Le spese per il (ritardato) ritiro del bene sotto custodia giudiziaria vanno richieste solo alla p.a.

In tema di custodia giudiziaria e dissequestro del bene e quindi di azione di responsabilità a vario titolo, non si configura alcun rapporto obbligatorio diretto tra il custode ed il soggetto proprietario del mezzo custodito e ciò anche in caso di annullamento della sanzione mediante sentenza irrevocabile così, è improponibile la richiesta di pagamento delle spese di custodia, formulata dal custode nei confronti del proprietario del bene custodito. E’, quindi, parzialmente illegittima, e va pertanto annullata, la sentenza di merito con cui, accertati il giudicato sul risarcimento - danni riportati dal veicolo custodito e l’omessa motivazione sulla fonte del presunto dovere del soggetto sanzionato di pagare al custode le spese di custodia maturate oltre il termine stabilito nel provvedimento di dissequestro, vengano disposti, contemporaneamente, il risarcimento, già riconosciuto in primo grado, in favore del medesimo proprietario del veicolo danneggiato e ritirato dalla custodia e l’indennità, carico di quest’ultimo, per le spese di custodia in favore dell’autocarrozzeria incaricata della relativa custodia dall’Autorità giudiziaria.

Il principio si argomenta dalla sentenza della Corte di Cassazione numero 9258/15, decisa il 15 gennaio e depositata il 07 maggio 2015. Il caso. Veniva riconosciuto in primo grado, al proprietario di un motoveicolo sequestrato per illecito amministrativo, il risarcimento dei danni riportati durante la custodia presso un’autocarrozzeria, poi revocata a causa dell’annullamento della relativa ordinanza - ingiunzione cui seguiva provvedimento di restituzione del veicolo, con l’avvertimento dell’addebito delle spese di custodia al proprietario del mezzo custodito in caso di mancato ritiro dal 31° giorno dalla comunicazione del medesimo provvedimento . In secondo grado, a seguito di secondo appello iscritto a ruolo dopo la notifica del primo appello non iscritto a ruolo, veniva confermato il risarcimento-danni in favore del titolare del medesimo veicolo ma veniva disposto, a carico di quest’ultimo, il pagamento delle spese di custodia in favore del custode. L’obbligazione tra illecito e danno il rapporto diretto e quello indiretto inter partes. In primis , vanno richiamati gli articolo 1173, 1460, 1768 e 2043 c.c., 17 l. numero 689/1981, 213/218 C.d.S., 394 D.P.R. 16-12-1992 numero 495, 16 D.P.R. 29-07-1982 numero 571, 149, 325, 326 e 327 c.p.c. nonché la l. numero 53/1994. All’uopo, necessita focalizzare sul concetto di obbligazione, inadempimento, illecito, danno, responsabilità, procedimento e provvedimento. Sul piano procedurale, la principale osservazione da effettuare inerisce il momento di perfezionamento della notificazione del gravame e quindi il momento di decorrenza del termine breve per il secondo appello, non coincidente con la consegna del primo appello all’ufficiale giudiziario bensì con il momento del perfezionamento nei confronti del destinatario della notificazione Cass. numero 883/2014 . Il momento di perfezionamento opera, infatti, esclusivamente a vantaggio del notificante Corte Cost. nnumero 477/2002 e 28/2004, Cass. numero 13065/04 e Sez. Unumero numero 458/05 e, pertanto, per le decadenze non addebitabili al notificante stesso Cass. Sez. Unumero numero 23675/2014 . Segnatamente, il termine breve per la seconda impugnazione, nella fattispecie in sede di appello, decorre dal perfezionamento della prima impugnazione per il destinatario. Ciò vale anche per le impugnazioni, nel termine breve, del notificante derivanti dalla notificazione della sentenza, idonea quindi al decorso del medesimo termine breve in quanto produttrice di effetti bilaterali la mera estrazione della copia della stessa sentenza non produce, dunque, effetti giuridici di conoscenza rilevanti a tal fine. Sotto il profilo sostanziale, va sottolineato che la custodia viene svolta soltanto a vantaggio, e non a favore, del proprietario del veicolo giudiziariamente sequestrato in caso di mancato ritiro, infatti, il custode deve informare l’Autorità procedente e le spese di custodia derivano dal ricavato della vendita del bene sequestrato. In altri termini, è la tipologia del rapporto ex lege ad incidere sulla riconoscibilità, in favore del privato, del danno da custodia del proprio bene sequestrato e dell’indennità in favore del custode. De iure condito , la natura pubblicistica della violazione e della relativa sanzione irrogata determina la natura giuridica del rapporto instaurato tra P.A., custode e trasgressore autore dell’illecito, identificando altresì i profili civilistici di legittimazione attiva e passiva. Rebus sic stantibus , il diritto ad ottenere, dal privato trasgressore, l’equivalente delle spese di custodia, dopo il termine fissato nel verbale di dissequestro e restituzione del mezzo, va riconosciuto soltanto alla P.A. ed il custode può, invece, rivolgersi soltanto alla P.A. così, il medesimo proprietario del mezzo può chiedere il risarcimento-danni alla P.A. la quale può chiedere conto della cattiva custodia soltanto al custode. La decisione della Cassazione il provvedimento giurisdizionale qualifica la “terzietà” delle obbligazioni da sanzioni amministrative accessorie. In ambito di debito - credito da custodia giudiziaria, si configurano, contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale di Benevento con la sentenza numero 1990/2013, due distinti rapporti negoziali, uno tra la P.A. ed il custode ed un altro tra la P.A. ed il soggetto sanzionato titolare della res sequestrata così, non è invocabile direttamente, da parte del custode nei confronti di quest’ultimo, alcun diritto al compenso. Ergo, il ricorso va accolto.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, sentenza 14 gennaio – 7 maggio 2015, numero 9258 Presidente Finocchiaro – Relatore Frasca Svolgimento del processo p.1. R.A. ha proposto ricorso per cassazione contro O.S. avverso la sentenza del 18 ottobre 2013, con la quale il Tribunale di Benevento, in parziale accoglimento dell'appello dell'O. ha riformato la sentenza pronunciata in primo grado dal Giudice di Pace di Montesarchio nel 2010, la quale - provvedendo sulla domanda proposta da essa ricorrente nel settembre 2008, intesa ad ottenere il risarcimento da parte dell'O. , nella qualità di titolare della Italcarrozzeria s.r.l. F.lli Orlacchio dei danni riportati da un motoveicolo di sua proprietà durante la custodia cui era stato sottoposto presso l’O. , a seguito di sequestro eseguito dai Carabinieri di Montesarchio in relazione alla contestazione di un illecito amministrativo per cui era stata emessa ordinanza ingiunzione poi annullata, con conseguente provvedimento dispositivo della restituzione del mezzo - l'aveva parzialmente accolta nel quantum per Euro 500,00 ed aveva rigettato la domanda riconvenzionale dell'O. , intesa ad ottenere il pagamento delle spese di custodia per l'importo di Euro 2.500.00. p.2. Il Tribunale, sull'appello dell'O. ha confermato la statuizione del primo giudice quanto alla domanda della R. , mentre ha riformato quella di rigetto della riconvenzionale e l'ha accolta per l'importo richiesto compensando le spese di lite. p.2. Al ricorso che propone tre motivi ha resistito con controricorso l'O La R. ha depositato memoria. Motivi della decisione p.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli articolo 325, 326 e 327 c.p.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c. - tardività dell'appello - Passaggio in giudicato della sentenza appellata . Vi si critica la sentenza impugnata per non avere ritenuto che il secondo appello notificato dall'O. ed iscritto a ruolo dopo la notifica di altro precedente appello non iscritto a ruolo, non fosse tardivo per decorso del termine breve dalla notificazione del primo appello, come eccepito dalla ricorrente allora appellata. L'errore che si imputa al Tribunale è di avere considerato decorrente il termine breve per l'appello ricollegabile all'esercizio del diritto di impugnazione con la notificazione del primo atto di appello, non già - in ossequio al c.d. principio della scissione dei momenti di perfezionamento - dalla data della consegna all'ufficiale giudiziario del detto e, dunque, dal momento del perfezionamento per il notificante ed appellante, bensì dal momento del perfezionamento per essa destinataria. p.1.1. Il motivo è infondato. Il Tribunale ha fatto corretta applicazione del principio della scissione, atteso che esso - come ebbe a mettere in evidenza il Giudice delle Leggi nella sentenza numero 28 del 2004, che disse estensibile, con decisione interpretativa di rigetto nel presupposto che si trattasse dell'interpretazione conforme a Costituzione , in generale a tutte le fattispecie notificatorie detto principio, affermato a proposito dell'articolo 149 c.p.c. nel testo allora vigente da Corte Cost. numero 477 del 2002 - deve essere inteso nel senso che il momento di perfezionamento opera solo a vantaggio del notificante per evitare effetti pregiudiziali che si verificherebbero se, per la vicenda conseguente alla consegna dell'atto, sottratta al suo controllo e relativa del perfezionamento della notificazione nei confronti del destinatario, tale ultimo momento si verificasse oltre il termine che per impedirli avrebbe dovuto essere rispettato. Viceversa, il momento di perfezionamento per il notificante non può rilevare per la produzione di effetti non già a suo vantaggio, bensì a suo carico, come il decorso di un termine per un adempimento processuale ricollegato alla notificazione da lui compiuta, rilevano invece in tal senso il momento di perfezionamento per il destinatario della notificazione. Che il principio della scissione debba operare a favore e non a carico di chi notifica, conforme al dictum di Corte cost. numero 28 del 2004 è stato puntualmente registrato da questa Corte fin da Cass. numero 13065 del 2004 e poco dopo da Cass. sez. unumero numero 458 del 2005 , mentre recentemente Cass. sez. unumero numero 23675 del 2014 ha ribadito che “la scissione soggettiva del momento perfezionativo per il notificante e il destinatario [ .] vale solo per le decadenze non addebitabili al notificante”. Ne deriva che, quando la parte consegna un atto di impugnazione all'ufficiale giudiziario per la notificazione o compie tramite il suo difensore l'attività di spedizione dell'atto a mezzo posta ai sensi della l. numero 53 del 1994, e dunque perfeziona dal suo punto di vista la notificazione dell'impugnazione, qualora successivamente avvii il procedimento notificatorio di una nuova impugnazione, l'apprezzamento della tempestività di essa in relazione alla notificazione della prima impugnazione quale evento evidenziatore di una conoscenza legale della sentenza impugnata ed equipollente alla notificazione della sentenza ai fini del decorso del termine breve di cui all'articolo 325 c.p.c., dev'essere compiuto non già con riguardo al momento di perfezionamento della notificazione della prima impugnazione per il notificante, bensì con riguardo al momento di perfezionamento di tale notificazione per il destinatario, se esso vi sia stato. Se si ritenesse altrimenti si attribuirebbe, infatti, al principio della scissione un effetto del tutto ultroneo rispetto a quello implicato dal sistema scaturito dalle pronunce del Giudice delle Leggi ed inoltre anche intrinsecamente del tutto irragionevole, dato che, quando l'ordinamento prescrive che un certo adempimento della parte deve compiersi dopo il realizzarsi di un effetto che coinvolge la controparte e tale è la notificazione della sentenza ai fini di provocare il decorso del termine breve per impugnare a carico della controparte , l'onere relativo secondo la volontà del legislatore incombe su chi ne è destinatario solo quando tale effetto si realizzi. p.1.2. Si aggiunga che, con specifico riferimento all'ipotesi di attribuzione ad una prima notificazione dell'impugnazione, dell'effetto di far decorrere il termine breve siccome implicante necessariamente la conoscenza legale della sentenza dato che nei confronti di essa l'impugnazione necessariamente si rivolge , non diversamente dall'effetto ricollegato alla conoscenza della sentenza acquisita tramite la sua notificazione da chi la riceva, si deve osservare che, far decorrere il termine breve dal momento del perfezionamento di detta prima notificazione per lo stesso notificante avrebbe la conseguenza che, scattando da esso comunque il termine breve, il notificante verrebbe posto in una situazione di incertezza sulla possibilità di poter effettuare la notificazione di una nuova impugnazione, dato che, fino a quando non abbia la possibilità di verificare se la prima si è perfezionata non potrebbe sapere se una nuova notificazione sia non solo possibile, ma giustificata. Onde dovrebbe comunque notificare una nuova impugnazione per così dire cautelativamente. p.1.3. Si deve, poi, rilevare che l'ordinamento, quando ricollega l'effetto della decorrenza del temine breve alla notificazione della sentenza, suppone una situazione in cui la conoscenza di essa idonea a determinare quel termine si realizza per la parte destinataria, di modo che è solo a tale realizzazione che quell'effetto si ricollega. E poiché tale effetto è ricollegato alla conoscenza acquisita dalla parte destinataria, quando si ammette, come fa la giurisprudenza di questa Corte, che l'effetto della decorrenza del termine breve si verifichi anche a carico di chi notifichi la sentenza, equivalendo la notificazione da parte sua della sentenza, ai fini di far decorrere il termine breve di impugnazione per la controparte, all'evidenza di una conoscenza legale della sentenza stessa simile a quella realizzata nei confronti della parte destinataria, la giustificazione che se ne da suppone l'assoluta equivalenza della posizione delle parti. Il che, dunque, esclude in radice che possa rilevare come equipollente la mera circostanza che il notificante la sentenza, per notificarla, abbia avuto conoscenza della sentenza stessa fin dal momento della consegna all'ufficiale giudiziario. D'altro canto, a seguire la logica contraria, si dovrebbe rilevare che la conoscenza della sentenza e, si badi, una conoscenza sostanzialmente legale , cioè certificata dalla cancelleria, che rilascia la copia , viene acquisita da chi la notifica già con l'estrazione della copia autentica da notificare all'altra parte e, dunque, addirittura prima della consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario. Eppure all'estrazione di copia della sentenza è stata disconosciuta tale efficacia sul riflesso che l'estrazione della copia non è dimostrativa di conoscenza funzionale al decorso del termine per impugnare di chi la estrae ed essendo soccombente avrebbe ragioni per impugnare si vedano, per il termine per il regolamento competenza, Cass. od. numero 21814 del 2009, ord. numero 1589 del 2012 e ord. numero 14135 del 2013. In sostanza, la notificazione della sentenza ai fini dell'idoneità alla provocazione del decorso del termine breve è fattispecie giustificativa di tale decorso in quanto fattispecie con effetti bilaterali, cioè in quanto l'effetto della conoscenza legale non solo si realizza per entrambe le parti, notificante e destinatario, ma coincida e si identifichi nello stesso momento. Tanto esclude che, una volta introdotto il principio della scissione, la conoscenza legale per il notificante possa individuarsi nella consegna della copia da notificarsi fatta all'ufficiale giudiziario come ha ritenuto Cass. numero 883 del 2014 in funzione della notificazione alla controparte, ai fini della provocazione a suo carico del decorso del termine breve, sì che già da quella consegna decorra il termine breve per il notificante la tesi, al di là della mancata considerazione della conoscenza legale della sentenza quale causa efficiente del decorso del termine breve di natura bilaterale nel senso appena detto, si pone - ma non è a questo punto l'argomento decisivo, bensì gradato - anche in manifesta contraddizione con il modo in cui, come s'è detto, opera il principio della scissione, dato che ha l'effetto di far derivare un onere a carico del notificante dal momento del perfezionamento per lui anziché da quello di perfezionamento per il destinatario. p.1.4. Le medesime considerazioni a questo punto convalidano il principio, applicato dalla sentenza impugnata, quando l'equipollenza alla conoscenza legale della sentenza si debba ricollegare, a carico di chi notifichi, alla notifica dell'impugnazione. Anche in tal caso la bilateralità dell'effetto ricollegabile al perfezionamento della notificazione nei confronti del destinatario, siccome atto idoneo a determinare comunque a suo carico il decorso del termine breve se egli è a sua volta soccombente, qualora all'attività di notificazione chi abbia notificato non abbia fatto seguire la presa di contatto con il giudice derivante dall'iscrizione a ruolo e a tale iscrizione non provveda il destinatario esercitando suo il diritto di impugnazione nel termine di un'impugnazione incidentale, giustifica che il termine breve per un'eventuale nuova impugnazione da parte del notificante decorra a carico suo soltanto dal momento del perfezionamento della prima impugnazione per il destinatario. Il principio di diritto che giustifica il rigetto del motivo è, dunque, in seguente “quando la parte effettui la notificazione di una prima impugnazione alla controparte, l'apprezzamento della tempestività di un'eventuale sua nuova impugnazione in relazione alla notificazione della prima impugnazione quale evento evidenziatore di una conoscenza legale della sentenza impugnata e, quindi, idoneo ai fini del decorso del termine breve di cui all’articolo 325 c.p.c. a carico dello stesso notificante, dev'essere compiuto non già con riguardo al momento di perfezionamento della notificazione della prima impugnazione per il medesimo notificante, bensì con riguardo al momento di perfezionamento della notificazione per il destinatario. Lo stesso principio vale nel caso di notificazione della sentenza in modo idoneo ai fini del decorso del termine breve per il destinatario, qualora si debba considerare la notifica per lo stesso notificante come evento idoneo a far decorrere anche a carico suo il termine breve per un'eventuale impugnazione da parte sua”. p.2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli articolo 2043, 1768, 1460 cod. civ. e del DPR del 29 luglio 1982 numero 571, in relazione all'articolo 360 c.p.c. nnumero 3 e 5 - Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio . Vi si critica la decisione impugnata, là dove, nell'accogliere la riconvenzionale dell'O. , mentre avrebbe riconosciuto fondate le doglianze della ricorrente ai fini della domanda di risarcimento del danno per “l'illegittima e non fedele custodia del bene sottoposto a sequestro, contemporaneamente” avrebbe riconosciuto al “soggetto che ha posto in essere tale riprovevole comportamento il diritto a percepire una indennità per la omessa custodia del bene, poiché l'appellata non avrebbe ottemperato all'invito di cui al verbale di dissequestro contenente l'avvertimento che dal 31 giorno dal momento della comunicazione del verbale, nell'ipotesi di mancato ritiro, le spese di custodia sarebbero state a carico della R. ”. Si sostiene che la decisione sarebbe contraddittoria, perché solo se l'obbligazione di custodia fosse stata adempiuta fedelmente sarebbe stato dovuto il compenso per la custodia. Viceversa, l'O. non avrebbe adempiuto correttamente la sua obbligazione, onde - è questo il senso dell'assunto - la posizione della ricorrente sarebbe stata giustificata dall'articolo 1460 c.c p.2.1. Il motivo è inammissibile. Esso si fonda sul contenuto di del verbale di dissequestro, del quale non fornisce l'indicazione specifica, precisando se e dove fosse stato prodotto in sede di giudizio di merito e da chi e, soprattutto se e dove sia stato prodotto e sia esaminabile in questo giudizio di legittimità. Non solo per dimostrare la rilevanza di quanto si assume derivare dal detto verbale sarebbe stato necessario precisare i termini nei quali l'O. aveva proposto la domanda riconvenzionale relativa alle spese di custodia, mentre, anche nell'esposizione del fatto, essi non si precisano in alcun modo, in particolare omettendosi di dire a che periodo si riferisse la pretesa alle spese di custodia. p.2.2. Il motivo, peraltro, se potesse scrutinarsi e non assumesse rilievo quanto di seguito emergerà dallo scrutinio del motivo successivo, sarebbe anche infondato in iure, atteso che, con riferimento al rapporto di custodia, se esso si potesse considerare come rapporto diretto fra la ricorrente e l’O. , il fatto che costui sarebbe stato inadempiente all'obbligo di restituire la cosa nella sua consistenza originaria non toglierebbe che comunque egli avrebbe titolo al compenso, siccome diritto originante dall'ipotetico rapporto custodiale diretto, semmai in misura minore, dato che l'esistenza del danno sul bene ed ormai accertato come imputabile all'O. e, dunque, dell'inadempimento dell'obbligo custodiale finalizzato alla restituzione della cosa nella sua integrità , non essendosi esso risolto nella perdita del ciclomotore, non rendeva impossibile per fatto dell'O. l'obbligazione di restituzione, bensì solo una restituzione della cosa nella sua integrità. p.3. Con un terzo motivo si prospetta violazione e falsa applicazione dell'articolo 16 del DPR del 29 luglio 1982 numero 571, in relazione all'articolo 360 c.c. nnumero 3 e 5 - Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio . Vi si sostiene che erroneamente il Tribunale avrebbe giustificato l'accoglimento della domanda riconvenzionale dell'O. , in quanto, essendo stato disposto nel verbale di dissequestro che la ricorrente avrebbe dovuto ritirare il ciclomotore presso il deposito del medesimo, “con l'avvertimento che dal 31 giorno dal momento della comunicazione del verbale, nell'ipotesi di mancato ritiro, le spese di custodia sarebbero state a carico della R. ”, nella specie “non risulta[va] che il ciclomotore [fosse] stato ancora ritirato, di tal che [spettavano] al custode le spese previste dal D.P.R., pari ad Euro 2.500,00 come limitate dallo stesso convenuto nella comparsa di costituzione di primo grado”. L'errore deriverebbe dal non aver considerato l'articolo 16 del d.P.R. numero 571 del 1982, del quale l'O. aveva invocato l'applicazione e, in particolare, nel non aver tenuto conto che, ai sensi di detta norma, nel caso di mancato ritiro nei sei mesi dalla comunicazione dell'ordine di restituzione delle cose sequestrate da parte di colui a favore del quale il dissequestro è stato disposto, il custode ne deve informare l'autorità che ha disposto la restituzione, la quale ordina la vendita della cosa sequestrata, con la conseguenza che le somme dovute per la custodia sono da prelevare sul ricavato della vendita. In sostanza si imputa alla sentenza impugnata di avere considerato dovute all'O. le spese di custodia ancorché il medesimo non avesse seguito la procedura di cui a detta norma. Si imputa, poi, alla sentenza comunque di avere adottato una motivazione che comunque “non consente di ricostruire il percosso logico per il cui tramite il Tribunale Sannita ha ritenuto sussistenti gli elementi costitutivi del credito in relazione alla fonte dell'obbligazione, considerate le precedenti osservazioni in ordine alla portata dell'articolo 16 D.P.R. 571/82”. p.3.1. Il motivo è fondato nella sua ultima parte, cioè là dove lamenta che il Tribunale non abbia sufficientemente individuato in iure le ragioni che giustificavano la pretesa dell'O. al pagamento delle spese di custodia. Nella sua prima parte il motivo si scontra, invece, nuovamente con l'articolo 366 numero 6 c.p.c., dato che, nell'invocare la violazione dell'articolo 16 del citato d.P.R., non indica da che cosa nel giudizio di merito e soprattutto in questa sede si dovesse e si debba evincere la rilevanza della fattispecie astratta di cui a detta norma infatti, posto che la sentenza impugnata non evoca tale norma nel suo tessuto motivazionale, sarebbe stato necessario indicare che la pretesa dell'O. concerneva - per come limitata - solo somme dovute dopo i sei mesi dal provvedimento dispositivo della restituzione. p.3.2. Viceversa, il motivo è fondato nella parte in cui lamenta che la sentenza impugnata non abbia individuato i presupposti giuridici che giustificavano la pretesa dell'O. verso la R. ai sensi del d.P.R. numero 571 del 1982. Infatti, il Tribunale ha evocato del tutto genericamente tale D.P.R., sicché risulta del tutto mancante l'esternazione del procedimento di sussunzione che giustificherebbe il fatto che la R. debba pagare le spese di custodia all’O. sol perché il provvedimento di restituzione dell'autorità che aveva irrogato la sanzione di confisca poi annullata giudizialmente prescriveva il ritiro entro trenta giorni e disponeva che per il periodo successivo in caso di mancato ritiro le spese custodiali fossero a carico della R. . Il Tribunale ha omesso completamente di spiegare, cioè, perché giuridicamente, una volta verificatosi il mancato ritiro allo scadere dei trenta giorni, la R. , pur onerata delle spese di custodia ulteriore, fosse obbligata a pagarle direttamente all’O. . L'indicazione della ragione giuridica giustificativa di una simile obbligazione fra le odierne parti, si badi, non la si rintraccia nemmeno nella motivazione con cui il Tribunale ha rigettato l'appello dell'O. contro la statuizione della sentenza di primo grado che riconobbe a favore della medesima il risarcimento del danno per il danno che presentava il ciclomotore. Il Tribunale, infatti, si è occupato solo del profilo della prova del danno. In tale situazione la sentenza impugnata dev'essere cassata nel punto in cui ha accolto la domanda riconvenzionale, in quanto carente di motivazione in iure circa il procedimento di sussunzione giustificativo dell'individuazione del rapporto giuridico in base al quale il diritto al compenso per la custodia dell'O. poteva esercitarsi nei confronti della R. . p.4. A questo punto, rileva il Collegio, si evidenzia una situazione nella quale la sentenza impugnata dev'essere anzi cassata senza rinvio, in quanto si deve ravvisare che nessun procedimento di sussunzione sotto alcuna norma avrebbe potuto giustificare l'individuazione di un rapporto giuridico in forza del quale il diritto alle spese di custodia dell'O. avrebbe potuto configurarsi nei confronti della R. sol perché l'autorità amministrativa aveva disposto la restituzione e prescritto il ritiro entro trenta giorni. Sicché, rispetto alla domanda riconvenzionale dell'O. si configura una situazione nella quale la domanda del medesimo non poteva proporsi conto la R. . Queste le ragioni. p.4.1. Va considerato innanzitutto che nel sistema del d.P.R. numero 571 del 1982, che ha dettato fra l'altro e per quanto interessa, le disposizioni di attuazione dell'articolo 17 della l. numero 689 del 1981, essendovi abilitato dall'ultimo comma di tale norma, emerge che il rapporto custodiale che insorge per effetto dell'affidamento del veicolo sequestrato ad un privato individuato dall'autorità competente, come accaduto nella specie, si instaura fra la p.a. ed il custode, poiché il mezzo, per effetto del potere esercitato dall'autorità, è tenuto in custodia per conto della stessa, che sui di esso ha esercitato il potere sanzionatorio. Lo fanno manifesto sia l'ultimo comma dell'articolo 8, sia la disposizione dell'articolo 10 che subordina l'ispezione del veicolo da parte del trasgressore e degli obbligati o dei loro difensori, all'autorizzazione di detta autorità , sia il fatto che tanto nell'articolo 11, comma 3, quanto nell'articolo 12 comma 3, la liquidazione delle spese di custodia spetta all'autorità, sia ancora la stessa disposizione dell'articolo 16, che impone al custode dei rivolgersi al'autorità per far provvedere alla vendita in caso di omesso ritiro del veicolo. Nessun rapporto diretto nasce dunque fra il soggetto titolare del bene sequestrato per effetto di comminazione di sanzione amministrativa ed il terzo privato nominato custode dalla p.a Tale rapporto non sorge nemmeno se la sanzione venga annullata con sentenza irrevocabile e nasca l'obbligo di restituzione, che sia seguito dal provvedimento dispositivo della stessa anche tale rapporto è un rapporto fra il titolare e la p.a, in relazione al quale il custode conserva solo la posizione di soggetto incaricato del rapporto custodiale da essa e dovendo, d'altro canto, l'esecuzione dell'obbligo di restituzione che è della p.a. solo avvenire per conto della stessa. p.4.2. Ne segue che degli eventuali danni che la cosa presenti una volta disposta la restituzione, il titolare illegittimamente sanzionato non ha titolo a dolersi in forza di un rapporto obbligatorio fra lui ed il custode, dato che tale obbligazione custodiale e la conseguente obbligazione restitutoria gravano sulla p.a Il custode potrebbe - ipoteticamente, ma è profilo che non merita d'essere approfondito e che andrebbe sottoposto comunque ad attenta verifica - venire convenuto dal privato titolare solo fondando la pretesa non già sul rapporto obbligatorio custodiale bensì adducendo una sua responsabilità aquiliana. p.4.3. Importa, invece, rilevare che, esclusa l'esistenza di un rapporto obbligatorio fra custode e titolare e ciò anche quando la p.a. dispone la restituzione del bene con il provvedimento conseguente all'annullamento della sanzione dato che nessuna norma dispone nel senso che un rapporto di tale genere sorga e, dunque restando la posizione del custode quella di chi agisce per conto della p.a., come s'è detto , è palese che non è configurabile una pretesa del custode alla corresponsione del compenso per la custodia nei confronti del titolare del bene che ne debba ottenere la restituzione. Tale pretesa del custode esiste solo nei confronti della p.a In sostanza, deve ritenersi che - in presenza dei ricordati elementi normativi che evidenziano, come s'è detto, che la custodia viene svolta solo a vantaggio del titolare e non a favore del medesimo, con possibilità che egli possa in qualche modo entrare in rapporto con il terzo custode, nonché nel silenzio di una previsione in proposito - un diretto rapporto obbligatorio fra terzo custode e titolare del bene non si instauri. I rapporti che insorgono sono distinti e sono rappresentati da un obbligo custodiale assunto dalla p.a. verso il titolare sanzionato ed assolto tramite un terzo e da un obbligo di provvedere alla custodia assunto dal terzo vero la p.a. che l'ha incaricato. Ne deriva che l'O. , facendo valere la sua pretesa al compenso per la custodia ha esercitato verso la R. un diritto che, secondo le astratte previsioni dell'ordinamento, non era configurabile nei suoi confronti, sussistendo solo, in forza del rapporto di affidamento della custodia, un diritto del medesimo O. verso la p.a. che della custodia l'aveva incaricato. Nei confronti della R. era semmai configurabile in forza del provvedimento dispositivo della restituzione e dell'imposizione delle spese di custodia dopo il decorso di trenta giorni senza ritiro un diritto della p.a. ad ottenere l'equivalente di quelle spese. E ciò come diritto originante in forza del provvedimento nell'ambito del rapporto di custodia corrente fra la p.a. e la R. . p.4.4. È da avvertire che il passaggio in giudicato, per effetto del rigetto dell'appello, della statuizione di accoglimento della domanda risarcitoria della R. nei confronti dell'O. , siccome si evince dalla sentenza del Giudice di Pace prodotta nel fascicolo della R. , appare avvenuto senza alcuna motivazione in iure che possa far ritenere affermata la responsabilità secondo un certo titolo giuridico ed in particolare secondo un titolo giuridico contrattuale, anche nascente da una diretta norma di legge o dal provvedimento restitutorio disposto dalla p.a Sicché, alla constatazione dell'inesistenza di un rapporto giuridico diretto fra le odierne parti riguardo al diritto al compenso custodiale dell'O. , fatto valere con la riconvenzionale, non si configura un ostacolo derivante dal giudicato formatosi ormai sull'obbligo risarcitorio del medesimo verso la qui ricorrente invero la fonte di tale obbligo non risulta dal giudicato formatosi per effetto della sorte dell'appello in parte qua . p.4.5. Sulla base delle svolte considerazioni, la sentenza impugnata dev'essere cassata senza rinvio nella parte che ha accolto la riconvenzionale dell’O. . Ciò, in forza del seguente principio di diritto “Nel regime del d.P.R. numero 571 del 1982, qualora la p.a., nell'esercitare una pretesa sanzionatoria ex l. numero 689 del 1982 abbia disposto il sequestro del bene con cui la relativa violazione venne commessa e lo abbia affidato per la custodia ad un terzo nominato custode , insorge da un Iato un rapporto custodiate relativo al bene fra costui e la p.a., che esplica solo effetti a vantaggio del titolare sanzionato, senza che insorga alcun rapporto diretto a favore di costui verso il custode, dall'altro lato e preliminarmente, per effetto dell'apprensione del bene in attesa della definizione della vicenda sanzionatoria, un distinto rapporto custodiate fra il titolare sanzionato e la p.a. Ove la sanzione venga annullata e la p.a. disponga con suo provvedimento ai sensi dell'articolo 13 del detto d.P.R. la restituzione del bene, resta escluso che, per effetto di tale provvedimento sorga un rapporto obbligatorio diretto fra il titolare della restituzione ed il custode, dovendo costui eseguire l'obbligo restitutorio in via diretta perché obbligatovi nell'ambito del rapporto custodiale verso la p.a. eventualmente in nome e per conto della stessa se il provvedimento Io preveda. Ne consegue che, quando la p.a. nel provvedimento restitutorio abbia previsto che le spese di custodia facciano carico al titolare se egli non ritiri entro un certo termine il bene, il diritto ad ottenere l'importo corrispondente alle spese di custodia - fermo il diritto del custode di esercitare la sua pretesa verso la p.a. - è esercitabile contro il titolare solo dalla p.a., trattandosi di diritto spettante ad essa nei confronti del medesimo nell'ambito del rapporto custodiale fra essa e il titolare. Correlativamente, un'eventuale pretesa risarcitoria del titolare per danni che la cosa da restituire presenti è esercitabile, siccome nascente dal rapporto obbligatorio custodiale con la p.a., solo nei confronti della p.a., mentre quest'ultima a sua volta potrà chiedere conto della cattiva esecuzione della custodia al terzo custode nell'ambito del rapporto custodiale con esso corrente”. p.5. Dovendosi statuire sulle spese dell'intero giudizio, si ritiene che si giustifichi la compensazione delle spese di tutto il giudizio, sia in ragione del diverso esito dei due giudizi di merito e della totale pretermissione da parte delle parti e dei giudici di merito del corretto inquadramento giuridico della vicenda che avrebbe potuto giustificare anche identica sorte per la domanda della R. , in quanto basata su rapporto obbligatorio fra lei e l'O. , sia del fatto che del tutto erronea è risultata la prospettazione del primo e del secondo motivo. P.Q.M. La Corte rigetta il primo motivo di ricorso. Dichiara inammissibile il secondo. Accoglie il terzo e cassa la sentenza in relazione all'accoglimento della domanda riconvenzionale dell’O. , perché la domanda non poteva essere proposta. Compensa le spese dell'intero giudizio.