Confermata la condanna per una donna. Pur trattandosi di soli due messaggi, in un arco temporale di oltre una settimana, è comunque riconosciuto il disagio subito dalla persona destinataria della comunicazione, disagio non solo personale ma anche familiare.
Due messaggi inviati tramite cellulare, senza ‘occultare’ il numero telefonico, ‘spalmati’ su dieci giorni episodi più che sufficienti per contestare il reato di molestia. Non solo per il contenuto offensivo degli ‘scritti’, ma anche per le reazioni – quella concreta e quella potenziale – della persona destinataria della poco gradevole comunicazione Cassazione, sentenza numero 2597/2013, Prima Sezione Penale, depositata oggi . Parenti serpenti. Protagonista negativa nella vicenda è una donna, che, con due poco simpatici messaggi, ‘consiglia’ alla cognata di accettare l’idea di «fare la cornuta contenta» e le rende noto il comportamento fedifrago del marito, non dimenticando, poi, di aggiungere anche commenti ulteriori. Ma il fatto non può rimanere impunito E così la donna viene condannata, in Tribunale, a 400 euro di ammenda e a 500 euro di risarcimento, per molestie telefoniche. Decisivi, secondo i giudici, il «contenuto offensivo» e il «disagio» provocato nella destinataria dei messaggi. Tranquillità a rischio. E questa linea di pensiero viene seguita anche dai giudici della Cassazione, che respingono completamente il ricorso proposto dalla donna e finalizzato a vedere rimessa in discussione la condanna subita. Per i giudici, difatti, non vi è alcun dubbio sui fatti contestati evidente il fatto che la donna «col mezzo del telefono» abbia recato «molestia» alla cognata. Ma, soprattutto, è lapalissiano che i contenuti dei due messaggi «erano idonei» a minare non solo la «tranquillità» della destinataria ma anche, potenzialmente, l’«ordine pubblico» per la «possibile reazione» della persona offesa. Soprattutto tenendo presente che effetto plausibile della comunicazione era «forte disagio» e alterazione significativa delle «normali condizioni di tranquillità personale e familiare».
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 13 dicembre 2012 – 17 gennaio 2013, numero 2597 Presidente Giordano – Relatore Caiazzo Rilevato in fatto Con sentenza in data 28.6.2011 il Tribunale dl Palermo condannava C.R. alla pena di euro 400,00 di ammenda, e a risarcire i danni alla parte civile che liquidava in euro 500,00, in ordine al reato di cui agli articolo 81 e 660 c.p. per aver, inviandole SMS dal contenuto offensivo, recato molestia e disturbo a D.F.A., il 30.12.2006 e l’8.1.2007. La parte lesa aveva ricevuto un SMS il 30.12.2006 dal seguente tenore “è giusto che tu lo sappia, S. da sempre ti fa le corna, povera cretina, sei l’unica a non saperlo, forse”. Il successivo 8 gennaio la D.F. aveva ricevuto altro messaggio, “d’altronde una mediocre come te che si aspettava? Tuo marito è un bel ragazzo e tu una befana, non ti resta che fare la cornuta contenta”. Dalle indagini era risultato che i due messaggi erano stati spediti dal cellulare intestato alla cognata C.R. Secondo Il Tribunale il fatto era da attribuire all’imputata, anche perché la stessa, dopo il fatto, non aveva avuto alcun contatto con la denunciante per chiarire la sua posizione. La reiterata condotta, secondo il giudicante, appariva idonea a recare molestia e disturbo alla persona offesa, ponendola in una condizione di forte disagio ed alterandone in modo significativo le normali condizioni di tranquillità personale e familiare. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, tramite il proprio difensore, chiedendone l’annullamento per errata applicazione dell’articolo 660 c.p. e dell’articolo 191 c.p.p. nonché per difetto di motivazione. Il fatto contestato non era punibile poiché non era ravvisabile alcuna lesione dell’ordine pubblico, bene giuridico tutelato dalla norma di cui all’articolo 660 c.p Il fatto, secondo la ricorrente, non integra il reato contestato trattandosi di soli due SMS, inviati in ora diurna da utenza cellulare non celata. La testimonianza della parte lesa era inutilizzabile poiché non erano stati raccolti elementi idonei a convalidare le sue dichiarazioni né la sentenza aveva adeguatamente motivato sulla intrinseca credibilità della parte offesa. Ha presentato una memoria il difensore di parte civile con la quale ha contestato le tesi sostenute dalla ricorrente. Considerato in diritto I motivi di ricorso sono manifestamente infondati. Il reato contestato punisce chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero con il mezzo del telefono, per petulanza o altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo. Non vi è dubbio che il contenuto dei due suddetti sms, inviati dall’imputata alla parte lesa, erano idonei a recare molestia a disturbo per le ragioni indicate nella sentenza impugnata. Il reato de quo è plurioffensivo, poiché protegge, oltre la tranquillità della persona offesa, anche l’ordine pubblico, che però è sufficiente, per la sussistenza del reato, che sia messo solo in pericolo per la possibile reazione della parte offesa. Non si riscontra alcun vizio logico giuridico nella motivazione con la quale il Tribunale ha ritenuto l’imputata responsabile del reato ascrittole, ed è destituita di fondamento l’affermazione del ricorrente che la testimonianza della persona offesa non sarebbe utilizzabile - sebbene ritenuta attendibile dal giudicante - in mancanza di elementi idonei a convalidare le sue dichiarazioni. Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di prova circa l’assenza di colpa nella proposizione dell’impugnazione Corte Costituzionale, sent. numero 186 del 2000 , al versamento della somma alla Cassa delle Ammende indicata nel dispositivo, ritenuta congrua da questa Corte. L’imputata, inoltre, deve essere condannata a rimborsare le spese sostenute dalla parte civile in questo giudizio che si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute in questo giudizio dalla parte civile che liquida in euro 1.500,00, altre accessori come per legge.