Genitori disattenti lasciano fucili incustoditi, inevitabile la tragedia

In tema di omicidio colposo, per omessa adeguata custodia di armi da sparo e relativo munizionamento, risultano irrilevanti le circostanze di fatto in presenza delle quali l’evento si verificò, rappresentando l’occasione, e, ove riferibili a comportamenti umani responsabili, una concausa, dell’evento, la radice della responsabilità penale per colpa del proprietario-detentore dell’arma essendo radicata nella predetta condotta omissiva.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza numero 18446 del 5 maggio 2014. Il fatto. Due coniugi venivano condannati dalla Corte di Appello di Torino, per cooperazione colposa nell’omicidio in danno di minore compagno di giochi del proprio figlio. Accadeva che i 2 ragazzini mentre giocavano in taverna si avvicinavano ad una vetrinetta all’interno della quale vi erano 6 fucili comprensivi di munizioni, successivamente il figlio dei due si impadroniva di un’arma e sparava un colpo al compagno di giochi ferendolo mortalmente. Genitori poco attenti. Osservava la Corte di merito che la responsabilità degli imputati emergeva dalla circostanza che la vetrinetta, ove erano le armi, si trovava in una taverna destinata ai giochi, la quale era accessibile a chiunque, in quanto la chiave o era inserita nella serratura o appoggiata sul ripiano sito di fianco. Tali circostanze erano note ai coniugi che avevano posto in essere negligentemente le condizioni per il verificarsi dell’evento, l’uomo per non aver custodito adeguatamente i fucili e la moglie per aver permesso ai ragazzini di giocare in un luogo non sicuro. Avverso la condanna i 2 imputati ricorrevano per cassazione, sostenendo che la chiave era poggiata su di un mobile elevato non accessibile al figlio minore, lamentando inoltre la mancanza di motivazione in ordine alla circostanza che l’imputata faceva affidamento sulla diligenza del marito nella custodia delle armi, affidamento avvalorato dal fatto che per ben 11 anni nell’uso della tavernetta non era mai successo nulla. Pericolo “non disinnescato”. Per la Corte i giudici del merito hanno correttamente prospettato il fatto di sangue verificatosi dovuto a causa della condotta negligente degli imputati nella custodia delle armi. Infatti essendo codetentori del fucile avrebbero dovuto in modo adeguato disinnescare la fonte del pericolo, adottando cautele idonee, tra le quali certamente non rientrava il posizionamento della chiave della vetrinetta sopra una mensola alta 2 metri, tanto vero che il minore non aveva fatto fatica a recuperarla. Né la donna poteva invocare il principio di affidamento, ciò in quanto la violazione di elementari regole cautelari, quali l’accessibilità della chiave e la presenza di armi all’interno di un locale destinato ai giochi, erano evidenti pertanto la donna non poteva fare affidamento sulla diligenza del marito,perché la situazione di pericolo era palese e reiterata nel tempo. Concludendo la Corte ritiene di dover rigettare il ricorso essendo stata la condotta omissiva degli imputati detentori, la causa dell’evento verificatosi.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 10 gennaio – 5 maggio 2014, numero 18446 Presidente Zecca – Relatore Izzo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 21\6\2013 la Corte di Appello di Torino, in sede di rito abbreviato, confermava la condanna dei coniugi P.B. e L.M. per il delitto di cui all'articolo 589 c.p. per cooperazione colposa nell'omicidio in danno del minore dodicenne R.F. acc. in Villafranca d'Asti il 2\7\2007 . Agli imputati era stato contestato di avere, in qualità di genitori del minore P.A., coetaneo della vittima, lasciato i ragazzi da soli in casa in una tavernetta in cui era presente una vetrinetta all'interno della quale vi erano 6 fucili e munizioni. A causa della negligente custodia delle armi, era stato possibile per il piccolo P. impadronirsi di un arma e di sparare un colpo che aveva attinto mortalmente il compagno di giochi. Osservava la Corte di merito che la responsabilità degli imputati emergeva dalle seguenti circostanze - la vetrinetta ove erano esposte le armi si trovava in una tavernetta destinata a giochi, tanto vero che al suo interno vi erano presenti un tavolo da ping pong ed un biliardo - la vetrinetta era accessibile, in quanto la chiave o era inserita nella serratura, o appoggiata sul ripiano sito a fianco - anche le munizioni erano accessibili, in quanto appese alla parete - tali circostanze erano note a tutti e due i genitori del piccolo A. i quali avevano posto in essere negligentemente le condizioni per il verificarsi dell'evento, il P., non custodendo adeguatamente i suoi fucili la L. perché, consapevole della circostanza, aveva lasciato soli in casa i ragazzi senza o chiudere la tavernetta oppure chiudere la vetrinetta portando al seguito la chiave. Sulla base di tali considerazioni la corte distrettuale confermava la pronuncia di condanna. 2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati, a mezzo del loro difensore il difensore, lamentando 2.1. in relazione al P., il vizio di motivazione, laddove il giudice di merito non aveva considerato che la chiave della vetrinetta si trovava su una ciotola posta su una mensola ad altezza di mt. 2,06 e quindi in posizione non accessibile al figlio minore undicenne di altezza di mt. 1,50. 2.2. in relazione alla L., la mancanza di motivazione in ordine alla circostanza che l'imputata faceva affidamento sulla diligenza del marito nella custodia delle armi, affidamento avvalorato dal fatto che in tanti anni di uso della tavernetta mai nulla era accaduto. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. Va premesso che le circostanze nelle quali si è verificato il triste fatto di sangue sono state acclarate in modo non controverso i bambini si trovavano da soli a giocare nella tavernetta nel locale era presente una vetrina con 6 fucili la chiave della vetrina era accessibile, come dimostrato dal fatto che il mobile era stato aperto con assoluta facilità appesa al muro vi erano cartucciere contenenti munizioni. Ciò premesso va evidenziato che la giurisprudenza di questa Corte di legittimità, con orientamento consolidato, ritiene che in tema di omicidio colposo, per omessa adeguata custodia di armi da sparo e relativo munizionamento, risultano irrilevanti le circostanze di fatto in presenza delle quali l'evento si verificò, rappresentando l'occasione, e, ove riferibili a comportamenti umani responsabili, una concausa, dell'evento, la radice della responsabilità penale per colpa del proprietario-detentore dell'arma essendo radicata nella predetta condotta omissiva fattispecie di morte di un ragazzo ucciso da un colpo di fucile sparato dal figlio infraquattordicenne del proprietario dell'arma, il quale la aveva lasciata, incustodita, in un vano della casa in riatto, facilmente accessibile al figlio minore Cass. Sez. 4, Sentenza numero 2675 del 23/01/1990 Ud. dep. 26/02/1990 , Rv. 183479 conf. Cass. Sez. 4, Sentenza numero 50 del 14/01/1971 Ud. dep. 29/04/1971 , Rv. 117750 . 3. Consegue da quanto detto che correttamente i giudici di merito hanno ritenuto la condotta negligenza degli imputati nella custodia delle armi la causa dell'evento. Infatti essendo codetentori dei fucili avrebbero dovuto in modo adeguato disinnescare la fonte di pericolo, adottando cautele idonee, tra le quali certamente non rientra il posizionamento della chiave della vetrinetta sopra una mensola alta due metri, tantovero che il giovane A. non ha avuto alcuna difficoltà ad aprire il mobile. Né la L. può invocare il principio di affidamento, ciò in quanto la violazione di elementari regole cautelari, quali la accessibilità della chiave e la presenza di armi all'interno di un locale destinato a gioco dei bambini ivi lasciati da soli , erano evidenti pertanto la L. non poteva fare affidamento sulla diligenza del marito, in quanto la situazione di pericolo era palese e reiterata nel tempo. Segue al rigetto dei ricorsi, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.