Se gli alloggi vengono occupati illegalmente, il Giudice competente è sempre quello ordinario e non quello amministrativo, anche se di mezzo ci sono provvedimenti amministrativi del Comune.
Il caso. Nel settembre del 2002, persone prive di abitazione avevano occupato abusivamente gli appartamenti di uno stabile in costruzione lottizzazione Mazza, sita in Anzio, Corso Italia 36/b in cui sono compresi 14 alloggi appartenenti a vario titolo ai ricorrenti. La situazione si era protratta nel tempo, malgrado il tempestivo intervento delle forze di polizia in data 20 ottobre 2003, le forze di polizia liberavano 8 appartamenti che nel giro di pochi giorni venivano rioccupati . Dal canto suo il Comune di Anzio, aveva tentato altre vie per risolvere la situazione, sia offrendosi quale acquirente degli alloggi, sia quale locatario, ma il corrispettivo proposto non fu ritenuto conveniente dagli istanti. Permanendo la situazione di occupazione abusiva degli immobili, malgrado l’intervenuto sequestro disposto dal giudice penale e mancando interventi adeguati finalizzati allo sgombero, i ricorrenti, a distanza di quasi 10 anni dalla subita occupazione, avevano diffidato il Comune di Anzio ad adottare provvedimenti contingibili e urgenti per fronteggiare la situazione creatasi, ovvero a rendersi acquirente delle abitazioni, o in alternativa, a disporne immediatamente lo sgombero, impugnando davanti al TAR Lazio il silenzio dell’amministrazione sulla predetta diffida e, chiedendo contestualmente il risarcimento dei danni subiti. Ma il TAR Latina, ravvisava nella domanda dei ricorrenti un rapporto di natura privatistica, di spettanza del giudice ordinario, dichiarando di conseguenza inammissibile il ricorso. Con l’atto di appello posto all'attenzione della Sezione, i ricorrenti hanno chiesto l’annullamento o la riforma della sentenza di primo grado per error in iudicando alla stregua dei seguenti motivi violazione e falsa applicazione dell’articolo 54, d.lgs. numero 267/2000 violazione dell’articolo 97 Cost. difetto di motivazione violazione della legge numero 241/1990. Ma secondo il Collegio l’appello è irricevibile e, comunque, infondato. In particolare, è infondato avendo i ricorrenti proposto con lo stesso ricorso la domanda di risarcimento del danno che è soggetta a rito ordinario e, quindi a diversi e più ampi termini per la proposizione dell’appello. Azione inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo. E’ indubbio, infatti, ha osservato il Collegio, che l’azione proposta dai ricorrenti attraverso l’espediente processuale del rito del silenzio è volta al riconoscimento di una pretesa che ha natura di diritto soggettivo perfetto, ovvero la tutela del diritto di proprietà, o comunque di un diritto reale, a fronte dello spoglio da essi subito da parte di terzi. Ma la natura di diritto soggettivo della posizione da essi vantata ed alla cui tutela è preordinata l’azione, comporta la giurisdizione del giudice ordinario. E, invero, ai fini della giurisdizione, va considerato il rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non lo strumento processuale attraverso il quale le parti fanno valere la pretesa. E’, pertanto, irrilevante ai fini della giurisdizione, la circostanza che i ricorrenti abbiano utilizzato l’espediente processuale del silenzio – rifiuto – tipico del processo amministrativo - dopo aver diffidato in via formale l’amministrazione comunale a rendersi acquirente degli alloggi, abusivamente occupati da terzi, ovvero ad intervenire nell’esercizio del potere contingibile ed urgente a liberare gli alloggi. Ciò in quanto l’ammissibilità dell’azione non dipende dallo strumento utilizzato, né dalla prospettazione della parte, essendo essa fissata dalle norme processuali e sostanziali, che attribuiscono in via generale al giudice ordinario la tutela dei diritti soggettivi ed è indubbio, che nel caso in questione si controverte della tutela del diritto di proprietà sicché l’azione appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, il quale, peraltro, è in grado di offrire una tutela più diretta ed efficace. Da affrontare la grave emergenza abitativa. Peraltro, ha aggiunto il Collegio, relativamente alla contestazione di un comportamento poco solerte del Comune di Anzio nell’affrontare la situazione, sì da apparire connivente con gli occupanti, la situazione potrebbe rilevare solo nell’ambito dell’azione risarcitoria, che appartiene, comunque, come l’azione principale alla giurisdizione del giudice ordinario. E per quanto concerne la pretesa violazione da parte del Comune dell’articolo 54, comma 4, d.lgs. numero 267/2000, la Sezione ha osservato che la scelta di adottare lo strumento extra ordinem di cui al citato articolo 54 spetta all’amministrazione comunale e non può essere oggetto di pretesa da parte del privato. Anche in relazione al fatto che l’adozione dell’ordinanza contingibile e urgente presuppone non solo che la situazione verificatasi sia eccezionale e imprevedibile e pericolosa per l’incolumità dei cittadini, ma anche che non sia fronteggiabile con i normali rimedi apprestati dall’ordinamento. Tale non è indubbiamente la situazione verificatasi nel Comune di Anzio, che, pur caratterizzata da uno spoglio collettivo e di ampio respiro, è fronteggiabile con i tipici rimedi giurisdizionali, peraltro, coltivati dai ricorrenti. L’amministrazione comunale, comunque, non era rimasta inerte, malgrado la consapevolezza, più volte rappresentata agli istanti, che il problema andava affrontato con le cautele del caso, trattandosi di una grave situazione di emergenza abitativa che avrebbe potuto sfociare in problemi di ordine pubblico in caso di sgombero delle case.
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 4 dicembre 2012 - 24 aprile 2013, numero 2274 Presidente Trovato – Estensore Durante Fatto e diritto 1.- Con sentenza numero 1059 del 2012, il TAR Lazio, sede di Latina, dichiarò inammissibile, avendo rilevato il proprio difetto di giurisdizione, il ricorso proposto da Salvatore Esposito, Giuseppina Esposito, Massimo Esposito, Carmine Esposito, Gaetano Esposito, Vittorio Esposito e Teresa Fontanella, per l’accertamento del silenzio – rifiuto sull’istanza da essi presentata al Comune di Anzio per lo sgombero delle abitazioni di loro proprietà abusivamente occupate da terzi. 2.- In tempo risalente, precisamente nel mese di settembre 2002, era accaduto che persone prive di abitazione avevano occupato abusivamente gli appartamenti di uno stabile in costruzione lottizzazione Mazza, sita in Anzio, Corso Italia 36/b in cui sono compresi 14 alloggi appartenenti a vario titolo ai ricorrenti. La situazione si era protratta nel tempo, malgrado il tempestivo intervento delle forze di polizia in data 20 ottobre 2003, le forze di polizia liberavano 8 appartamenti che nel giro di pochi giorni venivano rioccupati . Dal canto suo il Comune di Anzio, aveva tentato altre vie per risolvere la situazione, sia offrendosi quale acquirente degli alloggi, sia quale locatario, ma il corrispettivo proposto non fu ritenuto conveniente dagli istanti. Permanendo la situazione di occupazione abusiva degli immobili, malgrado l’intervenuto sequestro disposto dal giudice penale e mancando interventi adeguati finalizzati allo sgombero, i ricorrenti, a distanza di quasi 10 anni dalla subita occupazione, avevano diffidato il Comune di Anzio ad adottare provvedimenti contingibili e urgenti per fronteggiare la situazione creatasi, ovvero a rendersi acquirente delle abitazioni, o in alternativa, a disporne immediatamente lo sgombero, impugnando davanti al TAR Lazio il silenzio dell’amministrazione sulla predetta diffida e, chiedendo contestualmente il risarcimento dei danni subiti. Il TAR Latina, ravvisava nella domanda dei ricorrenti un rapporto di natura privatistica, di spettanza del giudice ordinario, dichiarando di conseguenza inammissibile il ricorso. 3.- Con l’atto di appello in esame, essi ricorrenti, chiedono l’annullamento o la riforma della suddetta sentenza numero 1059 del 2012, per error in iudicando alla stregua dei seguenti motivi violazione e falsa applicazione dell’articolo 54 del d. lgs. numero 267 del 2000 violazione dell’articolo 97 della Costituzione difetto di motivazione violazione della legge numero 241 del 1990. Si è costituito in giudizio il Comune di Anzio che ha eccepito la tardività dell’appello e nel merito, ne ha chiesto il rigetto perché infondato in fatto e diritto. Le parti hanno depositato memorie difensive e, alla camera di consiglio del 4 dicembre 2012, il giudizio è stato assunto in decisione. 4.- L’appello è irricevibile e, comunque, infondato. 5.- In ordine alla irricevibilità, va considerato che il dimezzamento dei termini prevista dal codice del processo amministrativo si applica, ai sensi dell’articolo 117, anche al giudizio in materia di silenzio rifiuto. Ai sensi del citato articolo 117 c.p.a., la notifica dell’atto di appello sarebbe dovuta avvenire entro il 31 marzo 2012, nei tre mesi dal deposito della sentenza di primo grado avvenuta il 31 gennaio 2012, mentre l’atto di appello risulta notificato il 27 luglio 2012, oltre il suddetto termine di tre mesi . Da ciò consegue l’irricevibilità dell’appello per quanto attiene la pronuncia sul silenzio - rifiuto. 6.- L’appello è anche infondato nel merito e la pronuncia si rende necessaria, avendo i ricorrenti proposto con lo stesso ricorso la domanda di risarcimento del danno che è soggetta a rito ordinario e, quindi a diversi e più ampi termini per la proposizione dell’appello. Come rilevato dal giudice di primo grado, l’azione proposta dai ricorrenti è inammissibile per difetto di giurisdizione del giudice amministrativo. E’ indubbio che l’azione proposta dai ricorrenti attraverso l’espediente processuale del rito del silenzio è volta al riconoscimento di una pretesa che ha natura di diritto soggettivo perfetto, ovvero la tutela del diritto di proprietà, o comunque di un diritto reale, a fronte dello spoglio da essi subito da parte di terzi. La natura di diritto soggettivo della posizione da essi vantata ed alla cui tutela è preordinata l’azione, comporta la giurisdizione del giudice ordinario. Invero, ai fini della giurisdizione, va considerato il rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non lo strumento processuale attraverso il quale le parti fanno valere la pretesa. E’, pertanto, irrilevante ai fini della giurisdizione, la circostanza che i ricorrenti abbiano utilizzato l’espediente processuale del silenzio – rifiuto – tipico del processo amministrativo - dopo aver diffidato in via formale l’amministrazione comunale a rendersi acquirente degli alloggi, abusivamente occupati da terzi, ovvero ad intervenire nell’esercizio del potere contingibile ed urgente a liberare gli alloggi. Come detto, l’ammissibilità dell’azione non dipende dallo strumento utilizzato, né dalla prospettazione della parte, essendo essa fissata dalle norme processuali e sostanziali, che attribuiscono in via generale al giudice ordinario la tutela dei diritti soggettivi ed è indubbio, che nel caso in questione si controverte della tutela del diritto di proprietà sicché l’azione appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, il quale, peraltro, è in grado di offrire una tutela più diretta ed efficace. 6.- Quanto al riferimento contenuto negli scritti difensivi ad un comportamento poco solerte del Comune di Anzio nell’affrontare la situazione, sì da apparire connivente con gli occupanti, la situazione potrebbe rilevare solo nell’ambito dell’azione risarcitoria, che appartiene, comunque, come l’azione principale alla giurisdizione del giudice ordinario. 7.- Per mera completezza, quanto alla pretesa violazione da parte del Comune dell’articolo 54, comma 4, del d. lgs. numero 267 del 2000, va osservato, che la scelta di adottare lo strumento extra ordinem di cui al citato articolo 54 spetta all’amministrazione comunale e non può essere oggetto di pretesa da parte del privato e che, comunque, l’adozione dell’ordinanza contingibile e urgente presuppone non solo che la situazione verificatasi sia eccezionale e imprevedibile e pericolosa per l’incolumità dei cittadini, ma anche che non sia fronteggiabile con i normali rimedi apprestati dall’ordinamento. Tale non è indubbiamente la situazione verificatasi nel Comune di Anzio, che, pur caratterizzata da uno spoglio collettivo e di ampio respiro, è fronteggiabile con i tipici rimedi giurisdizionali, peraltro, coltivati dai ricorrenti. L’amministrazione comunale, comunque, non era rimasta inerte, malgrado la consapevolezza, più volte rappresentata agli istanti, che il problema andava affrontato con le cautele del caso, trattandosi di una grave situazione di emergenza abitativa che avrebbe potuto sfociare in problemi di ordine pubblico in caso di sgombero delle case. Per quanto sin qui esposto, l’appello va dichiarato in parte irricevibile e per il resto infondato. Quanto alle spese di giudizio, sussistono giusti motivi per disporre la compensazione tra le parti. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo dichiara in parte irricevibile e per il resto lo respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.