Zero prove di rapporti uomo-donna, ma riconoscimento sostanziale della figlia: paternità acclarata

Decisivo il peso specifico delle dichiarazioni scritte di alcuni parenti dell’uomo, oramai deceduto, e relative al fatto che l’uomo avesse, in sostanza, riconosciuto il legame con la presunta figlia, ospitandola anche a casa per un periodo. Respinte le obiezioni dei parenti più stretti dell’uomo.

“Verba volant, scripta manent”, sostenevano gli antichi latini. Ciò vale anche quando bisogna sciogliere un nodo delicatissimo quello relativo alla presunta paternità di un uomo, oramai deceduto da tempo. Proprio le dichiarazioni scritte del fratello, della cognata e del cugino dell’uomo, difatti, sono bastevoli per considerare acclarato il rapporto parentale con la presunta figlia. Cass., sent. numero 4175/2014, Prima Sezione Civile, depositata oggi Paternità postuma. Oltre cinquant’anni di attesa poi la richiesta di una donna di vedere dichiarato il rapporto diretto col presunto padre, un uomo oramai deceduto. Ancora alcuni anni di attesa, poi, infine, la decisione del Tribunale che dichiara la condizione della donna di «figlia naturale». E questa linea di pensiero è condivisa, nonostante le obiezioni dei parenti dell’uomo, anche dai giudici della Corte d’Appello decisivi gli «elementi probatori acquisiti», utili a dimostrare che la donna era effettivamente «figlia» di quello che, sino ad allora, era stato solo il presunto «padre». Più in particolare, il richiamo dei giudici è alle «dichiarazioni scritte rilasciate dal fratello» dell’uomo, dalla cognata e da un cugino, dichiarazioni con cui si ‘certifica’ «tale rapporto, che sarebbe stato riconosciuto» dall’uomo stesso quando era ancora in vita, come confermato anche dalla «presenza» della donna – e «anche della madre» – a casa dell’uomo «all’epoca della frequenza della scuola». Scripta. Di fronte a questo quadro, però, i parenti più stretti dell’uomo decidono di proseguire nella battaglia giudiziaria, contestando in maniera netta la «dichiarazione di paternità», e criticando il ‘peso specifico’ riconosciuto alle «dichiarazioni scritte» utilizzate nei primi due gradi di giudizio. A dare sostegno a questa visione, peraltro, i parenti dell’uomo richiamano anche il fatto che «non esisteva alcuna dichiarazione della madre» della donna e nessuna prova della «esistenza di rapporti sessuali». Allora, si domandano, perché basarsi solo su «elementi indiziari, quali le dichiarazioni provenienti da terzi, non confermate nelle forme della prova testimoniale»? Anche tenendo presente la «assenza di rapporti» tra l’uomo e la presunta figlia, la «mancata menzione» della donna «nel testamento», aggiungono i parenti dell’uomo. Eppoi, per concludere, viene anche rimarcato il «decorso di oltre cinquant’anni, prima che» la donna «proponesse l’azione per il riconoscimento della paternità naturale» Tutto troppo sospetto, secondo i parenti dell’uomo. Ma questa visione, all’insegna della diffidenza, viene considerata non realistica dai giudici del ‘Palazzaccio’, i quali mostrano di condividere appieno l’ottica adottata in Corte d’Appello detto in maniera chiara, le «dichiarazioni scritte» hanno rappresentato «elementi indiziari» più che sufficienti per ritenere fondata «la domanda» proposta dalla donna. Soprattutto tenendo presente l’attestazione del riconoscimento, da parte dell’uomo, del «rapporto di filiazione», come testimoniato anche dal fatto che la donna, da giovanissima, aveva vissuto «per un certo periodo» a casa dell’uomo.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 10 giugno 2013 – 21 febbraio 2014, numero 4175 Presidente Luccioli – Relatore San Giorgio Ritenuto in fatto 1. – M.L. propose domanda diretta ad ottenere la dichiarazione giudiziale di paternità, assumendo di essere figlia di A.S., deceduto il 14 febbraio 1992. La domanda fu accolta con sentenza del Tribunale di Lecce del 24 settembre 1997, annullata nel 2001 dalla Corte d'appello di Lecce, che rimise la causa al primo giudice per l'integrazione del contraddittorio. 2. - La L. propose una nuova domanda allo stesso Tribunale, che, con sentenza depositata il 19 novembre 2007, dichiarò che M.L. era figlia naturale di A.S. Avverso tale sentenza proposero appello V.S., M. e R.F., R.S. e A.G.M., sostenendo che i residui motivi fossero stati ritenuti assorbiti dalla sentenza, e che, quindi, non essendosi formato il giudicato sul punto, la sentenza impugnata avrebbe dovuto estromettere i fratelli F. e la M., e che, nel merito, la domanda della L. avrebbe dovuto essere ritenuta infondata per difetto di prova. Successivamente, R.S. e A.G.M. rinunciarono al gravame. 3. - La Corte d'appello di Lecce, con sentenza depositata il 13 luglio 2010, rigettò il gravame, ritenendo che gli elementi probatori acquisiti avessero dimostrato inequivocabilmente che la L. era figlia del S. In tal senso deponevano le dichiarazioni scritte, non contestate dai convenuti, rilasciate dal fratello del S. e da sua moglie, oltre che da un cugino dello stesso, in cui si affermava espressamente tale rapporto, che sarebbe stato riconosciuto dal S. e confermato dalla presenza presso la sua abitazione della L. all'epoca della frequenza della scuola e per qualche tempo anche della madre. A tali dichiarazioni si aggiungeva la documentazione fotografica prodotta dall'attrice, che confermava la presenza della L. presso l'abitazione del S. in diversi periodi della sua vita. Ulteriori elementi di prova si desumevano, secondo la Corte di merito, da numerose deposizioni e dalla mancata comparizione senza giustificato motivo delle parti contumaci e di M. e R.F. all'udienza fissata per il loro interrogatorio formale. 4. - Per la cassazione di tale sentenza ricorrono V.S., M. e R.F. sulla base di un unico motivo. Resiste con controricorso la L., che ha anche depositato memoria illustrativa. Considerato in diritto 1. - Con l'unico motivo di ricorso si denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione su fatto controverso e decisivo. Premesso che non esisteva agli atti alcuna dichiarazione della madre della L. e che non era provata la esistenza di rapporti sessuali fra costei ed il presunto padre della L., i ricorrenti contestano, in quanto inidonei a sorreggere la decisione impugnata, tutti gli elementi indiziari valorizzati a tal fine dalla Corte di merito, quali le dichiarazioni provenienti da terzi, non confermate nelle forme della prova testimoniale le fotografie, ritenute irrilevanti, essendo incontestato che la L. fosse vissuta per un certo periodo presso il S. le ammissioni di alcuni convenuti, noh disinteressate, tant'è che chi le aveva rese era stato poi estromesso dal giudizio la mancata comparizione a rendere l'interrogatorio, elemento a sua volta irrilevante, in quanto gli odierni ricorrenti, in quanto meri legatari del de cuius, non potevano essere a conoscenza di fatti riguardanti la vita di quest'ultimo e risalenti a decenni or sono. Per converso, la Corte di merito avrebbe obliterato altri elementi che militavano in senso opposto alle ragioni della L., come l'assenza di rapporti tra lei e il S. da molti anni prima della morte di lui, la mancata menzione della stessa nel testamento dell'uomo, il decorso di oltre cinquanta anni prima che la L. proponesse l'azione per il riconoscimento della paternità naturale. Aggiungono i ricorrenti che gli indizi ritenuti sufficienti dalla Corte di merito a dimostrare il rapporto di filiazione di cui si tratta erano già stati giudicati inidonei a tale scopo dalla stessa Corte con la precedente sentenza del 2001. 2. - La censura è priva di fondamento. Il tessuto argomentativo della sentenza impugnata dà esaustivamente conto del percorso logico-giuridico seguito dalla Corte salentina per raggiungere il convincimento della sussistenza del rapporto di filiazione tra il S. e la L., del quale costei aveva chiesto il riconoscimento. Esso si fonda su di una serie di elementi indiziari risultanti dalla istruttoria espletata, articolatamente e dettagliatamente descritti nella sentenza, dalla cui concordanza il giudice di secondo grado ha motivatamente e non illogicamente - e perciò incensurabilmente - desunto la fondatezza della domanda della L. 3. - Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato. In applicazione del principio della soccombenza, le spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo, devono essere poste a carico dei ricorrenti in solido. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio, che liquida in complessivi euro 2700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre agli accessori di legge. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 52.