In tema di divorzio congiunto la revoca del consenso di una dei coniugi non comporta necessariamente il diniego della domanda di scioglimento del matrimonio. Si tratta infatti di una decisione che deve prendere il giudice avente presupposti completamente diversi da quella prevista per la separazione consensuale.
Sul punto la Cassazione con ordinanza numero 19540/18, depositata il 24 luglio. Il caso. La Corte d’Appello di L’Aquila rigettava il gravame promosso dall’interessato avverso la sentenza di prime cure del Tribunale di Pescara con la quale veniva dichiarata improcedibile la domanda congiunta di divorzio promossa dal medesimo in inziale accordo con la moglie. I Giudici di merito rilevavano che all’udienza di comparazione dei coniugi la moglie aveva revocato il consenso precedentemente prestato. La decisione di merito è impugnata con ricorso per cassazione dall’originario richiedente il quale denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 4 della legge sul divorzio, in quanto la sentenza impugnata ha ritenuto ammissibile la revoca unilaterale del consenso alla domanda congiunta di divorzio senza considerare che, al contrario di quanto accade nella separazione consensuale, la stessa non impedisce l’accertamento della sussistenza dei presupposti per la pronuncia di scioglimento del matrimonio. Domanda di divorzio congiunta e valore della revoca del consenso. Ricorda la Corte di Cassazione che in tema di divorzio a domanda congiunta l’accordo tra i coniugi ha natura meramente ricognitiva «con riferimento ai presupposti necessari per lo scioglimento del vincolo coniugale la cui sussistenza è soggetta a verifica da parte del tribunale», il quale ha pieno potere decisionale. La revoca del consenso da parte di uno dei coniugi è inammissibile solo con riferimento al valore negoziale in ordine all’accordo sulle condizioni del divorzio e sulla scelta dall’iter processuale, nei quali sono esclusi ripensamenti unilaterali, «configurandosi la fattispecie non già come somma di distinte domanda di divorzio o come adesione di una delle parti alla domanda dell’altra, ma come iniziativa comune e paritetica, rinunciabile soltanto da parte di entrambi i coniugi». Differenza tra separazione consensuale e divorzio congiunto. Da ciò consegue che, secondo la Suprema Corte, non può condividersi la decisione di merito secondo cui, analogamente a quanto accade nel procedimento di separazione consensuale, la revoca del consenso comporta il venir meno del requisito indispensabile per l’accoglimento della domanda, in quanto ciò «si pone in contrasto con le profonde differenze riscontrabili tra le relative discipline». La separazione consensuale infatti «individua il presupposto sostanziale della fattispecie nell’accordo tra i coniugi, al quale il tribunale è chiamato ad attribuire efficacia dall’esterno, mediante un’attività di controllo che non può mai tradursi in un’integrazione o una sostituzione del consenso delle parti». Mentre il divorzio congiunto, «richiede una pronuncia costitutiva, fondata sull’accertamento dei presupposti richiesti dall’articolo 3 della l. numero 898/1970», con la conseguenza che se la separazione consensuale produce un procedimento di giurisdizione volontaria, il divorzio congiunto costituisce espressione di giurisdizione contenziosa. In conclusione la Cassazione, applicando i citati principi, ha ritenuto fondato il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale che, nonostante la revoca del consenso di uno dei coniugi, dovrà provvedere ugualmente all’accertamento dei presupposti del divorzio.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 28 giugno – 24 luglio 2018, numero 19540 Presidente Scaldaferri – Relatore Mercolino Fatto e diritto Rilevato che F.P.P. ha proposto ricorso per cassazione, per tre motivi, avverso la sentenza del 27 marzo 2017, con cui la Corte d’appello di L’Aquila ha rigettato il gravame da lui interposto avverso la sentenza emessa il 30 luglio 2015 dal Tribunale di Pescara, che aveva dichiarato improcedibile la domanda congiunta di cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto dal ricorrente con R.G.A. , rilevando che all’udienza di comparizione dei coniugi la donna aveva revocato il consenso precedentemente prestato che la R.G. non ha svolto attività difensiva che il Collegio ha deliberato, ai sensi del decreto del Primo Presidente del 14 settembre 2016, che la motivazione dell’ordinanza sia redatta in forma semplificata. Considerato che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione dell’articolo 4 della legge 1 dicembre 1970, numero 898, censurando la sentenza impugnata per aver ritenuto ammissibile la revoca unilaterale del consenso alla domanda congiunta di divorzio, senza considerare che, a differenza di quanto accade nella separazione consensuale, la stessa non impedisce l’accertamento della sussistenza dei presupposti per la pronuncia di scioglimento del matrimonio e non comporta il venir meno degli accordi patrimoniali intervenuti tra i coniugi, a meno che la domanda non costituisce il frutto di errore, violenza o dolo che, in tema di divorzio a domanda congiunta, questa Corte ha già avuto modo di affermare che l’accordo sotteso alla relativa domanda riveste natura meramente ricognitiva con riferimento ai presupposti necessari per lo scioglimento del vincolo coniugale, la cui sussistenza è soggetta a verifica da parte del tribunale, avente pieni poteri decisionali al riguardo, mentre ha valore negoziale per quanto concerne la prole ed i rapporti economici, nel cui merito il tribunale non deve entrare, a meno che le condizioni pattuite non si pongano in contrasto con l’interesse dei figli minori che la revoca del consenso da parte di uno dei coniugi, mentre risulta irrilevante sotto il primo profilo, in quanto il ritiro della dichiarazione ricognitiva non preclude al tribunale il riscontro dei presupposti necessari per la pronuncia del divorzio, è inammissibile sotto il secondo, dal momento che la natura negoziale e processuale dell’accordo intervenuto tra le parti in ordine alle condizioni del divorzio ed alla scelta dell’iter processuale esclude la possibilità di ripensamenti unilaterali, configurandosi la fattispecie non già come somma di distinte domande di divorzio o come adesione di una delle parti alla domanda dell’altra, ma come iniziativa comune e paritetica, rinunciabile soltanto da parte di entrambi i coniugi cfr. Cass., Sez. VI, 13/02/2018, numero 10463 Cass., Sez. I, 8/07/1998, numero 6664 che non può quindi condividersi l’affermazione della sentenza impugnata, secondo cui, analogamente a quanto accade nel procedimento di separazione consensuale, la revoca del consenso da parte di uno dei coniugi comporta il venir meno del requisito indispensabile per l’accoglimento della domanda, rappresentato dall’intesa tra le parti, configurandosi la stessa come un atto unitario ed essenzialmente negoziale, espressione della capacità dei coniugi di autodeterminarsi responsabilmente, rispetto al quale la pronunzia del tribunale è rivolta unicamente ad attribuire efficacia dall’esterno all’accordo stipulato dai coniugi che la prospettata analogia tra la separazione consensuale ed il divorzio a domanda congiunta si pone d’altronde in contrasto con le profonde differenze riscontrabili tra le relative discipline, una delle quali come riconosciuto dalla stessa sentenza impugnata individua il presupposto sostanziale della fattispecie nell’accordo tra i coniugi, al quale il tribunale è chiamato ad attribuire efficacia dall’esterno, mediante un’attività di controllo che non può mai tradursi in un’integrazione o una sostituzione del consenso delle parti, mentre l’altra, pur muovendo da un ricorso congiunto, richiede una pronuncia costitutiva, fondata sull’accertamento dei presupposti richiesti dall’articolo 3 della legge numero 898 del 1970, con la conseguenza che mentre il primo procedimento è annoverabile tra quelli di giurisdizione volontaria, il secondo costituisce espressione di giurisdizione contenziosa che le predette differenze trovano conferma anche nella diversa disciplina dettata per l’ipotesi in cui le condizioni relative all’affidamento ed al mantenimento dei figli appaiano in contrasto con il loro interesse, dal momento che per la separazione l’articolo 158, secondo comma, cod. civ. consente al tribunale di suggerire le necessarie modificazioni e, in caso d’inidonea soluzione, di rifiutare allo stato l’omologazione, mentre l’articolo 4, sedicesimo comma, della legge numero 898 del 1970 prevede l’adozione dei provvedimenti temporanei ed urgenti e la prosecuzione del giudizio nelle forme contenziose che, in applicazione dei richiamati principi, deve escludersi che nella specie la revoca del consenso da parte dell’intimata comportasse l’arresto del procedimento, dovendo il tribunale provvedere ugualmente all’accertamento dei presupposti per la pronuncia del divorzio, per poi passare, in caso di esito positivo della verifica, all’esame delle condizioni concordate dai coniugi, valutandone la conformità a norme inderogabili ed agl’interessi della figlia minore che il ricorso va pertanto accolto, restando assorbiti il secondo ed il terzo motivo, con cui il ricorrente ha dedotto l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio e la violazione degli articolo 112 e 136 cod. proc., censurando la sentenza impugnata per essersi limitata a dare atto della revoca del consenso da parte dell’intimata, senza esaminare il contenuto della relativa dichiarazione, nonché per aver omesso di pronunciare sul merito della domanda, nonostante la sussistenza dei presupposti per lo scioglimento del vincolo coniugale e l’insussistenza di diritti indisponibili dell’intimata o di pattuizioni contrastanti con l’interesse dell’unica figlia ancora minorenne che la causa va conseguentemente rinviata alla Corte d’Appello di L’Aquila, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. accoglie il primo motivo di ricorso cassa la sentenza impugnata rinvia alla Corte di appello di L’Aquila, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Dispone che, in caso di utilizzazione della presente ordinanza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella ordinanza.