Licenziamento illegittimo, stop forzato per l’ingegnere: nessun danno professionale

Risarcimento riconosciuto sì, ma limitatamente alla parte relativa al trattamento retributivo previsto dal contratto tra il professionista e un’Authority. Respinta, invece, la richiesta del professionista di vedere posto rimedio agli effetti negativi subiti a causa della forzata inattività.

Collaborazione ‘very important’ – anche dal punto di vista economico – con la struttura di un’Authority italiana, ma il rapporto si interrompe in maniera brusca Il professionista – un ingegnere elettronico – viene fatto oggetto di un licenziamento disciplinare, rivelatosi, poi, illegittimo. Conseguenziale il corposo risarcimento dei danni, limitato, però, solo al trattamento retributivo previsto dal contratto. Escluso, difatti, il ‘capitolo’ della lesione alla professionalità del lavoratore, nonostante la lunga, forzata inattività Cassazione, sentenza numero 16091, sez. Lavoro, depositata oggi . Licenziamento. Passaggio centrale è il «licenziamento disciplinare senza preavviso» intimato dall’Autorità e contestato dal lavoratore – un ingegnere –, alla luce di un doppio contratto a termine – il primo di appena due settimane, il secondo di dodici mesi – su questo punto, i giudici di secondo grado, ribaltando la decisione assunta in Tribunale, dichiarano la «nullità del licenziamento». Ciò perché, viene spiegato, il provvedimento «avrebbe dovuto essere intimato dal competente ufficio per i procedimenti disciplinari e non dal Consiglio dell’Autorità». Conseguenza logica è il riconoscimento, a favore del lavoratore, di un corposo «risarcimento del danno», con una cifra che si aggira sui 130mila euro. Ciò, però, secondo il lavoratore, non basta Più precisamente, egli rimarca, ricorrendo in Cassazione, la «forzata inattività, conseguente il recesso ante tempus, lesiva della sua elevata professionalità, soggetta a continua evoluzione e rapida obsolescenza», da un lato, e «il danno alla dignità e il danno da perdita di chances», dall’altro. Professionalità. Ma le obiezioni proposte dall’uomo vengono valutate come assolutamente irrilevanti dai giudici del ‘Palazzaccio’. Questi ultimi, in premessa, confermano l’illegittimità del licenziamento deciso dall’Autorità. Decisiva la constatazione che «in tema di rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, tutte le fasi del procedimento disciplinare sono svolte esclusivamente dall’ufficio competente per i procedimenti disciplinari, il quale è anche l’organo competente alla irrogazione delle relative sanzioni, ad eccezione del rimprovero verbale e della censura». Assolutamente errata, quindi, in questa vicenda, la condotta dell’Autorità il licenziamento, difatti, è stato «intimato» non dal «competente ufficio per i procedimenti disciplinari», bensì dal «Consiglio dell’Autorità». Dato per acclarato questo elemento, però, per i giudici il «risarcimento» riconosciuto a favore del lavoratore non può essere ulteriormente aumentato. Soprattutto perché «la dedotta forzata inattività, derivante dal recesso ante tempus, in presenza di elevata professionalità, è circostanza astrattamente rilevante», ma, spiegano i giudici, «il danno patito» deve essere «provato dal lavoratore», ponendo in evidenza «l’esistenza di un nesso di causalità fra l’inadempimento» dell’azienda e «il danno». E invece, in questo caso, l’uomo si è limitato a «evidenziare l’elevato contenuto professionale delle sue mansioni e la durata dell’inadempimento», pari a «circa un anno». Davvero troppo poco – nonostante il richiamo alla «modalità con le quali si è svolto il procedimento disciplinare ed è stato intimato il licenziamento, con la conseguente diffusione della notizia della vicenda in importanti ambienti, enti ed aziende» – per poter ritenere concreto il danno professionale lamentato dal lavoratore

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 8 aprile – 14 luglio 2014, numero 16091 Presidente Miani Canevari – Relatore Balestrieri Svolgimento del processo A.C., assunto quale dirigente di I fascia dall'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, con due contratti a termine 18-31.3.02 e quindi 1.4.02-31.3.06 , proponeva appello avverso la sentenza numero 15128\06 del Tribunale di Roma, con cui venne respinta l'impugnativa del licenziamento disciplinare senza preavviso intimatogli dall'Autorità con effetto dal 28 febbraio 2005. Resisteva quest'ultima. Con sentenza depositata il 15 luglio 2009, la Corte d'appello di Roma dichiarava la nullità del licenziamento, ritenendo che esso avrebbe dovuto essere intimato dal competente ufficio per i procedimenti disciplinari e non dal Consiglio dell'Autorità, condannando quest'ultima al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, di €. 133.502,49, commisurato alle differenze rispetto al trattamento previsto dal contratto individuale di lavoro, senza l'indennità di risultato, relativamente al periodo 1.3.05-31.3.06, con i relativi oneri previdenziali, oltre accessori. Per la cassazione propone ricorso il C., affidato a due motivi. Resiste l'Autorità con controricorso, contente ricorso incidentale affidato ad unico motivo, cui resiste il C. con controricorso, poi illustrato con memoria. Motivi della decisione Deve pregiudizialmente disporsi la riunione dei ricorsi proposti avverso la medesima sentenza articolo 335 c.p.c. . 1. - Per ragioni di ordine logico-giuridico deve esaminarsi dapprima il ricorso incidentale dell'Autorità, coi quale essa denuncia ex articolo 360, comma 1, numero 5 c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell'articolo 55, commi 3 e 4, e 55 bis, comma 4, del d.lgs. numero 165\01. Essa lamenta che allorquando la contrattazione collettiva nulla disponga in materia disciplinare, le misure sanzionatorie dell'inosservanza degli obblighi contrattuali sono assunte dal datore di lavoro nel rispetto delle norme del codice civile articolo 2104, 2105 e 2106 , sicché risultava illegittima la sentenza impugnata laddove ritenne nulla la sanzione per non essere stata adottata dall'ufficio competente per i procedimenti disciplinari. 1.1. - Il ricorso incidentale è infondato. Lo stesso articolo 55 bis, comma 4, invocato, aggiunto dall'articolo 69, comma 1, D.Lgs. 27 ottobre 2009 numero 150, e pertanto e peraltro inapplicabile al caso di specie, stabilisce che ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento, individua l'ufficio competente per i procedimenti disciplinari ai sensi del comma 1, secondo periodo , mentre i commi 3 e 4 dell'articolo 55, applicabili ration temporis, stabiliscono che la tipologia delle infrazioni e delle relative infrazioni è stabilita dai contratti collettivi comma 3 , e che ciascuna amministrazione, secondo il proprio ordinamento, individua l'ufficio competente per i procedimenti disciplinari, che contesta l'addebito, istruisce il procedimento ed applica la sanzione comma 4 . Questa S.C. ha comunque già avuto occasione di affermare Cass. numero 2168\04, Cass. numero 20981\09 che in tema di rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, ai sensi dell'articolo 59, quarto comma, del D.Lgs. 3 febbraio 1993, numero 29, trasfuso nell'articolo 55 del D.Lgs. 30 marzo 2001, numero 165, tutte le fasi del procedimento disciplinare sono svolte esclusivamente dall'ufficio competente per i procedimenti disciplinari u.c.p.d. , il quale è anche l'organo competente alla irrogazione delle relative sanzioni, ad eccezione del rimprovero verbale e della censura. Ne consegue che il procedimento instaurato da un soggetto o organo diverso dal predetto ufficio, anche se questo non sia ancora stato istituito, è illegittimo e la sanzione irrogata è, in tale caso, affetta da nullità, risolvendosi in un provvedimento adottato in violazione di norme di legge inderogabili sulla competenza né la previsione legislativa è suscettibile di deroga ad opera della contrattazione collettiva, sia per l'operatività del principio gerarchico delle fonti, sia perché il terzo comma dell'articolo 59 cit. attribuisce alla contrattazione collettiva solo la possibilità di definire la tipologia e l'entità delle sanzioni e non anche quella di individuare il soggetto competente alla gestione di ogni fase del procedimento disciplinare. Ne consegue l'illegittimità della sanzione espulsiva adottata, a prescindere dalla circostanza che la contrattazione collettiva abbia o meno istituito il competente ufficio, da organo diverso dall'ufficio competente per i procedimenti disciplinari, come nel caso di specie, che in ogni caso l'amministrazione ha l'obbligo di costituire. 2. - Con il primo motivo il ricorrente principale denuncia la violazione e falsa applicazione degli articolo 2087, 1218, 1223, 1226, 2056, 2059 e 2727 cod.civ. 115 e 432 c.p.c. articolo 360, comma 1, numero 3, c.p.c. . Lamenta che la sentenza impugnata limitò erroneamente il risarcimento del danno alla corresponsione del trattamento retributivo previsto dal contratto intervenuto tra le parti, sino alla scadenza dello stesso. Allo scopo, dopo aver riportato il contenuto della nota sentenza resa a sezioni unite da questa Corte numero 6572\06 , il C. si duole di aver sufficientemente allegato la forzata inattività conseguente il recesso ante tempus, lesiva della sua elevata professionalità essendo ingegnere elettronico soggetta a continua evoluzione e rapida obsolescenza il conseguente danno alla dignità, bene costituzionalmente tutelato, nonché il danno da perdita di chances, sub specie di possibilità di reperire altra idonea occupazione, conseguente le modalità con le quali si è svolto il procedimento disciplinare ed è stato intimato il licenziamento con la conseguente diffusione della notizia della vicenda in importanti ambienti, enti ed aziende pag.35 ricorso , di cui aveva chiesto una liquidazione equitativa ex articolo 1226 c.c. e 432 c.p.c. Lamenta inoltre il mancato computo, nell'entità del risarcimento così come liquidato, dell'indennità di risultato. 3. - Con il secondo motivo il C. denuncia una omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia articolo 360, comma 1, numero 5 c.p.c. , ed in sostanza circa l'esistenza degli ulteriori profili di danno patrimoniale e non patrimoniale dedotti, lamentando che la sentenza impugnata ritenne, erroneamente, assolutamente generiche le deduzioni dell'appellante sul punto. 3. - I motivi, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati. Mentre le altre allegazioni risultano estremamente generiche, e dunque risulta corretta la sentenza impugnata laddove le ha ritenute irrilevanti anche ai fini presuntivi, la dedotta forzata inattività derivante dal recesso ante tempus, in presenza di elevata professionalità, è circostanza astrattamente rilevante. E tuttavia, rammentato il principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, a partire dalla menzionata Cass. sez. unumero numero 6572\06, e cioè che il danno patito dal lavoratore per effetto del demansionamento ed a maggior ragione in ipotesi di inattività non discende in via automatica dall'inadempimento datoriale, nel senso che è in re ipsa nella potenzialità lesiva della condotta del datore di lavoro, ma, al contrario, esso va provato dal lavoratore, il quale è tenuto, altresì, a dimostrare, ai sensi dell'articolo 1223 cod. civ., l'esistenza di un nesso di causalità fra l'inadempimento e il danno ed a precisare quali, fra le molteplici forme di danno da dequalificazione, ritenga di aver subito, fornendo, a tal proposito, ogni elemento utile per la ricostruzione della loro entità, deve evidenziarsi che a tal fine questa Corte ha chiarito, peraltro con precipuo riferimento al danno non patrimoniale, che la prova può essere anche presuntiva ma a tal fine necessita di precise allegazioni, ed in particolare di una serie concatenata di circostanze concrete, quali la durata, la gravità, la conoscibilità della dequalificazione all'interno ed all'esterno del luogo di lavoro, anche al fine di una liquidazione equitativa del danno, che una prova di esso, anche presuntiva, presuppone. Nella specie il C. si limita ad evidenziare l'elevato contenuto professionale delle sue mansioni e la durata dell'inadempimento nella specie circa un anno . Non ritiene il Collegio che tali circostanze integrino la specificità di allegazioni di cui sopra, risultando peraltro oltre modo generiche, e non supportate da alcun dedotto elemento probatorio, le lamentate modalità con le quali si è svolto il procedimento disciplinare ed è stato intimato il licenziamento con la conseguente diffusione della notizia della vicenda in importanti ambienti, enti ed aziende . Parimenti infondata, per difetto di specificità, è la doglianza inerente la mancata inclusione dell'indennità di risultato nella misura del risarcimento del danno. La Corte di merito ha al riguardo logicamente motivato che tale indennità è strettamente connessa allo svolgimento dell'attività lavorativa, e tale ratio decidendi non è stata adeguatamente contestata in questa sede. 4. - Entrambi i ricorsi vanno pertanto rigettati, con conseguente compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi. Compensa le spese del presente giudizio di legittimità.