Muore per una fuga di gas in casa: apodittica l’affermazione relativa all’inidoneità dello strumento di rilevazione

Nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica che poggi su un compendio fattuale idoneo, adeguatamente esposto dal decidente.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza numero 985 del 13 gennaio 2014. Una fuga di gas. La Corte d’Appello di Cagliari dichiarava responsabile di omicidio colposo il legale rappresentante di una società aggiudicataria, da parte del Comune sardo, del servizio di produzione e distribuzione canalizzata del gas, nonché della conduzione e della manutenzione degli impianti e delle relative reti. Il fatto era relativo al decesso di una donna per avvelenamento da ossido di carbonio che si era infiltrato nell’abitazione per la rottura di un tubo della conduttura. L’uomo veniva accusato per imprudenza, negligenza, imperizia, avendo dotato i tecnici della società di un’apparecchiatura portatile di tipo esplosimetro non in grado di rilevare la presenza della sostanza nociva nell’ambiente, come evidenziato nei giorni precedenti a seguito delle richieste di alcuni inquilini dello stabile che avevano segnalato infiltrazioni di gas. I giudici di primo grado non avevano ravvisato profili di colpa in capo all’imputato, ritenendo assai dubbio che l’adozione di strumenti di rilevazione più sensibili avrebbe consentito di impedire l’evento. Ma la Corte territoriale sosteneva il contrario, e cioè che egli non avrebbe dovuto fidarsi di quello strumento. L’uomo propone ricorso, soprattutto per relativamente all’articolo 40 c.p. e al nesso di causalità. Se le decisioni del giudice di primo e di secondo grado sono discordanti, la difformità deve essere validamente giustificata. Il ricorso merita accoglimento le affermazioni del giudice d’appello non trovano, infatti, un sicuro conforto nei dati fattuali disponibili. E, a tal proposito, la Suprema Corte ritiene opportuno ricordare che «quando le decisioni dei giudici di primo e di secondo grado siano concordanti, la motivazione della sentenza d’appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo. Nel caso in cui, invece, per diversità di apprezzamenti, per l'apporto critico delle parti o per le nuove eventuali acquisizioni probatorie, il giudice di appello ritenga di pervenire a conclusioni diverse da quelle accolte dal giudice di primo grado, non può allora egli risolvere il problema della motivazione della sua decisione inserendo nella struttura argomentativa di quella di primo grado - genericamente richiamata - delle notazioni critiche di dissenso, in una sorta di ideale montaggio di valutazioni ed argomentazioni tra loro dissonanti, essendo invece necessario che egli riesamini, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal giudice di primo grado, consideri quello eventualmente sfuggito alla sua delibazione e quello ulteriormente acquisito, per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni». Nel caso in questione, la Corte d’Appello si è limitata ad un’affermazione apodittica in ordine all’inidoneità dello strumento utilizzato per la rilevazione. Reato omissivo improprio. In tal modo è rimasto del tutto disatteso il principio posto dalle Sezioni Unite per il quale nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l'azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. Ma allora il relativo giudizio deve poggiare su un compendio fattuale idoneo, adeguatamente esposto dal decidente. La motivazione resa dalla sentenza impugnata in ordine all'efficienza causale della condotta colposa dell’imputato opera, quindi, un'errata applicazione dei principi in tema di nesso di causalità nei reati omissivi impropri. L’agente risponde solo se l’evento era evitabile. A ciò va aggiunto che, in tema di causalità nei reati colposi, l'agente risponde dell’evento provocato con la sua condotta colposa e non di un altro evento ipotizzato, anche se destinato a prodursi ugualmente, escludendosi la responsabilità soltanto per il caso in cui detto evento si sarebbe comunque verificato in relazione al medesimo processo causale, nei medesimi tempi e con la stessa gravità od intensità, poiché in tal caso dovrebbe ritenersi che l'evento imputato all'agente non era evitabile Probabilità di scongiurare il danno. Inoltre, nell'ambito dei reati colposi, la causalità si configura non solo quando il comportamento diligente imposto dalla norma a contenuto cautelare violata avrebbe certamente evitato l'evento antigiuridico che la stessa norma mirava a prevenire, ma anche quando una condotta appropriata avrebbe avuto significative probabilità di scongiurare il danno. Pertanto, non è corretto concludere per l'inevitabilità dell'evento prima di aver accertato che l'adozione di alcune misure avrebbe comunque comportato il prodursi dell'evento dannoso così come si è verificato. Restano, dunque, non sufficientemente spiegate le origini della infiltrazione di gas e le modalità della sua propagazione nell’appartamento della vittima. Per questo, è necessario un rinvio per un nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 18 luglio 2013 – 13 gennaio 2014, numero 985 Presidente Foti – Relatore Ciampi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 8 giugno 2012 la Corte d'appello di Cagliari, in riforma della sentenza del GUP presso il Tribunale di Cagliari in data 2 ottobre 2007, appellata dal Procuratore della Repubblica, dichiarava D.G. colpevole del reato ascrittogli e lo condannava alla pena di mesi 4 di reclusione oltre al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili. Il D.R. era stato tratto a giudizio per il reato di omicidio colposo in relazione al decesso per avvelenamento di ossido di carbonio di O.E. . In particolare gli era stato contestato, in qualità di legale rappresentante della ISGAS, società consortile a responsabilità limitata, aggiudicataria, in forza di contratto di appalto stipulato in data 1.10.2002 con il Comune di Cagliari, del servizio di produzione e distribuzione canalizzata nella rete cittadina del gas, nonché della conduzione e manutenzione degli impianti e delle relative reti, di aver cagionato la morte della suddetta O. , avvenuta il 18 maggio 2004 per avvelenamento da ossido di carbonio che si era infiltrato nell'abitazione per la rottura di un tubo della conduttura del gas interrato nella via Carloforte di Cagliari. Colpa consistita in imprudenza, imperizia e negligenza e segnatamente nell'aver dotato i tecnici della società di un'apparecchiatura portatile di tipo esplosimetro modello EX-TEC PM3 di costruzione H. Sewerin GmbH , non in grado di rilevare nell'ambiente concentrazioni di ossido di carbonio nell'ordine delle p.p.m., già nocive per l'organismo umano, sì che il dipendente dell'ISGAS S.P. , il quale alle ore 14,00 del giorno 17 maggio 2004 ed alle ore 8,50 del giorno successivo era intervenuto nello stabile dietro richiesta di alcuni inquilini che avevano segnalato infiltrazioni di gas a seguito della rottura della predetta conduttura, per inadeguatezza dello strumento utilizzato, non riscontrava l'ossido di carbonio, pur presente in concentrazioni pericolose. 2. Avverso tale decisione proponeva ricorso il D. lamentando la contraddittoria e manifesta illogicità della motivazione in relazione alle osservazioni dedotte dal medico legale in merito alla consulenza autoptica e l'erronea applicazione dell'articolo 40 c.p. in relazione alla individuazione del nesso di causalità. Considerato in diritto 3. Così sono stati ricostruiti fatti nelle sentenze di merito alle ore 11,45 del 18 maggio 2004 Anumero Cr. , un condomino del civico numero 282 del Corso Vittorio Emanuele di Cagliari, telefonava al servizio di segnalazione dei guasti della società ISGAS, riferendo che al primo piano dell'edificio si sentiva un forte odore di gas. Sul posto veniva inviato un tecnico specializzato S.P. munito di esplosimetro, che riscontrava una perdita proveniente dalla porta di ingresso di un appartamento al primo piano, dove aveva saputo abitare una donna anziana. Poiché nessuno rispondeva al campanello lo S. aveva richiesto l'intervento dei Vigili del Fuoco che erano giunti sul posto ed avevano ispezionato tutti gli altri appartamenti dello stabile, rilevando la presenza del gas in concentrazioni minime. Completata la verifica degli altri appartamenti i Vigili avevano quindi deciso di sfondare anche l'appartamento di cui sopra, ove avevano rinvenuto la O. ormai priva di vita, seduta davanti alla tavola imbandita e con il televisore acceso. I successivi accertamenti autoptici avevano consentito di accertare che le cause del decesso erano ascrivibili ad insufficienza acuta cardio polmonare dovuta ad intossicazione da ossido di carbonio. 4. Dalla indagine era altresì emerso che, nei giorni precedenti, analoghe segnalazioni erano pervenute all'ISGAS da parte dei residenti dell'isolato e che in particolare il 17 maggio lo stesso S. su richiesta del condomino V.G. residente al civico numero 280 era intervenuto non rilevando tracce di gas. Era altresì emerso che all'epoca dei fatti erano in corso dei lavori di ripristino del manto stradale che era stato interessato dall'intervento dell'ISGAS sulla rete di distribuzione nell'estate. 5. Il giudice di 1^ grado ha escluso che fossero ravvisabili profili di colpa in capo al D. , dopo averne individuato la relativa posizione di garanzia che si risolve -secondo il Tribunale nell'obbligo di protezione dei terzi dal rischio generato dalla attività di distribuzione del gas e non nel controllo di ogni fonte di contaminazione ambientale , in particolare ritenendo assai dubbio che l'adozione di strumenti di rilevazione più sensibili avrebbe consentito di impedire l'evento, anche perché entrambi gli interventi del 18 maggio erano stati effettuati in un momento in cui la O. era già deceduta. 6. La Corte territoriale, invece, ha ritenuto la responsabilità del D. che avrebbe dovuto non fidarsi dello strumento in dotazione dello S. che non aveva rilevato la presenza di ossido di carbonio a fronte della empirica opposta segnalazione del V. che si rivelò esatta, a dimostrazione della inidoneità dello strumento EX-TEC PM3 utilizzato dallo S. . 7. Tanto ricordato in fatto, va preliminarmente osservato che il reato ascritto al D. , è stato commesso in data 18 maggio 2004, mentre la sentenza di primo grado è del 2 ottobre 2007. Pertanto, secondo le disposizioni di diritto intertemporale di cui alla L. numero 251 del 2005, articolo 10, commi 2 e 3, deve trovare applicazione la più favorevole disciplina dettata dall'articolo 157 c.p., nella vigente formulazione, di talché il termine prescrizionale massimo deve individuarsi in anni sette e mesi sei. Detto termine è venuto nelle more a maturazione il 28 febbraio 2012, pur avuto riguardo alle sospensioni intervenute nel corso del procedimento. Le difformi valutazioni espresse dai giudici di primo e secondo grado conducono ad escludere la ricorrenza dei presupposti per una pronuncia liberatoria ai sensi dell'articolo 129 c.p.p., comma 2, ed atteso che il ricorso in esame non presenta profili di inammissibilità, per quanto si dirà in appresso, si deve allora procedere all'annullamento della sentenza impugnata ai fini penali, essendo il reato ascritto al D. estinto per intervenuta prescrizione. Quanto alle statuizioni civili i motivi di ricorso appaiono fondati, relativamente al giudizio concernente l'efficienza causale della condotta ascritta al D. . Le affermazioni del giudice d'appello non trovano infatti un sicuro conforto nei dati fattuali disponibili ed infatti il giudice di secondo grado non è stato nella possibilità di indicare sulla scorta di quali elementi e in ragione di quali leggi scientifiche egli abbia potuto esprimersi in dissenso dal primo giudice. Giova al riguardo ricordare che quando le decisioni dei giudici di primo e di secondo grado siano concordanti, la motivazione della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo. Nel caso in cui, invece, per diversità di apprezzamenti, per l'apporto critico delle parti e o per le nuove eventuali acquisizioni probatorie, il giudice di appello ritenga di pervenire a conclusioni diverse da quelle accolte dal giudice di primo grado, non può allora egli risolvere il problema della motivazione della sua decisione inserendo nella struttura argomentativa di quella di primo grado genericamente richiamata delle notazioni critiche di dissenso, in una sorta di ideale montaggio di valutazioni ed argomentazioni fra loro dissonanti, essendo invece necessario che egli riesamini, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal giudice di primo grado, consideri quello eventualmente sfuggito alla sua delibazione e quello ulteriormente acquisito, per dare, riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni Sez. U, numero 6682 del 04/02/1992, P.M., p.c. Musumeci ed altri, Rv. 191229 . Nel caso che occupa la Corte di Appello si è limitata ad un'affermazione invero apodittica in ordine alla inidoneità dello strumento utilizzato per la rilevazione, che non si confronta con il dato processuale dal quale il primo giudice aveva ritenuto di dover trarre la conclusione assolutoria. In tal modo è rimasto del tutto disatteso il principio posto dalle sezioni unite per il quale nel reato colposo omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l'azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l'interferenza di decorsi causali alternativi, l'evento, con elevato grado di credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva Sez. U, Sentenza numero 30328 del 10/07/2002, Franzese, Rv. 222138 . Quell'elevato grado di credibilità razionale richiesto dal S.C. presuppone che il relativo giudizio poggi su un compendio fattuale idoneo, adeguatamente esposto dal decidente. La motivazione resa dalla sentenza impugnata in ordine all'efficienza causale della condotta colposa del D. opera quindi un'errata applicazione dei principi in tema di nesso di causalità nei reati omissivi impropri. A ciò va aggiunto che, in tema di causalità nei reati colposi, l'agente risponde dell'evento provocato con la sua condotta colposa e non di un altro evento ipotizzato, anche se destinato a prodursi ugualmente, escludendosi la responsabilità soltanto per il caso in cui detto evento si sarebbe comunque verificato in relazione al medesimo processo causale, nei medesimi tempi e con la stessa gravità od intensità, poiché in tal caso dovrebbe ritenersi che l'evento imputato all'agente non era evitabile Cass. sez. 4, sent. numero 28782 del 09/06/2011, Cezza, Rv. 250713 . Inoltre, nell'ambito dei reati colposi la causalità si configura non solo quando il comportamento diligente imposto dalla norma a contenuto cautelare violata avrebbe certamente evitato l'evento antigiuridico che la stessa norma mirava a prevenire, ma anche quando una condotta appropriata avrebbe avuto significative probabilità di scongiurare il danno Cass. sez. 4, sent. numero 19512 del 14/02/2008, P.C. in proc. Aiana, Rv. 240172 . Pertanto, non è corretto concludere per l'inevitabilità dell'evento prima di aver accertato che l'adozione di alcune misure avrebbe comunque comportato il prodursi dell'evento dannoso così come si è verificato. Restano peraltro non sufficientemente spiegate le origini della infiltrazione di gas per la rottura della tubazione e le modalità della sua propagazione nell'appartamento della vittima, l'indicazione del momento in cui il D. avrebbe dovuto rendersi conto della gravità della situazione e porvi rimedio. 8. Al rilevato difetto motivazionale deve seguire un rinvio per nuovo esame. Sul punto la Corte ritiene di seguire il prevalente orientamento giurisprudenziale che, avuto riguardo alla prospettiva giuridica nella quale il nuovo giudizio deve essere affrontato, individua quale giudice di rinvio il giudice civile competente per valore in grado di appello Sez. 5, numero 9399 del 05/02/2007, Palazzi, Rv.235843 Sez. 4, numero 14450 del 19/03/2009, Stafissi, Rv.244002 Sez. 6, numero 26299 del 03/06/2009, Tamborrini, Rv.244533 Sez. 2, numero 32577 del 27/04/2010, Preti, Rv.247973 . 18. Al giudice del rinvio si demanda il regolamento delle spese fra le parti private per questo giudizio. P.Q.M. annulla senza rinvio la sentenza impugnata ai fini penali perché il reato è estinto per prescrizione. Annulla la stessa sentenza ai fini civili con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello al quale demanda il regolamento tra le parti delle spese del presente giudizio.