Doppietta tributaria della Consulta bocciato il meccanismo di tassazione dei compensi ai giudici tributari e la destinazione del maggior gettito dell’imposta di bollo agli interventi strutturali di politica economica.
Il regime di tassazione IRPEF dei compensi “arretrati” corrisposti ai membri delle Commissioni Tributarie è irragionevole e lesivo dei principi di capacità contributiva e progressività. Con la sentenza numero 142 del 2014, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 39, comma 5, d.l. 6 luglio 2011, numero 98 recante “Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria” , convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, l. numero 111/2011, in forza del quale «i compensi corrisposti ai membri delle commissioni tributarie entro il periodo di imposta successivo a quello di riferimento si intendono concorrere alla formazione del reddito imponibile ai sensi dell’articolo 11 del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica numero 917/1986». Tassazione temporalmente scollegata dalla manifestazione di capacità contributiva? Secondo il Giudice a quo, tra i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente ex articolo 50 Tuir solo per gli emolumenti arretrati riferibili all’anno precedente corrisposti ai giudici tributari è stata introdotta la tassazione ordinaria fino al compimento dell’intero periodo d’imposta successivo a quello di competenza, con conseguente applicazione della aliquota massima inerente ai redditi dell’anno di percezione. Ciò determinerebbe nei confronti di una limitata categoria di soggetti passivi una discriminazione immotivata e una tassazione temporalmente scollegata dalla manifestazione di capacità contributiva. La Consulta ritiene che la questione di legittimità costituzionale sia fondata con riferimento agli articolo 3 e 53 Cost. in ragione del diverso e più sfavorevole trattamento previsto per gli emolumenti spettanti ai membri delle commissioni tributarie. In via preliminare, la Corte Costituzionale ricostruisce i principi che caratterizzano la disciplina tributaria dei redditi di lavoro dipendente ed assimilati. Tali proventi sono soggetti ad imposizione secondo il principio di cassa in base all’articolo 7 Tuir, ad ogni anno solare corrisponde un’obbligazione tributaria autonoma. Sul criterio richiamato è stato innestato il principio della cosiddetta “cassa allargata”, in base al quale, a fini impositivi, i compensi di lavoro dipendente ed assimilati erogati entro il 12 gennaio dell’esercizio successivo sono parificati a quelli erogati in quello precedente. Parallelamente l’ordinamento tributario prevede che i redditi percepiti in un determinato periodo d’imposta, ma maturati in tempi precedenti, siano sottoposti a tassazione separata ex articolo 17, comma 1, Tuir, al fine di «attenuare gli effetti negativi che deriverebbero dalla rigida applicazione del criterio di cassa in quei casi in cui la tassazione ordinaria di un reddito formatosi nel corso di più anni, ma corrisposto in unica soluzione, potrebbe risultare eccessivamente oneroso per il contribuente» circ. Ministero delle Finanza del 5 febbraio 1997, numero 23/E . Formulate queste precisazioni di carattere generale, la Consulta riepiloga i tratti fondamentali della disciplina applicabile ai compensi erogati ai giudici tributari. I componenti delle Commissioni Tributarie percepiscono un compenso mensile, determinato in cifra fissa, ed uno aggiuntivo variabile, che discende dal numero e dalla tipologia dei provvedimenti depositati articolo 13, d.lgs. numero 545/1992 d.m. 19 dicembre 1997 circ. Ministero delle Finanze dell’11 marzo 1998, numero 80/E . La liquidazione dei compensi deve avvenire di regola mensilmente circ. del Ministero delle Finanze dell’11 marzo 1998, numero 80/E . Tali proventi costituiscono redditi assimilati a quelli da lavoro dipendente ex articolo 50, comma 1, lett. f , Tuir ne consegue che «trovano applicazione le disposizioni inerenti a tale categoria generale, ivi comprese quelle che determinano i principi della tassazione per cassa e per “cassa allargata”, nonché il criterio della tassazione separata per gli emolumenti arretrati». Il vigente articolo 17, comma 1, lett. b , Tuir sottopone a tassazione separata gli «emolumenti arretrati per prestazioni di lavoro dipendente riferibili ad anni precedenti, percepiti per effetto di leggi, di contratti collettivi, di sentenze o di atti amministrativi sopravvenuti o per altre cause non dipendenti dalla volontà delle parti, compresi i compensi e le indennità di cui al comma 1 dell’articolo 50 []». Secondo la circolare del Ministero delle Finanze del 5 febbraio 1997, numero 23/E, la tassazione separata non trova applicazione quando il ritardo del pagamento costituisca una “conseguenza fisiologica” insita nelle modalità di erogazione degli emolumenti, tali cioè da richiedere tempi tecnici per essere condotti a termine in tale novero di fattispecie, rientra l’erogazione dei compensi attribuiti ai componenti delle Commissioni Tributarie, richiedendo essa un certo lasso temporale per essere liquidati rapportandosi al numero ed alla tipologia dei provvedimenti emessi. Secondo la Consulta, la disciplina sottoposta al vaglio di costituzionalità si è inserita in questo plesso legislativo, allargando ad un anno l’intervallo temporale tra il titolo giuridico della competenza e la sua effettiva qualificazione ai fini fiscali per la sola categoria dei giudici tributari. In tal modo l’articolo 39, comma 5, d.l. numero 98/2011 «non ha sottratto i compensi dei giudici tributari al regime della tassazione separata, cosicché essi restano pienamente compresi ed espressamente menzionati tra quelli che hanno diritto a beneficiarne, ma, a differenza di tutti gli altri percettori, [] ha provveduto a fissare un periodo di ritardo oltre il quale la tassazione separata continuerebbe a trovare comunque applicazione». Nell’ambito del regime della tassazione separata, è stata generata una discriminazione immotivata sent. numero 431/1997 come plasticamente rilevato dalla Corte Costituzionale, «a fronte di un’omogenea situazione che accomuna tutti i percettori di competenze arretrate, solo per i giudici tributari – e senza che una giustificazione sia enunciata espressamente dalla legge o sia ricavabile in via interpretativa – [è] stato normativamente ridotto il periodo di rilievo per l’applicazione del regime fiscale della categoria di riferimento, con conseguente aumento, per tale lasso temporale, dell’imposizione tributaria». Meccanismo di progressività dell’Irpef La disciplina censurata genera anche effetti distorsivi del meccanismo di progressività dell’Irpef, vanificando «l’effetto mitigatore e correttivo del regime della tassazione per cassa in una fattispecie che il legislatore stesso [] aveva ritenuto meritevole di essere sottratta ad un’eccessiva imposizione tributaria su redditi che si sono formati – per cause non imputabili al contribuente – in anni diversi da quelli di effettiva percezione» sent. numero 287/1996 . A ciò si aggiunga che Il Collegio ritiene altresì che l’unica ratio della disciplina sottoposta al suo esame sia quella di incrementare il gettito erariale, come confermato anche dalla relazione del Servizio Studi della Camera dei Deputati. La Consulta non soltanto ritiene fondate le censure di irragionevolezza e contraddittorietà, ma ravvisa anche la violazione del principio di capacità contributiva ex articolo 53, comma 1, Cost. l’effetto pregiudizievole della norma nei confronti di una sola categoria di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente «non trova alcuna giustificazione obiettiva nella situazione dei loro percettori, in assenza di qualsiasi indice peculiare della fattispecie in termini di manifestazione di ricchezza» cfr. sentenze nnumero 111 del 1997, 341 del 2000 e 116 del 2013 . Se aumenta l’imposta di bollo, le maggiori entrate siciliane spettano alla Regione Sicilia. Con la sentenza numero 145 del 2014, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 7 bis, commi 3 e 5, d.l. numero 43/2013 recante “Disposizioni urgenti per il rilancio dell’area industriale di Piombino, di contrasto ad emergenze ambientali, in favore delle zone terremotate del maggio 2012 e per accelerare la ricostruzione in Abruzzo e la realizzazione degli interventi per Expo 2015” , convertito, con modificazioni, dalla l. numero 71/2013, nella parte in cui riserva allo Stato il maggior gettito tributario derivante da tali commi riscosso nell’anno 2013 nell’ambito del territorio della Regione siciliana La disciplina impugnata statuisce che l’imposta fissa di bollo sia incrementata rispettivamente da euro 1,81 a euro 2,00 e da euro 14,62 a euro 16,00 comma 3 e le maggiori entrate derivanti da tale aumento siano destinate alla copertura di altre misure di finanza pubblica comma 5 , vale a dire la concessione di contributi ai privati per la ricostruzione post-terremoto in Abruzzo e di interventi strutturali di politica economica. Alla Corte Costituzionale viene chiesto di verificare la compatibilità di tali previsioni con lo Statuto della Regione Sicilia, in base al quale, per l’eccezionale riserva allo Stato del gettito delle entrate erariali, si richiede che sussistano tre condizioni, vale a dire a la natura tributaria dell’entrata b la novità di tale entrata c la destinazione del gettito «con apposite leggi alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato specificate nelle leggi medesime». La natura tributaria dell’imposta di bollo non è posta in discussione dalle parti. Secondo la Consulta, sussiste altresì il requisito della novità dell’entrata determinata dall’aumento di due misure dell’imposta di bollo, essendo così determinato un incremento di gettito che senza le disposizioni impugnate non si sarebbe verificato. Per verificare la sussistenza della terza condizione la destinazione del gettito a particolari finalità contingenti o continuative dello Stato , la Corte Costituzionale scandisce lo scrutinio della censura con riferimento a tre distinti periodi di tempo, vale a dire l’esercizio 2013, nel quale il nuovo gettito viene destinato all’incremento di un fondo per interventi strutturali di politica economica, gli esercizi 2014-2019, nel quale le maggiori entrate sono destinate al finanziamento di interventi per l’edilizia privata nei territori della Regione Abruzzo colpiti dagli eventi sismici del 2009, gli esercizi successivi, in rapporto ai quali non è prevista alcuna destinazione. Il Giudice delle leggi ritiene che la questione di legittimità costituzionale sollevata sia fondata con riguardo al primo segmento temporale, in corrispondenza del quale il maggiore gettito è destinato all’incremento di un fondo istituito per interventi strutturali di politica economica la finalità di tale fondo «agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, anche mediante interventi volti alla riduzione della pressione fiscale» non è considerata specifica. Tale è invece lo scopo che caratterizza il secondo segmento temporale. Quanto al terzo, la Consulta ritiene che, non rinvenendosi nelle disposizioni impugnate elementi che inducano ad avvalorare tale interpretazione, si deve concludere che per quell’epoca non operi più il regime derogatorio alla regola generale [], regola che si riespande automaticamente, senza necessità di un’esplicita previsione, in applicazione dell’articolo 14 delle disposizioni sulla legge in generale premesse al codice civile, secondo cui «Le leggi [] che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre [] i tempi in esse considerati».
Corte Costituzionale, sentenza 19 - 28 maggio 2014, numero 145 Presidente Silvestri – Redattore Carosi Sentenza Nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 7-bis, commi 3 e 5, del decreto-legge 26 aprile 2013, numero 43 Disposizioni urgenti per il rilancio dell’area industriale di Piombino, di contrasto ad emergenze ambientali, in favore delle zone terremotate del maggio 2012 e per accelerare la ricostruzione in Abruzzo e la realizzazione degli interventi per Expo 2015 , convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2013, numero 71, promosso dalla Regione siciliana con ricorso notificato il 23 agosto 2013, depositato in cancelleria il 28 agosto 2013 ed iscritto al numero 84 del registro ricorsi 2013. Visto l’atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri udito nell’udienza pubblica del 15 aprile 2014 il Giudice relatore Aldo Carosi uditi l’avvocato Beatrice Fiandaca per la Regione siciliana e l’avvocato dello Stato Enrico De Giovanni per il Presidente del Consiglio dei ministri. Ritenuto in fatto 1.– Con ricorso notificato il 23 agosto 2013 e depositato il 28 agosto 2013, la Regione siciliana ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’articolo 7-bis, commi 3 e 5, del decreto-legge 26 aprile 2013, numero 43 Disposizioni urgenti per il rilancio dell’area industriale di Piombino, di contrasto ad emergenze ambientali, in favore delle zone terremotate del maggio 2012 e per accelerare la ricostruzione in Abruzzo e la realizzazione degli interventi per Expo 2015 – come convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2013, numero 71, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica del 25 giugno 2013, numero 147 – in riferimento agli articolo 36 e 37 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, numero 455 Approvazione dello statuto della Regione siciliana , convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, numero 2, in relazione all’articolo 2, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, numero 1074 Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria , all’articolo 43 del medesimo r.d.lgs. numero 455 del 1946 ed al principio di leale collaborazione. La ricorrente premette che l’impugnato articolo 7-bis del d.l. numero 43 del 2013, oltre a prevedere la concessione di contributi ai privati per la ricostruzione, la riparazione o l’acquisto sostitutivo di immobili, prioritariamente adibiti ad abitazione principale, danneggiati o distrutti nel sisma che ha colpito l’Abruzzo nel 2009 comma 1 , e l’incremento del fondo istituito dall’articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, numero 282 Disposizioni urgenti in materia fiscale e di finanza pubblica – convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, numero 307 –, per interventi strutturali di politica economica comma 4 , dispone al comma 3 che le misure dell’imposta fissa di bollo stabilite in euro 1,81 ed in euro 14,62 siano rideterminate, rispettivamente, in euro 2,00 ed in euro 16,00 e, al comma 5, che agli oneri derivanti dall’articolo 7-bis si provveda con le maggiori entrate derivanti dall’aumento previsto dal comma 3. Tali disposizioni troverebbero applicazione anche in Sicilia, in virtù dell’inciso «ovunque ricorrano», contenuto nel citato comma 3. 1.1.– Anzitutto, la Regione siciliana lamenta che né le disposizioni impugnate né il contesto normativo in cui sono inserite contemplino una clausola di salvaguardia che rimetta l’applicazione delle norme introdotte alle procedure di recepimento previste dagli statuti speciali e dalle relative norme di attuazione in modo da garantire che il mantenimento alla Regione siciliana del gettito dell’imposta di bollo, come rimodulata, o, in subordine, il contributo della stessa al rifinanziamento della ricostruzione privata nei Comuni abruzzesi interessati dal sisma del 2009 avvengano nel rispetto dei rapporti e dei vincoli che gli statuti speciali stabiliscono nei rapporti tra lo Stato e le Regioni ad autonomia speciale. Ne deriverebbe la violazione dell’articolo 43 dello statuto della Regione siciliana e del principio di leale collaborazione, atteso che, quando vengono sottratti alla Regione siciliana tributi di sua spettanza, occorrerebbe il raggiungimento di un’intesa sulle modalità di compensazione del relativo gettito. In via subordinata, la Regione deduce la violazione del principio di leale collaborazione, previsto dalle norme statutarie e di attuazione per i casi in cui vengano individuate nuove entrate tributarie dal legislatore statale. 1.2.– La Regione siciliana, inoltre, deduce la violazione degli articolo 36 e 37 del proprio statuto speciale nonché dell’articolo 2, primo comma, del d.P.R. numero 1074 del 1965. A suo avviso, le disposizioni impugnate destinerebbero illegittimamente per il periodo 2013-2019 il gettito della rideterminata imposta fissa di bollo alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti dello Stato specificate nelle legge stessa, trattandosi di tributo di spettanza regionale. Secondo la ricorrente, la “rideterminazione” dell’imposta fissa di bollo non sarebbe riconducibile al concetto di nuova entrata tributaria quale esplicitato dalla giurisprudenza costituzionale, in quanto non introdurrebbe alcun nuovo tributo e non determinerebbe una modificazione di aliquote. Dunque, non sarebbe integrata l’eccezione prevista dai parametri invocati all’integrale spettanza del gettito del tributo alla Regione siciliana. In via subordinata, quest’ultima nega che la destinazione del maggior gettito per il periodo 2013-2019 risponda a specifiche necessità dello Stato, nemmeno indicate per gli anni successivi al 2019. Difetterebbe, pertanto, uno dei presupposti necessari per derogare al principio di integrale spettanza regionale delle entrate riscosse nell’ambito del territorio siciliano. 2.– Con atto depositato il 24 settembre 2013, si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, deducendo l’inammissibilità o, comunque, l’infondatezza della questione proposta dalla Regione siciliana. 2.1.– Ad avviso del resistente, la questione sarebbe inammissibile, in quanto le norme censurate riserverebbero allo Stato esclusivamente il maggior gettito derivante dall’aumento dell’imposta di bollo, senza incidere sulla misura delle entrate ordinariamente spettanti alla Regione. Questa, peraltro, non avrebbe concretamente dimostrato che l’intervento normativo si traduca in un danno per la finanza regionale tale da alterare il rapporto tra i complessivi bisogni della Regione e l’insieme delle risorse per farvi fronte. Di conseguenza la norma censurata non avrebbe diretta capacità lesiva. Inoltre, la riserva erariale sarebbe rispettosa dell’articolo 2, primo comma, del d.P.R. numero 1074 del 1965, che, pur riconoscendo la spettanza alla Regione di tutte le entrate tributarie ricosse nell’ambito del suo territorio, fa salve le «nuove entrate tributarie il cui gettito sia destinato con apposite leggi alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato specificate nelle leggi medesime». 2.2.– Ad avviso del Presidente del Consiglio, la questione sarebbe comunque infondata nel merito. Infatti, nell’esercizio della competenza esclusiva in materia di «sistema tributario e contabile dello Stato» e di «perequazione delle risorse finanziarie» – ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera e , della Costituzione – il legislatore statale ben potrebbe disciplinare i tributi da esso istituiti, anche se il relativo gettito sia di spettanza regionale, purché non sia alterato il rapporto tra complessivi bisogni regionali e mezzi finanziari per farvi fronte. Gli articolo 36 dello statuto della Regione siciliana e 2, primo comma, del d.P.R. numero 1074 del 1965 consentono di derogare alla generale spettanza alla Regione delle entrate tributarie riscosse nel suo territorio se si tratti di entrate nuove destinate dalla legge alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato specificate nella legge medesima. Le norme censurate integrerebbero proprio la descritta fattispecie derogatoria, destinando, per un determinato periodo di tempo, il maggior gettito dell’imposta fissa di bollo ad «assicurare la prosecuzione degli gli interventi per la ricostruzione privata nei territori della Regione Abruzzo, colpiti dal sisma del 6 aprile 2009». Ciò senza menomare l’autonomia finanziaria regionale, trattandosi di maggiori entrate insuscettibili di determinare effetti negativi in termini di minori introiti. Secondo il resistente, inoltre, la legittimità delle norme impugnate discenderebbe anche dalla ratio solidaristica da esse sottesa, fondata sugli articolo 2, 3 e 5 Cost. Nell’esercizio della competenza esclusiva di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera e , Cost. il legislatore statale ben potrebbe imporre indistintamente a tutte le autonomie territoriali contributi solidaristici a fronte di eventi calamitosi, anche per garantire, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m , Cost., su tutto il territorio nazionale i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che proprio da detti eventi possono essere compromessi. E ciò potrebbe disporre senza la necessità di ricorrere a successive mediazioni e regolazioni finanziarie tramite specifiche norme di attuazione, come accade per la contribuzione al risanamento del debito pubblico. Ad avviso della difesa erariale, poi, non sussisterebbe alcuna violazione del principio di leale collaborazione. Essa imporrebbe la previsione di un procedimento che contempli la partecipazione della Regione siciliana solo nel caso in cui la determinazione in concreto del gettito derivante dalle nuove norme fosse complessa, situazione che non ricorrerebbe nella fattispecie. Infine, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, la mancanza di una clausola di salvaguardia – che avrebbe la specifica funzione di rendere applicabile il decreto agli enti ad autonomia differenziata solo a condizione che ne siano rispettati gli statuti speciali ed i percorsi procedurali ivi previsti per la modificazione delle norme di attuazione statutaria – non comporterebbe l’automatica violazione delle prerogative statutarie ove detto decreto risulti altrimenti rispettoso delle stesse, come nella fattispecie, con conseguente inconferenza e pretestuosità delle doglianze riferite alla violazione dell’articolo 43 dello statuto della Regione siciliana e del principio di leale collaborazione. Considerato in diritto 1.– Con il ricorso in epigrafe la Regione siciliana ha promosso questione di legittimità costituzionale dell’articolo 7-bis, commi 3 e 5, del decreto-legge 26 aprile 2013, numero 43 Disposizioni urgenti per il rilancio dell’area industriale di Piombino, di contrasto ad emergenze ambientali, in favore delle zone terremotate del maggio 2012 e per accelerare la ricostruzione in Abruzzo e la realizzazione degli interventi per Expo 2015 – come convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2013, numero 71 – in riferimento agli articolo 36 e 37 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, numero 455 Approvazione dello statuto della Regione siciliana , convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, numero 2, in relazione all’articolo 2, primo comma, del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1965, numero 1074 Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria , all’articolo 43 del medesimo r.d.lgs. numero 455 del 1946 ed al principio di leale collaborazione. 1.1.– L’impugnato articolo 7-bis del d.l. numero 43 del 2013, oltre a prevedere la concessione di contributi ai privati per la ricostruzione, la riparazione o l’acquisto sostitutivo di immobili, prioritariamente adibiti ad abitazione principale, danneggiati o distrutti nel sisma che ha colpito l’Abruzzo nel 2009 comma 1 , e l’incremento del fondo istituito dall’articolo 10, comma 5, del decreto-legge 29 novembre 2004, numero 282 Disposizioni urgenti in materia fiscale e di finanza pubblica – convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 2004, numero 307 –, per interventi strutturali di politica economica comma 4 , dispone al comma 3 che le misure dell’imposta fissa di bollo stabilite in euro 1,81 ed in euro 14,62 siano rideterminate, rispettivamente, in euro 2,00 ed in euro 16,00 e, al comma 5, che agli oneri derivanti dall’articolo 7-bis si provveda con le maggiori entrate derivanti dall’aumento previsto dal comma 3. Quanto all’articolo 43 dello statuto ed al principio di leale collaborazione, la ricorrente lamenta che né le disposizioni impugnate né il contesto normativo in cui sono inserite contemplino una clausola di salvaguardia che ne rimetta l’applicazione alle procedure di recepimento previste dagli statuti speciali e dalle relative norme di attuazione in modo da garantire che il mantenimento alla Regione siciliana del gettito dell’imposta di bollo, come rimodulata, o, in subordine, il contributo della stessa alla ricostruzione privata nei Comuni abruzzesi interessati dal sisma del 2009 avvengano nel rispetto dei vincoli che gli statuti speciali stabiliscono nei rapporti tra lo Stato e le Regioni e dell’intesa sulle modalità di compensazione del gettito sottratto. In via subordinata, la ricorrente deduce la violazione del principio di leale collaborazione contemplato dalle norme statutarie e di attuazione per i casi in cui vengano previste dal legislatore statale nuove entrate tributarie. Inoltre, la Regione siciliana lamenta la violazione degli articolo 36 e 37 dello statuto nonché dell’articolo 2, primo comma, del d.P.R. numero 1074 del 1965, in quanto la rideterminazione dell’imposta fissa di bollo operata dalla normativa censurata non sarebbe riconducibile al concetto di nuova entrata tributaria quale esplicitato dalla giurisprudenza costituzionale, non introducendo alcun nuovo tributo né determinando una modificazione di aliquote. Dunque, non sarebbe integrata l’eccezione prevista dai parametri invocati all’integrale spettanza regionale del gettito del tributo. In via subordinata, la ricorrente nega che la destinazione del maggior gettito per il periodo 2013-2019 risponda a specifiche necessità dello Stato. Peraltro, la destinazione non sarebbe neppure indicata per gli anni successivi al 2019. Difetterebbe, pertanto, uno dei presupposti necessari per derogare al principio di integrale spettanza regionale delle entrate riscosse nell’ambito del territorio siciliano. 2.– Preliminarmente deve essere dichiarata inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 7-bis, commi 3 e 5, del d.l. numero 43 del 2013 in riferimento all’articolo 43 dello Statuto ed al principio di leale collaborazione. Nel lamentare che le disposizioni censurate non siano state accompagnate dalla previsione di una clausola di salvaguardia che ne rimetta l’applicazione alle procedure di recepimento previste dagli statuti speciali e dalle relative norme di attuazione, la ricorrente non tiene conto che le norme di attuazione sono già state adottate. In particolare, l’articolo 2, primo comma, del d.P.R. numero 1074 del 1965 stabilisce che «[] spettano alla Regione siciliana, oltre le entrate tributarie da essa direttamente deliberate, tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del suo territorio, dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione delle nuove entrate tributarie il cui gettito sia destinato con apposite leggi alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato specificata nelle leggi medesime». Non chiarendo in che modo la previsione di una clausola di salvaguardia avrebbe potuto impedire il preteso vulnus all’articolo 43 dello statuto ed all’invocato principio di leale collaborazione, la Regione non ha dunque illustrato adeguatamente le ragioni per le quali le disposizioni impugnate avrebbero violato i parametri costituzionali invocati. 3.– Non sono invece fondate le eccezioni di inammissibilità del Presidente del Consiglio dei ministri in ordine al preteso difetto di capacità lesiva della riserva allo Stato del maggior gettito derivante dall’aumento dell’imposta di bollo, dal momento che la misura delle entrate ordinariamente spettanti alla Regione rimarrebbe inalterata. Il regime di autonomia finanziaria previsto dagli articolo 36 dello statuto di autonomia e 2 del d.P.R. numero 1074 del 1965 assicura alla Regione siciliana, in generale e salvo eccezioni, l’integrale spettanza del gettito dei tributi erariali riscossi nel suo territorio. Pertanto, la riserva allo Stato del maggior gettito derivante dalle norme impugnate – pur non determinando un depauperamento delle risorse finanziarie disponibili per la Regione – ove disposta al di fuori dei limiti statutari sarebbe comunque lesiva dell’autonomia regionale, indipendentemente dal fatto che non incida sul rapporto tra i bisogni dell’ente e le risorse per farvi fronte. Afferisce al merito della questione di legittimità costituzionale stabilire se la clausola di riserva erariale sia rispettosa dei vincoli statutari in subiecta materia. 4.– Deve essere scrutinata nel merito la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 7-bis, commi 3 e 5, del d.l. numero 43 del 2013 in riferimento agli articolo 36 e 37 dello statuto, in relazione all’articolo 2, primo comma, del d.P.R. numero 1074 del 1965, sia sotto il profilo del difetto del carattere di novità dell’entrata tributaria, sia, in subordine, sotto il profilo della destinazione specifica del suo maggior gettito. 4.1.– A tal fine è opportuno premettere che, come già chiarito da questa Corte, «l’evocato articolo 36, primo comma, dello statuto, in combinato disposto con l’articolo 2, primo comma, del d.P.R. numero 1074 del 1965 indica le seguenti tre condizioni per l’eccezionale riserva allo Stato del gettito delle entrate erariali a la natura tributaria dell’entrata b la novità di tale entrata c la destinazione del gettito “con apposite leggi alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato specificate nelle leggi medesime”» sentenza numero 241 del 2012 . Quanto alla prima condizione, nemmeno la ricorrente mette in dubbio la natura tributaria dell’imposta di bollo. In relazione alla seconda, invece, la Regione nega il carattere di novità dell’entrata, determinata dagli incrementi di due misure dell’imposta stessa. A suo avviso, non sarebbe legittima la deroga all’integrale spettanza regionale del relativo gettito, atteso che la normativa impugnata opererebbe una mera rideterminazione dell’imposta fissa di bollo, non riconducibile al concetto di nuova entrata tributaria. Quanto al terzo requisito, la ricorrente contesta che l’entrata tributaria in esame sia vincolata a particolari finalità contingenti o continuative dello Stato e lamenta che, comunque, non venga indicata la destinazione del maggior gettito per gli esercizi finanziari successivi al 2019. 4.2.– La censura relativa all’assenza del requisito di novità dell’entrata tributaria consistente nell’aumento di due misure dell’imposta fissa di bollo, introdotto dall’articolo 7-bis, comma 3, del d.l. numero 43 del 2013, non è fondata. Il consolidato orientamento di questa Corte è nel senso che «per nuova entrata tributaria, di cui all’articolo 2 del d.P.R. 26 luglio 1965, numero 1074, contenente le norme di attuazione dello statuto della Regione siciliana in materia finanziaria, deve intendersi non un tributo nuovo, ma solo un’entrata derivante da un atto impositivo nuovo, in mancanza del quale l’entrata non si sarebbe verificata, a nulla rilevando che il nuovo atto impositivo introduca un tributo nuovo o ne aumenti soltanto uno precedente sentenza numero 49 del 1972 e, più recentemente, ex plurimis, sentenze numero 348 del 2000 e numero 143 del 2012 » sentenza numero 265 del 2012 . Per aversi novità dell’entrata, è sufficiente il verificarsi di «un “incremento di gettito” sentenza numero 198 del 1999 , cioè una entrata aggiuntiva, rilevando la novità del provento, non la novità del tributo» sentenza numero 241 del 2012 . Nella fattispecie, l’articolo 7-bis, comma 3, del d.l. numero 43 del 2013, aumentando due misure dell’imposta fissa di bollo, determina proprio un incremento di gettito, un’entrata aggiuntiva che senza tale disposizione non si sarebbe verificata. 4.3.– Mentre il requisito della novità dell’entrata – previsto quale ipotesi di deroga alla regola generale contenuta nel combinato disposto dell’articolo 36 dello statuto e dell’articolo 2, primo comma, del d.P.R. numero 1074 del 1965 – rapporta in modo univoco il precetto costituzionale alla fattispecie in esame, con riguardo invece alla destinazione del gettito della nuova entrata a particolari finalità contingenti o continuative dello Stato, lo scrutinio delle censure in riferimento ai medesimi parametri costituzionali si configura in modo differenziato, in relazione a tre diversi segmenti temporali afferenti alla vigenza dell’incremento tributario. Il primo segmento temporale riguarda l’esercizio 2013, nel quale il nuovo gettito viene destinato all’incremento di un fondo per interventi strutturali di politica economica istituito dall’articolo 10, comma 5, del d.l. numero 282 del 2004 «al fine di agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, anche mediante interventi volti alla riduzione della pressione fiscale» il secondo prevede interventi per l’edilizia privata nei territori della Regione Abruzzo, colpiti dagli eventi sismici del 2009, in relazione agli esercizi 2014-2019 il terzo attiene a quelli successivi, nei quali non è prevista alcuna destinazione. 4.3.1.– La questione di legittimità costituzionale proposta in riferimento ai richiamati parametri è fondata con riguardo alla destinazione del maggior gettito 2013 all’incremento di un fondo istituito per interventi strutturali di politica economica. Come emerge dalla lettura congiunta dei commi 4 e 5 dell’articolo 7-bis, la destinazione al fondo istituito «al fine di agevolare il perseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, anche mediante interventi volti alla riduzione della pressione fiscale», identificandosi con le finalità generali di istituzione del fondo stesso al cui incremento è volta, non può considerarsi specifica. La mancata integrazione della terza delle condizioni di riserva allo Stato delle entrate in questione rende quindi la devoluzione erariale del maggior gettito non conforme allo statuto speciale ed alle relative norme di attuazione. 4.3.2.– Viceversa, quanto alla destinazione della nuova entrata alla concessione di contributi statali ai privati per la ricostruzione, riparazione o acquisto sostitutivo di immobili, prioritariamente adibiti ad abitazione principale, danneggiati o distrutti nel sisma che ha colpito l’Abruzzo nel 2009, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 7-bis del d.l. numero 43 del 2013 non è fondata. In questo caso, infatti, il requisito della specifica destinazione del maggior gettito dell’imposta di bollo realizzato nel periodo 2014-2019 emerge con chiarezza dalla lettura congiunta dei commi 1 e 5 della predetta disposizione, poiché la nuova entrata viene espressamente finalizzata alla copertura degli oneri rappresentati dai contributi per far fronte alle esigenze dell’edilizia privata derivanti dal sisma. 4.3.3.– Infine, la questione di legittimità costituzionale proposta dalla Regione siciliana non è fondata quanto alla mancata indicazione della destinazione del maggior gettito per il periodo successivo all’esercizio 2019. Destinando «le maggiori entrate derivanti dal comma 3» alla copertura degli oneri nascenti dall’articolo 7-bis – che sono esattamente una spesa di 197,2 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2014 al 2019 per i contributi di cui al comma 1 e l’incremento del fondo statale di cui al comma 4 per l’importo di 98,6 milioni di euro per l’anno 2013 – il legislatore ha, sì, riservato allo Stato il maggior gettito, ovunque conseguito, scaturente dall’aumento delle due misure dell’imposta di bollo, ma ciò ha disposto soltanto per il lasso temporale 2013-2019. La censura regionale muove dunque da un presupposto ermeneutico errato, ossia che per gli anni successivi al 2019 il maggior gettito derivante dall’aumento previsto dal censurato comma 3 continui ad essere riservato allo Stato. Non rinvenendosi nelle disposizioni impugnate elementi che inducano ad avvalorare tale interpretazione, si deve concludere che per quell’epoca non operi più il regime derogatorio alla regola generale di cui al combinato disposto degli articolo 36 dello statuto e 2, primo comma, del d.P.R. numero 1074 del 1965, regola che si riespande automaticamente, senza necessità di un’esplicita previsione, in applicazione dell’articolo 14 delle disposizioni sulla legge in generale premesse al codice civile, secondo cui «Le leggi [] che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre [] i tempi in esse considerati». 5.– In definitiva, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 7-bis, commi 3 e 5, del d.l. numero 43 del 2013 in riferimento agli articolo 36 e 37 dello statuto della Regione siciliana, in relazione all’articolo 2, primo comma, del d.P.R. numero 1074 del 1965, è fondata solo per la parte in cui riserva allo Stato il maggior gettito tributario riscosso nell’anno 2013 nell’ambito del territorio della Regione siciliana. Per Questi Motivi la Corte Costituzionale 1 dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 7-bis, commi 3 e 5, del decreto-legge 26 aprile 2013, numero 43 Disposizioni urgenti per il rilancio dell’area industriale di Piombino, di contrasto ad emergenze ambientali, in favore delle zone terremotate del maggio 2012 e per accelerare la ricostruzione in Abruzzo e la realizzazione degli interventi per Expo 2015 – convertito, con modificazioni, dalla legge 24 giugno 2013, numero 71 – nella parte in cui riserva allo Stato il maggior gettito tributario derivante da tali commi riscosso nell’anno 2013 nell’ambito del territorio della Regione siciliana 2 dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 7-bis, commi 3 e 5, del d.l. numero 43 del 2013 – convertito, con modificazioni, dalla legge numero 71 del 2013 – promossa dalla Regione siciliana, con il ricorso indicato in epigrafe, in riferimento all’articolo 43 del regio decreto legislativo 15 maggio 1946, numero 455 Approvazione dello statuto della Regione siciliana – convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, numero 2 – ed al principio di leale collaborazione.
Corte Costituzionale, sentenza 19 – 28 maggio 2014, numero 142 Presidente Silvestri – Redattore Carosi Sentenza Nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 39, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, numero 98 Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria , convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, numero 111, promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Campobasso nel giudizio vertente tra Candela Anna e l’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale – Ufficio Controlli Campobasso, con ordinanza dell’11 novembre 2013, iscritta al numero 276 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numero 1, prima serie speciale, dell’anno 2014. Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri udito nella camera di consiglio del 26 marzo 2014 il Giudice relatore Aldo Carosi. Ritenuto in fatto 1.– Con ordinanza dell’11 novembre 2013, la Commissione tributaria provinciale di Campobasso ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 39, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, numero 98 Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria , convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, numero 111, in riferimento agli articolo 3, 53 e 104 della Costituzione. La norma censurata prevede che «I compensi corrisposti ai membri delle commissioni tributarie entro il periodo di imposta successivo a quello di riferimento si intendono concorrere alla formazione del reddito imponibile ai sensi dell’articolo 11 del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, numero 917». 1.1.– Il rimettente, dopo aver escluso la sussistenza degli estremi dell’astensione obbligatoria in ragione dell’oggetto della questione, riferisce che la ricorrente nel giudizio principale, giudice della Commissione tributaria provinciale di Campobasso, ha percepito nel dicembre del 2012 compensi arretrati di competenza dell’anno 2011 per un importo lordo di euro 5.932,75 e netto di euro 3.951,70, con ritenute per un ammontare di euro 1.981,05 assoggettati a tassazione ordinaria aliquota massima in base all’articolo 39, comma 5, del d.l. numero 98 del 2011 invece che a tassazione separata, come in precedenza previsto dall’articolo 17, comma 1, lettera b , del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, numero 917, recante «Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi» TUIR . Secondo quest’ultima disposizione, «L’imposta si applica separatamente sui seguenti redditi [] b emolumenti arretrati per prestazioni di lavoro dipendente riferibili ad anni precedenti, percepiti per effetto di leggi, di contratti collettivi, di sentenze o di atti amministrativi sopravvenuti o per altre cause non dipendenti dalla volontà delle parti, compresi i compensi e le indennità di cui al comma 1 dell’articolo 47» ora articolo 50 , comma 1, lettera f , che annovera tra i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente anche «i compensi corrisposti ai membri delle commissioni tributarie». Deducendo l’illegittima applicazione dell’articolo 39, comma 5, del d.l. numero 98 del 2011 anche ad emolumenti arretrati maturati prima della sua entrata in vigore e l’illegittimità costituzionale della norma per contrasto con gli articolo 53 e 3 Cost., la ricorrente – che aveva vanamente chiesto all’Agenzia delle entrate il rimborso di quanto indebitamente trattenuto, anche esperendo reclamo, ai sensi dell’articolo 17-bis del decreto legislativo 21 dicembre 1992, numero 546 Disposizioni sul processo tributario in attuazione delle delega al Governo contenuta nell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, numero 413 , avverso l’originario diniego – ha proposto ricorso al giudice a quo, chiedendo l’annullamento del provvedimento e che fosse dichiarato l’obbligo dell’Agenzia delle entrate di assoggettare gli emolumenti relativi all’anno 2011 a tassazione separata con applicazione dell’aliquota media e conseguente condanna al rimborso di quanto trattenuto in eccesso, oltre interessi e spese di lite. Costituitasi in giudizio, l’Agenzia delle entrate ha sostenuto di aver fatto corretta applicazione della norma censurata, ritenendone la conformità a Costituzione. 1.2.– Il rimettente evidenzia che, ai sensi dell’articolo 51 già articolo 48 del TUIR, per il reddito di lavoro dipendente – cui è assimilato il compenso del giudice tributario, in base all’articolo 50 già articolo 47 , comma 1, lettera f , del medesimo testo unico – vige il principio di cassa, secondo cui le somme debbono essere assoggettate ad imposizione nel medesimo anno in cui sono corrisposte, con la sola eccezione rappresentata dalla cosiddetta “cassa allargata”, per la quale è imputato al periodo d’imposta precedente il reddito percepito entro il 12 gennaio successivo. Il rimettente sostiene che, per evitare che il sistema della progressività delle aliquote possa condurre, per i redditi percepiti con ritardo, ad un carico fiscale eccessivamente elevato, l’articolo 17 del TUIR prevede che l’imposta sia applicata separatamente dagli altri redditi dello stesso periodo con il limite, dettato da finalità antielusive, che il ritardo avvenga «per effetto di leggi, di contratti collettivi, di sentenze o di atti amministrativi sopravvenuti o per altre cause non dipendenti dalla volontà delle parti». Tra queste ultime non rientrerebbe, secondo la circolare dell’Agenzia delle entrate numero 23/E del 5 febbraio 1997, il ritardo cosiddetto “fisiologico”, che si avrebbe quando, per la complessità della procedura di liquidazione, i tempi di erogazione risultino conformi a quelli necessari per analoghe procedure di liquidazione da parte di altri sostituti d’imposta rientranti nella prassi comune. Nel caso di specie, tuttavia, ad avviso del rimettente non si verserebbe in un caso di ritardo fisiologico, trattandosi di compensi liquidabili sulla base di prospetti in larga parte predisposti nell’anno di maturazione ma corrisposti solo l’ultimo mese di quello successivo. Peraltro, il Ministero dell’economia e delle finanze – proprio a fronte della nota numero 48710 dell’11 marzo 2004 con cui l’Agenzia delle entrate aveva ritenuto ritardo fisiologico la corresponsione nel mese di maggio dell’anno successivo a quello di maturazione dei compensi variabili dei giudici tributari maturati nel secondo semestre dell’anno precedente – avrebbe stabilito scansioni ben precise per l’erogazione degli emolumenti spettanti ai giudici tributari, l’ultima delle quali sarebbe costituita dal 15 gennaio dell’anno successivo a quello di maturazione, con solo qualche altra settimana per gli ulteriori adempimenti. In questo contesto sarebbe intervenuta la norma censurata. Il rimettente evidenzia che, fra tutti i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente in base all’articolo 50 già articolo 47 del TUIR, solo per gli emolumenti arretrati riferibili all’anno precedente corrisposti ai giudici tributari, il censurato. 39, comma 5, del d.l. numero 98 del 2011 prevede la tassazione ordinaria aliquota massima se corrisposti entro il periodo d’imposta successivo a quello di riferimento. In tal modo esso, quand’anche dettato dalla necessità di rispettare le esigenze di bilancio e di contenere la spesa pubblica, si paleserebbe discriminatorio – considerato che il principio espresso dall’articolo 3 Cost. si estenderebbe all’uguaglianza tributaria, per cui a situazioni uguali dovrebbero corrispondere regimi impositivi uguali – e scollegato dalla capacità contributiva di cui all’articolo 53 Cost., che andrebbe intesa come idoneità del soggetto a soddisfare l’obbligazione d’imposta, desumibile dal presupposto economico al quale la prestazione risulti connessa. Infatti, ad avviso del rimettente, sebbene possano ravvisarsi differenze tra gli emolumenti dei giudici tributari e quelli degli altri percettori di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, tale diversità qualitativa potrebbe rilevare solo ove la capacità contributiva di coloro che sono assoggettati a tassazione separata ossia, ad un minor tributo sia di gran lunga inferiore quantitativamente rispetto a quella dei contribuenti assoggettati alla tassazione ordinaria ossia, ad un maggior tributo . Poiché il mancato assoggettamento al regime di cui all’articolo 39, comma 5, del d.l. numero 98 del 2011 dei redditi degli altri contribuenti citati non dipenderebbe dalla valutazione delle diverse caratteristiche delle varie forme di lavoro e dalla minore capacità contributiva, la norma determinerebbe un’irragionevole ed ingiustificata discriminazione a discapito di una limitata categoria di soggetti passivi, sottoponendoli ad un regime tributario peggiorativo in violazione degli articolo 3 e 53 Cost. Inoltre, secondo il rimettente, la norma censurata si paleserebbe come un monito nei confronti proprio di quei soggetti chiamati a giudicare sull’applicazione delle leggi tributarie e sul rispetto delle garanzie previste dall’ordinamento per i contribuenti, manifestando una supremazia del potere esecutivo – e segnatamente del Ministero dell’economia e delle finanze, che avrebbe predisposto il decreto-legge e, per di più, sarebbe debitore dei compensi da corrispondere ai giudici tributari, oltre ad essere parte sostanziale, attraverso le Agenzie fiscali, nella maggioranza dei giudizi tributari – sul potere giudiziario e violando il principio di autonomia ed indipendenza della magistratura di cui all’articolo 104 Cost. 1.3.– Quanto alla rilevanza della questione, il rimettente sostiene che la norma impugnata, entrata in vigore il 17 luglio 2011, non sarebbe retroattiva, con la conseguenza che la questione non sarebbe rilevante quanto agli emolumenti maturati fino al 16 luglio 2011, cui illegittimamente l’amministrazione avrebbe applicato la tassazione ordinaria aliquota massima invece che quella separata aliquota media . Viceversa, lo sarebbe con riferimento agli emolumenti arretrati relativi al periodo successivo all’entrata in vigore dell’articolo 39, comma 5, del d.l. numero 98 del 2011, ossia dal 17 luglio 2011 al 31 dicembre 2011, cui sarebbe applicabile, dovendosi stabilire il sistema di tassazione operante nella fattispecie. 2.– Con atto depositato il 22 gennaio 2014 è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, manifestamente infondata. 2.1.– Anzitutto, l’ordinanza di rimessione non preciserebbe l’importo di cui è chiesto il rimborso, come si sia pervenuti allo stesso ed a quale periodo si riferirebbe l’asserita maggiore tassazione, tenuto conto che non rileverebbero gli emolumenti maturati fino al 17 luglio 2011 e quelli maturati dal 1° ottobre 2011 al 31 dicembre 2011, in quanto “fisiologicamente” corrisposti oltre il 12 gennaio 2012, per cui comunque assoggettati a tassazione ordinaria. Infine, non sarebbe precisato se e quali compensi sarebbero maturati nei settantacinque giorni per i quali dovrebbe operare, secondo il rimettente, il regime di tassazione separata. Alla luce di tali considerazioni, la questione sarebbe inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza. 2.2.– Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, inoltre, la questione sarebbe manifestamente infondata. A suo avviso, il giudice a quo muoverebbe dall’erroneo presupposto che la norma abbia una finalità di maggiore imposizione, mentre in realtà essa si limiterebbe a reintrodurre il normale regime di cassa, i cui effetti potrebbero essere favorevoli o sfavorevoli al contribuente a seconda dei casi, con il fine di evitare incertezze applicative della disciplina fiscale in ragione della peculiarità di determinazione dei compensi dei giudici tributari. Sotto il primo profilo, la difesa erariale evidenzia che l’articolo 17 già articolo 16 , comma 1, lettera b , del TUIR, sarebbe stato costantemente interpretato dall’amministrazione finanziaria nel senso che la tassazione separata, in deroga al regime generale di tassazione per cassa, operi solo quando il ritardo nella corresponsione degli emolumenti sia conseguenza di nuove disposizioni o sia conseguenza di eventi eccezionali tali da qualificarlo come “patologico”, dovendo altrimenti applicarsi l’ordinaria disciplina, per cui il reddito contribuisce a determinare l’imponibile dell’anno di percezione. Quanto all’altro aspetto, il Presidente del Consiglio dei ministri rammenta le peculiarità del regime dei compensi dei giudici tributari, secondo cui, ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, numero 545 Ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria ed organizzazione degli uffici di collaborazione in attuazione della delega al Governo contenuta nell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, numero 413 , con decreto ministeriale viene determinato un compenso fisso mensile ed un compenso aggiuntivo per ciascun ricorso definito, liquidato in relazione ad ogni provvedimento emesso. Tale particolarità avrebbe indotto il legislatore ad emanare una norma di chiarimento che evitasse di dover verificare caso per caso il motivo del ritardo, ritenendolo fisiologico – e, come tale, inidoneo a provocare la tassazione separata – allorché i compensi vengano corrisposti nell’anno successivo a quello di maturazione. La finalità di semplificazione escluderebbe l’irragionevolezza della norma ed il suo carattere discriminatorio, afferendo ad un sistema di corresponsione degli emolumenti diverso da quello previsto per le altre categorie di contribuenti contemplate dall’articolo 50 già articolo 47 del TUIR, dunque insuscettibile di dare luogo ad ingiustificate disparità di trattamento. Sarebbe pertanto esclusa la violazione dell’articolo 3 Cost. Secondo l’intervenuto, inoltre, la norma censurata non si porrebbe in contrasto con il principio della capacità retributiva, in quanto la norma inciderebbe solo sul criterio di tassazione applicabile, che potrebbe in astratto condurre anche ad una riduzione dell’imposizione. Infine, ad avviso del Presidente del Consiglio dei ministri, sarebbe altresì da escludere una violazione dell’articolo 104 Cost., alla luce delle effettive finalità della disposizione impugnata e per l’impossibilità di configurare la dedotta supremazia del potere esecutivo a fronte di un atto promanante dal Parlamento, che ha approvato la legge di conversione del decreto-legge. Considerato in diritto 1.– La Commissione tributaria provinciale di Campobasso ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 39, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, numero 98 Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria , convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, numero 111, in riferimento agli articolo 3, 53 e 104 della Costituzione. La norma censurata prevede che «I compensi corrisposti ai membri delle commissioni tributarie entro il periodo di imposta successivo a quello di riferimento si intendono concorrere alla formazione del reddito imponibile ai sensi dell’articolo 11 del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, numero 917». 1.1.– Il rimettente precisa che il giudizio a quo è stato proposto da un giudice della Commissione tributaria provinciale di Campobasso, il quale ha percepito nel dicembre del 2012 compensi arretrati di competenza dell’anno 2011 assoggettati a tassazione ordinaria aliquota massima , in base all’articolo 39, comma 5, del d.l. numero 98 del 2011, invece che a tassazione separata come in precedenza avrebbe previsto l’articolo 17 già articolo 16 , comma 1, lettera b , del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, numero 917, recante «Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi» TUIR . Detta disposizione prevede che «L’imposta si applica separatamente sui seguenti redditi [] b emolumenti arretrati per prestazioni di lavoro dipendente riferibili ad anni precedenti, percepiti per effetto di leggi, di contratti collettivi, di sentenze o di atti amministrativi sopravvenuti o per altre cause non dipendenti dalla volontà delle parti, compresi i compensi e le indennità di cui al comma 1 dell’articolo 47 [ora articolo 50]». L’articolo 50, comma 1, lettera f , richiama «i compensi corrisposti ai membri delle commissioni tributarie». La regola generale prevista dall’articolo 51 già articolo 48 del TUIR per il reddito di lavoro dipendente – cui è assimilato il compenso del giudice tributario, ai sensi dell’articolo 50 già articolo 47 , comma 1, lettera f , del medesimo testo unico – sarebbe quella del “principio di cassa”, secondo cui le somme debbono essere assoggettate ad imposizione nel medesimo anno in cui sono corrisposte, con la sola eccezione rappresentata dalla cosiddetta “cassa allargata”, per la quale è imputato al periodo d’imposta precedente il reddito percepito entro il 12 gennaio successivo. Peraltro, per detti redditi sarebbe previsto il regime particolare di cui all’articolo 17 già articolo 16 , comma 1, lettera b , del d.P.R. numero 917 del 1986. L’ordinanza di rimessione sottolinea come, fra tutti i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente indicati dall’articolo 50 TUIR, solo per gli emolumenti arretrati riferibili all’anno precedente corrisposti ai giudici tributari l’articolo 39, comma 5, del d.l. numero 98 del 2011 abbia introdotto la tassazione ordinaria – comportante l’applicazione della aliquota massima inerente ai redditi dell’anno di percezione – fino al compimento dell’intero periodo d’imposta successivo a quello di competenza. La nuova disciplina sarebbe discriminatoria nei confronti di una limitata categoria di soggetti passivi, quella dei giudici tributari, sottoponendoli ad un regime di tassazione contrario agli articolo 3 e 53 Cost. Da un lato, infatti, si tratterebbe di una deroga immotivata all’interno di una categoria di redditi per i quali l’articolo 17 già articolo 16 del TUIR prevede l’applicazione dell’imposta separatamente dagli altri redditi dello stesso periodo dall’altro, tale regime sarebbe scollegato dalla capacità contributiva di cui all’articolo 53 Cost., tenendo conto che l’obbligazione tributaria si manifesterebbe in relazione all’esercizio in cui l’attività di questa tipologia di contribuenti produce ricchezza e non a quello in cui avviene la materiale erogazione del compenso. In pratica, la norma contestata amplierebbe, in modo assolutamente discriminatorio nell’ambito della categoria dei percettori di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, il principio della cassa allargata da 12 giorni all’intero anno solare. Inoltre, secondo il giudice a quo, la norma censurata verrebbe a configurare un’anomala manifestazione di supremazia dell’esecutivo proprio nei confronti del potere giudiziario ed in particolare dei soggetti chiamati a giudicare sull’applicazione delle leggi tributarie e ad assicurare il rispetto delle garanzie previste dall’ordinamento per i contribuenti. 1.2.– La difesa dello Stato contesta, sotto il profilo della rilevanza, la mancata specificazione, nell’ordinanza di rimessione, del titolo e dell’importo della asserita maggiore tassazione. Nel merito, essa eccepisce che a il meccanismo ordinario di tassazione dei redditi delle persone fisiche sarebbe quello di cassa, per cui il regime derogatorio dello stesso non potrebbe essere utilizzato quale tertium comparationis b la norma impugnata non avrebbe lo scopo di aggravare la tassazione nei riguardi dei giudici tributari, ma solo quello di quantificare in modo preciso i ritardi fisiologici determinati dagli incombenti a carico dell’amministrazione per liquidare i compensi c la natura del reddito in questione sarebbe diversa dagli altri assimilati a quelli da lavoro dipendente e, in ragione di tale diversità, sarebbe stata dettata una particolare disciplina ispirata alla semplificazione d non vi sarebbe violazione del principio di capacità contributiva poiché la norma non avrebbe natura impositiva ed, in quanto tale, non influirebbe in modo diretto sull’imposizione che, nella concreta applicazione, ne potrebbe essere condizionata anche in senso favorevole al contribuente e non vi sarebbe violazione dell’articolo 104 Cost., attesa la conversione del decreto-legge ad opera del Parlamento, cui sarebbe imputabile la disciplina in esso contenuta. 2.– Preliminarmente, deve essere dichiarata priva di fondamento l’eccezione d’inammissibilità sollevata dall’Avvocatura dello Stato in ordine alla pretesa mancata specificazione del titolo e dell’importo dell’asserita maggiore tassazione. In realtà, l’ordinanza di rimessione precisa che il ricorso da cui ha preso le mosse il giudizio a quo individua correttamente quali emolumenti – nell’ambito complessivo dei compensi arretrati percepiti – sono stati assoggettati a tassazione ordinaria, anziché separata, in applicazione della norma impugnata. L’ambito temporale applicativo di quest’ultima viene infatti ad essere ampliato proprio dalla disposizione della cui legittimità si dubita, senza alcuna correlata influenza del cosiddetto criterio del ritardo fisiologico di cui si dirà meglio in prosieguo – e che, comunque, il giudice a quo non contesta – poiché l’idoneità di quest’ultimo a differire in modo legittimo la tassazione separata è resa ininfluente dal più ampio periodo moratorio stabilito dalla disposizione stessa. 3.– Ai fini della decisione del merito, è utile ricordare alcuni principi che ispirano la disciplina dell’imposizione tributaria sui redditi di lavoro dipendente ed assimilati, categoria cui appartiene – per effetto dell’articolo 50 già articolo 47 , comma 1, lettera f , del TUIR – la fattispecie all’esame di questa Corte. La regola generale dell’imposizione su detti redditi è quella di cassa, ricavabile dall’articolo 7 del TUIR, secondo cui ad ogni anno solare – salvo quanto appresso specificato – corrisponde un’obbligazione tributaria autonoma. Su quest’ultima si innesta il principio della “cassa allargata”, il quale trova fondamento nell’articolo 51 già articolo 48 , comma 1, del TUIR. Esso consiste nella parificazione, ai fini impositivi, dei compensi di lavoro dipendente ed assimilati erogati entro il 12 gennaio dell’esercizio successivo a quelli erogati nel precedente. In buona sostanza, sulla base di detto principio, vengono attratte nel reddito annuale le somme percepite entro il 12 gennaio dell’anno successivo. Al contrario, per i redditi percepiti in un determinato periodo d’imposta, ma maturati in tempi precedenti, vige il diverso regime della tassazione separata articolo 17 già articolo 16 , comma 1, del TUIR , che è una modalità particolare di determinazione dell’IRPEF, la cui ratio è individuata dalla circolare del Ministero delle finanze numero 23/E del 5 febbraio 1997 nella necessità di «attenuare gli effetti negativi che deriverebbero dalla rigida applicazione del criterio di cassa» in quei casi in cui la tassazione ordinaria di un reddito formatosi nel corso di più anni, ma corrisposto in unica soluzione, potrebbe risultare eccessivamente oneroso per il contribuente. La disciplina dei compensi erogati ai giudici tributari è contenuta nell’articolo 13 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, numero 545 Ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria ed organizzazione degli uffici di collaborazione in attuazione della delega al Governo contenuta nell’articolo 30 della legge 30 dicembre 1991, numero 413 , il quale stabilisce che i giudici componenti delle commissioni tributarie percepiscono due tipi di compensi uno mensile, determinato in cifra fissa, ed uno aggiuntivo variabile, che discende dal numero e dalla tipologia dei provvedimenti depositati. L’entità dei compensi è determinata periodicamente dal Ministero dell’economia e delle finanze con proprio decreto. Le modalità di computo ed erogazione, in attuazione del primo decreto interministeriale 19 dicembre 1997, sono contenute nella circolare del Ministero delle finanze numero 80/E dell’11 marzo 1998, secondo la quale la liquidazione dei compensi deve avvenire di regola mensilmente. Come detto, tali compensi sono assimilati dall’articolo 50 già articolo 47 , comma 1, lettera f , del TUIR ai redditi da lavoro dipendente. In ragione di tale assimilazione per i medesimi trovano applicazione le disposizioni inerenti a tale categoria generale, ivi comprese quelle che determinano i principi della tassazione per cassa e per “cassa allargata”, nonché il criterio della tassazione separata per gli emolumenti arretrati. La versione originaria dell’articolo 17 già articolo 16 del TUIR non forniva la nozione di «emolumenti arretrati», ma si limitava a far generico riferimento agli «emolumenti arretrati relativi ad anni precedenti per prestazioni di lavoro dipendente». In seguito, l’articolo 3, comma 82, della legge 28 dicembre 1995, numero 549 Misure di razionalizzazione della finanza pubblica , precisò che tale locuzione individua «[ ] emolumenti arretrati per prestazioni di lavoro dipendente riferibili ad anni precedenti, percepiti per effetto di leggi, di contratti collettivi, di sentenze o di atti amministrativi sopravvenuti o per altre cause non dipendenti dalla volontà delle parti». Secondo l’interpretazione che ne ha dato il Ministero dell’economia e delle finanze in particolare, a partire dalla circolare numero 23/E del 5 febbraio 1997 , la norma in oggetto, come modificata dall’articolo 3, comma 82, della legge numero 549 del 1995, stabilisce che gli emolumenti da lavoro dipendente od assimilati corrisposti in ritardo possono essere assoggettati a tassazione separata allorquando il ritardo non sia dipeso da accordi tra le parti, ma da circostanze oggettive di fatto o da impedimenti di carattere giuridico. Di converso, conclude la suddetta circolare, non può farsi luogo a tale imposizione separata quando il pagamento in ritardo debba considerarsi una “conseguenza fisiologica” insita nelle modalità di erogazione degli emolumenti stessi, tali da richiedere pertanto determinati tempi tecnici per essere condotti a termine. Proprio in questa ipotesi rientra l’erogazione dei compensi variabili attribuiti ai componenti delle commissioni tributarie, che richiedono un determinato periodo di tempo per essere liquidati rapportandosi al numero ed alla tipologia dei «provvedimenti emessi» articolo 13 del d.lgs numero 545 del 1992 . In questo contesto, comune a tutti gli emolumenti arretrati da lavoro dipendente od assimilato, si è inserita la norma impugnata, la quale – di fatto – ha allargato ad un anno, per la sola categoria dei giudici tributari, cui appartiene la ricorrente del giudizio a quo, l’intervallo temporale tra il titolo giuridico della competenza e la sua effettiva qualificazione ai fini fiscali, attraverso una fictio iuris i compensi corrisposti ai membri delle commissioni tributarie entro il periodo d’imposta successivo a quello di riferimento «si intendono concorrere alla formazione del reddito imponibile ai sensi dell’articolo 11 del testo unico delle imposte sui redditi di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, numero 917» , della cui legittimità dubita il rimettente. 4.– Alla luce delle suesposte premesse, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 39, comma 5, del d.l. numero 98 del 2011 è fondata con riferimento sia all’articolo 3 che all’articolo 53 Cost. in ragione del diverso e più sfavorevole trattamento previsto per gli emolumenti spettanti ai membri delle commissioni tributarie. Non ha pregio la difesa dell’Avvocatura dello Stato, secondo cui il giudice a quo non avrebbe tenuto conto del fatto che la tassazione separata rappresenta una deroga a quella ordinaria e, in quanto tale, non sarebbe suscettibile di utilizzazione come tertium comparationis nel giudizio di legittimità costituzionale per violazione del principio di uguaglianza. Come correttamente osservato dal rimettente, la norma censurata non ha sottratto i compensi dei giudici tributari al regime della tassazione separata, cosicché essi restano pienamente compresi ed espressamente menzionati tra quelli che hanno diritto a beneficiarne, ma, a differenza di tutti gli altri percettori, il censurato articolo 39, comma 5, ha provveduto a fissare un periodo di ritardo oltre il quale la tassazione separata continuerebbe a trovare comunque applicazione. Pertanto, il profilo della differenziazione resta all’interno del regime della tassazione separata, creando, in assenza di un ragionevole motivo discriminante, una situazione di trattamento svantaggioso rispetto alle altre specie di redditi assimilati. Questa Corte, proprio in materia tributaria, ha riconosciuto l’estensibilità di norme di favore laddove, in caso di piena omogeneità di situazioni poste a raffronto, lo esiga la ratio della disciplina invocata quale tertium comparationis sentenza numero 431 del 1997 . Nel caso di specie precise esigenze, non solo di lettura conforme alla logica della tassazione separata, bensì anche di coerenza sistematica con la regolamentazione complessiva della materia, impongono di ritenere discriminatorio il fatto che, a fronte di un’omogenea situazione che accomuna tutti i percettori di competenze arretrate, solo per i giudici tributari – e senza che una giustificazione sia enunciata espressamente dalla legge o sia ricavabile in via interpretativa – sia stato normativamente ridotto il periodo di rilievo per l’applicazione del regime fiscale della categoria di riferimento, con conseguente aumento, per tale lasso temporale, dell’imposizione tributaria. Inoltre, non possono essere condivisi gli argomenti del Presidente del Consiglio dei ministri sostanzialmente fondati sulle tre seguenti considerazioni a che la norma impugnata non sia ispirata al fine di garantire una maggiore imposizione, in quanto – essendosi limitata a «reintrodurre il normale regime di cassa» – agirebbe in modo neutro rispetto alle possibili ricadute della sua applicazione sui singoli casi concreti, in relazione ai quali potrebbe non solo avere effetti penalizzanti ma anche di favore b che la sua finalità sia essenzialmente quella di chiarire una fattispecie complessa, a confine tra il regime di tassazione separata e quello ordinario di cassa c che la fattispecie regolata sia assolutamente eterogenea rispetto alle altre inserite nel novero delle ipotesi di tassazione separata. 4.1.– Diversamente da quanto ritenuto dal Presidente del Consiglio dei ministri, la disposizione non assume carattere neutrale rispetto al meccanismo di progressività dell’IRPEF. Infatti, nel sottrarre in misura così anomala al regime della tassazione separata il ritardo degli apparati dedicati alla quantificazione e alla liquidazione delle competenze dei giudici delle commissioni tributarie, di fatto la norma impugnata ha vanificato l’effetto mitigatore e correttivo del regime della tassazione per cassa in una fattispecie che il legislatore stesso, in diversa norma, aveva ritenuto meritevole di essere sottratta ad un’eccessiva imposizione tributaria su redditi che si sono formati – per cause non imputabili al contribuente – in anni diversi da quelli di effettiva percezione. La finalità di limitare in qualche modo gli effetti delle modalità temporali di liquidazione – tuttora formalmente operante per effetto del combinato disposto degli articolo 17 già articolo 16 , comma 2, e 50 già articolo 47 , comma 1, lettera f , del TUIR – viene nella sostanza neutralizzata dall’introduzione di una disposizione idonea a rendere ininfluenti, a danno del contribuente, anche tempi tecnici anomali come quelli che raggiungono la durata di un anno. In proposito, questa Corte ha affermato che «le finalità sottese alla previsione dello speciale sistema della tassazione separata, vanno ricercate nella esigenza di attenuare gli effetti negativi derivanti dalla rigida applicazione del “principio di cassa” nei riguardi di redditi formatisi nel corso di periodi d’imposta precedenti quello di percezione delle somme [] dunque la ratio dell’istituto in esame è quella di evitare il determinarsi di una iniqua applicazione del meccanismo della progressività dell’IRPEF []» sentenza numero 287 del 1996 . L’istituto della tassazione separata, quindi, si giustifica proprio nella misura in cui costituisce per il contribuente un rimedio per evitare un’applicazione ingiustificatamente gravosa del principio di cassa. Non è invece possibile che dalla stessa possano derivare anche effetti sfavorevoli, non solo perché la norma è strumento “mitigatore” della progressività dell’IRPEF, ma anche perché la sua applicazione è concepita come una facoltà del contribuente persona fisica esercente una impresa commerciale, che ben potrebbe rinunciarvi laddove, per particolari contingenze, la tassazione separata dovesse risultare svantaggiosa. Infatti, il comma 2 dell’articolo 17 già articolo 16 del TUIR riconosce la facoltà del contribuente che quindi non vi è vincolato, ma può comunque scegliere secondo criteri di personale convenienza di farvi ricorso. Lo stesso principio di favor per il contribuente è espresso, sotto altro profilo, dall’articolo 17 già articolo 16 , comma 3, del TUIR, il quale – in tema di iscrizione a ruolo delle maggiori imposte per emolumenti arretrati da lavoro dipendente o assimilato – dispone che «gli uffici provvedono [a detta iscrizione] con le modalità stabilite negli articolo 17 [ora articolo 19] e 18 [ora articolo 21] facendo concorrere i redditi stessi alla formazione del reddito complessivo dell’anno in cui sono percepiti, se ciò risulta più favorevole per il contribuente». 4.2.– Quanto alla pretesa funzione chiarificatrice della natura dei compensi dei giudici tributari, non ha pregio l’argomento, prospettato dall’avvocatura generale dello Stato, secondo cui la disciplina introdotta con il censurato articolo 39, comma 5, sarebbe giustificata dall’assoluta peculiarità della fattispecie disciplinata. Il suo carattere distintivo, infatti, è già normativamente consolidato attraverso l’espressa previsione che ha assimilato i compensi dei giudici tributari ai redditi di lavoro dipendente, con incontroversa applicazione ai medesimi del regime tributario in questione. 4.3.– Per quanto concerne l’asserita eterogeneità della fattispecie in esame rispetto agli altri redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente ai sensi dell’articolo 50 già articolo 47 del TUIR, è di tutta evidenza la controvertibilità di tale affermazione resa dalla difesa dello Stato da un lato, emerge la chiara affinità dei compensi del giudice tributario a quelli del giudice di pace, inseriti nella stessa categoria dall’altro, è di pari evidenza che il regime della tassazione separata non trova il suo comun denominatore nella natura omogenea dei redditi inseriti nel proprio ambito applicativo – che, al contrario, hanno caratteristiche e presupposti normativi tra i più disparati – ma piuttosto dal fatto che essi derivano da rapporti, prestazioni, titoli, caratterizzati dalla discrasia tra il momento della maturazione e quello della erogazione, comportante effetti irragionevolmente pregiudizievoli ai contribuenti che vi sono sottoposti. Dunque, la particolarità della loro erogazione, concentrata in un unico e successivo periodo di imposta, a fronte di una maturazione derivante dalla sommatoria di un certo numero di periodi precedenti, esige l’applicazione del suddetto criterio, appunto al fine – come già evidenziato da questa Corte – di evitare gli eccessi distorti dell’applicazione del criterio della progressività dell’IRPEF. 4.4.– In realtà, il fine della disposizione censurata, come ricostruito attraverso l’analisi sistematica del quadro normativo di riferimento – la quale non consente di rintracciare diversi e più ragionevoli motivi della sua genesi – appare quello di incrementare il gettito dell’imposta. Peraltro, ulteriore indiretta conferma di tale assunto si ricava dalla relazione predisposta dal servizio studi della Camera dei deputati, il quale, con riferimento alla presente disposizione, sottolinea significativamente che «la norma assoggetta al regime di tassazione ordinario anche i compensi corrisposti nel periodo di imposta successivo a quello di riferimento. Ciò sembrerebbe implicare un modesto incremento delle entrate, stante la non ampia platea dei membri delle Commissioni tributarie, ed un’anticipazione degli incassi, considerato che in assenza della disposizione in esame gli stessi importi sarebbero stati assoggettati a tassazione separata». In definitiva, sono fondate le censure di irragionevolezza e contraddittorietà sollevate nei confronti dell’articolo 39, comma 5, del d.l. numero 98 del 2011. Infatti, in tale sede il legislatore non ha espunto i compensi dei giudici tributari dal novero dei redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, né tanto meno ha recato altre modifiche alla disciplina generale in materia di tassazione separata, implicitamente confermando la natura degli stessi ed il conseguente assoggettamento al regime di favore. Quest’ultimo, peraltro, è stato irragionevolmente vanificato dall’anomala prescrizione temporale che, di fatto, ha riprodotto, per la sola categoria dei giudici tributari, la regola del cumulo. 5.– Questa evidente disparità di trattamento finisce non solo per collidere con il principio di eguaglianza, ma anche con quello di capacità contributiva di cui all’articolo 53 Cost., atteso che l’effetto pregiudizievole della norma nei confronti di una sola categoria di redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente non trova alcuna giustificazione obiettiva nella situazione dei loro percettori, in assenza di qualsiasi indice peculiare della fattispecie in termini di manifestazione di ricchezza. Il parametro della capacità contributiva espresso dall’articolo 53, primo comma, Cost., pur non costituendo un vincolo rigido per il legislatore, non lo esime tuttavia dal rispetto dei limiti di razionalità e coerenza, che nella fattispecie in esame sono stati valicati. Sul punto questa Corte ha affermato più volte che, in materia tributaria, l’articolo 53 Cost. è espressione particolare del principio di uguaglianza e di ragionevolezza di cui all’articolo 3 Cost. Se «la Costituzione non impone affatto una tassazione fiscale uniforme, con criteri assolutamente identici e proporzionali per tutte le tipologie di imposizione tributaria, [essa esige comunque] un indefettibile raccordo con la capacità contributiva [ ]. Il controllo della Corte in ordine alla lesione dei principi di cui all’articolo 53 Cost., come specificazione del fondamentale principio di uguaglianza di cui all’articolo 3 Cost., non può, quindi, che essere ricondotto ad un “giudizio sull’uso ragionevole, o meno, che il legislatore stesso abbia fatto dei suoi poteri discrezionali in materia tributaria”» sentenza 111 del 1997 in senso conforme, sentenza numero 116 del 2013 e numero 341 del 2000 . 6.– Va, quindi, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 39, comma 5, del d.l. numero 98 del 2011 per contrasto con gli articolo 3 e 53 Cost., mentre rimangono assorbite le censure sollevate in riferimento all’articolo 104 Cost. Per Questi Motivi la Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 39, comma 5, del decreto-legge 6 luglio 2011, numero 98 Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria , convertito, con modificazioni, dall’articolo 1, comma 1, della legge 15 luglio 2011, numero 111.