebbe, invece, legittimato dalla mera esistenza della situazione di incompatibilità ambientale del Baldi rispetto all’ufficio, incompatibilità che risulterebbe già esaustivamente accertata sulla base degli atti acquisiti al procedimento. La sentenza impugnata, ne conclude l’appellante, avrebbe errato sia per non aver ritenuto sufficienti, ai fini della legittima adozione del provvedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale, i fatti emersi nel corso del procedimento, sia per avere ritenuto invalido il provvedimento impugnato in quanto adottato senza l’espletamento delle ulteriori indagini di fatto suggerite dal Baldi nella sua memoria endoprocedimentale. 2.2. L’assunto dell’appellante non merita condivisione. Al riguardo si deve anzitutto rilevare che, per consolidata giurisprudenza di questa Consiglio Sez. VI, 19.3.2009, n. 1675 , ai fini dell’adozione di un provvedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale di un agente di pubblica sicurezza, ai sensi dell’art. 55, comma 4, del d.P.R. 24 aprile 1982 n. 335, è sufficiente che dal provvedimento emergano adeguati elementi che, oltre ad incidere negativamente sullo stesso disimpegno efficiente dei compiti di istituto, siano tali da offuscare la figura dell’agente al punto da nuocere, mercé la sua persona, al prestigio dell’amministrazione. È vero che il trasferimento ai sensi dell’art. 55, comma 4, d.P.R. 24 aprile 1982, n. 335, senza assumere carattere sanzionatorio, consegue d’altronde a una valutazione ampiamente discrezionale dei fatti che possono sconsigliare la permanenza dell’agente di pubblica sicurezza in una determinata sede. Il trasferimento per incompatibilità di un agente di P.S. è stato già sottolineato da questo Consiglio non postula necessariamente un diretto rapporto di imputabilità di specifici fatti e comportamenti addebitabili al medesimo, essendo sufficiente a tal fine l’oggettiva sussistenza di una situazione lesiva del prestigio dell’Amministrazione che sia, da un lato, riferibile alla presenza in loco del dipendente in questione e, dall’altro, suscettibile di rimozione attraverso l’assegnazione del medesimo ad altra sede principio questo che assume particolare consistenza quando venga riferito, come nella specie, al trasferimento di un dipendente della Polizia di Stato, ipotesi questa in cui si configurano in capo all’Amministrazione più ampi e penetranti poteri discrezionali in funzione di tutela di particolari e preminenti interessi pubblici volti ad assicurare la convivenza civile Cons. St., sez. VI, 29.1.2010, n. 388 . L’adozione dell’atto di trasferimento, infatti, non presuppone né una valutazione comparativa dell’amministrazione in ordine alle esigenze organizzative dei propri uffici, potendo essere disposto anche in soprannumero, né l’espressa menzione dei criteri in base ai quali vengono determinati i limiti geografici dell’incompatibilità ai fini dell’individuazione della sede più opportuna, né può essere condizionato alle condizioni personali e familiari del dipendente, le quali recedono di fronte all’interesse pubblico alla tutela del buon funzionamento degli uffici e del prestigio dell’amministrazione v., tra le tante, Cons. St., sez. VI, 21.3.2006, n. 1504 Cons. St., sez. VI, 6.4.2010, n. 1913 . L’ampia discrezionalità di cui gode l’amministrazione in questa materia deve essere assistita da un preventivo e rigoroso accertamento dei fatti, nocivi al prestigio della stessa, che siano riconducibili, sul piano eziologico, alla presenza del dipendente in loco, poiché diversamente si configurerebbe come l’esercizio di un insindacabile arbitrio. Per valutare la legittimità del provvedimento di trasferimento per incompatibilità ambientale, previsto dall’art. 55, comma 4, d.P.R. 24 aprile 1982 n. 335, è dunque richiesto che lo stesso sia stato adottato in base ad elementi logici e chiari che, senza essere tali da comportare un provvedimento disciplinare, siano però adeguati a rendere la figura del pubblico dipendente, ed in particolare di un agente della polizia di Stato, offuscata da ombre idonee a nuocere attraverso la sua persona al prestigio dell’amministrazione e alla funzionalità dell’esercizio stesso delle funzioni di istituto v., ex plurimis , Cons. St., sez. IV, 6.3.1990, n. 155 . 2.3. Orbene è proprio la sussistenza di questi necessari elementi logici e chiari, diversamente da quanto sostiene il Ministero appellante, a difettare nel caso di specie. Ben coglie il senso e la portata di tale mancanza l’impugnata sentenza allorché rileva che il provvedimento impugnato in prime cure si fonda sul pedissequo recepimento delle dichiarazioni rese dal Capo dell’Ufficio, ritenendo apoditticamente irrilevanti, senza idoneo supporto motivazionale, gli elementi di valutazione offerti da ricorrente a seguito della partecipazione di avvio del procedimento e senza giustificare, per tal via, l’acritico rifiuto di effettuare le opportuno verifiche sulla realtà, consistenza e direzione dei conflitti denunziati . Detto provvedimento si basa essenzialmente, infatti, sul pedissequo recepimento delle relazioni del Dirigente della VI Zona di Frontiera di Napoli, le quali evidenziano la conflittualità esistente, da un lato, tra gli ispettori Francesco Rispoli e Alberto Baldi e, dall’altro, con il sostituto commissario Vicinanza, senza tuttavia aver approfondito le ragioni di tale conflittualità né aver vagliato, mediante adeguata istruttoria, le controdeduzioni dell’odierno appellato, che aveva chiesto di sentire il personale in servizio presso l’ufficio al fine di accertare la riconducibilità di tale conflitto all’atteggiamento tenuto dal sostituto commissario Vicinanza. 2.4. La radicalità del provvedimento, assunto senza previamente acclarare le ragioni di tale conflitto, ne palesa la sostanziale afflittività nei confronti di un dipendente in relazione al quale non sono emerse, né comunque sono state debitamente accertate e/o evidenziate dall’amministrazione, quelle ombre capaci di offuscarne la figura al punto da nuocere, mercé la sua persona, al prestigio dell’amministrazione. L’esistenza di liti o scaramucce tra il personale dell’ufficio, per quanto frequenti o incresciose, non può essere posta a fondamento dell’indiscriminato trasferimento di tutto il personale interessato, senza la rigorosa valutazione delle condotte dei singoli che, pur non dovendo denotare una illiceità disciplinare, devono tuttavia pur sempre assumere, sul piano obiettivo, una rilevanza causale di gravità tale da offuscare la figura del dipendente e, per questa via, il prestigio dell’amministrazione nella sede di servizio, sì da rendere opportuno l’allontanamento del dipendente da questa. In assenza di una idonea motivazione circa la sussistenza di una accertata situazione di incompatibilità ambientale, nei sensi sopra delineati, il provvedimento impugnato in prime cure si appalesa dunque illegittimo, sicché corretta e immune da censura è la statuizione annullatoria adottata dal T.A.R. 2.4. L’appello, in conclusione, va respinto. 3. Attesa la complessità della vicenda, che concerne delicati aspetti interni all’Ufficio Polizia di Frontiera presso lo Scalo Marittimo di Salerno, sussistono gravi ragioni per compensare interamente le spese del presente grado di giudizio tra le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza , definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge. Compensa interamente tra le parti le spese del presente grado di giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.