Le imputazioni per violenza sessuale ex articolo 609 bis c.p. descrivono fatti strutturalmente diversi. Non possono essere modificate in corso di causa senza far regredire il processo.
Il caso. Due imputati per violenza sessuale ricorrono avverso le sentenze di condanna comminate delle Corti di merito. Denunciano la mancata correlazione fra imputazione e sentenza, nonché l’irritualità delle procedure seguite dai giudici per modificare l’imputazione nel corso del processo. La Cassazione, Terza Sezione, numero 5986/2013 depositata il 7 febbraio, accoglie le doglianze in punto di nuove contestazioni, motivando come da narrativa. Le tre ipotesi di violenza ex articolo 609 bis c.p. costituiscono fatti essenzialmente diversi. La Cassazione specifica che costituisce fatto nuovo solo quello sostanzialmente incompatibile con il già contestato. Le tre condotte descritte nei due commi dell’articolo 609 bis c.p. costituiscono appunto fattispecie fattualmente distinte – per mezzi e modalità di esecuzione -, non surrogabili processualmente, a mezzo di nuove contestazioni parziali. Ne viene che la sentenza di condanna per uno dei fatti rubricati deve riposare sulla contestazione originaria che contenga quel fatto specifico – per il principio di correlazione fra imputazione e sentenza -, non essendo possibile correggere in corsa la mira – dall’uno all’altro dei tre fatti di reato ex articolo cit. – senza far regredire il processo - per quel solo nuovo fatto - allo stato iniziale. Niente termine a difesa in caso di nuove contestazioni nell’abbreviato non condizionato. Il pubblico ministero aveva ulteriormente qualificato il fatto senza mutarne le coordinate essenziali, già correttamente rubricate ex articolo 609 bis c.p. aveva altresì contestato la fattispecie ex articolo 527 c.p. – atti osceni in luogo pubblico. La Cassazione specifica il regime vigente in punto di nuove contestazioni che non mutino il fatto. Nel caso l’imputato abbia già richiesto l’abbreviato condizionato a nuove prove, la nuova contestazione consente all’imputato di rinunciare al rito – ex articolo 441 bis c.p.p. – e di procedere nelle forme ordinarie. Nel caso in cui – come in oggetto – l’abbreviato non sia stato condizionato a nuove prove, si invoca l’articolo 423 c.p.p. – dettato in punto di udienza preliminare - il p.m., in caso di assenza dell’imputato - contumace nel processo de quo - fa le nuove contestazioni al solo legale presente. La difesa invece, erroneamente per la Cassazione, richiedeva l’applicazione dell’articolo 519 c.p.p. – dettato in punto di disciplina dibattimentale -, il che avrebbe consentito al legale di poter chiedere termine a difesa, invece non concesso dal giudice dell’abbreviato. Nessuna dichiarazione di contumacia nell’appello che segue la sentenza che ha deciso il giudizio abbreviato. La Cassazione scansa la doglianza difensiva, non è contumace – ma semplicemente assente – l’imputato che non si presenta all’appello che segue il giudizio abbreviato. La Cassazione pare attenersi a quei precedenti giurisprudenziali che consentivano la dichiarazione di contumacia nel solo caso in cui la disponibilità a comparire fosse stata esplicitata, in precedenza, in sole forme dirette ed inequivoche. Gli Ermellini nel caso appaiono ancora più rigorosi «Nel giudizio abbreviato non trova applicazione l’istituto della contumacia dell’imputato». In realtà la Cassazione non si adegua alla giurisprudenza prevalente dell’articolo 599 c.p.p. – disciplinante le decisioni da rendere in appello in camera di consiglio – che ammette la contumacia, verificate alcune condizioni più blande di disponibilità rese dall’imputato. Anzi tale orientamento più consolidato è pure sostenuto dalle recenti Sezioni Unite numero 4694 del 27 ottobre 2011 , le quali ammettono la cittadinanza processuale in appello dell’istituto della contumacia che segue l’abbreviato, laddove - in termini più congeniali ad esigenze garantiste – la volontà di comparire risulti anche per fatti concludenti.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 18 dicembre 2012 – 7 febbraio 2013, numero 5986 Presidente Lombardi – Relatore Amoresano Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Firenze, con sentenza dell'11.4.2011, in parziale riforma della sentenza del GUP del Tribunale di Siena, resa in data 1.7.2008, con la quale S.G. , previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche ed applicata la diminuente per la scelta del rito abbreviato, era stato condannato alla pena di anni 2 e mesi 6 di reclusione per i reati di cui agli articolo 81, 527, 609 bis c.p. in danno della diciottenne U.L. , eliminava la liquidazione dei danni in favore della costituita parte civile, disponendone la determinazione in separata sede e ponendo a carico dell'imputato una provvisionale immediatamente esecutiva. Ricordava la Corte territoriale, richiamando la ricostruzione dei fatti operata dal GUP, che risultava incontestato che il S. , quale allenatore della squadra di pallavolo femminile del omissis , si fosse reso responsabile degli abusi sessuali descritti nell'imputazione con la lusinga di un posto privilegiato nella squadra e prospettando successi anche a livello nazionale induceva la ragazza a subire massaggi nelle parti intime in un bosco nelle vicinanze di anche in presenza del coimputato B.D. che si masturbava . Riteneva, poi, la Corte infondate le eccezioni di nullità in relazione alla modifica dell'imputazione ed al mancato rispetto del principio di correlazione. Quanto all'affermazione di responsabilità, rilevava la Corte di merito che effettivamente non c'era nell'imputazione alcun riferimento ad una condizione di inferiorità fisica e psichica della persona offesa difficilmente ipotizzatale, del resto, in relazione ad una ragazza di 18 anni, con normali capacità intellettive . L'imputazione era, invece, incentrata sull'induzione attraverso il profilo dell'inganno posto in essere dall'imputato sulla sua qualità e sulla natura degli atti posti in essere, per cui era configurabile l'ipotesi prevista dall'articolo 609 bis co.2 c.p Non poteva essere, poi, riconosciuta la circostanza attenuante del fatto di minore gravità, tenuto conto del rapporto tra allenatore ed allieva e dell'abuso del sentimento di fiducia, nonché dell'impressionante abitualità di analoghe condotte nei confronti di altre giovani atlete. 2. Ricorre per Cassazione S.G. . Dopo aver richiamato la sentenza di primo grado ed i motivi di appello, denuncia la violazione degli articolo 178, 420 quater , 598 c.p.p., anche in relazione all'articolo 111 Cost Pur non essendo l'imputato comparso nel giudizio di appello si ometteva di dichiararne la contumacia il che determina la nullità della sentenza, secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza della Corte di Cassazione, essendo applicabili anche al giudizio abbreviato le norme sul contraddicono secondo una interpretazione costituzionalmente orientata. Con il secondo motivo denuncia la violazione degli articolo 423 e 441 co. 1 c.p.p. anche con riferimento all'arti 11 Cost. Con l'appello era stato dedotto che all'udienza dell'I.7.2008 il p.m. aveva modificato il capo di imputazione contestando, in aggiunta al delitto di violenza sessuale, il reato di cui all'articolo 527 c.p Il GUP, dopo che era stata già accolta la richiesta di rito abbreviato, prendeva atto di tale contestazione rigettando anche la richiesta di termini a difesa, assumendo che i fatti erano stati già descritti nell'imputazione e che si trattava della semplice menzione nella stessa di un articolo di legge. È evidente, invece, la violazione dei diritti di difesa, essendo l'imputato contumace e non essendo stato posto quindi in condizione di difendersi dalla ulteriore contestazione. Anche se si ritenga possibile modificare l'imputazione in sede di giudizio abbreviato, non può non trovare applicazione la disciplina di cui agli articolo 516, 517 e 520 c.p.p Con il terzo motivo denuncia la violazione dell'articolo 521 c.p.p. per difetto di correlazione tra accusa e sentenza. Come affermato ripetutamente dalla Suprema Corte le diverse condotte previste dall'articolo 609 bis c.p. non sono equivalenti o sovrapponibili, ma configurano diverse modalità del fatto. Il GUP aveva ritenuto che il reato di violenza sessuale fosse stato posto in essere sotto il duplice profilo della induzione, con abuso della persona psicologicamente soggiogata, e con la minaccia. La presunta induzione, però, non era contestata nel capo di imputazione, non essendovi alcun riferimento in proposito. La Corte territoriale ha liquidato apoditticamente le censure, mosse sul punto con i motivi di appello, assumendo che l'imputato era stato dichiarato colpevole dei reati ascritti, anche se poi, in aperta contraddizione, ha rilevato che effettivamente nell'imputazione non vi era alcun riferimento alla condizione di inferiorità fisica e psichica della persona offesa. Ha quindi implicitamente riconosciuto in altre parti della sentenza la violazione da parte del GUP del principio di correlazione, senza trame, però, le conseguenze. Con il quarto motivo denuncia la violazione dell'articolo 521 c.p.p. per difetto di correlazione tra accusa e sentenza con riferimento alla pronuncia di secondo grado. La Corte territoriale ha, invece, valorizzato l'inganno posto in essere dall'imputato sulla sua qualità e sulla natura degli atti posti in essere per aver fatto credere alla ragazza che si trattava di massaggi utili ai fini atletici e sportivi ed ha ritenuto che la condotta in questione fosse inquadrabile nell'ipotesi di violenza sessuale mediante sostituzione di persona ex articolo 609 bis co. 2 numero 2 c.p Ma anche di una siffatta condotta non vi è traccia nel capo di imputazione. Con il quinto motivo denuncia la violazione dell'articolo 609 bis cpv. numero 2 c.p. nonché la mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione. Nel caso di specie, riguardando l'inganno non la qualità o la professione dell'agente ma gli effetti benefici delle condotte prospettate i massaggi si è al di fuori dello schema normativo versandosi nell'ambito delle millanterie. Si è in presenza, quindi, della violazione della norma penale sostanziale. Con il sesto motivo denuncia la violazione dell'articolo 609 bis co. 3 c.p. ed il vizio di motivazione. La Corte territoriale, reiterando l'errore del primo giudice, per negare la circostanza attenuante del fatto di lieve entità, invece di prendere in considerazione le modalità della condotta ed il grado di coartazione sulla vittima, ha fatto riferimento ad una pretesa ostinazione mostrata dall'imputato in danno di altre giovani atlete e quindi a fatti ultronei rispetto alla contestazione . Con il settimo motivo denuncia la mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione in relazione alle statuizioni civili ed alla concessione della provvisionale. Con l'ottavo motivo, infine, denuncia il vizio di motivazione in ordine alla mancata applicazione dell'indulto. Considerato in diritto 1. Premesso che il primo motivo di ricorso è infondato, in quanto nel giudizio di appello contro la sentenza pronunciata all'esito di giudizio abbreviato non trova applicazione l'istituto della contumacia dell'imputato cfr. Cass. sez. 1 numero 25097 del 19.6.2007 Cass. sez. 2 numero 8040 del 9.2.2010 , vanno esaminate le denunciate violazioni delle norme in tema di nuove contestazioni e del principio di correlazione tra imputazione e sentenza. 2. A norma dell'articolo 441 co. 1 c.p.p. nel giudizio abbreviato non si applicano le disposizioni previste dagli articolo 422 e 423 c.p.p Per espressa previsione normativa non trova quindi applicazione la norma che consente ai P.M., in sede di udienza preliminare, di modificare l'imputazione se nel corso dell'udienza il fatto risulta diverso da come è descritto nell'imputazione ovvero emerge un reato connesso a norma dell'articolo 12 comma 1 lett. b , o una circostanza aggravante articolo 423 co. 1 c.p.p. . Pacificamente il discrimine è rappresentato, da un lato, dalla decisione del GUP in ordine alla richiesta di giudizio abbreviato e, dall'altro, che il giudizio abbreviato già ammesso non sia subordinato ad integrazione probatoria. Sicché, secondo la giurisprudenza anche più recente di questa Corte, non può essere accolta l'eccezione di illegittimità della contestazione suppletiva mossa dal P.M. in sede di udienza preliminare, quando il giudice non aveva ancora provveduto sulla richiesta di accesso al giudizio speciale, dovendosi ritenere applicabile in tale ipotesi la disciplina prevista dall'articolo 423 cod. proc. penumero , fatta salva la facoltà dell'imputato di revocare la richiesta di rito abbreviato, in applicazione analogica dell'articolo 441 bis comma primo c.p.p. cfr. Cass. Penumero Sez. 5 numero 13882 del 19.1.2012 conf. Cass. Sez. 6 numero 19825 del 13.2.2009 . Nella ipotesi in cui, invece, si sia già provveduto ad ammettere il rito abbreviato cosiddetto semplice non è applicabile la disposizione di cui all'articolo 423 c.p.p. in tema di modifica dell'imputazione cfr. Cass. Penumero Sez. 6 numero 13117 del 19.1.2010 secondo cui il riconoscimento di una circostanza aggravante che non avrebbe potuto essere oggetto di una contestazione suppletiva, determina la nullità della sentenza . 2.1. Nella fattispecie in esame è incontestato che il S. era stato già ammesso al giudizio abbreviato e che tale giudizio non era subordinato ad integrazione probatoria non c'è dubbio alcuno, quindi, che non potesse trovare applicazione l'articolo 423 c.p.p. stante l'espresso disposto dell'articolo 441 co. 1 c.p.p. Di tanto sono persuasi gli stessi Giudici di merito. Il GUP, nell'ammettere la modifica/integrazione dell'imputazione, richiesta dal P.M., così osservava alla luce dell'articolo 423 c.p.p. il fatto non risulta diverso da come descritto, bensì integrante anche l'ipotesi di atti osceni ex articolo 527 c.p. Pertanto il reato appare ampiamente descritto in fatto mancando esclusivamente l'indicazione della norma violata. Ricorre pertanto l'ipotesi di cui al 1^ comma dell'articolo 423 c.p.p. che comporta esclusivamente la comunicazione al difensore che rappresenta all'udienza l'imputato cfr. verb. ud. preliminare dell'I.7.2008 . La Corte territoriale si muove sulla stessa linea sia pure in modo perplesso , evidenziando che non appare essersi trattato realmente di modifica dell'imputazione, essendosi fatto luogo soltanto alla menzione nell'imputazione dell'articolo di legge articolo 527 codice penale con riferimento al delitto di atti osceni in luogo pubblico che risulta già compiutamente descritto nella contestazione elevata pag. 9 sent. . 2.2. Secondo i Giudici di merito a parte l'improprio riferimento fatto dal GUP all'articolo 423 c.p.p. per i motivi in precedenza ricordati , quindi, non ci si troverebbe in presenza della contestazione di un reato concorrente non consentita a norma dell'articolo 441 co. 1 c.p.p., essendo stato l'imputato già ammesso al giudizio abbreviato, non condizionato ad integrazione probatoria , ma ad una mera qualificazione giuridica di un fatto descritto nell'imputazione e su cui quindi l'imputato aveva avuto modo di difendersi. A fronte di una contestazione che comprendeva già la descrizione, oltre che della violenza sessuale anche degli atti osceni in luogo pubblico, si sarebbe proceduto, cioè, alla riqualificazione del fatto contestato non più in termini di violazione dell'articolo 609 bis c.p. ma anche dell'articolo 527 c.p Non c'è dubbio che, come riaffermato anche di recente da questa Corte, la riqualificazione del fatto in imputazione, a differenza degli interventi di modifica, non sia preclusa al pubblico ministero nel corso del giudizio abbreviato non subordinato ad integrazione probatoria cfr. ex multis Cass.penumero Sez. 2 n, 35350 del 17.9.2010 . Ma nel caso di specie non può, certo, parlarsi di riqualificazione del fatto. Il S. aveva chiesto di essere giudicato con rito abbreviato e la sua richiesta era stata accolta in ordine ad una imputazione che prevedeva la contestazione del solo reato di cui all'articolo 609 bis ed il riferimento al bosco nelle vicinanze di riguardava piuttosto il luogo del commesso reato di violenza sessuale e le modalità di perpetrazione dello stesso. Non solo non vi era alcun riferimento normativo al reato di cui all'articolo 527 c.p., ma neppure agli elementi costitutivi dello stesso. Il prevenuto, quindi, nell'accedere al rito abbreviato, non era a conoscenza che avrebbe dovuto difendersi non solo dal reato di violenza sessuale, ma anche da quello di atti osceni. Palese pertanto è la violazione dei diritti di difesa. Ne consegue la nullità della sentenza impugnata e di quella di primo grado in relazione alla contestazione del reato di cui all'articolo 527 c.p 3. Fondati sono anche i motivi di ricorso in ordine alla denunciata violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza sia con riferimento alla sentenza di appello che a quella di primo grado. 3.1. È assolutamente pacifico che si ha violazione di tale principio quando il fatto ritenuto in sentenza si trovi rispetto a quello contestato in rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale, nel senso che si sia realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell'addebito. La verifica dell'osservanza del principio di correlazione va, invero, condotta in funzione della salvaguardia del diritto di difesa dell'imputato cui il principio stesso è ispirato. Ne consegue che la sua violazione è ravvisabile soltanto qualora la fattispecie concreta che realizza l'ipotesi astratta prevista dal legislatore e che è esposta nel capo di imputazione venga mutata nei suoi elementi essenziali in modo tale da determinare uno stravolgimento dell'originaria contestazione, onde emerga dagli atti che su di essa l'imputato non ha avuto modo di difendersi cfr. ex multis Cass. penumero sez. VI, 8.6.1998 numero 67539 . Sicché non sussiste violazione del principio di correlazione della sentenza all'accusa contestata quando nella contestazione, considerata nella sua interezza, siano contenuti gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza, in quanto l'immutazione si verifica solo nel caso in cui tra i due episodi ricorra un rapporto di eterogeneità o di incompatibilità sostanziale per essersi realizzata una vera e propria trasformazione, sostituzione o variazione dei contenuti essenziali dell'addebito nei confronti dell'imputato, posto, così, a sorpresa di fronte ad un fatto del tutto nuovo senza aver avuto nessun possibilità d'effettiva difesa cfr. sez. 6 numero 35120 del 13.6.2003 . Anche più di recente questa Corte ha ribadito che si ha violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza se il fatto contestato sia mutato nei suoi elementi essenziali in modo tanto determinante da comportare un effettivo pregiudizio al diritti della difesa cfr. Cass. sez. 6 numero 12156 del 5.3.2009 . Deve cioè trattarsi di una trasformazione sostanziale dei contenuti dell'addebito, tale da impedire di apprestare la difesa in ordine al fatto ritenuto in sentenza. Inoltre il mutamento di per sé non è sufficiente per ritenere violato il principio di correlazione tra fatto contestato e ritenuto in sentenza in quanto necessita la ulteriore verifica intesa a controllare se, comunque, nel corso del processo l'imputato è stato posto in grado di confutare e difendersi concretamente anche sulla parte di condotta non formalmente inserita nel capo di imputazione cfr. Cass. penumero Sez. 3 numero 21584 del 17.3.204 . 3.2. La verifica cui è chiamata la Corte non può che partire dalla struttura della fattispecie criminosa di cui all'articolo 609 bis c.p Tale norma sanziona la violenza sessuale, al primo comma, mediante costrizione attraverso violenza, minaccia o abuso di autorità e, al secondo comma, mediante abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della vittima oppure attraverso inganno con sostituzione di persona. Risulta chiaro dalla stessa formulazione della norma che le diverse condotte con cui può estrinsecarsi il reato non sono equivalenti o sovrapponibili, ma configurano diverse modalità del fatto. Pertanto l'affermazione di responsabilità per una condotta diversa da quella contestata realizza la violazione del principio di correlazione tra imputazione e sentenza, posto che la modificazione di un elemento essenziale del reato, qual è la condotta, configura indubbiamente un fatto diverso da quello contestato cfr. Cass. penumero Sez. 3 numero 23873 dell'8.4.2009, che ha ritenuto violato il principio di correlazione nel caso in cui la condanna sia stata pronunciata, a fronte di una imputazione di violenza sessuale commessa con costrizione fisica ed induzione per abuso delle condizioni di inferiorità fisica e psichica, per violenza sessuale mediante abuso dell'autorità genitoriale, in quanto tale ultima condotta è incompatibile con un'azione sessuale violenta o indotta . Negli stessi termini, con la sentenza numero 21584/2004 cit., è stato ritenuto violato il principio di correlazione in relazione ad una contestazione originaria di violenza sessuale commessa con abuso delle condizioni di inferiorità fisica e psichica della vittima, ritenuta in sentenza come posta in essere con violenza e minaccia. 3.3. All'imputato era stato contestato di aver compiuto violenza sessuale, in danno di L U. , nella sua qualità di allenatore della squadra di pallavolo, facendo credere a questa che gli indubitabili atti sessuali appresso specificati erano finalizzati al potenziamento muscolare, che l'avrebbe portata a diventare la più forte giocatrice della . . Il GUP, a fronte di tale contestazione peraltro generica, perché priva di specifici riferimenti ad una delle condotte descritte nell'articolo 609 bis c.p. , riteneva che il reato di violenza sessuale si fosse esplicato sotto il duplice profilo della induzione, con abuso della persona psicologicamente soggiogata, ai sensi del capoverso numero 1 dell'articolo 609 bis c.p., e, successivamente, della minaccia adoperata per compiere quegli atti sessuali, minaccia consistita nel ricatto messo in scena grazie alla presenza del guardone. Il GUP non si è reso conto, però, che, in tal modo, il fatto ritenuto in sentenza stravolgeva completamente la originaria contestazione, dove non si faceva minimamente cenno né ad una violenza per induzione, approfittando delle condizioni di inferiorità della vittima, né tanto meno a minacce rivolte alla medesima per costringerla a subire gli atti sessuali. La Corte territoriale, pur escludendo la fondatezza dell'eccezione sollevata dalla difesa con i motivi di appello, ha, sostanzialmente, ritenuto che il principio di correlazione fosse stato clamorosamente violato. Basta leggere pag. 10 e 12 della motivazione per rendersi conto del convincimento della Corte di merito. Ha riconosciuto, infatti, che nel capo di imputazione non vi era alcun cenno alla condizione di inferiorità fisica e psichica della persona offesa tale da poter integrare il reato sotto il profilo dell'abuso di tale condizione da parte dell'agente anzi, ha sottolineato la Corte che era assolutamente non ipotizzabile una condizione di inferiorità fisica o psichica di una ragazza diciottenne, con normali capacità psichiche ed ovviamente fisiche, trattandosi di una atleta . Quanto alla minaccia, ha rilevato correttamente che la condotta intimidatrice, cui si fa riferimento nell'imputazione, era finalizzata a tollerare la presenza del guardone e non certo alla costrizione al compimento degli atti sessuali. Una volta verificata tale indiscutibile immutazione della contestazione con riferimento alle stesse modalità della condotta e non risultando che l'imputato avesse avuto concretamente la possibilità di difendersi in ordine a tali profili, la Corte territoriale avrebbe dovuto trame le conseguenze e provvedere all'annullamento della sentenza di primo grado a norma dell'articolo 604 comma 1 c.p.p. Anche perché l'imputato aveva chiesto di essere giudicato, con il rito abbreviato non condizionato, sulla base di una contestazione di ben diverso contenuto non essendovi descritta né la induzione, con approfittamento delle condizioni di inferiorità della vittima, né la minaccia . Non poteva, quindi, immaginare di doversi difendere in relazione ad una condotta completamente difforme da quella che gli era stata contestata. Si era in presenza, pertanto, in modo evidente, di un fatto diverso e non di una mera diversa qualificazione giuridica quest'ultima consentita, come si è visto, anche in sede di giudizio abbreviato . 3.4. La Corte di Appello ha ritenuto che l'imputazione fosse piuttosto incentrata su un diverso aspetto della vicenda l'induzione della persona offesa al compimento degli atti sessuali risultava, invero, costruita in una diversa prospettiva, sotto il profilo cioè dell'inganno posto in essere, per avere egli fatto credere alla ragazza che si trattava di massaggi che egli era qualificato a effettuare e utili ai fini atletici e sportivi e che quindi la fattispecie andasse più propriamente inquadrata nell'ipotesi di violenza sessuale mediante sostituzione di persona di cui al numero 2 del comma 2 dell'articolo 609 bis c.p. pag. 11 sent . È vero, come ricorda la Corte territoriale, che, secondo la giurisprudenza di questa Corte il reato di induzione a compiere o a subire atti sessuali con l'inganno per essersi il reo sostituito ad altra persona articolo 609 bis comma secondo numero 2 cod. penumero è integrato anche dalla falsa attribuzione di una qualifica professionale, rientrando quest'ultima nella nozione di sostituzione di persona di cui all'articolo 609 bis c.p. nella fattispecie esaminata il ricorrente aveva convinto la vittima a sottoporsi ad una visita ginecologica tantrica qualificandosi come medico ginecologo, qualifica di cui non era in possesso cfr. Cass. penumero Sez. 3 numero 20578 del 6.5.2010. Anche la Corte territoriale a parte l'ulteriore ribaltamento della contestazione non fa però i conti con la imputazione, in cui, come correttamente rileva il ricorrente, non vi era traccia di una sostituzione di persona, neppure sotto il profilo di una falsa attribuzione di una qualifica professionale. Secondo la contestazione, infatti, l'induzione in errore non era stata determinata da una sostituzione di persona , neppure nella più lata accezione sopra ricordata Il prevenuto aveva, infatti, agito nella veste effettivamente ricoperta, di allenatore della squadra di pallavolo del omissis , ma, piuttosto, nel far credere alla vittima che i massaggi praticati fossero finalizzati al potenziamento muscolare . Anche la sentenza di appello ha, quindi, operato una immutazione del fatto rispetto a quello contestato. 4. Rimanendo assorbita ogni altra doglianza, le sentenze di primo e di secondo grado vanno annullate con rinvio al Tribunale di Siena. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, nonché quella del GUP del Tribunale di Siena in data 1.7.2008 e rinvia al Tribunale di Siena.