La “mamma lavoratrice” deve essere sempre assistita

La procedura di convalida delle dimissioni della lavoratrice madre, anche nel previgente contesto normativo, trovava applicazione anche rispetto alla risoluzione consensuale del rapporto, attesa l’identità dell’effetto dei due – pur diversi – atti, entrambi idonei a cagionare la risoluzione del rapporto.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 12128 depositata l’11 giugno 2015. Il caso. La Corte d’appello di Trieste, in riforma della pronuncia di primo grado, accoglieva il ricorso promosso da una lavoratrice contro il suo datore di lavoro, condannando quest’ultimo alla sua riammissione in servizio ed al pagamento delle retribuzioni maturate dalla richiesta della lavoratrice sino alla data in cui la società «ha offerto la reintegrazione del posto di lavoro alla ricorrente». Secondo quanto emerso nel corso del giudizio, la lavoratrice – premesso di avere risolto consensualmente il rapporto il 14 maggio 2001 – aveva inviato il successivo 24 luglio un certificato medico attestante il proprio stato di gravidanza alla data di cessazione del rapporto, chiedendone quindi il «ripristino» atteso l’omesso esperimento della procedura di convalida prevista dall’articolo 55, comma 4, del d.lgs. numero 151/2001 nel testo ratione temporis applicabile . In questo contesto, riteneva la Corte di merito che la suddetta previsione, ancorché espressamente riferita alla sola ipotesi di «dimissioni», fosse estensivamente applicabile anche alla risoluzione consensuale del rapporto. Contro tale sentenza, per quanto qui interessa, la società proponeva ricorso alla Corte di Cassazione. La volontà di cessare il rapporto deve essere libera In particolare, la ricorrente lamentava la violazione dell’articolo 55 del d.lgs. numero 151/2001 per avere i Giudici di merito ritenuto tale disposizione applicabile alla risoluzione consensuale del rapporto, a dispetto del dato normativo riferito alle sole dimissioni. Motivo che tuttavia non viene condiviso dalla Corte la quale, affermando il principio esposto in massima, rigetta il ricorso. In chiave sistematica, la Cassazione rileva come il recesso sia un «atto unilaterale di autonomia negoziale che ha come effetto tipico quello di risolvere il rapporto di lavoro». Atto che, prosegue la Corte, è tipicamente a forma libera, salva diversa previsione contrattuale o come nel caso di specie «di prescrizione da parte dell’ordinamento di una particolare procedura che condiziona l’efficacia o la validità dell’atto», per prevenire eventuali abusi datoriali volti a viziare la genuinità del recesso della lavoratrice. e non deve essere coartata dal datore di lavoro. La ratio della norma, ad avviso della Cassazione, è quella di evitare che nel periodo in cui è previsto il divieto di licenziamento della lavoratrice madre, possa essere raggiunto il medesimo effetto risolutivo attraverso un atto formalmente della lavoratrice ma, ipoteticamente, non corrispondente ad una sua volontà liberamente formatasi. In altre parole, «si presume che le dimissioni possano essere influenzate “da ragioni collegate alla specifica situazione che induce a privilegiare esigenze di tutela della prole rispetto alla stabilità dell’occupazione lavorativa” e che possano essere indotte dal datore di lavoro che approfitti di una peculiare situazione psicologica del dipendente». Ai fini della cessazione del rapporto, pertanto, diventa necessaria la “convalida” quale condizione di efficacia del negozio giuridico. Dimissioni e risoluzione consensuale condividono lo stesso effetto risolutivo. I suesposti principi, ad avviso della Corte, devono trovare analogicamente applicazione anche rispetto alla risoluzione consensuale del rapporto la quale, pur avendo struttura radicalmente diversa dalle dimissioni, ne condividono il medesimo effetto estintivo del rapporto. In questa prospettiva, è «sicuramente omogenea la situazione di chi si dimette senza che sia formalmente acquisito il consenso del datore di lavoro con la situazione di chi si dimette con l’accordo di questi, nell’ambito di una risoluzione consensuale del rapporto» atteso che, argomentando diversamente, potrebbero essere facilmente eluse le finalità di tutela fatte proprie dal d.lgs. numero 151/2001. Questa interpretazione è stata fatta propria dalla legge. Conclude la Corte chiarendo come l’opzione interpretativa ora avallata sia stata fatta propria anche dalla c.d. Legge Fornero la quale, «come già ritenuto da questa Corte a proposito dell’estinzione del rapporto di lavoro in seguito all’esercizio dell’opzione per l’indennità sostitutiva della reintegrazione Cass. numero 18353/14 », ha una valenza «confermativa e chiarificatrice di quanto era già previsto e ricostruibile anche sulla base della precedente disciplina».

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 17 marzo – 11 giugno 2015, numero 12128 Presidente Macioce – Relatore Amendola Svolgimento del processo 1.- Con ricorso al Tribunale di Tolmezzo N.N. , premesso di aver consensualmente risolto il rapporto di lavoro con la ATS Applicazioni Tecnologiche Siderurgiche Sri in data 14 maggio 2001, esponeva che il successivo 24 luglio aveva inviato alla società un certificato medico attestante lo stato di gravidanza alla data di cessazione del rapporto, chiedendone il ripristino. Essendo fallito il tentativo di conciliazione esperito in data 5 dicembre 2002, la N. quindi chiedeva al Tribunale che venisse accertato il diritto ed essere reintegrata in servizio a decorrere dal 24 luglio 2001 e che la società venisse condannata a pagare le retribuzioni maturate sino al ripristino dell'originario rapporto di lavoro. Con sentenza del 17 novembre 2007 la Corte di Appello di Trieste, in riforma della decisione del primo giudice, dichiarava che la N. aveva diritto a vedere ripristinato il rapporto di lavoro in essere tra le parti dalla data del 24 luglio 2001 e condannava l'ATS Sri a corrisponderle le retribuzioni globali di fatto maturate da detta data sino al 5 dicembre 2002. La Corte territoriale ha ritenuto l'articolo 55, co. 4, d.lgs. numero 151/2001, secondo cui la richiesta di dimissioni presentata dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, deve essere convalidata dal competente servizio ispettivo del Ministero del Lavoro, estensivamente applicabile anche all'ipotesi di risoluzione consensuale del rapporto. Ne ha fatto derivare che la risoluzione contenuta nella conciliazione del 14 maggio 2001 dovesse ritenersi sospensivamente condizionata alla convalida di cui all'articolo 55 , con diritto della N. al ripristino del rapporto di lavoro e condanna della società al pagamento delle retribuzioni dalla comunicazione del 24 luglio 2001. I giudici di appello hanno poi limitato la condanna al pagamento delle retribuzioni sino al 5 dicembre 2002, motivando che in tale data l'odierna appellata, come emerso pacificamente dall'istruttoria svolta, ha offerto la reintegrazione del posto di lavoro alla ricorrente. Ad avviso della Corte, pertanto, il rifiuto della medesima a fronte di un'offerta di reintegrazione nel posto di lavoro non può che condizionare il termine ultimo di computo delle retribuzioni dovute . Con ricorso dell'8 novembre 2008, iscritto al R.G.N. , l'ATS Applicazioni Tecnologiche Siderurgiche Sri ha domandato la cassazione della sentenza per due motivi. Ha resistito con controricorso l'intimata, contenente impugnazione incidentale affidata a quattro motivi. Ha altresì depositato memoria ex articolo 378 c.p.c 2.- Avverso la sentenza d'appello pubblicata il 17 novembre 2007 la N. ha proposto anche ricorso per revocazione innanzi alla medesima Corte triestina ai sensi dell'articolo 395, numero 4, c.p.c., sostenendo che l'errore commesso nella sentenza impugnata consisteva nell'affermare che le era stata offerta la reintegrazione, mentre da tutti i documenti di causa emergeva che la società le aveva proposto solo il ripristino del rapporto e cioè una nuova assunzione. Con sentenza del 19 giugno 2009 la Corte di Appellò di Trieste ha respinto l'istanza di revocazione. Ha escluso che nella specie si fosse realizzata una falsa percezione di un fatto storico ritenuto pacifico contrariamente al vero, o viceversa , attenendo l'errore denunciato alla valutazione ed interpretazione delle risultanze dell'istruttoria o dei comportamenti processuali o dei fatti giuridici allegati dalle parti. Con ricorso del 27 novembre 2009, iscritto al R.G.N. , N.N. ha domandato la cassazione della sentenza affidandosi ad un unico motivo, illustrato da memoria. Ha resistito con controricorso l'ATS Applicazioni Tecnologiche Siderurgiche Srl. 3.- All'udienza pubblica del 17 marzo 2015 i ricorsi sono stati riuniti, in continuità con l'orientamento favorevole all'applicazione analogica dell'articolo 335 c.p.c. promosso da questa Corte a Sezioni unite, numero 10933 del 1997 conformi Cass. numero 21938 del 2006 Cass. numero 25376 del 2006 da ultimo Cass. numero 23445 del 2014 . Motivi della decisione 4.- Con il ricorso principale della ATS - Applicazioni Tecnologiche Siderurgiche Sri, iscritto al R.G.N. , sono proposti due mezzi di impugnazione che possono essere come di seguito sintetizzati con il primo motivo si denuncia violazione dell'articolo 55 del d.lgs. numero 151 del 2001, in riferimento all'articolo 12 delle disposizioni sulla legge in generale approvate preliminarmente al codice civile, per aver ritenuto applicabile la disposizione ivi contenuta, espressamente prevista per le dimissioni, ad una ipotesi di scioglimento consensuale del rapporto di lavoro con il secondo motivo si lamenta violazione dell'articolo 14 delle disposizioni sulla legge in generale in quanto la Corte territoriale, applicando l'articolo 55, co. 4, cit. alla fattispecie in esame, avrebbe operato una interpretazione analogica vietata dalla natura eccezionale della norma. 5.- Il Collegio ritiene che i denunciati vizi della sentenza impugnata possano essere esaminati congiuntamente per reciproca inferenza, in quanto lamentano l'errata sussunzione nell'ambito di applicazione dell'articolo 55 del d.lgs. numero numero 151 del 2001 di una fattispecie concreta costituita da una ipotesi di scioglimento consensuale del rapporto di lavoro. Giudica le censure non meritevoli di accoglimento. 5.1.- Nell'ambito del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità d.lgs. numero 151 del 26 marzo 2001 è contenuto, nel capo IX dedicato a Divieto di licenziamento, dimissione, diritto al rientro , l'articolo 55 che, al quarto comma, nella versione di testo applicabile ratione temporis , così disponeva La richiesta di dimissioni presentata dalla lavoratrice, durante il periodo di gravidanza, e dalla lavoratrice o dal lavoratore durante il primo anno di vita del bambino o nel primo anno di accoglienza del minore adottato o in affidamento, deve essere convalidata dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro, competente per territorio. A detta convalida è condizionata la risoluzione del rapporto di lavoro . 5.2.-In generale il recesso del lavoratore è atto unilaterale di autonomia negoziale che ha come effetto tipico quello di risolvere il rapporto di lavoro nel momento in cui perviene nella sfera di conoscenza del destinatario. Esso è tradizionalmente affidato al principio della libertà delle forme v. Cass. numero 2048 del 1998 , salvo i casi di diversa previsione della contrattazione individuale o collettiva ovvero di prescrizione da parte dell'ordinamento di una particolare procedura che condiziona l'efficacia o la validità dell'atto, contro eventuali abusi datoriali volti a viziare la genuinità del recesso dal rapporto di lavoro. Cosi, a tutela della maternità e della paternità, il legislatore, una volta posti i divieti di licenziamento di cui all'articolo 54 del d.lgs. numero 151 del 2001, simmetricamente ha previsto una procedura di convalida delle dimissioni formulate dal lavoratore nel periodo protetto. La ratio è quella di evitare che, nello stesso periodo, possa essere raggiunto il medesimo effetto di risoluzione del rapporto di lavoro derivante da un licenziamento, attraverso un atto che è formalmente ad iniziativa della lavoratrice o del lavoratore ma che non corrisponde ad una volontà dismissiva liberamente formatasi. Si presume, infatti, che le dimissioni possano essere influenzate da ragioni collegate alla specifica situazione che induce a privilegiare esigenze di tutela della prole rispetto alla stabilità dell'occupazione lavorativa così Cass. numero 4919 del 2014 e che possano essere indotte dal datore di lavoro che approfitti di una peculiare situazione psicologica del dipendente. Pertanto si affida ai servizi ispettivi ministeriali il compito di indagare la genuinità e la spontaneità della volontà dismissiva solo ove intervenga la convalida - interpretabile come condizione di efficacia del negozio - si realizza la risoluzione del rapporto di lavoro . 5.3.- Ciò posto, questa Corte ritiene che, nonostante la disposizione in esame si riferisca testualmente alle sole dimissioni , la stessa sia applicabile, come ritenuto dai giudici di appello, anche alle ipotesi di risoluzione consensuale . Invero, sebbene le due tipologie negoziali si distinguano chiaramente per struttura, connessa all'unilateralità della prima ed alla bilateralità della seconda, esse hanno in comune l'effetto, che è quello di produrre la risoluzione del rapporto di lavoro. Ed è proprio questo effetto a cui guarda l'intento protettivo della norma, finalizzata ad evitare che la parte che lavora, in un momento così particolare della propria vita in cui è madre o padre, risolva il rapporto esprimendo una volontà che non si sia correttamente determinata. In tale prospettiva è sicuramente omogenea la situazione di chi si dimette senza che sia formalmente acquisito il consenso del datore di lavoro con la situazione di chi si dimette con l'accordo di questi, nell'ambito di una risoluzione consensuale del rapporto. Diversamente ragionando le finalità di tutela della disposizione sarebbero agevolmente eluse. Posto che sia il datore di lavoro a voler ottenere la cessazione del rapporto di lavoro con una lavoratrice in gravidanza, sarebbe facile evitare il controllo dei servizi ispettivi ministeriali formalizzando una risoluzione consensuale in luogo di un mero atto di dimissioni. L'interpretazione accolta, che estensivamente attribuisce ai termini della norma scrutinata il più ampio significato tra quelli possibili, è altresì costituzionalmente orientata al rispetto dell'articolo 37 Cost., secondo cui le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento dell'essenziale funzione familiare e assicurare alla madre ed al bambino una speciale adeguata protezione. Pertanto la disciplina che regola le dimissioni della lavoratrice madre non può essere interpretata in modo differenziato rispetto a quella che regola la risoluzione del rapporto con il consenso del datore di lavoro, acquisite le identiche ed ineludibili esigenze di salvaguardia della funzione familiare e di protezione della prole. 5.4.- L'esegesi qui affermata appare altresì coerente con la successiva evoluzione legislativa della materia, sebbene non applicabile ratione temporis al caso all'attenzione del Collegio. Infatti, l'articolo 4, co. 16, della l. numero 92 del 2012, ha sostituito l'articolo 55, co. 4, del d.lgs. numero 151 del 2001, prevedendo espressamente, fra l'altro, che la risoluzione consensuale del rapporto , oltre alla richiesta di dimissioni, debba essere convalidata dal servizio ispettivo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e che a tale convalida sia sospensivamente condizionata l'efficacia della risoluzione del rapporto di lavoro . In questa parte la l. numero 92 del 2012, come già ritenuto da questa Corte a proposito dell'estinzione del rapporto di lavoro in seguito all'esercizio dell'opzione per l'indennità sostitutiva della reintegrazione Cass. SS.UU. numero 18353 del 2014 , ha, dunque, una valenza confermativa e chiarificatrice di quanto era già previsto e ricostruibile anche sulla base della precedente disciplina. 6.- Respinto il ricorso principale, deve essere dichiarato assorbito il ricorso incidentale affidato da N.N. a quattro motivi. Infatti, nelle conclusioni contenute atte pagg. 42, 43 e 44 del controricorso, espressamente si chiede l'accoglimento di ciascuno dei motivi di impugnazione incidentale in via subordinata rispetto al rigetto del ricorso principale. Sicché, nonostante il terzo e quarto motivo impugnino il capo autonomo della sentenza di appello che ha limitato la condanna al pagamento delle retribuzioni alla data del 5 dicembre 2002, il ricorso incidentale, considerata l'espressa graduazione delle richieste, deve essere qualificato nel suo complesso come condizionato all'accoglimento del principale, condizione nella specie non verificatasi. 7.- Con l'unico motivo del ricorso iscritto al R.G.N. , N.N. impugna la sentenza del 19 giugno 2009 con cui la Corte di Appello di Trieste ha respinto la domanda di revocazione della precedente sentenza del 17 novembre 2007 della stessa Corte. Si denuncia la violazione di norme di diritto ai sensi dell'articolo 360, co. 1, numero 3, c.p.c., e si Interroga la Corte sul se violi il punto 4 dell'articolo 395 c.p.c., in quanto effetto di errore di fatto risultante dagli atti e documenti di causa, la sentenza che - nel determinare le retribuzioni spettanti ad una lavoratrice dalla data di ripristino del rapporto di lavoro - affermi che le stesse retribuzioni competono esclusivamente sino alla data in cui alla lavoratrice è stata offerta la reintegra nel posto di lavoro in un caso di specie nel quale a l'esistenza di tale offerta di reintegra sia stata invece incontestabilmente esclusa in quanto l'offerta era costituita in una mera nuova assunzione b l'offerta di nuova assunzione e non di reintegra nel posto di lavoro non aveva costituito un punto controverso tra le parti concordando le stesse che nella fattispecie l'offerta è stata di una nuova assunzione e non di reintegra nel posto di lavoro . La doglianza è infondata. L'ipotesi di revocazione di cui al numero 4 dell'articolo 395 c.p.c. sussiste se la sentenza è l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell'uno quanto nell'altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare. Per pacifica giurisprudenza di questa Corte tale genere di errore presuppone il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l'altra dagli atti e documenti processuali, purché, da un lato, la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione, e non di valutazione o di giudizio e, dall'altro, quella risultante dagli atti e documenti non sia stata contestata dalle parti per tutte Cass. SS.UU. numero 5303 del 1997 . Pertanto l'errore non può riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche ovvero la vantazione e l'interpretazione dei fatti storici deve avere i caratteri dell'assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti e i documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche deve essere essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la decisione da lui emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l'errore la pronuncia sarebbe stata diversa. Orbene nella specie l'errore di cui sarebbe stata affetta la sentenza impugnata dalla N. ai sensi dell'articolo 395, numero 4, c.p.c., consisterebbe nell'aver ritenuto una offerta di reintegrazione nei posto di lavoro quella che invece, secondo l'istante, era una mera offerta di nuova assunzione . All'evidenza tale prospettazione non investe un errore di percezione della realtà nella sua materialità fattuale, quanto piuttosto le conseguenze giuridiche derivanti dalla qualificazione di tale fatto. Ed infatti la Corte adita per la revocazione ha escluso che la sentenza impugnata avesse dato acriticamente per vero un fatto mai accaduto, ritenendo piuttosto possibile che la stessa avesse errato nel l'interpretazione dei documenti acquisiti nel corso dell'istruttoria, oppure nel valutare il comportamento processuale delle parti o, ancora, nell'individuare la natura giuridica dell'offerta di reintegrazione posta in essere dalla società. Correttamente, dunque, la Corte territoriale ha concluso per l'insussistenza nella specie di un errore revocatorio rilevante ai sensi dell'articolo 395, numero 4, c.p.c., e quindi di un errore di fatto che si traducesse in una falsa percezione della realtà, trattandosi, in ipotesi, di un errore nella qualificazione giuridica dei fatti di causa ovvero nella individuazione delle loro conseguenze sul piano del diritto. 8.- Conclusivamente, respinti i ricorsi principali di entrambe le parti, la reciproca soccombenza e la novità di talune questioni giuridiche affrontate inducono a compensare integralmente le spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale della società iscritto al R.G.N. e dichiara assorbito il ricorso incidentale della N. rigetta il ricorso iscritto al R.G.N. dichiara integralmente compensate le spese dei due ricorsi riuniti.