Si definisce autodichia il potere, conferito ad alcuni organi supremi dello Stato, di giudicare presso di sé i ricorsi presentati avverso gli atti d’amministrazione da essi medesimi posti in essere, in deroga alle norme che disciplinano in via generale le competenze degli organi giurisdizionali. Tale prerogativa è riconosciuta, nel vigente ordinamento italiano, ad alcuni organi costituzionali le Camere del Parlamento, la Corte Costituzionale e la Presidenza della Repubblica non, invece, all’organo costituzionale Governo.
Il fondamento del suo esercizio da parte delle Camere risiede nelle norme regolamentari articolo 12, comma 3, regolamento Camera, articolo 12, comma 1, regolamento Senato per la Corte Costituzionale la prerogativa è attribuita con legge ordinaria legge numero 87/1953, articolo 14, comma 3, come sostituito dall’articolo 4 legge numero 265/1958 per la Presidenza della Repubblica dai d.p.r. numero 81/1996 successivamente integrato dal d.p.r. numero 89/09.10.1996. Regolamenti parlamentari non assoggettabili al sindacato della Consulta. Siffatta normativa ha superato il vaglio della Corte Costituzionale la quale con sentenza numero 154/1985 dichiarò inammissibili i ricorsi ad essa rivolti, ritenendo i regolamenti parlamentari non assoggettabili al proprio sindacato di legittimità, orientamento poi confermato con le ordinanze numero 444 e numero 445/1993. Per l’autodichia della Presidenza della Repubblica è intervenuta l’ordinanza della Corte di Cassazione numero 6592/2010 riconoscendo la legittimità degli organi di autodichia, così come disciplinati dai decreti presidenziali numero 81 e 89 del 1996, competenti a giudicare in via esclusiva sulle controversie in tema di rapporti di impiego del personale dipendente dal segretariato generale della Presidenza della Repubblica. “I soldi di tutti e l’autodichia”. Nel suo articolo “I soldi di tutti e l’autodichia” pubblicato il 30.09.2012 in Italia, politica Giuliano Amato scriveva che in forza dell’autodichia tutte le assemblea di rango costituzionale Camere e Consigli Regionali compresi possono autogestire tutto ciò che attiene alla propria organizzazione, senza interferenze né dell’esecutivo né di organi terzi e quindi, fra l’altro, di fare il proprio bilancio, allocare tra le varie voci i soldi a disposizione, controllare come vengono spesi. Tutto in house per dirla in maniera molto sintetica. Ora accade che proprio i dipendenti di questi organismi fruiscano degli stipendi più elevati e così delle successive pensioni e questo a prescindere dagli interventi del Governo prima e del Parlamento dopo che in questi giorni hanno fissato il tetto di € 240.000,00 lordi all’anno! I 1475 dipendenti della Camera e gli 840 dipendenti del Senato ora sono in ansia perché si vorrebbe applicare anche a loro il tetto di € 240.000,00 ma si deve trattare con ben 25 sigle sindacali! In questi giorni un valente giornalista del quotidiano Il Messaggero ha fatto i conti anche sui trattamenti pensionistici di siffatti dipendenti per i quali si va da un minimo di € 90.000,00 lordi all’anno ad un massimo di € 300.000,00 lordi all’anno con un rapporto tra contributi e prestazioni di 1 a 4 nel senso che versi 1 e incassi 4. Pare che ci sia la corsa al pensionamento per poter saltare sulla navicella dei diritti acquisiti ed evitare i tagli sia agli stipendi che alle pensioni. Possiamo quindi dire che l’autodichia ha creato delle sacche di privilegio che sono sicuramente inammissibili soprattutto in momento storico nel quale la stragrande maggioranza dei cittadini viene chiamata ripetutamente a tirare la cinghia. Ma ugualmente può dirsi anche per l’autonomia riconosciuta alle Casse di previdenza dei professionisti italiani e questo perché la presenza di 21 Casse autonome per 2 milioni circa di professionisti è un lusso che non possiamo permetterci sia perché non tutte, e in particolare Cassa Forense, hanno recepito l’opzione al sistema di calcolo contributivo della pensione che è stata estesa ai cittadini italiani dapprima con la legge numero 335/1995 e da ultimo con la legge Monti – Fornero che è la 214/2011. Anche qui l’autonomia ha creato sacche di privilegio che risultano oggi inammissibili. Autodichia e autonomia hanno una loro funzione che non può però servire da copertura, soprattutto sul versante retributivo e pensionistico, a veri e propri privilegi.