Tav più cara: ma sulla salute non si deve risparmiare

Si è deciso di sostituire la barriera fonoassorbente-fonoriflettente, inizialmente prevista lungo la linea ferroviaria, con un intervento di mitigazione acustica sull’immobile destinato ad albergo e ad abitazione e, quindi, esclusivamente sul ricettore, con ciò risparmiando.

Ma secondo il Tar Piemonte, tale soluzione non è rispettosa del dettato normativo - articolo 11 Regolamenti di esecuzione legge 26 ottobre 1995, numero 447 e articolo 4 d.P.R. 18 novembre 1998, numero 459 -, che impone le soluzioni di mitigazione acustica da adottare secondo una scala di gerarchia, in base alla quale occorre preliminarmente intervenire sulla sorgente adottando le migliori tecnologie disponibili. La soluzione adottata dall’Amministrazione, al contrario, prevedendo esclusivamente l’intervento sul ricettore non ha rispettato la scala di priorità normativamente imposta, risultando giustificata da esclusive ragioni economiche che, tuttavia, non sono consentite dalla normativa vigente. Il Consiglio di Stato ha affermato che non può condividersi l’interpretazione, prospettata dagli appellanti RFI-Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. e Consorzio Alta Velocità Torino-Milano, dell’articolo 4 Infrastrutture di nuova realizzazione con velocità di progetto superiore a 200 km/h del d.P.R. 18 novembre 1998, numero 459 Regolamento recante norme di esecuzione dell'articolo 11 della legge 26 ottobre 1995, numero 447, in materia di inquinamento acustico derivante da traffico ferroviario , secondo cui valutazioni di opportunità, basate anche solo su mere ragioni di convenienza economica, potrebbero giustificare l’imposizione di soluzioni di mitigazione acustica sul ricettore anziché sulla sorgente del rumore. Prevenire l'emissione e non contenere l'immissione. La mitigazione del rumore con apposite barriere è una misura di prevenzione materiale degli effetti dell’inquinamento acustico che va applicata secondo scelte tecniche da operare non in ragione del solo costo economico ma anche, nei limiti di ragionevolezza e proporzionalità, degli effetti e della incidenza sugli interessi potenzialmente lesi da quell’inquinamento. In questo quadro, una barriera di mitigazione materiale del rumore da alta velocità ferroviaria applicata al ricettore anziché alla sorgente appare irragionevole e sproporzionata. Essa infatti appare muovere dalla considerazione del fenomeno dell’inquinamento acustico come danno da circoscrivere a un puntuale immobile che ne sia destinatario nella sua oggettiva materialità e nel suo uso dal solo interno, quasi si tratti di un bilaterale rapporto di scontato danno a cose anziché di prevenzione di un effetto diffuso nell’ambiente circostante. Invece si tratta di contenere l’emissione, piuttosto che prevenire l’immissione, di danni e disagi diffusi, da propagazione in incertam personam, che compromettono beni primari come la salute umana e la qualità della vita quiete e la stessa consistenza materiale delle cose altrui. Dunque, secondo il Collegio, va considerato che, ai fini dell’abbattimento del rumore ferroviario mediante schermi fonoassorbenti o altri mezzi passivi di contenimento, l’immobile di proprietà dell'originario ricorrente destinato ad albergo ed abitazione, andava seriamente preso in considerazione come un ambiente di vita, con tanto di spazio circostante, dal quale si va e si viene, ed eventualmente anche di una fonte di reddito d’impresa. La definizione di ricettore. Del resto, lo stesso articolo 2, comma 1, della legge 26 ottobre 1995, numero 447 Legge quadro sull'inquinamento acustico definisce lett. a “inquinamento acustico” tra l’altro “l'introduzione di rumore nell'ambiente abitativo o nell'ambiente esterno” e lett. e per “ricettore” non solo l’edificio ma anche “le relative aree esterne di pertinenza” ed altre aree all’aperto. E l’articolo 4, comma 2, del d.P.R. numero 459 del 1998 enuncia con evidenza il principio di una preferenza per le opere di mitigazione sulla sorgente che non può, anche ai fini di un’interpretazione costituzionalmente orientata articolo 3 e 32 Cost. , non essere considerato come tendenzialmente generale. Perciò, nei termini in cui è materialmente possibile, la mitigazione materiale va senz’altro applicata “a monte”, vale a dire nella maggior prossimità possibile alla sorgente del rumore, in quanto posizione che massimizza l’effetto schermante. A fronte di tali considerazioni circa i beni sostanziali toccati, non appaiono ragionevoli valutazioni restrittive, che possono apparire surrettiziamente tese a mantenere integra, in loro danno, l’esternalizzazione del costo dell’inquinamento. In sostanza, il quadro normativo di riferimento imponeva dunque, nel caso di specie, all’Amministrazione di seguire, come bene ritenuto dal Tribunale amministrativo regionale, una linea di priorità volta a privilegiare, sulla base delle tecnologie disponibili, la soluzione meno gravosa per la proprietà e la vita limitrofa.

Consiglio di Stato, sez. VI, sentenza 22 ottobre 2013 - 9 gennaio 2014, numero 35 Presidente Severini – Estensore Giovagnoli Fatto e diritto 1. Vengono in decisione gli appelli proposti da RFI-Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. e dal Consorzio Alta Velocità Torino-Milano per ottenere la riforma della sentenza, di estremi indicati in epigrafe, con la quale il Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte ha accolto il ricorso proposto dal signor Franco Paladini e per l’effetto, ha annullato parzialmente, nella parte riferita agli interventi sulla proprietà del ricorrente, la delibera numero 65 del 2 maggio 2007, con la quale è stata approvata la variante per gli interventi di mitigazione acustica su ricettori isolati lungo la sub tratta AV/AC “Torino-Novara”, della tratta AV/AC “Torino-Milano”. 2. Con la variante progettuale impugnata, si è prevista la sostituzione di una barriera fonoassorbente-fonoriflettente, inizialmente prevista lungo la linea ferroviaria, con un intervento di mitigazione acustica sull’immobile di proprietà del ricorrente destinata ad albergo e ad abitazione e, quindi, esclusivamente sul ricettore. 3. Secondo il Tribunale amministrativo regionale, tale soluzione non è rispettosa del dettato normativo - articolo 11 Regolamenti di esecuzione legge 26 ottobre 1995, numero 447 e articolo 4 d.P.R. 18 novembre 1998, numero 459 -, che impone le soluzioni di mitigazione acustica da adottare secondo una scala di gerarchia, in base alla quale occorre preliminarmente intervenire sulla sorgente adottando le migliori tecnologie disponibili. La soluzione adottata dall’Amministrazione, al contrario, prevedendo esclusivamente l’intervento sul ricettore non rispetta la scala di priorità normativamente imposta e risulta giustificata da esclusive ragioni economiche che, tuttavia, secondo la sentenza appellata, non sono consentite dalla normativa vigente. 4. RFI, che non era costituita in primo grado, nel suo atto di appello formula le seguenti censure - deduce, anzitutto, l’inammissibilità del ricorso introduttivo, in quanto il progetto esecutivo della tratta ferroviaria, comprensivo degli interventi di mitigazione dell’impatto acustico sull’immobile del signor Paladini, sarebbe stato approvato con precedenti atti non dapprima dalla conferenza di servizi del 2000 e poi successivamente dalla delibera RFI numero 63/2002 . Pertanto, la mancata impugnazione tempestiva degli atti pregressi che già prevedevano l’intervento in questa sede contestato renderebbe ormai irricevibile per tardività o comunque inammissibile per difetto di interesse, a fronte della mancata impugnazione degli atti presupposti , il ricorso proposto solo contro la successiva delibera di RFI numero 65/2007. - nel merito, RFI sostiene che la scelta effettuata di intervenire direttamente sul ricettore trova la sua giustificazione nell’articolo 4 d.P.R. numero 459 del 1998 che non imporrebbe alcuna gerarchia tra interventi alla sorgente e interventi sul ricettore, ma, anzi, al comma 5, consentirebbe interventi diretti sul ricettore anche in base a semplici ragioni di opportunità fondate su valutazioni tecniche, economiche o di carattere ambientale. 5. Per ottenere la riforma della sentenza in esame ha proposto appello anche in Consorzio Alta Velocità Torino-Milano di seguito, anche solo Cavtomi , deducendo l’erroneità della sentenza di primo grado nella parte in cui non ha riconosciuto il proprio difetto di legittimazione passiva. Cavtomi sostiene di aver agito in nome e per conto del committente TAV/RFI e dunque quale mero esecutore delle scelte discrezionali del committente, richiamando l’orientamento della Corte di Cassazione secondo cui in relazione al procedimento espropriativo, il ruolo di soggetto legittimato passivamente spetta a colui che risulti beneficiario e destinatario del decreto ablatorio e, quindi, nella specie a RFI. 6. In entrambi i giudizi si è costituito il signor Franco Paladini chiedendo il rigetto degli appelli. Il Paladini ha eccepito l’inammissibilità del primo motivo di appello proposto da RFI diretto a dimostrare l’inammissibilità del ricorso introduttivo per mancata impugnazione di atti presupposti . Richiama, a sostengo di tale eccezione, l’articolo 104, commi 1 e 2, Cod. proc. amm. Secondo l’appellato, in particolare, le eccezioni in senso lato quale quella di inammissibilità del ricorso introduttivo , possono essere rilevate d’ufficio in appello solo se la loro fondatezza risulta da elementi probatori ritualmente acquisiti agli atti nel giudizio di primo grado, ed ivi discussi nel contraddittorio delle parti. Poiché la documentazione volta a dimostrare l’esistenza di atti lesivi presupposti non impugnati è stata prodotta direttamente in appello, la relativa eccezione di inammissibilità che presuppone l’esistenza di tali atti sarebbe a sua volta inammissibile in appello. 7. Alla pubblica udienza del 22 ottobre 2013, la causa è stata trattenuta per la decisione. 8. Occorre anzitutto disporre la riunione degli appelli trattandosi di impugnazioni proposte nei confronti della medesima sentenza. 9. Gli appelli non meritano accoglimento, alla luce delle considerazioni che seguono. 9.1. L’eccezione di inammissibilità del ricorso introduttivo sollevata da RFI con specifico motivo di appello per mancata impugnazione degli atti presupposti la delibera conclusiva della conferenza di servizi del 14 luglio 2000 e la successiva delibera Rfi numero 62/2002, che già prevedevano l’intervento di mitigazione acustica contestato non ha pregio in quanto anche a prescindere dalla ritualità della sua proposizione direttamente in appello - il ricorrente di primo grado ha ritualmente impugnato la delibera RFI numero 65/2007, nella parte in cui puntualmente e specificamente incide sulle sue prerogative dominicali prescrivendo la realizzazione di opere di mitigazione acustica sull’immobile ove egli esercita un’attività alberghiera. Tale delibera, in quanto comunque adottata all’esito di un autonomo procedimento, non può ritenersi atto meramente confermativo delle scelte progettuali già effettuate negli atti presupposti del 2000 e del 2002 costituisce, al contrario, una conferma in senso proprio, procurando, quindi, al ricorrente una nuova e autonoma lesione che ne giustifica l’impugnazione anche in via autonoma - inoltre, il thema decidendum del ricorso introduttivo deve essere determinato non sulla base della formalistica e nominale indicazione degli atti di cui si chiede specificamente l’annullamento, ma in modo sostanziale, tenendo conto delle censure effettivamente formulate e della consistenza della pretesa sostanziale dedotta in giudizio. Il ricorrente, del resto, contesta la legittimità della scelta progettuale ribadita nella delibera RFI numero 65/2007, estendendo però l’impugnazione anche agli atti presupposti, pur senza nominarli specificamente. Tale formula, tuttavia, considerata la consistenza dei motivi proposti e la sostanza della pretesa fatta valere in giudizio, deve ritenersi idonea ad includere nel thema decidendum anche la legittimità di atti pregressi che già contemplavano soluzioni progettuali corrispondenti a quelli poi confermate in sede di adozione della delibera numero 65/2007, ovvero tutti gli atti che, sebbene non indicati nominalmente, attengono allo stesso rapporto controverso dedotto in giudizio. Altrimenti opinando, infatti, si costringerebbe il ricorrente a defatiganti e formalistiche ricerche volte all’esatta ricostruzione della serie procedimentale che sfocia nell’adozione della delibera lesiva. 9.2. È infondata anche l’eccezione pregiudiziale sollevata dal Consorzio Alta Velocità Torino-Milano in ordine ad un presento difetto di legittimazione passiva. È dirimente, per radicare la legittimazione passiva, la circostanza che il Consorzio ha partecipato alla progettazione esecutiva, che è la proprio sede nel cui ambito è stata approvata la progettazione degli interventi di mitigazione acustica che vengono in questa sede contestati. 9.3. Nel merito, gli appelli sono infondati in quanto non può condividersi l’interpretazione, prospettata dagli appellanti RFI-Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. e Consorzio Alta Velocità Torino-Milano, dell’articolo 4 Infrastrutture di nuova realizzazione con velocità di progetto superiore a 200 km/h del d.P.R. 18 novembre 1998, numero 459 Regolamento recante norme di esecuzione dell'articolo 11 della legge 26 ottobre 1995, numero 447, in materia di inquinamento acustico derivante da traffico ferroviario , secondo cui valutazioni di opportunità, basate anche solo su mere ragioni di convenienza economica, potrebbero giustificare l’imposizione di soluzioni di mitigazione acustica sul ricettore anziché sulla sorgente del rumore. Invero, la mitigazione del rumore con apposite barriere è una misura di prevenzione materiale degli effetti dell’inquinamento acustico che va applicata secondo scelte tecniche da operare non in ragione del solo costo economico ma anche, nei limiti di ragionevolezza e proporzionalità, degli effetti e della incidenza sugli interessi potenzialmente lesi da quell’inquinamento. In questo quadro, una barriera di mitigazione materiale del rumore da alta velocità ferroviaria applicata al ricettore anziché – come qui domandato - alla sorgente appare irragionevole e sproporzionata. Essa infatti appare muovere dalla considerazione del fenomeno dell’inquinamento acustico come danno da circoscrivere a un puntuale immobile che ne sia destinatario nella sua oggettiva materialità e nel suo uso dal solo interno, quasi si tratti di un bilaterale rapporto di scontato danno a cose anziché di prevenzione di un effetto diffuso nell’ambiente circostante. Invece si tratta di contenere l’emissione, piuttosto che prevenire l’immissione, di danni e disagi diffusi, da propagazione in incertam personam, che compromettono beni primari come la salute umana e la qualità della vita quiete e la stessa consistenza materiale delle cose altrui. Dunque va considerato che, ai fini dell’abbattimento del rumore ferroviario mediante schermi fonoassorbenti o altri mezzi passivi di contenimento, l’immobile andava seriamente preso in considerazione come un ambiente di vita, con tanto di spazio circostante, dal quale si va e si viene, ed eventualmente come è qui stato rappresentato anche di una fonte di reddito d’impresa. Del resto, lo stesso articolo 2, comma 1, della legge 26 ottobre 1995, numero 447 Legge quadro sull'inquinamento acustico definisce lett. a “inquinamento acustico” tra l’altro “l'introduzione di rumore nell'ambiente abitativo o nell'ambiente esterno” e lett. e per “ricettore” non solo l’edificio ma anche “le relative aree esterne di pertinenza” ed altre aree all’aperto. E l’articolo 4, comma 2, del d.P.R. numero 459 del 1998 enuncia con evidenza il principio di una preferenza per le opere di mitigazione sulla sorgente che non può, anche ai fini di un’interpretazione costituzionalmente orientata articolo 3 e 32 Cost. , non essere considerato come tendenzialmente generale. Perciò, nei termini in cui è materialmente possibile, la mitigazione materiale va senz’altro applicata “a monte”, vale a dire nella maggior prossimità possibile alla sorgente del rumore, in quanto posizione che massimizza l’effetto schermante. A fronte di tali considerazioni circa i beni sostanziali toccati, non appaiono ragionevoli valutazioni restrittive, che possono apparire surrettiziamente tese a mantenere integra, in loro danno, l’esternalizzazione del costo dell’inquinamento. Il quadro normativo di riferimento imponeva dunque, nel caso di specie, all’Amministrazione di seguire, come bene ritenuto dal Tribunale amministrativo regionale, una linea di priorità volta a privilegiare, sulla base delle tecnologie disponibili, la soluzione meno gravosa per la proprietà e la vita limitrofa. Poiché tale priorità è stata disattesa senza alcuna plausibile motivazione, la scelta progettuale adottata risulta illegittima. La sentenza appellata merita, quindi, conferma. 10. Sussistono i presupposti, considerata la parziale novità delle questioni esaminate, per compensare le spese del giudizio di appello. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Sesta , definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, ne dispone la riunione e li respinge. Spese compensate. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.